Ottobre 28th, 2019 Riccardo Fucile
E L’EX KIRCHNER SI PRENDE LA RIVINCITA… LA DIFFICILE SITUAZIONE ECONOMICA DEL PAESE, CON IL PIL IN CALO DEL 3,1% E L’INFLAZIONE AL 57,3%
Vince Alberto àngel Fernà¡ndez, ma vincono soprattutto i Kirchner.
Il nuovo presidente della Repubblica argentina, che prenderà il posto dell’uscente Mauricio Macri a partire dal 10 dicembre, è stato capo di gabinetto durante l’intera presidenza di Nèstor Kirchner, marito di Cristina Fernandez de Kirchner, ma anche durante i primi mesi della presidenza della stessa, al potere dal 2007 al 2015.
Con il voto di ieri, anche CFK, come è nota Cristina de Kirchner nel paese, tornerà alla Casa Rosada, questa volta però nelle vesti di vicepresidente.
I due presidenti — Macri e Fernà¡ndez — si incontreranno oggi per una colazione proprio alla Casa Rosada per un incontro che sigla l’inizio del periodo di transizione dopo la gara elettorale in cui il Frente de Todos arrivato primo con il 48,04% delle preferenze: circa 8 punti percentuali in più rispetto al partito di Mauricio Macri, che ha ottenuto il 40,44%.
Torna un de Kirchner ma torna anche la tradizione politica del “peronismo”, che prende il nome dalla politica “giustizialista” di Juan Domingo Perà³n, presidente argentino dal 1946 al 1955 e poi nuovamente dal 1973 fino alla morte, caratterizzata da un forte assistenzialismo.
Fernandez — 60 anni, avvocato, docente in materie giuridiche, in politica da sempre — ha presentato un programma che prevede anche un piano di contrasto alla povertà e la rinegoziazione del debito a partire dal maxi prestito di oltre 56 miliardi di dollari ottenuto dal Fondo monetario internazionale nei mesi scorsi.
Macri — imprenditore 60enne, ex presidente del Boca Juniors (1995-2008), in politica dal 2005 — aveva invece puntato molto di più sulla collaborazione con le organizzazioni internazionali economico-finanziarie, come il Fmi.
Sotto la sua guida il paese aveva attraversato una crisi economia che ha finito per penalizzarlo alle urne.
Il Pil è in calo del 3,1% e inflazione al 57,3%. Durante la sua presidenza inoltre il tasso di povertà è cresciuto del 35%, l’inflazione fino a settembre era quasi al 38%, mentre il peso — la moneta argentina — ha perso il 70% del suo valore dal gennaio 2018 e i dati ufficiali parlano di una disoccupazione al 10%, la più alta da 12 anni a questa parte.
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2019 Riccardo Fucile
L’ATTENTATORE ARRESTATO… E IN ITALIA INVECE DI PERSEGUIRE LEGALMENTE GLI ISTIGATORI ALL’ODIO, SI STA A DISCUTERE PERCHE’ VINCONO LE ELEZIONI I RAZZISTI: RIDICOLI
Alcuni colpi sono stati sparati alla moschea Bayonne (Pirenei Atlantici). Secondo le prime
informazioni della polizia francese ottenute da France Tèlèvisions, il presunto attentatore è stato arrestato. Si tratterebbe di un ex militare ottantenne, ex candidato del Front National delle Landes.
Al momento dell’arresto di Claude S., avvenuto poco dopo a Saint-Martin-de-Seignanx nella sua abitazione, gli agenti della brigata anticriminalità (BAC) hanno trovato una bombola a gas nella sua auto, e un’arma. L’uomo ha ammesso subito i fatti.
Nell’attacco sono rimaste gravemente ferite due persone di 87 e 84 anni. Su Twitter, la polizia di Bayonne ha confermato un ingente intervento di forze dell’ordine a rue Joseph Latxague.
Durante la sparatoria c’è stata anche una “piccola esplosione”, forse causata da una tanica di benzina incendiata non lontano dal luogo di culto islamico.
Secondo la ricostruzione intorno alle 15,15, l’uomo ha aperto il fuoco sparando per quattro volte contro l’edificio religioso all’interno del quale si trovavano diversi fedeli. I due anziani feriti sono stati ricoverati d’urgenza in ospedale. Uno sarebbe stato colpito al collo e l’altro al braccio.
Prima di scappare l’ex militare di ottant’anni, ha anche dato fuoco a un veicolo.
Claude S., che in gioventù ha frequentato la Scuola militare preparatoria di Aix-en-Provence, nel 2015 è stato candidato in questo distretto per il Front national, il partito di estrema destra guidate da Marine Le Pen, ottenendo al primo turno il 17,45% dei voti. La procura di Bayonne ha aperto un’inchiesta.
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2019 Riccardo Fucile
E LE STRANE COINCIDENZE SUGLI ACCOUNT SOCIAL DI GIORGIA MELONI CON ACCOUNT FINTI
Dopo aver raccontato la rete di contatti tra la Lega di Matteo Salvini, la Russia e la rete di finanziamenti delle organizzazioni ultracristiane, Report passa al setaccio il mondo dei social dei sovranisti italiani.
A partire da “la bestia”, la macchina social del Carroccio gestita da Luca Morisi che — secondo uno scambio di mail con Giancarlo Giorgetti, Armando Siri e il tesoriere del partito Giulio Centemero — avrebbe espresso la necessità di trovare altri fondi per alimentare la sua creatura.
Anche per conquistare una nuova fetta del “mercato elettorale”, quello dei minorenni compresi tra i 13 e 17 anni.
Ma le ambizioni social della Lega non sono l’unica anticipazione del programma: anche gli account social di Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) sono finiti sotto la lente d’ingrandimento di Report, che ha indagato l’identità e la provenienza dei suoi follower, scoprendo una coincidenza sorprendente.
Cosa hanno in comune Giorgia Meloni e Trash Italiano?
A quanto pare, più di 237 mila follower su Twitter, secondo il data analyst Alex Orlowski, citato da Report: non pochissimi tenendo conto che Meloni ne ha circa 829 mila in totale, e Trash italiano circa 749 mila. Ma c’è un altro dato: nella maggior parte gli account in questione hanno meno di 10 follower a testa.
A maggio 2019 — ovvero durante la campagna elettorale per le europee — i follower di Giorgia Meloni e Trash Italiano erano praticamente gli stessi, un fatto più unico che raro.
Ma il blog noto per gif e meme non è l’unico account social a condividere follower con Giorgia Meloni: anche la cantante Francesca Michielin (524,6 mila followers su Twitter), lo scorso maggio aveva 34% dei follower in comune con Giorgia Meloni.
Sorge spontaneo il dubbio: sono account autentici?
Si tratta semplicemente di un caso o, come allude il programma di Sigfrido Ranucci, sono bot, account finti, comprati con lo scopo da fare da cassa da risonanza per la leader di Fratelli d’Italia?
(da Open)
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Ottobre 28th, 2019 Riccardo Fucile
LA DISCONTINUITA’ NON C’E’, IDEE CHIARE NEPPURE: MANCATA ABOLIZIONE DI QUOTA 100 E DEI DECRETI SICUREZZA SONO SOLO UN ESEMPIO
L’inedita alleanza M5S-PD ha perso, male, le elezioni regionali in Umbria. Una sconfitta che brucia,
perchè da cinquant’anni la regione era governata dal centro sinistra. Ma non si può certo dire che sia stata una sorpresa, anche visto come si è conclusa l’esperienza della giunta guidata da Catiuscia Marini. Ma c’è un altro fattore che ha senz’altro influito sull’esito del voto: quello che sta facendo il governo Conte Bis.
Oggi il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, che è stato tra i grandi sostenitori di un’alleanza con il M5S, ha twittato la sua analisi della sconfitta: «non mi sembra particolarmente acuta l’idea che poichè anche presentandoci insieme abbiamo perso l’Umbria, è meglio andare divisi alle prossime regionali. L’onda di destra si ferma con il buon governo e con l’allargamento e l’apertura delle alleanze, non di certo ridividendoci».
Insomma per Franceschini per fermare Salvini bisogna governare bene assieme. E forse dalle parti del PD sarebbe il momento di iniziare una riflessione su cosa significhi “governare bene” e “governare con il M5S”.
Perchè fino ad ora non si è visto nè l’uno nè l’altro. Il governo Conte 2 nasce su un’unica premessa: la discontinuità rispetto al Conte One, quello fortemente condizionato dalla Lega e da Matteo Salvini (che pure erano la componente di minoranza).
A due mesi di distanza possiamo affermare che quella discontinuità non c’è stata. O meglio: l’unica discontinuità è che Salvini e i ministri leghisti non sono più al governo. Ma le politiche su cui era lecito attendersi un cambio di passo sono rimaste le stesse.
Per mesi abbiamo rimproverato alla Lega di aver continuato a fare promesse senza aver fatto nulla nel concreto. Questo governo riesce a fare ancora peggio: non fa promesse, e se le fa sono le stesse di prima, e non è in grado di governare in maniera diversa
Da Quota 100 ai porti chiusi, la discontinuità che non c’è
Il Partito Democratico ha detto di sì al taglio del numero dei parlamentari, una misura fortemente voluta dal M5S sulla quale i Dem avevano sempre votato contro. Lo ha fatto senza ottenere nulla in cambio. E sì che di contropartite ce n’erano.
Eppure sia il Reddito di Cittadinanza, che non è servito a nulla, che Quota 100 (che non ha aumentato l’occupazione) sono rimaste lì. Si dirà che non si è voluto toccare Quota 100 per non fornire alla Lega un pretesto per attaccare il governo. Ma a Salvini non servono certo dei pretesti.
Tant’è che sono settimane che si dice pronto a fare le barricate in Parlamento (proprio lui, che in Aula ci va davvero poco) qualora il Governo avesse voluto toccare Quota 100. E questo per i suoi elettori è sufficiente perchè è come se l’esecutivo l’avesse fatto davvero. Anzi senza dubbio ci sarà qualcuno che ha pensato che è stato grazie all’opposizione di Salvini che la misura non è stata toccata.
La manovra di bilancio si concentra così su una cosa che gli elettori faticano a capire: l’aumento dell’Iva. Visto che non c’è stato è successo esattamente come aveva promesso la Lega. Solo che a pagare il conto è stato il governo attuale, non quello precedente. Nemmeno il taglio del cuneo fiscale, che avrebbe dovuto dare soldi ai cittadini più poveri riesce nell’intento. Anzi: per i tecnici del
Ministero dell’Economia saranno tagliati fuori proprio quelli che guadagnano da zero a 8174 euro l’anno; i più poveri.
A questo aggiungete le uscire maldestre di questi mesi su tasse sulle merendine e sulle bevande gassate e la Lega ha avuto buon gioco a proporsi come alternativa al “partito delle tasse”. Il tutto senza che dal campo opposto si levasse una voce chiara sulla flat tax che la Lega avrebbe voluto varare con la sua manovra di bilancio (senza dire dove avrebbe trovato i soldi).
Il cinismo del governo Conte 2 sui migranti della Ocean Viking
A tutto questo va aggiunto un altro elemento fondamentale: la questione immigrazione. Il governo aveva iniziato bene: parlando dei veri numeri degli sbarchi, ricordando che i porti non sono mai stati chiusi e addirittura riuscendo a dare vita ad un accordo a quattro per la redistribuzione dei migranti. Ma le cose sono finite lì. Perchè quell’accordo non è ancora stato ratificato, perchè in Europa il M5S ha sostanzialmente continuato a perseguire la linea tracciata da Salvini (e Toninelli, secondo alcune versioni) e perchè le ONG si sono trovate nella stessa identica situazione di prima.
L’ultimo caso, proprio a cavallo dell’ultima settimana di campagna elettorale, è quello dei 104 migranti soccorsi dalla Ocean Viking, la nave operata da SOS Mediteranee e Medici Senza Frontiere. Il cinismo del Governo, quello della discontinuità , è stato davvero senza confini. In sostanza ha ignorato le richieste di indicare un porto sicuro. Lo ha fatto per paura che Salvini potesse sfruttare lo sbarco dei migranti a suo vantaggio.
Ma come nel corto di Gipi, dove bisogna stare immobili perchè qualsiasi cosa si fa “porta voti a Salvini” finisce che si fa il gioco di Salvini. Perchè la mancanza di discontinuità dimostra un’unica cosa: che l’unico modo di affrontare le questioni è quello di Salvini.
E come al solito tra la brutta copia e l’originale l’elettore diffida delle imitazioni e sceglie l’usato sicuro.
Quello che non ha paura di parlare di porti chiusi rispetto a quello che invece ha dimostrato di avere molta più paura di 104 migranti di Salvini, che almeno li usava per fare campagna elettorale e per agitare lo spettro dell’invasione.
L’attuale governo invece dei migranti ha doppiamente paura: perchè teme che “portino voti a Salvini” e perchè ancora schiavo delle logiche di criminalizzazione delle ONG.
Con la differenza che Salvini quella narrazione la creava e l’alimentava: il PD la subisce pur essendo al governo. A questo aggiungete che mentre Salvini batteva palmo a palmo l’Umbria ministri e sottosegretari si sono fatti vedere poco (per non dire nulla) e il Presidente del Consiglio se ne è uscito con la storia che «l’Umbria non conta niente, ha meno abitanti di Lecce».
Musica per le orecchie dei leghisti, che forse se fossero stati al governo non avrebbero preso così tanti voti.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 28th, 2019 Riccardo Fucile
SU ROUSSEAU I MILITANTI SI ERANO ESPRESSI PER L’ALLEANZA CON IL PD, CHI E’ DI MAIO PER CAMBIARE STRATEGIA?
Le ore successive a una sconfitta sono il tempo delle riflessioni. Il Movimento 5 Stelle, pochi istanti dopo la pubblicazione dei primi exit-poll, delle prime proiezioni e dei primi risultati ufficiali ha già deciso una cosa: le alleanza (a livello locale) non è roba per loro.
Con un breve articolo pubblicato poco dopo la mezzanotte sul Blog delle Stelle, infatti, si dichiara fallito l’esperimento fatto in Umbria con il Partito Democratico. Un giudizio basato sui numeri che, però, smentisce anche tutto l’impianto propinato da anni sulla bellezza della democrazia partecipativa online.
Prima di iniziare la campagna elettorale in Umbria, infatti, il Movimento 5 Stelle si era coerentemente rivolto alla sua base con il voto sul patto civico con il Pd per le Regionali andate in scena (e perse fragorosamente) domenica 27 ottobre. Era il 20 settembre scorso quando sulla Piattaforma Rousseau era stato pubblicato il quesito: «Sei d’accordo con la proposta avanzata dal Capo Politico del “patto civico per l’Umbria”, sostenendo alle elezioni regionali un candidato presidente civico, con il sostegno di altre forze politiche?».
Il risultato arrivato dalla base e dalla rete ha dato il via a quel patto civico con il Pd e con altre forze politiche per le Regionali in Umbria. A favore dell’alleanza, infatti, arrivarono il 60,9% delle preferenze. Circa 21320 sì. Una buona percentuale di militanti M5S che voleva riproporre l’alleanza nazionale a un esperimento locale. Ma il laboratorio umbro è deflagrato.
Poi la sconfitta e il passo indietro, smentendo la razionalità della democrazia partecipativa online rappresentata da Rousseau: «Il patto civico per l’Umbria lo abbiamo sempre considerato un laboratorio, ma l’esperimento non ha funzionato — si legge sul Blog delle Stelle -. Il Movimento nella sua storia non aveva mai provato una strada simile. E questa esperienza testimonia che potremo davvero rappresentare la terza via solo guardando oltre i due poli contrapposti».
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 28th, 2019 Riccardo Fucile
BETTINI: “SI STA AL GOVERNO PER CAMBIARE IL PAESE, LA PAZIENZA DEL PD NON E’ INFINITA”
O si cambia o si torna alle urne. Non usa mezzi termini Goffredo Bettini nel post con cui commenta la
sonora sconfitta dell’alleanza Pd-M5s in Umbria. E il senso delle sue parole è proprio questo: senza una svolta, meglio il voto. “Quindi o si cambia registro o saranno inevitabili le elezioni”, si legge sul profilo Facebook dell’esponente del partito democratico.
I dem, sostiene, non hanno subito flessioni rispetto alle Europee, ma non basta: “Lo spettacolo di questi mesi ha confermato che gli egoismi di partito prevalgono sempre sugli interessi generali. A quel punto i partiti potranno liberamente scegliere, anche quelli del campo democratico, con chi stare e contro chi starePerchè è ben triste che il primo commento di Renzi alla sconfitta in Umbria sia stato che esso spiana una autostrada a Italia Viva. Riflettiamo bene, perchè le condizioni per correggere ci sono, ma la pazienza del più grande partito della sinistra non è infinita”.
Poi il riferimento alle divisioni interne: “Il centro destra è sostanzialmente unito, agguerrito, motivato, concorde sulle strade da intraprendere. Il nostro campo è invece bombardato dalla conflittualità , dalla competizione interna, dalla irresponsabilità di molti. A una destra unita serve contrapporre un centro sinistra unito. È difficile pensare che i primi risultati del governo nazionale ottenuti, possano essere compresi e valorizzati dai cittadini quando su tutto prevalgono le polemiche politiche”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 28th, 2019 Riccardo Fucile
RENZI: “LA SCONFITTA IN UMBRIA E’ FIGLIA DI UN ACCORDO SBAGLIATO, LA FOTO DI GRUPPO UNA GENIALATA”
“Una sconfitta scritta figlia di un accordo sbagliato nei tempi e nei modi. Lo avevo detto, anche privatamente, a tutti i protagonisti. E non a caso Italia Viva è stata fuori dalla partita. In Umbria è stato un errore allearsi in fretta e furia, senza un’idea condivisa, tra Cinque Stelle e Pd. E non ho capito la ‘genialata’ di fare una foto di gruppo all’ultimo minuto portando il premier in campagna elettorale per le Regionali”. Con queste parole Matteo Renzi commenta la sconfitta dell’alleanza Pd-M5s alle regionali in Umbria.
“Nello staff di Chigi – sostiene ancora l’ex premier – evidentemente c’è qualcuno che pensa che Conte possa fare i miracoli, intervenendo in campagna elettorale e cambiando i risultati: ignorano, questi signori, che i sondaggi sulla fiducia nei leader non si traducono mai in voti. La percentuale di gradimento ti dice quanto sei simpatico, non quanto sei votabile. E non sempre le due cose coincidono. Nella storia repubblicana leader con un altissimo livello di fiducia personale non sono riusciti a trasformarli in consensi elettorali. Perchè è quella che si chiama “fiducia istituzionale”: gratifica l’ego, ma non indice alle elezioni”.
Poi un riferimento ai giorni della formazione del Conte bis: “Se avessi dato ascolto a Zingaretti e Gentiloni, il risultato delle politiche sarebbe stato lo stesso che in Umbria: un trionfo dei sovranisti di destra. L’Italia sarebbe stata un’Umbria più grande, e per cinque anni Salvini avrebbe dominato ovunque. Anzichè attaccarmi mi dovrebbero ringraziare”
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2019 Riccardo Fucile
CHISSA’ DOV’ERANO LORO QUANDO DI MAIO SFASCIAVA IL MOVIMENTO
Rebel Without a Cause è il titolo originale del film di Nicholas Ray del 1955 con James Dean che in
Italia è noto come Gioventù Bruciata.
Come il protagonista anche alcuni parlamentari del M5S ultimamente hanno tanta voglia di ribellarsi, ma non si capisce bene nè per cosa nè contro chi.
Chi sono questi ribelli senza causa? Ad esempio quelli di cui parlava sabato Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: ex ministri, e soprattutto ex ministre, del governo gialloverde che da quando il M5S si è alleato con il Partito Democratico hanno scoperto un’irresistibile voglia di denunciare quello che non
Su tutte spicca l’ex ministra del Sud Barbara Lezzi, giubilata senza troppi complimenti dal Conte Bis. Questa mattina alla luce della sconfitta in Umbria e del pessimo risultato del M5S la senatrice Lezzi va all’attacco proprio di Travaglio ricordando di «essersi opposta al ripristino dell’immunità agli affittuari dell’ex-Ilva» e che oggi chiede di convocare addirittura «un’assemblea del MoVimento 5 Stelle».
E non una di quelle solite assemblee dei gruppi parlamentari o degli utenti su Rousseau. Un’assemblea vera: «tutto il Movimento e non solo degli eletti». Ed è quello che chiedono da anni gli attivisti che venivano espulsi dal partito senza troppi complimenti senza che la Lezzi dicesse nulla a proposito.
L’ex ministra passa poi all’analisi della sconfitta, che si risolve così: «in Umbria non siamo stati alternativa. Non siamo stati il Cambiamento di cui c’è ancora estrema necessità » e si conclude con un appello per il ritorno ai valori fondanti, quell’uno vale uno che è stato rapidamente messo in soffitta quando il M5S è andato al governo, a giugno del 2018: «il Movimento merita e ha bisogno, ora più che mai, della voce di tutti coloro che ci hanno sempre creduto».
E la Lezzi non è l’unica che oggi va all’attacco del direttore del Fatto.
Ci pensa anche il senatore Mario Michele Giarrusso che su Facebook scrive «ogni volta che un attivista vede uno Spatafora, un Buffagni o una Castelli, viene colto da conati di vomito e fugge via disgustato. Dobbiamo dire basta a questi frutti avvelenati ed a chi li ha coltivati, sostenuti e difesi». Inutile dire che si usa il pretesto di attaccare Travaglio per puntare al bersaglio grosso: Luigi Di Maio. E sicuramente il Capo Politico del M5S è responsabile di tutti i disastri elettorali del M5S dell’ultimo anno e mezzo, ma dov’erano i nostri rebels without a cause? Come mai si svegliano solo ora dopo un letargo durato 14 mesi (roba che nemmeno gli orsi polari).
Ed è curioso che proprio oggi personaggi del calibro di Lezzi e Giarrusso (ma anche l’europarlamentare Dino Giarrusso) scoprano che il M5S perde perchè non fa abbastanza il “MoVimento”.
Innanzitutto perchè il M5S ha perso, e brutalmente, anche quando la Lezzi era ministra. Ha perso in Sardegna, ha perso in Abruzzo, ha perso in Basilicata e ha perso alle elezioni europee.
In secondo luogo vale la pena ricordare ai senatori Lezzi e Giarrusso che il MoVimento non faceva “il movimento” nemmeno quando c’erano loro.
Ad esempio Barbara Lezzi è quella che dopo aver promesso che il TAP non si sarebbe fatto mai e poi mai e aver raccontato del problema degli asciugamani in spiaggia sopra il metanodotto ha fatto una clamorosa marcia indietro che ha fatto infuriare gli attivisti pugliesi facendo finta di non sapere che era
già tutto autorizzato.
Lo stesso dicasi per l’ILVA dove il M5S non aveva promesso di togliere l’immunità penale: aveva promesso di chiudere l’acciaieria di Taranto. Salvo poi accodarsi al piano Calenda. E come il TAP e l’Ilva ci sono stati il TAV, il Muos, l’alleanza con la Lega e tante altre belle cose fatte grazie anche a Barbara Lezzi e ai “ribelli”.
E che dire di quando il M5S andò a Taranto ad incontrare le associazioni e i cittadini, dov’era la Lezzi quando Luigi Di Maio raccontava supercazzole ai tarantini su quanto fosse migliorata la situazione ora che al governo c’erano loro?
Riguardo Mario Michele Giarrusso, che si lamenta che «questo non è il Movimento 5 Stelle per cui abbiamo lavorato tanti anni e con tanta fatica» ci limitiamo a ricordare che il senatore è membro di quella Giunta per le immunità dove il M5S votò contro la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Salvini per il caso Diciotti, che è l’esatto contrario di quello che ha sempre sostenuto il M5S.
Ed inoltre dal sito “Ti Rendiconto” del M5S risulta che proprio Giarrusso sia alquanto indietro con le restituzioni visto che l’ultimo rimborso certificato sul sito risale al dicembre 2018, quasi un anno fa. Non va meglio per la senatrice Lezzi, che si è fermata a maggio 2019, mentre l’altra “ribelle” — l’ex ministra Giulia Grillo — risulta aver effettuato l’ultimo versamento a marzo 2019. Una curiosa coincidenza, certamente, ma è una coincidenza che alla luce delle roboanti dichiarazioni di alcuni M5S circa la necessità di tornare ai valori di una volta fa piuttosto sorridere.
(da “NextQuotidiano“)
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Ottobre 28th, 2019 Riccardo Fucile
LA REPLICA DI CONTE
Un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano al centro di un’indagine sulla corruzione finanziaria era alla base di un gruppo di investitori che assunse Giuseppe Conte per lavorare ad un accordo poco prima che diventasse presidente del Consiglio. Lo racconta il Financial Times in un articolo uscito ieri notte
Il collegamento, contenuto in alcuni documenti esaminati dal Ft, “probabilmente attirerà un ulteriore esame sull’attività finanziaria del Segretariato di Stato vaticano, la potente burocrazia centrale della Santa Sede, che è oggetto di un’indagine interna su transazioni finanziarie sospette”, si legge nell’articolo che chiama in causa i legami tra Conte e Raffaele Mincione: “Nel maggio 2018 — scrive il foglio della City — Conte è stato ingaggiato per una consulenza legale dal gruppo Fiber 4.0. il cui principale investitore è l’Athena Global Opportunities Fund, fondo sostenuto interamente per 200 milioni di dollari dal Segretariato di Stato vaticano e gestito da Raffaele Mincione“.
La storia era già stata raccontata da l’Espresso nel gennaio 2019 e si intreccia ancora una volta con Guido Alpa, mentore e socio dell’attuale premier.
L’articolo del FT arriva dopo che nei giorni scorsi si era parlato di un documento che avrebbe riportato altri dettagli sui legami tra Alpa e Conte. Il fondo in quel periodo, “era impegnato in una battaglia per il controllo della compagnia di telecomunicazioni italiana Retelit”, ricorda il Ft.
Il fondo, tuttavia, non ne ottenne il controllo perchè gli azionisti preferirono a Mincione due investitori stranieri: la tedesca Shareholder Value Management e la compagnia di telecomunicazioni libica.
E Conte, nel suo parere legale del 14 maggio, ottenuto dal Ft, scrisse che il “voto” degli azionisti “poteva essere annullato se Retelit fosse stata collocata sotto le regole del golden power, che permettono al governo italiano di stoppare il controllo straniero di compagnie considerati strategiche a a livello nazionale”, spiega il quotidiano britannico.
Il collegamento con l’attività forense di Conte, scrive il quotidiano finanziario britannico sulla base di alcuni documenti che afferma di aver visionato, potrebbe far avviare le indagini da parte del Segretariato di Stato del Vaticano, che è a sua volta “oggetto di un’indagine interna su transazioni finanziarie sospette”.
Il premier Giuseppe Conte, aggiunge il quotidiano britannico, “ebbe l’incarico di elaborare l’anno scorso un parere legale a favore della Fiber 4.0, un gruppo coinvolto nel controllo della Reselit, una compagnia di telecomunicazioni italiana. Il principale investitore della Fiber 4.0 era il Fondo Athena Global Opportunities, finanziato interamente dal segreteria di Stato vaticana”. Un fondo, a sua volta, “di proprietà di Raffaele Mincione, un finanziere italiano”.
Nel giugno 2018 il consiglio dei ministri ha deciso di esercitare la “golden power” — i nuovi poteri speciali sulle aziende strategiche — sulla società di telecomunicazioni Retelit.
La riunione si svolse sotto la direzione del vice premier Matteo Salvini, visto che il premier Giuseppe Conte era volato in Canada per il G7.
Ma l’assenza di Conte si può spiegare anche con un’altra e ben più prosaica motivazione: conflitto di interessi.
Come aveva scoperto a suo tempo Repubblica, infatti, il 14 maggio scorso Giuseppe Conte aveva firmato un parere pro veritate per un azionista dell’azienda Retelit, nella quale sta andando in scena una guerra per il controllo, indirizzato alla presidenza del Consiglio.
L’azionista era Raffaele Mincione e l’accusa, classica, di conflitto di interessi nasce da una vicenda intricata: Retelit, azienda quotata, ha cavi in fibra ottica per oltre 12.500 chilometri che collegano 9 grandi città italiane: il governo ha il golden power, uno degli azionisti (la Fiber 4.0 di Mincione) è in minoranza perchè gli altri tre (Bousval, Axxion e SVM) hanno firmato un patto parasociale per presentare la propria lista nel consiglio di amministrazione, ma non l’hanno comunicato a Palazzo Chigi. Conte aveva scritto un parere per avallare la tesi di Mincione.
La replica di Palazzo Chigi
Una nota della presidenza del Consiglio sull’articolo del Financial Times è uscita ieri notte dopo la pubblicazione dell’articolo sul Financial Times: “Quanto ai fatti riferiti dal Financial Times si precisa che Conte ha reso solo un parere legale e non era a conoscenza e non era tenuto a conoscere il fatto che alcuni investitori facessero riferimento ad un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano e oggi al centro di un’indagine”.
“Nei primi giorni del maggio 2018 l’allora avvocato Conte ha ricevuto dalla società Fiber 4.0 l’incarico di scrivere un parere pro veritate circa il possibile esercizio, da parte del governo, dei poteri di golden Power nei confronti della società Retelit. In quel momento, ovviamente, nessuno poteva immaginare che, poche settimane dopo, un governo presieduto dallo stesso Conte sarebbe stato chiamato a pronunciarsi proprio sulla specifica questione oggetto del parere”, si legge nella nota della presidenza del Consiglio. “Per evitare ogni possibile conflitto di interesse, il presidente Conte si è astenuto anche formalmente da ogni decisione circa l’esercizio della golden Power.
In particolare non ha preso parte al Consiglio dei Ministri del 7 giugno 2018 (nel corso del quale è stato deliberato l’esercizio dei poteri di golden Power), astenendosi formalmente e sostanzialmente da qualunque valutazione.
Si fa presente che in quell’occasione il presidente Conte era impegnato in Canada per il G7. Pertanto non esiste nessun conflitto di interesse, rischio questo che peraltro era già stato paventato all’epoca da alcuni quotidiani.
La circostanza era stata già chiarita e, in particolare, era stato già chiarito che Conte non ha mai incontrato nè conosciuto il signor Mincione”, conclude la nota.
(da “NextQuotidiano”)
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