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IL MEDICO (SICILIANO) DI NEMBRO CHE VA A CASA DEI PAZIENTI DA TORINO A BRESCIA

Novembre 2nd, 2020 Riccardo Fucile

“A MARZO HO CAPITO IL RUOLO DECISIVO DELL’ASSISTENZA A DOMICILIO”… “L’ASSISTENZA A DOMICILIO NON E’ PAGATA, PER QUELLO MOLTI COLLEGHI NON CI VANNO”… “VEDERE GLI OCCHI DEL PAZIENTE E DEI FAMILIARI CHE LUCCICANO QUANDO ARRIVO MI RIPAGA”

Sabato sera, quasi ora di cena. Per il dottor Riccardo Munda sono i primi minuti di tregua della giornata. «Ho finito adesso il giro degli assistiti e oggi sono andato a Pogliano Milanese a visitare la parente di un conoscente. Non ha accesso al medico di famiglia, ha sintomi respiratori ed è terrorizzata».
E che c’entra Pogliano? Lei fa il medico a Selvino e a Nembro che sono in provincia di Bergamo.
«Vero. Ma se ho modo e riesco a trovare il tempo non so dire di no. Così, specie di sabato e domenica, mi capita di andare a visitare qualcuno che magari ha chiamato il suo medico, il 118 o la guardia medica e non ha visto arrivare nessuno. Sanno che invece io vado e mi chiamano, alcuni direttamente, altri mi contattano con il passaparola».
Tutti da Milano?
«No. L’altro giorno sono andato in un paese vicino a Torino. Ho visitato una signora, una malata oncologica, che era arrivata a 92 di saturazione. Ora sta meglio e mi benedice. Poi ho fatto una visita a Brescia, a un collega. A Milano ho visto un ragazzo molto agitato che aspettava di fare il tampone da una settimana, aveva una tosse pazzesca ma non c’entrava niente il virus. Il giorno dopo stava già  bene, era solo il bisogno di rassicurazioni. Sempre a Milano sono andato a casa di persone inferme: madre, padre e figlio, ciascuno con il proprio medico. Hanno chiamato tutti e tre i dottori ma nessuno si è presentato a casa. Siccome si è sparsa la voce che sono disponibile, sul mio profilo Facebook mi scrivono a decine».
Selvino e Nembro sono due dei Comuni martiri della Val Seriana. Sono fra i luoghi più aggrediti dalla pandemia durante la prima ondata. Lei quanti pazienti segue sui due territori?
«Circa 1.400».
Da quelle parti lei è noto perchè nessuno dei suoi assistiti è mai finito in ospedale nè è mai morto. Possibile?
«È così, mai nessuno in tutti quei mesi. La dico meglio: non è morto nè è stato ospedalizzato nessuno per coronavirus di tutti gli assistiti – dal primo all’ultimo – che mi hanno chiamato chiedendo aiuto. Li ho seguiti nel tempo e sono tutti guariti. Se poi altri si sono presentati direttamente al pronto soccorso e non sono mai passati da me ovviamente non posso saperlo».
Sta andando così anche in questa seconda ondata?
«Stavolta vedo pazienti sempre spaventati, ma in generale in condizioni decisamente meno gravi rispetto ad allora. Comunque sì, niente ospedale e niente morti nemmeno ora».
E lei come se lo spiega?
«Me lo spiego con una ragione semplice: l’assistenza domiciliare. Andare a casa di un mutuato non è la stessa cosa che fare il medico stregone via cavo. Tanto per cominciare andare significa fare una visita accurata, capire se ci sono problemi respiratori e quanto sono seri, valutare lo stato generale del paziente, prescrivere i farmaci giusti…».
Di quali farmaci parliamo se durante la prima ondata nessuno sapeva minimamente come affrontare il virus
«Nemmeno io lo sapevo. A metà  febbraio, quando curavo le polmoniti, io non potevo sapere che fosse coronavirus. Le curavo come ho sempre fatto e come continuo a fare ancora oggi».
E cioè?
«Lo spiego bene. Visite tutti i giorni e – ripeto – assistenza domiciliare integrata. Terapie personalizzate con i farmaci più adatti, a cominciare dagli antibiotici combinati tra loro, mucolitici e ossigenoterapia dove serve e poi l’aiuto di un’infermiera per le flebo della reidratazione. A Selvino e Nembro abbiamo una ragazza, Sara, che si è fatta in quattro per non lasciare indietro nessuno. Senza di lei non avremmo ottenuto quei risultati. È una procedura faticosa; rischiosa, certo, perchè puoi infettarti, ma funziona. E invece a casa le persone sono morte perchè non sono state assistite per giorni e giorni».
Ma se è tutto così semplice perchè i suoi colleghi non fanno la stessa cosa?
«Per esempio perchè l’assistenza domiciliare non è pagata, salvo condizioni particolari, e cioè paziente allettato, intrasportabile, fragile, e in quel caso parliamo di 17 euro lordi che, tolte tutte le tasse, diventano 5-6 euro netti. Perchè rischiare la vita per andare a visitare a casa? In tanti hanno preferito prescrivere per telefono antibiotici che magari sfebbravano ma non curavano nulla, e le persone poi peggioravano».
Quindi se la medicina territoriale non funziona è solo questione di soldi?
«No, non solo. Per esempio è anche questione di numeri: i medici di famiglia sono troppo pochi. Bisognerebbe almeno raddoppiarli. Bisognerebbe investire sulle persone, sulla loro formazione più che sulla telemedicina, tanto per dirne un’altra. Ma mi faccia aggiungere una cosa».
Prego.
«Non voglio fare il fenomeno, non sono certo un luminare. Non sono nemmeno specializzato, perchè dopo la laurea avevo bisogno di trovare un lavoro alla svelta. Ma a questo punto, dopo sette anni di medicina di base, una cosa la so: i pazienti hanno bisogno di medici che ci siano quando loro chiamano. Non per nulla si chiama assistenza. E assistere significa prendersi cura delle persone, stargli vicino quando hanno bisogno. Io li vedo i vecchietti che mi salutano sulla porta come fanno con i loro nipoti. Li vedo che gli luccicano gli occhi quando arrivo perchè non si sentono abbandonati, sono sereni, si fidano. Mai come con questo virus prendersi cura è diventata anche una questione psicologica».
Con queste premesse i suoi pazienti avranno un’adorazione per lei.
«Questo deve chiederlo a loro. Io le posso dire che qui tutti hanno il mio cellulare. E che ho la casa piena di bottiglie, formaggi, mi regalano perfino fagiani, omaggi di ogni genere. Io sono siciliano, qui sono uno straniero e non ho amici, a parte i 1.400 che curo».
Visto che fa anche il medico fuori sede: qual è il paziente più lontano, al momento?
«Mi hanno scritto due persone da Roma. Ovviamente non posso andare fin là  a visitarli. Come ho detto, finora sono restìo alle cure via cavo. Ma ancora una volta non riesco a dire di no. Ho detto a entrambi: se volete che provi ad aiutarvi a distanza, non mi bastano le vostre descrizioni. Ho bisogno di lastre, di sottoporvi ad alcune prove, compratevi un saturimetro e via dicendo».
Insomma: prima o poi andrà  a Roma anche da loro.
«Eh…».

(da “il Corriere della Sera”)

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ELOGIO DELL’IMPOTENZA, L’AFFANNATA RINCORSA DI CONTE

Novembre 2nd, 2020 Riccardo Fucile

ELOGIO DELL’IMPOTENZA, L’AFFANNATA RINCORSA DI CONTE
IL PIANO INCLINATO DI UN DECRETO USA E GETTA   VVERSO IL LOCKDOWN

Il bollettino di guerra di lunedì 2 novembre recita così: “In ragione di queste sopravvenute evenienze (l’aumento dei contagi, ndr), si è reso necessario un nuovo corpus di misure restrittive. Per questo ho chiesto di poter anticipare già  ad oggi queste mie comunicazioni affinchè il Parlamento possa esprimersi prima del nuovo provvedimento”.
Così Giuseppe Conte alla Camera, per illustrare il 23esimo dpcm dall’inizio della pandemia, quarto dopo le baldorie estive, meno di tre settimane da quello del 13 ottobre che prevedeva solo l’obbligo universale delle mascherine, prima dell’alata discussione sulle palestre della settimana successiva e sui bar solo giovedì scorso. Giovedì scorso, non un’eternità  fa, quando la curva dei contagi non era cosi dissimile da oggi.
È la fotografia di una affannata rincorsa degli eventi, in questo piano inclinato di provvedimenti “usa e getta”, accompagnato dalla sensazione che ogni atto sia già  superato dai fatti. Un lento scivolamento verso la misura più estrema, il lockdown, che nessuno, non solo l’Italia, si può permettere, ma che rischia di essere l’unica soluzione in un quadro ancor più estremo.
Si parva licet componere magnis, Churchill, paragone che andò di moda in una fase di questa crisi, alla Camera dei Comuni, proprio nell’ora più buia, osò. Perchè è nella fase più drammatica che un leader comprende che non bastano i numeretti e i report ministeriali ed è lecito, oltre che necessario, scartare rispetto all’ordinario. Paragone ingeneroso, forse troppo.
Però è davvero troppo poco questo copione già  visto, in base al quale il premier va in Parlamento a cose grosso modo fatte, se non fosse che si deve attendere l’ultima lite con le Regioni per sapere se il coprifuoco è alle 21 come pare o alle 18, e in attesa del prossimo provvedimento che muterà  ancora una volta l’orario, tra un’ordinanza di Musumeci, un’intemerata di De Luca e un’improvvida dichiarazione di Toti.
La spiegazione è affidata non a un discorso di verità , ma a un elenco di numeri, tamponi, gli indici Rt e ai “21 parametri”, gelido riflesso burocratico che disvela l’assenza di una visione, anima, uno straccio di messaggio da dare al paese al di là  di una comunicazione prefettizia su ciò che è consentito e ciò che non è consentito. Un po’ di politica, insomma.
Anche l’appello all’opposizione, quella tensione unitaria auspicata e invocata dal capo dello Stato, si riduce a una comunicazione di servizio piuttosto scarna. Questa: “Ho prospettato ai leader dell’opposizione un tavolo di confronto con il governo. Al momento questa proposta è stata rifiutata, se ci fossero ripensamenti la proposta del governo permane immutata”.
Parole che sollecitano la voglia di rispolverare i vecchi manuali, dove si spiegava che “l’unità ” non è una trovata retorica, ma un fatto politico e culturale, una paziente costruzione, che si costruisce partendo dall’ammissione dei propri limiti, perchè solo ammettendo le proprie responsabilità  si può costruire un rapporto diverso con gli altri, rendendone evidente, come nel caso dell’opposizione nostrana, la chiusura strumentale dentro una rendita di opposizione.
E anche la contraddizione dei federalisti nostrani a la carte, che riscoprono il centralismo in tempi di pandemia quando le regioni devono assumersi le responsabilità .
Invece, come spesso accade, il cosiddetto nuovo che avanza assomiglia tanto alla vecchia politica per cui le colpe sono sempre del destino cinico e baro, non delle scelte soggettive.
E allora sarà  colpa di confusione di calendario se il 2 novembre, giorno dei morti vengono annunciate con una certa enfasi misure che andavano annunciate il 2 giugno, giorno della festa della Repubblica, come i tracciamenti e l’accordo con i medici di base.
Ecco, come spesso succede, tutti i nodi arrivano al pettine di un equilibrio in cui il Governo è troppo debole per avere una visione nazionale e troppo forte per essere sostituito, complice anche il vuoto politico delle opposizioni.
È dentro questa condizione paralizzante che il rapporto con le Regioni è precipitato nella confusione istituzionale in cui non si capisce il chi e il come si decide. Viene fatto adesso quel che si doveva fare a marzo, quando si chiuse l’Italia invece di procedere per lockdown mirati perchè oggi “chiudere” è impopolare, e i governatori, soprattutto i fan dell’autonomia, riscoprono il centralismo. Il cosiddetto modello italiano è diventato la paralisi di sistema

(da “Huffingtonpost”)

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LA CONSIGLIERA DI MAGGIORANZA DELLA REGIONE LOMBARDIA: “MIA SUOCERA NON TROVA IL VACCINO, LE DO’ IL NUMERO DI GALLERA, COSI’ MAGARI SI DIMETTE”

Novembre 2nd, 2020 Riccardo Fucile

LA   CHAT RISERVATA DELLA CONSIGLIERA BECCALOSSI (EX FDI)

“Le dosi ci sono e stiamo rispettando il cronoprogramma”, continua a dire l’assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera, che non ha mai ammesso il pasticcio sui vaccini antinfluenzali.
Ma ora a smentire le sue rassicurazioni è un messaggio inviato via Whatsapp da Viviana Beccalossi, ex collega di Gallera nella giunta Maroni e oggi consigliera regionale della maggioranza che sostiene l’attuale governatore Fontana.
Una smentita che suona come uno sberleffo: “Mia suocera (89 anni) è un mese che vorrebbe fare il vaccino antinfluenzale senza riuscirci”, ha scritto Beccalossi sabato scorso in una chat intitolata “Aggiornamento Covid 19”, utilizzata dai capigruppo e dai presidenti di commissione del Pirellone per scambiarsi informazioni sulla pandemia. -à 
“Il suo medico di base — continua — dice che non ce l’ha e nemmeno in farmacia a pagamento è riuscita a trovarlo. E così rompe i coglioni a me. Sto pensando di darle il cellulare di Gallera e, conoscendola bene, lo chiamerebbe tutti i giorni fino a quando non la accontenterebbe. Magari sarebbe la volta buona che si dimette!”.
Contattata da ilfattoquotidiano.it, Beccalossi si giustifica: “È stato un errore di chat. Era un messaggio riservato che è finito nella chat sbagliata. Poi l’ho cancellato”.
Ma la critica a Gallera era scritta chiara e tonda, non le pare? “Non ho niente da aggiungere, quando ho avuto qualcosa da criticare a Gallera l’ho fatto nelle sedi opportune”. Ma qual è la sua valutazione sul suo operato? “Non ho intenzione di rilasciare oggi dichiarazioni su quello che penso di Gallera”.
Storico esponente di Fratelli d’Italia, che Beccalossi ha contribuito a fondare, ne è uscita in polemica con Giorgia Meloni nel marzo del 2018, negli stessi giorni in cui Fontana la escludeva dalla sua giunta.
Al Pirellone è presidente del gruppo misto e, seppur con qualche distinguo, è sempre stata fedele alla maggioranza. Come a maggio, quando ha votato contro la sfiducia a Gallera parlando di un “clamoroso autogol” del Pd che l’aveva presentata. O a settembre, quando sulla mozione di sfiducia delle opposizioni contro Fontana ha parlato di “caccia alle streghe di Pd e M5S”.
Ora il suo messaggio in chat esprime una posizione opposta a quelle sinora espresse dalla Beccalossi pubblicamente.
Sua suocera, del resto, è solo una delle migliaia di cittadini lombardi che in questi giorni hanno cercato di fare la vaccinazione antinfluenzale, senza riuscirci. E questo nonostante il ministero della Salute avesse raccomandato che quest’anno la campagna vaccinale partisse a inizio ottobre e per una platea più ampia rispetto al solito, che tra gli altri comprende i bambini sotto i 6 anni e gli over 60 anzichè solo gli over 65. L’obiettivo è quello di vaccinare più persone possibili, soprattutto nelle fasce a rischio, in modo da facilitare le diagnosi di Covid, che ha sintomi simili all’influenza, e da non sovraccaricare ulteriormente strutture ospedaliere già  sature. Ma la Regione Lombardia è riuscita a far partire la campagna vaccinale solo il 19 ottobre, giorno in cui i medici di famiglia hanno potuto prenotare le prime dosi per averle a disposizione nei giorni successivi.
Ed è partita molto lentamente, come raccontato da ilfattoquotidiano.it: nelle prime due settimane è stata garantita ad ogni medico di famiglia la disponibilità  di appena 50 dosi, mentre in altre Regioni ne sono state garantite sin da subito anche 400. Peggio è andata ai centri vaccinali pubblici, che dovrebbero ricevere le dosi solo a partire da questi giorni.
Il tutto è frutto del pasticcio fatto dall’assessorato di Gallera e dalla centrale acquisti regionale Aria sui bandi di gara, con errori sui prezzi a base d’asta e sulle quantità  da acquistare.
La procura di Milano ha aperto un fascicolo in considerazione anche del prezzo elevato degli ultimi acquisti, 100mila dosi delle 2,9 milioni ordinate sono inutilizzabili perchè prive dell’autorizzazione dell’Agenzia italiana del farmaco e su altre 168mila si è aperto un giallo: il Pd ha sottolineato che da documenti ufficiali risultano anche queste senza autorizzazione, mentre Gallera sostiene che è tutto a posto. Il 27 ottobre l’ultima puntata: Aria ha pubblicato un altro bando, il decimo, per l’acquisto di 150mila vaccini. La gara, chiusa il giorno successivo, è ancora in valutazione. Per la Regione si tratta di un’iniziativa con solo “una valenza di carattere precauzionale”. Come a dire che sui vaccini non c’è alcun problema. Ma intanto la suocera della Beccalossi attende.

(da “Huffingtonpost”)

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VIAGGIO A VENTIMIGLIA, DOVE LA FRONTIERA E’ UN COLABRODO

Novembre 2nd, 2020 Riccardo Fucile

SETTE VALICHI, IMPOSSIBILE CONTROLLARLI TUTTI 24 ORE SU 24

Ogni giorno, 100 migranti arrivano a Ventimiglia e cercano di superare il confine. Ogni giorno, la Francia ne ricaccia indietro 50. Gli altri ce la fanno. E quelli respinti ci riprovano una, due, dieci volte. E’ una corrente che non si può fermare.
“I gendarmi minacciano, picchiano. Ci buttano giù dai treni in corsa, usano lacrimogeni e ci danno la caccia coi cani. Se fermano qualche minorenne, sui fogli scrivono un’altra data di nascita e lo spintonano oltre frontiera. Ma non importa. Prima o poi, di giorno o la notte, se Dio vuole riusciremo a passare tutti”. Bechir ha 24 anni, è tunisino. Come Brahim Aouissaoui, l’attentatore di Nizza transitato di qui non più tardi di una settimana fa.
Nel giro di pochi chilometri, tra i due Stati ci sono 7 valichi: impossibile controllarli tutti, 24 ore su 24. Ponte San Ludovico a ridosso del mare, Ponte San Luigi sulla collina. Breil e il Col di Tenda nell’entroterra. Ma si può andare da una parte all’altra anche attraverso l’autostrada, la ferrovia. E c’è il sentiero da percorrere a piedi lungo il Passo della Morte, quello che negli anni Trenta è stato usato anche da Sandro Pertini – con centinaia di ebrei italiani – per espatriare: un’ora per salire da Grimaldi Superiore in cima alla Giralda, di notte si vedono solo le luci di Mentone e Montecarlo, poi 20 minuti per scendere, attenzione a non cadere di sotto. Pertini? Bechir non capisce.
Però sa che una settimana fa un ragazzo tunisino è morto nel tratto tra Ventimiglia e Garavan: fulminato dai cavi elettrici mentre sul tetto di un treno cercava di raggiungere la stazione francese di Mentone.
E un altro, originario del Sudan, è scomparso affrontando quel maledetto sentiero che corre sull’orlo di un precipizio di 40 metri. Gli hanno raccontato di Brahim, il giovane che nella basilica di Notre Dame ha ucciso 3 persone. “Un pazzo, come tutti i terroristi. Magari lo avrò anche incrociato l’altra settimana e ci saremo parlati, chissà : come fai a riconoscere un pazzo fra tanti disperati come me?”. Bechir è arrivato a Ventimiglia da un mese, lo hanno respinto già  2 volte. “Alla fine riuscirò a passare. Anche io”. Come Brahim Aouissaoui.
Dall’inizio dell’anno circa 14.000 migranti sono stati cacciati indietro dalla frontiera di Ventimiglia, che con tutte quelle alternative rimane la via più facile per lasciare l’Italia. Il ministero dell’Interno ha fornito le cifre ufficiali fino al 25 settembre, il resto è una stima: 12.039 persone respinte, 1.695 erano regolari in Italia ma non potevano allontanarsi dal nostro territorio. La maggior parte è di origine tunisina (1.508), tra le altre 75 (!) comunità  quelle più presenti sono l’afghana (1.253), poi Pakistan (1.092), Marocco (963), Sudan (933), Algeria (928), Nigeria (679). In media, ogni giorno i gendarmi francesi riportano in Italia 50 migranti. In autunno la cifra è salita da 80-120. Lo conferma Jacopo Colomba di WeWorld, onlus presente sul territorio: “Ritornano stanchi, frustrati, disorientati”. Per la disperazione, un giovane afghano si è lanciato da un ponte vicino alla stazione ferroviaria. “Ma continuano ad arrivare altri migranti: un media quotidiana di 100-150”. Colomba racconta di aver incontrato nelle ultime due settimane almeno una decina di tunisini in possesso di un foglio di via, come l’attentatore di Nizza: “Diamo loro delle informazioni di base, spieghiamo che hanno 30 giorni di tempo per impugnare il provvedimento. A patto di restare in Italia. Preferiscono lasciar perdere, e cercare il modo di passare il confine”.
I “passeur” sono di fronte alla stazione ferroviaria di Ventimiglia o sul lungomare, vicino alla Foce del fiume Roia. Quasi sempre stranieri, vivono qui o nella vicina Mentone, sanno bene come funzionano le cose Con 150 euro ti fanno salire a bordo di un qualsiasi Tir posteggiato all’autoporto e all’insaputa dell’autista, forzando il cassone dietro. Il problema è che a volte il camion va in direzione opposta, verso Genova. Con 2-300 euro ti nascondono nel bagagliaio di una macchina e ti portano in Francia. Spesso sono auto rubate, che passata la frontiera in autostrada – prima dei posti di blocco al casello de la Turbie – vengono abbandonate nella prima area di servizio disponibile e i passeggeri si allontanano a piedi, per la campagna intorno. Il treno che viaggia in direzione di Garavan è una soluzione che a volte funziona: ci si nasconde nei bagni (ma la polizia francese spesso li sigilla), tra i passeggeri o sul tetto. Serena Regazzoni, della Caritas, ha l’ufficio proprio accanto alla stazione di Ventimiglia: “Li vedi guardare i treni che passano, la Francia è giusto la fermata dopo. Come se a uno che muore di fame gli metti sotto il naso un banchetto: chi potrebbe resistere?”.
Intanto, a Ponte Sal Ludovico e Ponte San Luigi si formano code chilometriche: circa settemila frontalieri italiani vanno a lavorare in Costa Azzurra o nel Principato di Monaco, però ora che di là  hanno dichiarato il lockdown c’è da esibire una autocertificazione. Severissimi, i gendarmi controllano un’auto dopo l’altra. “E danno un’occhiata al bagagliaio”, spiega Roberto Parodi, che rappresenta i frontalieri italiani. “Sono sempre a caccia di migranti, ma è tutto inutile. Perchè alla fine, quei ragazzi riusciranno a passare”.

(da agenzie)

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ORDINE NAZIONALE MEDICI: “CHIEDIAMO UN LOCKDOWN TOTALE”

Novembre 2nd, 2020 Riccardo Fucile

INTERVISTA A FILIPPO ANELLI: “A FINE MESE TERAPIE INTENSIVE SATURE”

“I medici sono preoccupati, inutile nasconderlo”, dice il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Filippo Anelli. “Il lockdown generale – dirà  più avanti – ci farebbe comodo perchè abbasserebbe subito la curva, ma ci rendiamo conto che il Governo deve guardare anche alla tenuta del sistema economico, comprendiamo gli sforzi e i tentativi che sta facendo per tutelare le attività  produttive”.
Presidente Anelli, oggi è stata superata la soglia dei 2000 ricoverati nelle terapie intensive. Com’è la situazione?
“Non siamo ancora alla fase della saturazione, ma i medici sono preoccupati, inutile nasconderlo”
Da cosa, in particolare?
“Dall’andamento della curva che non è una dolce collina, ma un picco, somiglia alla punta di una lama. Tradotto, vuol dire che i numeri aumentano in maniera esponenziale e presto potremmo arrivare a una saturazione dei posti letto nelle terapie intensive”.
Quanto “presto”: è possibile fare una previsione?
“Se continua così, potremmo arrivare alla saturazione delle terapie intensive a fine novembre. Ma oggi c’è anche un altro il problema”.
Cioè?
“Il problema oggi riguarda la tenuta del sistema sanitario, perchè l’occupazione progressiva dei posti da parte di malati Covid riduce via via la possibilità  di garantire cure agli altri ammalati. Andando avanti così, la situazione potrebbe sfuggirci di mano. La preoccupazione dei medici è che questa seconda ondata non sia una mareggiata, ma uno tsunami che potrebbe travolgere il sistema sanitario. Per questo chiediamo al Governo misure più aggressive”.
Intende lockdown più stringenti, già  chiesti dagli ordini dei medici di diverse Regioni o il lockdown generale?
“Bisogna chiudere il più possibile, varare misure che possano incidere nettamente sulla situazione. A noi medici il lockdown generale farebbe comodo perchè abbasserebbe subito la curva, ma ci rendiamo conto che il Governo deve guardare anche alla tenuta del sistema economico, comprendiamo gli sforzi e i tentativi che sta facendo per tutelare le attività  produttive. Capiamo il grado di difficoltà  delle scelte, ma da parte nostra è doveroso dire che misure forti aiuterebbero il sistema sanitario nazionale ad affrontare questa emergenza”.
Il Governo sta per varare un nuovo Dpcm, il quarto in meno di un mese. Si annuncia un coprifuoco nazionale, lezioni online per i licei, trasporto pubblico locale al 50%. Serviranno queste misure per abbassare la curva dell’epidemia?
“Potrebbero essere utile, vediamo. Credo che abbiamo ancora un paio di settimane per cercare di invertire il trend. Poi, se neanche questo provvedimento funzionerà , bisognerà  prendere decisioni drastiche”.
Si annunciano anche regole differenziate, ma c’è tensione tra Governo e Regioni.
“Esiste una grande differenza tra lo stato dell’epidemia in Lombardia e in Basilicata quindi procedere a un lockdown in Lombardia potrebbe essere utile. È giusto che le Regioni, nel momento in cui rivendicano l’autonomia, si assumano le loro responsabilità . Siamo di fronte a un burrone, freniamo prima di arrivare al fondo. Negli ospedali si sta vivendo un dramma che potrebbe replicare quello della prima ondata”.
A cosa si riferisce?
“Gli screening per i tumori sono saltati, le liste di attesa per le visite si allungano, non si riesce più a praticare interventi che riguardano altre patologie. Per evitare che il sistema non tenga più bisogna intervenire subito, con decisioni di sicuro effetto”.
È di qualche giorno fa l’accordo sottoscritto con i medici di famiglia per i tamponi rapidi. Molti, però, si rifiutano di farli nel loro studio.
“Ho sentito tante sciocchezze sulla medicina generale. La verità  è che da settant’anni subisce un processo di completo abbandono. Per usare una metafora automobilistica, la nostra medicina del territorio è paragonabile a una “Topolino” che deve competere con le Mercedes. Il moto di ribellione dei medici del territorio nasce dai carichi di lavoro abnorme cui devono far fronte e dal fatto che sono soli e inseriti in un sistema che non va, basato su un modello desueto, vecchio e incapace di dare risposte al passo coi tempi. Perchè la Germania ha meno morti per Covid di noi?”
Già , perchè?
“Perchè ha un sistema territoriale che funziona, dove i medici non devono gestire tutto da soli, ma possono avvalersi della collaborazione e del supporto di infermieri, operatori, terapisti. I nostri medici bene hanno fatto a sottoscrivere l’accordo per praticare i tamponi rapidi, ma non si può tacere sulla situazione in cui sono costretti ad operare. Il ministero della Salute, Roberto Speranza, ha dimostrato buona volontà , per l’acquisto degli apparecchi ad esempio, ma quando arriveranno troveranno un sistema che comunque non è adeguato. Ci vorrebbe un modello multiprofessionale, nel quale ognuno – medici, infermieri, operatori – svolge la sua parte. Intanto nelle varie Regioni ha gestito la medicina territoriale si guardi allo specchio e si chieda perchè non ha investito in questo settore vitale, lasciando i medici da soli”.

(da agenzie)

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ORDINE DEI MEDICI DI MILANO: “LOCKDOWN IMMEDIATO”

Novembre 2nd, 2020 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE ROSSI: “LA SITUAZIONE E’ DIVENTATA INSOSTENIBILE”

Il Presidente dell’Ordine dei Medici della città  (Omceo), Roberto Carlo Rossi chiede subito il lockdown per Milano: “Di una cosa siamo certi: la situazione sia nelle strutture sanitarie ospedaliere che anche nella medicina del territorio è diventata insostenibile. È necessario intervenire con un lockdown immediato ed efficace. Non esistono — scrive Rossi — piccoli rimedi a grandi problemi, così come non si può giocare a scaricare su altri ruoli e responsabilità : la situazione è molto seria e senza interventi drastici non può che peggiorare. Soprattutto se inoltre non ci si attrezza seriamente per tutelare quei medici che, ancora adesso, sono impegnati in prima linea, ma senza le necessarie attrezzature e materiali di protezione per svolgere in sicurezza il proprio lavoro”.
Rossi sottolinea infine “la ferma ed unanime decisione di tutto il nuovo Consiglio milanese dell’Ordine nell’avanzare una richiesta di provvedimenti restrittivi immediati”.

(da agenzie)

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COSA PREVEDE IL NUOVO DECRETO IN ARRIVO

Novembre 2nd, 2020 Riccardo Fucile

DAL MINI-COPRIFUOCO ALLE TRE AREE A RISCHIO … A PARTE LE SCUOLE SUPERIORI, DURANTE IL GIORNO RESTANO TUTTI APERTI: FABBRICHE, NEGOZI, UFFICI E BAR

Nei prossimi giorni l’Italia avrà  un nuovo Dpcm per contrastare l’impennata di contagi da Coronavirus: stamattina, lunedì 2 novembre 2020, il premier Giuseppe Conte si è presentato alle 12 alla Camera dei deputati per presentare le nuove misure restrittive prese dal Governo, di concerto con il Cts, le Regioni, i sindaci e gli enti locali, dopo due giorni di trattative serrate. Il presidente del Consiglio ha dichiarato che il testo vedrà  la luce “entro mercoledì 4 novembre”.
Poi, ha illustrato i singoli provvedimenti, soggetti ancora a qualche variazione visto che sul Dpcm si esprimeranno entrambe le Camere. Manca, infine, il via libera delle Regioni, che dovrebbe arrivare nel corso della riunione di oggi con l’esecutivo.
Ma cosa prevede il nuovo Dpcm di novembre? Vediamolo insieme.
Il premier ha assicurato che non ci sarà  alcun lockdown generalizzato, ma che l’Italia verrà  suddivisa in tre aree di rischio a seconda della tenuta del servizio sanitario nazionale.
Ciascuna delle 20 Regioni sarà  inserita in una di queste tre fasce, ognuna delle quali prevedrà  dei provvedimenti restrittivi diversi tra loro.
Sarà  possibile, ovviamente, per ogni Regione passare da una fascia all’altra, se ci sono le condizioni perchè questo avvenga. Oltre a queste misure modulate a seconda dell’andamento territoriale dei contagi, il nuovo Dpcm di novembre prevede altre misure a livello nazionale: la chiusura dei centri commerciali nei giorni festivi e prefestivi ad eccezione di farmacie, supermercati, edicole, tabacchi; la chiusura di centri scommesse, sale giochi, musei, mostre; la riduzione fino al 50% del limite di capienza dei mezzi pubblici locali; il limite agli spostamenti da e per le Regioni che hanno elevati livelli di rischio, tranne in casi di comprovata necessità  e urgenza; un coprifuoco serale anticipato e generale per tutta Italia (Conte non ha specificato l’orario, che dovrebbe essere però alle 21); la didattica a distanza per tutte le scuole secondarie di secondo grado.
Ricapitolando, questi i principali provvedimenti presenti nel prossimo Dpcm:
Suddivisione del Paese in 3 aree di rischio, ognuna con provvedimenti restrittivi adeguati alla gravità  della situazione;
Chiusura dei centri commerciali nei fine settimana;
Chiusura di musei e mostre;
Chiusura dei corner all’interno dei tabacchini (e non solo) per scommesse e giochi vari;
Capienza sui mezzi di trasporto pubblico scende al 50%;
Limiti agli spostamenti serali (coprifuoco, forse dalle 21);
Le scuole secondarie di secondo grado possono passare anche integralmente alla didattica a distanza;
Stop agli spostamenti verso le Regioni più a rischio;
Ulteriori misure restrittive potranno essere decise dalle Regioni sulla base dei livelli di rischio.

(da “Huffingtonpost”)

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L’AUTONOMIA A CORRENTE ALTERNATA DELLE REGIONI: DALLA RIVENDICAZIONE DI DECIDERE “IN NOME DEL TERRITORIO” ALLA FUGA DALLA RESPONSABILITA’

Novembre 2nd, 2020 Riccardo Fucile

QUANDO LE COSE VANNO BENE SONO FEDERALISTE, QUANDO CI SONO PROBLEMI DEVE DECIDERE IL GOVERNO PER NON PERDERE CONSENSI

Lo spartiacque è stato una settimana fa quando Vincenzo De Luca, governatore-sceriffo della Campania, ha chiesto il lockdown. Non per la sua regione: a livello nazionale.
Prima che anzichè invocarlo si limitassero a evocarlo – con un grosso punto di domanda e molti scongiuri – il premier Giuseppe Conte, l’ala rigorista del governo, il ministro della Salute Roberto Speranza, i virologi meno preoccupati.
E la possibilità  garantita da Dpcm per le singole Regioni di prevedere misure più restrittive rispetto a quelle dello Stato? Peraltro criticata da molti governatori, che volevano la speculare possibilità  di misure più lievi per salvaguardare — esempio di Giovanni Toti — i chioschi bar delle spiagge liguri deserte? Carta straccia.
La seconda ondata del covid, oltre a mettere a dura prova la solidarietà  tra cittadini, a spingere le generazioni una contro l’altra, a incalzare le categorie produttive a guardare i ristori in casa d’altri, rischia di dare il colpo di grazia ai già  duramente provati rapporti tra Stato e Regioni.
Un bis più stantio dei conflitti di potere, a colpi di ordinanze concorrenti e spesso contraddittorie, registratesi a primavera scorsa. Favorito, va detto, dalla confusione e dall’alto tasso di litigiosità  all’interno della maggioranza stessa, dove a volte passa l’immagine di un ministro o un partito che guardano al proprio settore o al proprio bacino elettorale di riferimento.
Ecco quindi un brusco cambio di rotta rispetto alla fase iniziale settembrina, quando dal Veneto alla Liguria, dalla Lombardia alla Campania, era un profluvio di: lasciateci decidere da soli, il nostro territorio lo conosciamo noi.
Una posizione che si è logorata giorno dopo giorno in un interminabile braccio di ferro di riunioni che partorivano provvedimenti già  obsoleti al successivo monitoraggio dei contagi: scuole, università , trasporti, palestre e piscine, calcetto e karate, bar e ristoranti, orari del coprifuoco, divieti di assembramenti, mascherine all’aperto, partecipanti alle cerimonie, tamponi solo agli asintomatici.
La conferenza Stato-Regioni si è trasformata nel terzo ramo del Parlamento, con i lavori preparatori affidati alla conferenza delle Regioni, presieduta dal Dem Stefano Bonaccini e rivendicata dal centrodestra senza troppa convinzione perchè tanto la linea non cambierebbe.
E’ quella dell’autonomia nelle scelte apprezzabili per i cittadini e viceversa dalla condivisione di decisioni impopolari, nella migliore tradizione del gioco del cerino. Così, c’è chi è andato a dormire federalista e autonomista per risvegliarsi centralista rinato all’alba dell’aumento esponenziale dei contagi, del fallimento dei sistemi di tracciamento, delle terapie intensive in sovraccarico, del sistema sanitario ai limiti dell’implosione.
Il governatore ligure Toti, il primo a guidare la rivolta contro le mascherine all’aperto e a scagliarsi contro “lockdown striscianti” nella prima decade di ottobre si esprimeva così: “La limitazione del potere di ordinanza ampliativo delle Regioni turba il leale equilibrio istituzionale che è dovuto tra Regioni e governo centrale. Noi possiamo modulare le iniziative sul territorio con maggiore appropriatezza rispetto alla visione d’insieme nazionale”. Il collega veneto Luca Zaia, potente governatore leghista che ha imposto l’inserimento dell’autonomia nel programma del centrodestra, tuonava: “Questo dirigismo è segno manifesto di una sfiducia nelle Regioni”. E ancora: “Non vogliamo fare i bulli, è giusto che a Roma ci sia una regia, ma poi i malati ce li abbiamo noi”. E poi: “Contro il Covid serve più potere alle Regioni, lasciate fare a noi”.
Erano i giorni in cui l’emiliano Bonaccini era a favore della riapertura (controllata) degli stadi mentre De Luca capitalizzava la fama di duro a cui doveva la rielezione campana estendendo le minacce di lanciafiamme.
Lo schema classico prevedeva le Regioni del Nord più “liberiste” e quelle del Sud più “rigoriste”, ma tutte decise a rivendicare spazi di autonomia decisionale. Con toni soft, lo ribadiva anche il pugliese Michele Emiliano: “Le Regioni chiedono quel margine di autonomia per scegliere dal punto di vista politico il punto di equilibrio tra sicurezza e gestione della situazione economica”.
E adesso, quel punto di equilibrio dov’è finito? Ora che il famigerato indice Rt vede non cinque bensì undici Regioni vicine alla soglia critica? Di sicuro, le Regioni sperano che a individuarlo sia il governo.
Reso edotto delle loro esigenze dalle sfiancanti video-riunioni quotidiane con il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia. Meglio, alla fine, un lockdown generalizzato imposto da Palazzo Chigi, con la faccia di Giuseppe Conte che ha già  pagato pegno nei sondaggi. La notte in cui tutti i gatti sono neri è più facile da gestire, meno urticante da spiegare.
Così un dialogante Toti si aspetta un “confronto reale” ma fa sapere che lui Genova non la chiuderà : “Ne abbiamo parlato con Speranza e anche lui è d’accordo”. A dire: ragazzi, mica decido solo io. Così come vorrebbe mettere in sicurezza gli over 75: italiani, non liguri, ci mancherebbe.
Il neo-eletto in Toscana Eugenio Giani suggerisce blocchi delle forze dell’ordine a presidiare i confini regionali e apprezza la direzione dell’ultimo dpcm (in fieri). Zaia precisa: chiedo misure nazionali ma mica abdico all’autonomia, servono coperture.
A Milano Attilio Fontana è in trincea da giorni contro l’ipotesi di chiusura mirata, e bisogna capirlo: quando si era preso la responsabilità  del coprifuoco notturno in Lombardia, è stato maltrattato ruvidamente dal suo leader Matteo Salvini. Che applica all’inverso il ragionamento del cerino: le restrizioni che faranno infuriare la gente se le intestino il premier e il suo governo.
E’ vero che, come recita un diffuso proverbio, il pesce puzza dalla testa.
E che l’Italia non è uno Stato federale. Tuttavia, alla politica a tutti i livelli è richiesto di decidere, nei limiti previsti dalla Costituzione e nella famosa accezione della “democrazia decidente”.
Fatti salvi forse la scuola e la libertà  di ricevere nelle abitazioni private — che presentano riflessi di natura costituzionale — cosa osta — a parte il calo di popolarità  – alla facoltà  di un governatore di decidere chiusure mirate, oltre che aperture?
Non che sia semplice o indolore spiegare — ad esempio — agli esercenti dei centri commerciali lombardi che devono chiudere mentre i concorrenti emiliani, a pochi chilometri di distanza, fanno affari (questione già  risolta con la serrata nazionale).
Nè che basta sconfinare nella Repubblica di San Marino per godersi l’aperitivo. Per tacere, poi delle Regioni a statuto speciale, che marciano da sole. Se però chi — appunto – conosce il proprio territorio e può “modulare le iniziative con maggiore appropriatezza rispetto alla visione d’insieme nazionale” rinuncia a farlo, c’è da chiedersi se l’attuale riparto di competenze, poteri e trasferimenti tra Stato e Regioni non abbia bisogno di un tagliando.

(da “Huffingtonpost”)

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FOLLIA CRIMINALE IN AUTOSTRADA: AUTOMOBILISTI PRO TRUMP ACCERCHIANO BUS DI BIDEN E CERCANO DI MANDARLO FUORI STRADA, L’FBI APRE UN’INCHIESTA

Novembre 2nd, 2020 Riccardo Fucile

PER TRUMP SONO “PATRIOTI”: SOLIDARIETA’ TRA DELINQUENTI SOVRANISTI

Un gruppo di automobilisti alla guida di macchine con le bandiere a sostegno di Donald Trump ha cercato di rallentare un bus della campagna di Joe Biden su un’autostrada del Texas, venerdì. L’Fbi ha aperto un’indagine sull’incidente, secondo quanto riporta la Cnn. Il bus è stato circondato dai sostenitori di Trump che hanno cercato di rallentarlo e di mandarlo fuori strada.
Donald Trump ha criticato l’Fbi: “Secondo me questi patrioti non hanno fatto nulla di male. L’Fbi e la Giustizia dovrebbero piuttosto indagare su terroristi, anarchici, agitatori di Antifa” ha twittato il presidente.
“Non abbiamo mai visto nulla del genere, o almeno non abbiamo mai avuto un presidente che pensasse fosse una cosa positiva”, ha detto Biden ai fan a Filadelfia. Il candidato democratico ha aggiunto che il figlio del presidente, Donald Trump Jr., ha realizzato un video in cui ha incoraggiato i seguaci di suo padre a “continuare così” e a scoprire dove si trovi Kamala Harris e salutarla allo stesso modo. “Siamo molto meglio di cosi'”, ha evidenziato Biden.

(da agenzie)

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