Novembre 5th, 2020 Riccardo Fucile
IL COMMENTO DEL SEGRETARIO DEL GRANDE NORD LOMBARDIA, I LEGHISTI ORTODOSSI USCITI DA TEMPO DALLA LEGA SALVINIANA
C’è un problema di politica bipolare in Lombardia. La ricordiamo tutti l’impuntatura dei governatori e in primis di quello lombardo che volevano provvedimenti nazionali, cioè una assunzione di responsabilità in capo al governo sul futuro delle chiusure o meno dei territori. Il Dpcm ha subito ritardi proprio per questo.
“Decidete voi”, hanno detto i governatori. Perchè è più facile poi sfilarsi dal peso delle decisioni nelle ore più difficili. E adesso?
Adesso a capo delle proteste c’è proprio l’Attilio. “Io non sono stato informato se non dalla tv della zona rossa in Lombardia”, si lamenta.
E cosa ti aspettavi, caro governatore? Che mandassero un messaggino?
Vi siete chiamati fuori, come se la storia non ci dicesse che Roma non chiede mai permesso. Una volta che la si delega a fare al nostro posto, Roma agisce.
Che errore clamoroso. In compagnia dell’altro governatore del centrodestra del Piemonte. Perchè quando si è nella palta si cerca solidarietà , vero?
In tutto questo svettano le parole di Luca Zaia, al quale va dato il merito di decidere. Lo fa nel bene o nel male. Agisce e si sfila dalla figuraccia dei suoi colleghi. Leggere le sue ultime dichiarazioni.
“Penso sia legittimo protestare, ma è fondamentale il contraddittorio. Io non vengo a lamentarmi. Nel momento in cui c’è questo casino e tutti i giorni facciamo la conta dei morti penso sia fondamentale che il presidente del Veneto si occupi del Veneto”. Così Zaia, oggi a ‘Radio Anch’io’, su Rai Radio uno, parla delle misure introdotte dall’ultimo dpcm e dall’inserimento del Veneto nella fascia gialla.
“Le cose non sono mai perfette, c’è sempre qualcosa da rivendicare, ma cerchiamo di andare avanti con l’obiettivo di uscirne fuori velocemente. Il picco dovrebbe essere il 20 novembre e poi la curva dovrebbe scendere, ma nulla è certo”.
Insomma, poche ciacole. Più fatti e più coraggio.
Povera Lombardia.
Davide Boni
segretario nazionale Grande Nord Lombardia
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Novembre 5th, 2020 Riccardo Fucile
L’AUSTRIA LI DEFINISCE “EROI”: MENTRE IL TERRORISTA SPARAVA HANNO MESSO IN SALVO L’AGENTE DIETRO UNA PANCHINA FERMANDOGLI L’EMORRAGIA… AL GIOVANE PALESTINESE UN ANNO FA AVEVANO NEGATO LA CASA PERCHE’ MUSULMANO
All’indomani dell’attentato terroristico di Vienna tre giovani che si trovavano nella capitale
dell’Austria stanno conquistando le pagine dei giornali, dove vengono definiti “eroi”.
Sono Mikail à–zen e Recep Tayyip Gà¼ltekin, giovani lottatori di Mma, turchi e musulmani, che erano usciti per bere una tazza di caffè “sfruttando” l’ultima sera prima del lockdown, e Osama Joda, un 23enne palestinese.
I tre, che si sono ritrovati in mezzo all’attacco terroristico, hanno il merito di aver aiutato alcune delle persone colpite. Tra gli altri un poliziotto poi ricoverato in terapia intensiva.
“Abbiamo aiutato, perchè dovevamo farlo”, ha raccontato poi à–zen in un video sui social. “Noi musulmani di origine turca aborriamo ogni tipo di terrore. Siamo per l’Austria, siamo per Vienna. Rispettiamo l’Austria”, ha detto ancora dopo la serata di terrore.
Mikail à–zen e Recep Tayyip Gà¼ltekin prima hanno tratto in salvo un’anziana signora, poi hanno portato l’agente fino all’ambulanza. Uno di loro è anche rimasto lievemente ferito a una gamba e ha raccontato di aver evitato di recarsi in ospedale per non essere “un peso” considerato che sicuramente ci sarebbero stati molti feriti.
Il 23enne invece stava lavorando al McDonalds di Schwedenplatz ed è stato il primo a soccorrere il poliziotto. Come riportano i media di Vienna, il giovane non è sconosciuto alle cronache locali: l’anno scorso gli avevano negato la casa perchè musulmano.
Prima ancora che i due lottatori di arti marziali potessero trascinare il poliziotto sull’ambulanza, il giovane palestinese aveva portato in salvo l’agente dietro una panchina e gli aveva fornito il primo soccorso. “L’ho tirato dietro la panchina di cemento e ho cercato di fermare l’emorragia. L’assassino ha sparato da circa 20-30 metri di distanza. C’era sangue dappertutto ”, ha raccontato al Kurier.
(da Fanpage)
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Novembre 5th, 2020 Riccardo Fucile
IN UN PAESE DOVE TUTTI SI LAMENTANO, LA STORIA DI VALENTINA E DIEGO RICONCILIA CON L’INTELLIGENZA E I SENTIMENTI
Avevano organizzato il loro matrimonio con largo anticipo prevedendo la partecipazione di circa duecento invitati ma la pandemia mondiale ha sconvolto i loro piani costringendoli a rinunciare all’appuntamento al pari di centinaia di altre coppie in tutta Italia.
Loro però non si sono scoraggiati, hanno deciso di rinviare tutto a nuova data ma, dopo l’ennesimo blocco a feste e ricevimenti per la seconda ondata di contagio che ha colpito l’Italia, hanno deciso di procedere senza aspettare oltre ma con una scelta decisamente originale: dopo il sì in chiesa, il pranzo lo hanno fatto da soli in una trattoria del centro di Firenze.
I due novelli sposini originari di Livorno, Valentina e Diego, dopo le nozze in chiesa celebrate per pochissimi intimi come prevedono le norme anticovid volute dal dpcm varato dal Premier Conte, hanno festeggiato presentandosi nella trattoria Mario a San Lorenzo dove si sono seduti al tavolo ancora vestiti con gli abiti da cerimonia.
La sposa in abito bianco e lo sposo in abiti eleganti si sono seduti sugli sgabelli tra lo stupore degli stessi gestori del locale.
A postare la loro foto su Facebook è stato lo stesso locale fiorentino senza nascondere lo stupore.
“Non si possono fare le feste? E loro si sposano da soli. Un’emozione vederli entrare” hanno scritto dalla trattoria in un post che ha raccolto decine di commenti divertiti ed entusiasti. “Eravamo a pranzo con degli sconosciuti ma ci siamo sentiti benissimo, quando ci hanno visti tutti ci hanno accolto meravigliosamente e ci hanno dato tantissimo calore” ha raccontato la sposa a Fanpage.it.
Le nozze tra Valentina e Diego dovevano essere celebrate il 9 maggio ma tutto è stato spostato al 31 ottobre ma alla fine è stato per pochi intimi.
Sabato scorso si sono dichiarati amore eterno in chiesa a Livorno e poi il viaggio verso il vicino capoluogo toscano per una tre giorni da turisti. “Prima la visita agli Uffici dove hanno scattato alcune foto in abiti da sposi, poi la scelta di andare in trattoria su consiglio del testimone di nozze, fratello dello sposo, dove il pranzo non è stato come lo avevano programmato inizialmente ma ugualmente emozionante.
(da “Fanpage”)
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Novembre 5th, 2020 Riccardo Fucile
GLI EFFETTI SU BREXIT, CLIMA, IRAN E MULTILATERALISMO
Ieri, all’indomani dell’election day negli Usa, mentre Donald Trump iniziava a minacciare
ricorsi e sobillare le piazze, da Bruxelles è partita una batteria di coordinamento con le capitali dell’Unione.
L’ordine tassativo: non procedere in ordine sparso ma attendere i risultati definitivi prima di parlare.
E’ sfuggito solo il tweet del nazionalista sloveno Janez JanÅ¡a, premier del paese di Melania Trump, che si è affrettato a riconoscere la vittoria al presidente uscente.
Ora l’Unione aspetta i risultati definitivi, ma, da quanto raccontano auterovoli fonti europee, più di un calcolo è già stato fatto nelle cancellerie del vecchio continente.
Il primo è di ordine politico. Senza Trump alla Casa Bianca, sarebbero più soli i sovranisti europei, a cominciare dal ‘semi sconosciuto per il grande pubblico’ JanÅ¡a, per continuare con l’ungherese Viktor Orban, il polacco Jaroslaw Kaczynski, ma soprattutto Marine Le Pen a meno di due anni dalle presidenziali in Francia nel 2022. Tutte leadership che perderebbero un punto di riferimento internazionale come Trump, importante in un mondo globale e interconnesso.
E anche il britannico Boris Johnson si sentirebbe un po’ più solo, a capo di una Brexit nata nello stesso anno del trumpismo, il 2016, ma destinata a compiersi proprio quando Trump finisce il mandato.
Ormai è fatta, si ragiona in ambienti europei, ed è interesse di Londra arrivare ad un accordo con l’Ue entro fine anno per uscire definitivamente dall’Unione, indipendentemente da chi ci sarà alla Casa Bianca.
Senza Trump mancherà l’ombrello politico a tutta la pratica, non quello dei nuovi accordi commerciali con Washington.
Ma in tempi di tendenze sovraniste e nazionaliste che finora hanno attraversato i continenti, le coperture politiche internazionali sono importanti.
Trump mancherà anche a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni. E magari anche a Giuseppe Conte, che proprio da Trump incassò il sostegno finale e fondamentale per avviarsi ad essere confermato premier del governo M5s-Pd l’anno scorso, dopo il fallimento del suo primo esecutivo sostenuto da M5s e Lega.
L’assenza di Trump alla presidenza Usa potrebbe addirittura avvicinare M5s e Pd, suggerisce qualche osservatore politico, ma su questo serve la cabala.
Piuttosto, a livello europeo, appaiono chiari i dossier sui quali l’Ue potrà contare su una maggiore collaborazione da parte di Washington in caso di vittoria di Biden.
In primis, il clima: il candidato Democrat ha già annunciato di voler riportare gli Stati Uniti nel perimetro degli accordi di Parigi rinnegati da Trump.
E poi Iran: Barack Obama fece, Trump ha disfatto la tela di dialogo che ora, con Biden presidente, potrebbe essere ripresa togliendo l’Ue dall’imbarazzo di dover decidere se applicare sanzioni oppure no.
Con il presidente Democrat ci si aspetta una relazione più serena con Washington, senza i toni ultimativi di Trump, le minacce di dazi.
Soprattutto, è la riflessione in Eurogruppo, una presidenza Biden potrebbe garantire maggiori investimenti per una ripresa dell’economia Usa, un traino anche per l’Ue.
E si potrebbe contare su un maggiore dialogo sulla lotta alla pandemia, la riforma dell’Organizzazione mondiale della sanità , le nomine al vertice dell’Organizzazione mondiale del Commercio.
Ma: ci sono dei ‘ma’.
In Europa nessuno si illude: anche se alla Casa Bianca viene eletto il vice di Obama, non significa che si torna ai tempi di Obama. Impossibile: il mondo è cambiato. E già Obama era meno ‘europeo’ di Bill Clinton.
Fu Obama il primo a chiedere agli alleati europei maggiori contributi alla Nato, ha continuato l’aggressivo Trump, proseguirà anche ‘sleepy Joe’.
Dall’altro lato, ormai l’Europa ha intrapreso la strada per arrivare ad un’autonomia strategica. Punta, seppure con le sue lentezze fiosologiche, ad affermare una propria sovranità in materia digitale e industriale. Il ‘Make Europe strong again’, slogan del semestre tedesco di presidenza dell’Ue, rimarrà bussola anche quando la Germania terminerà il suo turno alla guida dell’Unione a fine anno.
Su certe cose, insomma, non si torna indietro. Nemmeno un cambio così drastico alla Casa Bianca, come potrebbe essere quello tra il ‘rumoroso’ Trump e il ‘mite’ Biden, riporterebbe indietro il treno della storia.
Per esempio, la diplomazia europea non si aspetta grandi cambiamenti a proposito dei rapporti con la Cina, che resta primo competitor globale con gli Usa.
Mentre la Russia resta un mistero, tutto da scoprire. Di certo, non è che, con Biden presidente, Washington approverebbe il progetto North Stream, il gasdotto dalla Russia alla Germania, finito nelle polemiche sulla scia del caso Navalny.
E non si scommette in alcun cambiamento sostanziale di approccio verso Israele, dopo la firma degli accordi di Abramo con la regìa degli Usa.
L’eventuale mancata riconferma di Trump alla Casa Bianca cambierebbe il ciclo politico mondiale, prosciugando una buona parte dell’acqua che in questi ultimi quattro anni ha alimentato i movimenti anti-europeisti, sovranisti, nazionalisti dell’ultra destra. Ma non a caso, per ora, è più l’eventuale assenza di Trump che l’eventuale presenza di Biden a ispirare previsioni.
Senza Trump presidente di un paese così influente come gli Stati Uniti, i sovranisti avrebbero un megafono fondamentale in meno. Ma in tempi di estreme disuguaglianze e di nuova crisi da pandemia potrebbero continuare a disporre di un terreno fertile per crescere, se anche Biden non troverà la chiave (economica, culturale) per spegnerli.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 5th, 2020 Riccardo Fucile
L’ANALISI DELLA PROBABILE EX FIRST LADY E DI CHI STA PER SUBENTRARLE … “JILL BIDEN INSEGNA ALL’UNIVERSITA’, HA PORTAMENTO, SA COME MUOVERSI E NON E’ UNA RITOCCATA DALLA CHIRURGIA PLASTICA”
Melania Trump “rimarrà negli annali come una delle figure più random della storia degli Stati Uniti, sfinge pop di un’America in cui il fake risulta più credibile del vero”. L’analisi impietosa della (probabile ex) first lady arriva direttamente da Palazzo Madamas, “osservatorio permanente sullo stile dei poteri forti”, account nato in questi giorni sui social network.
HuffPost ha raggiunto telefonicamente il misterioso fondatore — ex firma della moda che oggi studia i look dei potenti — per chiedergli di fare un confronto tra la moglie di Donald Trump e la (probabile) prossima first lady, Jill Biden, moglie di Joe, che in questo momento è a un passo dalla Casa Bianca.
“Il paragone non è possibile”, spiega, “perchè comunque Jill Biden è stata già moglie di un vicepresidente (il suo attuale marito Joe)” nell’era Obama, quindi durante il mandato di un “presidente popolarissimo”, ed è una donna che da tutta la vita sta sotto i riflettori, visto che suo marito era già senatore e politico navigato”.
Insomma, è abituata alla ribalta mediatica, “sa cosa dire e cosa non dire, sa come muoversi”. Diversamente Melania, “anche se senza dubbio è in assoluto la più fotogenica first lady della storia, perciò avvantaggiata come icona di stile”, si è ritrovata in quel ruolo “senza avere gli strumenti per farlo, tanto che è fin troppo facile darle addosso”.
Il suo guardaroba? “In questi quattro anni ci ha regalato una serie di autentiche perle finte: dal power dressing da soap opera per i viaggi di Stato, agli outfit ‘Top Gun’, fino a quelli ‘La mia Africa’, con un citazionismo talmente letterale da rasentare il cosplay (la pratica di travestirsi da personaggi di videogiochi, fumetti o della letteratura fantasy, ndr)”. Quasi come se fosse “una che interpreta un ruolo e non una che è first lady”.
Gli abiti di per sè “le stanno bene, sono impeccabili, perfetti, ma sono muti, non dicono granchè” e spesso risultano “fuori contesto”. Quando è venuta in Italia “ha voluto omaggiare il nostro Paese scegliendo Dolce & Gabbana, ma il cappotto da oltre 50.000 dollari che ha indossato non ha aiutata la sua popolarità “.
Lei si veste “come si sarebbe vestita una moglie del Presidente Usa negli anni Ottanta, quando le prime donne d’America non avevano voce e si guardava solo come arredavano la Casa Bianca e quali charity sostenevano”.
Si tratta di uno “stile conservatore”, che “non prende rischi” e forse alla fine “è meglio così”: le volte che ha cercato di fare dei passi un po’ più azzardati “è stato un disastro”, come quando “ha messo il famoso parka con la scritta ‘I really don’t care. Do u?’ ed era appena stata con il marito a visitare un campo di rifugiati’…”. In quell’occasione “non si è capito a cosa di riferisse ed è stato completamente frainteso”.
Prima di lei c’era stata Michelle Obama, “con un senso dello stile pazzesco, che padroneggiava lo strumento della moda e che ha capito subito che gli abiti della first lady non sono una questione di sessismo, ma un canale attraverso cui si può fare politica”.
Lo ha compreso quando ha indossato “i designer americani, promuovendo dei giovani stilisti, che è la stessa cosa che fa Kate Middleton in Inghilterra”, che addirittura in occasione del fidanzamento ufficiale ha messo “un abito di un famoso pronto moda inglese che poi ha fatto soldout in una settimana in tutto il Paese”. Lei con la sua scelta “voleva sostenere quel settore dell’economia”.
Melania è stata “il colpo di scena nel colpo di scena dell’elezione di Trump” e con lei “d’un tratto ci siamo trovati come in un film di Almodovar”. Forse “non voleva nulla di più di sposare il miliardario Trump e farci un figlio”, quindi è probabile che si sia trovata in una situazione più grande di lei.
“La cosa le è caduta tra capo e collo e non l’ha saputa gestire bene: pensiamo al plagio di un discorso di Michelle Obama, episodio che ha contribuito a farne un meme nottetempo”. Il fondatore di Palazzo Madamas non si ferma più ed emette la sua sentenza: “Da un punto di vista paradossale e comico i suoi errori comunicativi sono fantastici, inarrivabili”.
La consorte del democrat Biden, invece, “sa gestire la sua presenza mediatica ed ha un profilo molto diverso: è una professoressa universitaria d’inglese”.
Il punto di contatto potrebbe essere “la bellezza e il fatto che anche lei abbia avuto nella vita una breve parentesi di modelling come Melania, prima di incontrare Joe Biden”.
A differenza della signora Trump, però, “niente jet privato, niente foto di nudo sulla pelliccia e con addosso solo gioielli”. Jill è “una donna che si cura ed ha un certo portamento”. Il suo è uno stile “abbastanza conservatore, però sprint”, da classica signora americana “volitiva, che se c’è da fare una cosa la fa senza chiedere il permesso al marito”.
Guardando le foto che girano in Rete si nota la sua passione per le scarpe alla moda, come le J’adior di Dior e in passato le rockstud di Valentino.
“La sua — fa notare l’ex penna del fashion system — è una storia ancora tutta da scrivere, però a giudicare da come ha affrontato la campagna elettorale, mi sembra che non si sia mai messa delle cose particolarmente obbrobriose”. Vedremo se i designer “faranno a gara a vestirla o se faranno come Tom Ford che si rifiutò di vestire Melania, anche se poi motivò la scelta dicendo che una first lady dovrebbe indossare capi non troppo costosi”. Quella di Jill Biden è una “bellezza matura che lei porta con naturalezza e non con una maschera di chirurgia plastica”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 5th, 2020 Riccardo Fucile
IN PRATICA MURDOCH L’HA MANDATO A QUEL PAESE, RIFIUTANDOSI DI SMENTIRE
La furia di Trump contro Fox News. Erano le 19.30 di mercoledì 4 novembre (l’1.28 del 5 in
Italia, ndr) quando nell’ufficio di Rupert Murdoch è arrivata una telefonata direttamente dalla Casa Bianca: all’altro capo del telefono c’era il presidente uscente degli Stati Uniti furibondo perchè l’emittente conservatrice da sempre a lui vicina aveva dato la notizia della vittoria del suo rivale Joe Biden in Arizona.
Uno stato chiave per decretare il vincitore di queste elezioni presidenziali dal momento che assegna ben 11 grandi elettori e divenuto ancor più cruciale in queste ore in cui mancano davvero una manciata di voti per decretare il futuro presidente degli Stati Uniti.
Urlando ha chiesto a Murdoch di ordinare ai suoi di fare un passo indietro e ritrattare lo stato.
L’editore si è però rifiutato categoricamente. “Le parole non possono descrivere la sua rabbia”, ha rivelato uno dei consiglieri del presidente, come scrive su Twitter il giornalista Jim Acosta.
Una rabbia condivisa da tutto lo staff del comitato elettorale di Trump: “Troppo presto per dichiarare la vittoria in Arizona, davvero troppo presto. Siamo convinti che oltre 2/3 di quegli incredibili voti sono per Trump”, scrive Jason Miller su Twitter.
“Non riesco a credere che la Fox fosse così ansiosa di premere il grilletto dopo averci messo così tanto per dichiarare la vittoria in Florida. Wow”, ha rilanciato il direttore della comunicazione della campagna di Trump.
Tanto che, poco dopo, uno dei conduttori di Fox New in diretta durante la maratona elettorale è intervenuto sulla questione chiarendo: “Mi dispiace ma il presidente non riuscirà a ribaltare il risultato in Arizona“.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 5th, 2020 Riccardo Fucile
“LA CAMPAGNA ELETTORALE E’ FINITA, E’ IL MOMENTO DI RISPETTARE LA VOLONTA’ DEGLI ELETTORI”… IL PROCURATORE DEL NEVADA: “SIAMO IMPENETRABILI AI BROGLI, TRUMP HA GIA’ PERSO TRE CAUSE CON NOI, SE VUOLE AGGIUNGERNE UN’ALTRA SI ACCOMODI PURE”
L’intento del procuratore generale della Pennsylvania Josh Shapiro è chiaro e dalla Georgia arrivano le stesse notizie: l’azione legale intrapresa dalla campagna di Donald Trump per la presunta frode voto Usa è stata rifiutata.
«La campagna elettorale è finita», ha affermato il procuratore, e «i voti sono stati espressi ed ora è il momento di contarli e rispettare la volontà degli elettori».
Josh Shapiro ha chiaramente fatto sapere che, a questo punto, non sarà concesso a nessuno fermare il processo di conteggio.
Il Nevada pronto a respingere azioni legali del Presidente
Il Nevada è pronto a respingere ogni ricorso legale che la campagna di Donald Trump dovesse presentare contro i risultati elettorali nello Stato. Lo ha dichiarato alla Cnn il procuratore generale del Nevada, dopo il team del presidente ha fatto sapere che valuta azioni legali anche in Arizona e Nevada.
“Ci sentiamo piuttosto invulnerabili, se si guarda al passato”, ha spiegato Ford, ricordando che Trump ha fatto causa contro questo Stato “due o tre volte”. “Ogni volta”, ha continuato il procuratore generale, “il mio ufficio è riuscito a lavorare con la nostra procura distrettuale e a vincere”. “Abbiamo dispositivi di tutela per evitare frodi, come la verifica delle firme e i codici a barra” ha concluso Ford, “penso siamo piuttosto impenetrabili, se si parla di azioni legali contro di noi”.
(da agenzie)
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Novembre 5th, 2020 Riccardo Fucile
VEDIAMO COME STA LA SITUAZIONE E I TEMPI PREVISTI PER AVERE RISULTATI DEFINITIVI… TUTTI I TRIBUNALI RESPINGONO LE RICHIESTE DELIRANTI DI TRUMP
Tutto appeso al voto per posta, come previsto. Arizona, Nevada, Pennsylvania e Georgia: è qui
che si continua a contare scheda per scheda, e da questi Stati dipende l’elezione del presidente, che sia Joe Biden o Donald Trump.
Il candidato democratico è a un passo dal raggiungere la quota di 270 grandi elettori necessaria per mettere piede nello Studio Ovale della Casa Bianca.
E lo farebbe con il massimo dei voti mai ottenuti da un presidente americano, visto che al momento ne ha incassati 72 milioni, ben oltre il record di Barack Obama che nel 2008 ricevette 69,5 milioni di preferenze e ai 65,8 di Hillary Clinton.
A segnare la rimonta di Biden dopo l’iniziale vantaggio di Trump è stato il voto per posta, metodo che il presidente da mesi denigra, ventilando ipotesi preventive di brogli e complotti. E oggi su Twitter si spinge oltre, invitando addirittura a fermare i conteggi delle schede, quando lo spoglio è ancora in corso e dichiarando che “tutti i voti arrivati dopo il giorno delle elezioni non verranno conteggiati”.
Boutade lontane dalle regole della democrazia americana — e bollate come “fuorvianti” da Twitter -, che prevede il conteggio di tutte le schede spedite entro l’Election day.
Ora, conquistati Michigan e Wisconsin, per un bottino complessivo di 26 grandi elettori, all’ex vice di Obama mancano solo 17 punti per conquistare la Casa Bianca. Quelli che possono dargli Arizona e Nevada, non ancora assegnati ma dove gode di un vantaggio abbastanza rassicurante.
In Nevada, in particolare, sta prevalendo sul rivale con numeri in crescita. Senza dimenticare che l’early vote — cioè il voto di persona o per posta degli elettori che hanno deciso di scegliere il loro candidato prima dell’Election day — gli ha permesso anche di compiere un’incredibile rimonta in Georgia e Pennsylvania, due Stati che ormai erano dati per persi. Soprattutto nel primo, che vale ben 16 grandi elettori, ora la distanza è di appena 11mila voti in favore di Trump.
In caso di vittoria anche qui, il candidato dem potrebbe conquistare una vittoria più larga di quella pronosticata ieri. Occhi puntati sulla Georgia dove è in corso ancora lo spoglio e siamo al testa a testa col 99% delle schede scrutinate.
Biden avanza su Trump in Nevada (con i 6 delegati vincerebbe)
Joe Biden è avanti in Nevada di 12.000 voti su Donald Trump. Lo riporta Cnn, sottolineando che il democratico sta allungando sul presidente. L’ultima rilevazione infatti gli concedeva un vantaggio di 7.000 schede. Ora è a +1% con 12.000 voti di vantaggio.
Nevada, altri aggiornamenti domani
Le autorità elettorali del Nevada prevedono di fornire un ulteriore aggiornamento sul conteggio dei voti alle 13 (le 19 in Italia) di domani ma hanno avvisato che potrebbero ricevere altre schede da contare la prossima settimana e che lo staff ha tempo sino al 12 novembre per inserire nel sistema le schede provvisorie, quelle di cui bisogna accertare l’eleggibilità dell’elettore. Le stesse autorità hanno detto di non essere a conoscenza di alcuna irregolarità e di essere preoccupate per la sicurezza dei dipendenti che contano i voti. Al momento, con l’89% dei voti scrutinati, Joe Biden è davanti a Donald Trump, 49,4% a 48,5%.
Si assottiglia il vantaggio per Trump in Pennsylvania
Il presidente al momento ha un margine di 115mila voti, rispetto ai 600mila registrati come suo massimo vantaggio dal momento dell’apertura delle urne. I voti postali che ancora mancano da conteggiare, potrebbero ridurre ulteriormente il vantaggio di Trump. Lo stato assegna 20 voti elettorali, che potrebbero risultare decisivi per l’esito finale delle elezioni.
Pennsylvania, Corte suprema boccia decisione pro-Trump
I giudici hanno ribaltato la decisione di una corte inferiore che aveva autorizzato i rappresentanti della campagna Trump ad assistere di persona allo spoglio dei voti per posta a Filadelfia. Lo riferisce la giornalista di Nbc News Maura Barrett, Nel frattempo, in attesa del pronunciamento della Corte Suprema, sollecitato dai Democratici, il conteggio dei voti a Filadelfia era stato interrotto. Secondo quanto riporta la Barrett, ora sarebbe ripreso.
A fronte delle dichiarazioni del presidente sul stop dei conteggi delle schede elettorali, il procuratore generale della Pennsylvania Josh Shapiro respinge l’azione legale di Trump. “La campagna elettorale è finita, i voti sono stati espressi ed ora è il momento di contarli e rispettare la volontà degli elettori. Non consentirò a nessuno di fermare il processo di conteggio. Si tratta di voti legali e saranno contati”, ha dichiarato
In Georgia mancano solo 50.000 voti da contare
Una volta completato il conteggio il quadro potrebbe essere più chiaro per consentire ai network americani di proiettare un vincitore fra Donald Trump e Joe Biden, separati da qualche migliaia di voti in quello che è uno degli stati chiave nella corsa alla Casa Bianca. Trump è avanti con il 49,6%, Biden ha il 49,2%.
Probabile che nonostante la grande rimonta di Biden (la Clinton perse per 200.000 voti) alla fine la spunti Trump per qualche migliaio di voti.
Arizona
Con l’88% delle schede scrutinate Biden conserva 68.000 voti di vantaggio in uno stato tradizionalmente repubblicano. Difficile un recupero di Trump, i sondaggisti danno per scontata ormai la vittoria di Biden che si aggiudicherebbe 11 delegati che uniti ai 6 del Nevada gli assicurebbero la Presidenza.
La Carolina del Nord è ferma perchè hanno tempo fino al 12 novembre per scrutinare le schede per posta: Trump è in vantaggio di 75.000 voti con il 95% dello scrutinio.
(da agenzie)
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Novembre 5th, 2020 Riccardo Fucile
LA CIRCOSTANZIATA DENUNCIA DEGLI ANALISTI DI EUVSDISINFO… PUTIN TEME LA VITTORIA DI BIDEN
I media pro Cremlino specializzati in fake news e complottismo nei giorni precedenti al voto americano hanno messo in campo il loro arsenale di disinformazione per sostenere Donald Trump e gettare discredito su Joe Biden.
Ad affermarlo sono gli analisti di EuVsDisinfo, la task force del Servizio esterno della Commissione europea specializzata nel contrasto alla propaganda malevola straniera in un documentato articolo pubblicato il 4 novembre dal titolo “Pro-Kremlin media on Us Elections: Trump good, Biden bad”.
“I media controllati dallo Stato russo e i loro affiliati – scrivono gli esperti dell’Unione – hanno chiaramente giocato in favore di Donald Trump contro Joe Biden”. Ad esempio, aggiungono, “tra il 2 e il 15 ottobre la narrativa sui media pro Cremlino ha raccontato che un secondo mandato di Trump gioverebbe agli Stati Uniti e alle relazioni Usa-Russia mentre un’amministrazione Biden sarebbe un disastro per entrambe”.
Una dialettica evidente sulla versione in inglese di Rt e Sputnik e sulle edizioni in spagnolo dei diversi outlet finanziati o controllati direttamente dal potere putiniano capaci di raggiungere un vasto pubblico globale e soprattutto di nutrire i vari canali complottisti e di disinformazione internazionali o all’interno degli Stati Uniti con il vantaggio di orientare e distorcere il dibattito pubblico in modo subdolo.
Nel periodo preso in considerazione dagli esperti europei, Trump è stato criticato dai media pro Russia quel tanto da rendere credibile l’altra faccia della medaglia, ovvero le lodi al suo operato e soprattutto gli attacchi contro Biden basati su fake news già ampiamente smentite ma rimesse in circolo in quanto considerate comunque efficaci.
I media russi controllati e finanziati dal Cremlino sono stati molto attivi anche nelle loro versioni in lingua spagnola concentrandosi su un pubblico rivolto a sinistra. In questo caso l’obiettivo non è stato tanto quello di lodare Trump, quando di screditare Biden o di tracciare un quadro pessimistico della situazione interna agli Usa.
“L’obiettivo – affermano gli analisti dell’Unione europea – è di convincere gli elettori ispano-americani a restare a casa anzichè votare per il partito democratico”. Protagonisti di questa strategia Rt e Sputnik Spanish, Geopolitica,News Front e Katehon.
Le tattiche utilizzate sono quelle tipiche del metodo russo e puntano anche a creare confusione e scoramento, in questo caso per danneggiare Biden. Basta vedere alcuni esempi della propaganda dei siti pro Cremlino, solo in apparenza contraddittori. I messaggi propagati dai vari media russi vanno da un generico “gli Usa sono nel caos” al “nessun candidato può migliorare la situazione”.
E ancora, “entrambi i candidati sono terribili” e “non importa chi vince, i poteri forti governano la nazione”. Questi media hanno inoltre puntato su narrative pro Trump sfornate dalle autorità russe e su accuse a Biden che, ad esempio, avrebbe preparato un colpo di stato contro il presidente o che se eletto porterebbe gli Usa al disastro economico.
“In alcuni casi – sottolinea EuVsDisinfo – la disinformazione pro Cremlino ha permeato la discussione pubblica in spagnolo ed è stata poi rilanciata da outlets locali”.
Con l’effetto di pervadere lo spazio mediatico, distorcere il dibattito e instillare il dubbio in ampie fasce della popolazione. Questo è ad esempio accaduto con le teorie complottiste secondo le quali dietro agli scontri razziali negli Usa ci sarebbe George Soros, accusato di volere ispirare anche tentativi di putsch democratici contro il presidente in carica.
Il metodo della disinformazione russa non punta sulla credibilità dei messaggi, ma sul loro martellamento: secondo diversi studi di esperti occidentali, infatti, anche se palesemente false le fake news se ripetute su vari canali della Rete fino a farle sfociare nel dibattito pubblico e nelle conversazioni private tra cittadini riescono comunque a condizionare parte della popolazione.
In generale, secondo gli analisti della Ue, Rt, Sputnik, News Front, Geopolitica e Katehon “hanno giocato un ruolo nella catena della disinformazione, riuscendo a garantire un impatto locale a messaggi originati dal Cremlino o quanto meno amplificandoli”.
All’interno della retorica pro Trump, dei messaggi anti Biden o delle narrazioni che puntano a creare confusione, sono state mescolate anche narrative collaudate sin dall’inizio della pandemia, ovvero articoli contro i vaccini, contro il 5G, la demonizzazione di Bill Gates e le teorie secondo le quali il Deep State starebbe cospirando contro Trump. Un vasto brodo di complottismo che punta a favorire la rielezione del presidente.
(da agenzie)
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