Marzo 16th, 2021 Riccardo Fucile
HA TEMPO DA PERDERE E PENSA DI RECUPERARE CALENDA
Enrico Letta si insedia al Nazareno, con il progetto di costruire un centrosinistra largo e di dare “ossigeno” al partito. E apre subito la prima finestra: su Roma. La risposta alle voci sulla “disponibilità ” maturata dall’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri a scendere in campo per il Campidoglio in quota Pd, e quindi pronto a sciogliere la riserva, è una gelida precisazione di fonti del Nazareno: “Nulla è ancora deciso, il segretario si è appena insediato e non ha ancora avuto modo di aprire il dossier amministrative”.
Traspare, tra le righe, una certa irritazione non per i nomi in gioco ma per l’accelerazione considerata frutto di dinamiche pregresse, per il “metodo” che viene dal passato e che il neo-leader non ha intenzione di accettare. Una perplessità acuita proprio dal rapporto di stima con Gualtieri (che Letta incontrerà a breve) e dalla consapevolezza che in questa fase ogni accelerazione crea “solo danni”.
Anche perchè Carlo Calenda, in campo da ottobre, aveva già dato fuoco alle polveri: “E’ evidente la volontà di rompere, ci confronteremo alle elezioni”. Letta lo vedrà prestissimo, forse già domani, con la capitale in agenda.
Uno stop che sa, dunque, di avvertimento: così non va, la musica è cambiata. Ai dem romani, nel cui alveo è maturata l’anticipazione, ma in realtà a chiunque.
Anche perchè, senza che si siano insediati segreteria e altri organi dirigenti, parlare di candidature è “lunare”. Anche al netto di eventuali ripensamenti sul Campidoglio di Nicola Zingaretti, che potrebbero scompaginare il quadro.
E’ un Letta “decisionista”, che manovra con maggiore disinvoltura il “cacciavite” alla base della sua politica. Nel duello con Matteo Salvini, che nel corso di un incontro con la stampa estera sferza: “La sua virata sull’Europa è come il Papa che scopre che Dio non esiste… Ma sa tutto e parla di tutto come il ct della Nazionale di calcio”.
Nel delineare un’identità definita del suo Pd, rilanciando lo ius soli nell’”inverno demografico”, il voto ai sedicenni, il sistema elettorale maggioritario. Nel fare propria l’agenda Draghi senza stare “a testa china con il governo”.
Recuperare Calenda
E soprattutto nel rilanciare le alleanze, tessendo il filo del dialogo intanto con i Cinquestelle — imminente l’incontro con Giuseppe Conte — ma anche con i “piccoli”. A partire da Carlo Calenda, con cui si vedrà ad horas per parlare (anche) di Roma. Già , perchè il principale ostacolo sulla strada dello sfidante Dem al Campidoglio sarebbe proprio il leader di Azione. Che a botta calda ha commentato irato l’intenzione di Gualtieri: “Così è evidente la volontà di rompere. Ci confronteremo alle elezioni”.
Una mina da disinnescare: ecco perchè Letta vuole provare a “recuperare” il rapporto con l’eurodeputato, che al suo esordio ha preso oltre 275mila preferenze. I due si conoscono bene: Calenda è stato vice-ministro allo Sviluppo Economico con il suo governo.
Oggi il suo partito ha 3500 iscritti a Roma dei circa 20mila nazionali, un circolo in ogni municipio, e soprattutto sta scaldando i motori per la corsa.
Il programma — che va dalla mobilità alla gestione dei rifiuti — è chiuso. Le liste di tutti i candidati nei municipi sono pronte. La campagna di comunicazione — testata con i manifesti per il tesseramento, con le foto di Calenda e Matteo Richetti – è al via. Insomma, forte di sondaggi che lo collocano tra il 7 e il 10%, non ha intenzione di ritirarsi. Ma in una sfida che si annuncia all’ultimo voto, quelli di Azione potrebbero fare la differenza nel passaggio al ballottaggio.
Dietro il fastidio del segretario nell’essersi ritrovato il nome di Gualtieri su tutte le agenzie di stampa, però, ci sono anche altre ragioni.
La necessità di rispettare i tempi e le procedure utili ad allargare al massimo il campo. Sullo sfondo restano le primarie di coalizione, invocate dagli altri concorrenti Dem già in campo — tra gli altri, Tobia Zevi e Monica Cirinnà — ma che, tra pandemia ed estate di mezzo, non convincono del tutto.
Stefano Fassina mette le mani avanti: “Senza un programma condiviso, i gazebo sarebbero X-Factor”. Tutte fibrillazioni che Letta intende fare rientrare rapidamente. Gli interlocutori li ha già delineati nell’assemblea: “Speranza, Bonino, Calenda, Renzi, Bonelli e Fratoianni”, a cui si somma, appunto, Conte.
Tutti i leader di una coalizione che possa — alle comunali e poi alle politiche – sconfiggere il centrodestra. “Non sono un commissario — ha avvisato — Sono qui per preparare l’alleanza di centrosinistra guidata dal Pd che vincerà nel 2023. È l’ultima chance”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 16th, 2021 Riccardo Fucile
CENTRODESTRA NON VINCEREBBE SOLO IN UN CASO: UNA COALIZIONE PD-M5S ALLARGATA A TUTTI I CENTRISTI
Il centrodestra destinato a vincere se Pd e M5S corressero divisi. 
Ma trionferebbe anche contro i giallorossi uniti, se ci fossero i centristi di Renzi, Calenda e Bonino a fare da terzo incomodo.
Solo se la coalizione di Salvini, Meloni e Berlusconi (con la quarta gamba di Cambiamo!) dovesse sfidare un’alleanza larghissima composta da tutte le altre forze politiche raggruppatre in una Grosse Koalition, la partita finirebbe in un sostanziale pareggio.
Ecco, in tre distinti scenari, l’esito della gara elettorale se si applicasse il “Mattarellum” che il neo segretario del Pd Enrico Letta ha posto come uno dei punti forti del suo programma. Il sistema prevede una forte quota maggioritaria (75% dei parlamentari eletti nei collegi uninominali) e una proporzonale del 25% (liste bloccate alla Camera e scorporo al Senato).
Le simulazioni
YouTrend, con Cattaneo, Zanetto&Co, ha realizzato 3 simulazioni, basandosi sui numeri dell’ultima Supermedia per Agi, elaborata lo scorso 11 marzo. Dopo il taglio dei parlamentari, la Camera sarà composta da 400 deputati e il Senato da 200 senatori elettivi (più quelli a vita).
Nel Mattarellum, il 75% dei parlamentari veniva eletto in collegi uninominali: le coalizioni pre-elettorali erano determinanti. Ciascuna delle 3 simulazioni è basata su un diverso schema di coalizioni tra i partiti. Il restante 25% dei seggi veniva invece assegnato in maniera proporzionale.
Primo scenario: vittoria del centrodestra
Si ipotizza una replica delle alleanze delle Politiche 2018: centrodestra unito da un lato, centrosinistra in formato ridotto (Pd e alleati centristi) dall’altro, con M5s e la sinistra radicale in corsa solitaria. In questo scenario, il centrodestra otterrebbe oltre i 3/4 dei seggi sia alla Camera (318 su 400) sia al Senato (159 su 200) facendo il pieno di vittorie nei collegi uninominali.
Secondo scenario: vittoria del centrodestra
L’ipotesi mette il centrodestra da un lato e l’alleanza giallo-rossa che sosteneva il Governo Conte II (Pd, M5s, sinistra) dall’altro, con i centristi in corsa solitaria (Italia Viva, Azione, +Europa). In questo caso il centrodestra vincerebbe, ma con un margine ridotto: 250 seggi su 400 alla Camera, 123 su 200 al Senato.
Terzo scenario: coalizioni pari
Nel terzo e ultimo scenario si ipotizza invece che a contrapporsi al centrodestra sia una “grande coalizione” con un centrosinistra allargato sia ai centristi che M5s. Solo in questo caso le due coalizioni si equivalgono, ottenendo però risultati diversi alla Camera (201 seggi per il centrodestra contro 187 del centrosinistra) e al Senato (93 seggi al centrodestra, 100 al centrosinistra). Decisivi, in questa ipotesi, potrebbero essere i voti degli altoatesini della Svp
(da agenzie)
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Marzo 16th, 2021 Riccardo Fucile
SI RICOMINCIA A PARLARE DI SISTEMA MAGGIORITARIO MA IL M5S RESTA FERMO AL BRESCELLUM PROPORZIONALE
Enrico Letta rilancia il maggioritario e il Mattarellum. Ne parla con Giorgia Meloni e sa che a Matteo Salvini l’idea non dispiace.
Ma dovrà fare i conti, oltre che con le resistenze dentro al Pd, con il no del Movimento Cinque Stelle.
Giuseppe Brescia, presidente grillino della Commissione Affari costituzionali della Camera, padre della proposta di legge elettorale proporzionale che porta il suo nome, ribadisce quanto già affermato qualche giorno fa e cioè che l’orizzonte in cui si muove il Movimento è quello proporzionale.
“Al momento in commissione c’è un testo base già votato in materia elettorale ed è il proporzionale e quello per noi resta il punto da cui partire”, ha scritto su Facebook nei giorni scorsi. “Nessuno, tranne il Movimento 5 Stelle, parla delle preferenze. Noi ci batteremo per restituire ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti”, ha aggiunto.
E basta questo per dire no al Mattarellum, dove il 25 per cento di seggi sono assegnati con metodo proporzionale e liste bloccate. Liste però corte e che, dunque rispettano il criterio indicato dalla Corte costituzionale per l’uso di questo sistema di elezione dei rappresentanti.
Brescia, invece, sembra aperto al confronto e all’accordo su altri punti. “Una politica concreta dovrebbe pensare a sbloccare la riforma costituzionale per il voto dei 18enni al Senato. Manca davvero poco per approvarla definitivamente. – ha scritto – Ci aspettiamo poi dal Viminale entro giugno il decreto per la sperimentazione del voto elettronico. Questi sono i temi che andrebbero affrontati a breve in materia elettorale”.
I favorevoli al maggioritario
Il cammino di Letta quindi appare piuttosto impervio. Al fondo del suo ragionamento c’è il principio che le alleanze si devono fare prima del voto. Ma una delle critiche più efficaci che venivano mosse al Mattarellum era il peso enorme che nella coalizione, soprattutto nel centrosinistra, acquisivano i famosi “cespugli”, portatori dell’1 per cento determinante per la conquista di un collegio.
E su questo aspetto basterebbe riguardare un tavolo dove si riuniva l’Unione. E dunque il ritorno al Mattarellum sarebbe una festa per Carlo Calenda, Emma Bonino, Sinistra Italiana, Matteo Renzi e una miriade di altri micro partiti. Che lucrerebbero anche con il proporzionale. E infatti il blocco del Brescellum non era dovuto all’amore per il maggioritario, ma al disaccordo sulla soglia di sbarramento al 5 per cento.
E comunque questo progetto era su un binario morto perchè i numeri al Senato erano traballanti e l’unica speranza era un via libera da Forza Italia. Che però non sembrava intenzionata a rompere con la Lega su questo.
Ancora prima delle alleanze, però, si pone il problema di cambiare qualcosa nel Mattarellum. Anche alla luce del taglio dei numero dei parlamentari. Dunque si dovrebbe ridisegnare i collegi per evitare che siano troppo grandi. Si dovrebbero immaginare meccanismi che spingano verso le coalizioni. Si dovrebbe ripensare il famoso inghippo dello scorporo: nel Mattarellum tutti i voto serviti per eleggere un parlamentare nell’uninominale venivano tolti dalla parte proporzionale. E questo ha provocato la nascita delle liste civetta per eludere il meccanismo.
Voto ai sedicenni
Inoltre, il ritorno al maggioritario, nei pensieri del nuovo segretario del Pd si dovrebbe accompagnare al diritto di voto ai sedicenni. Ma questo implica di mettere mano alla Costituzione. L’articolo 48, recita infatti: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età “. Che è fissata a 18 anni. A meno che di abbassare questa soglia a 16 anni. E viste le difficoltà ad abbassare il diritto di voto per il Senato a 18 anni, sembra difficile pensare di arrivare al voto politico per i sedicenni. E le prime reazioni alla proposta di Letta fanno pensare ad un no del centrodestra.
Nuove regole per evitare i cambi di casacca
Letta pensa poi a mettere mano al successivo articolo, il 49, dove si parla del ruolo dei partiti politici e della regolamentazione democratica della loro vita interna. Ma questo è sempre stato un tabù e lo è stato a maggior ragione anche nei tempi di massimo splendore elettorale del Movimento Cinque stelle. Dalla disciplina dell’articolo 49 discende anche la battaglia che Letta vorrebbe fare contro la “casta” e il fenomeno dei transfughi, le decine e decine di parlamentari che eletti in un partito una volta in Parlamento passano da un gruppo all’altro. L’idea del segretario del Pd è di fare concorrenza ai grillini e togliere loro le residue bandiere della lotta alla casta. Forte anche del fatto che fu il suo governo nel 2014 ad abolire i rimborsi elettorali ai partiti.
Oggi, voluta dall’allora presidente Piero Grasso, esiste una norma del regolamento del Senato che vieta di formare gruppi parlamentari che non siano collegati a partiti presenti con un simbolo alle elezioni politiche.
Alla Camera la riforma del regolamento non fu mai approvata e una norma simile non esiste. E dunque c’è il diritto di transumanza. Ma anche a Palazzo Madama, la norma voluta da Grasso viene elusa e tradita. Basti pensare alla nascita del gruppo di Italia Viva, resa possibile grazie alla concessione del simbolo elettorale da parte del Psi di Riccardo Nencini.
E anche quelli che non riescono a formare un gruppo e finiscono nel Misto sono un problema. Perchè fanno crescere di numero questo raggruppamento, creano componenti che hanno diritto di parola e di spazio. Si pensa a soluzioni drastiche che arrivano ad ipotizzare, sul modello del Parlamento europeo, lo scioglimento del gruppo Misto e la nascita della figura del parlamentare non iscritto che ha meno poteri e diritti. O addirittura come ipotizza qualcuno la decadenza del parlamentare se passa dalla maggioranza all’opposizione o viceversa.
(da TPI)
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Marzo 16th, 2021 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI UN SISTEMA EUROPEO DI ETICHETTATURA CHE SEGNALA LA PRESENZA DI ZUCCHERI, GRASSI E SALE NEI CIBI… APRITI CIELO, ARRIVANO I SOVRANISTI DELLA “DIETA MEDITERRANEA”
Può un consulente del Governo sostenere un appello pubblico che esprime una posizione
diametralmente opposta a quella del Governo per cui lavora?
È l’accusa piovuta sul consigliere del ministero della Salute Walter Ricciardi, finito al centro della polemica per il suo sostegno al sistema di etichettatura Nutriscore che rischia ora di lasciare una profonda ferita nel Governo Draghi.
C’è infatti la firma del professore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, consulente sia di questo esecutivo sia del precedente, sotto l’appello di quasi 280 scienziati europei per l’introduzione nell’Ue del cosiddetto Nutriscore, un sistema di etichettatura dei cibi “a semaforo” proposto dalla Francia e supportata da Bruxelles ma fortemente osteggiato da alcuni Paesi, Italia in testa.
Al di là della disputa scientifica quello del consulente alla Salute è un appoggio dal tempismo beffardo visto che proprio oggi il ministro delle Politiche agricole alimentari Stefano Patuanelli è andato in Commissione Agricoltura alla Camera per illustrare le sue linee programmatiche senza peccare di chiarezza: “Il sistema a semaforo Nutriscore è inconcepibile, ingiustificato e inaccettabile. Il Nutriscore è un pericolo reale che potrebbe compromettere il sistema agroalimentare italiano”.
La posizione del consulente del ministero della Salute, nota da tempo, è diventata un caso nel Governo. Italia Viva, per voce della deputata Maria Chiara Gadda, ha attaccato: “Come può Ricciardi, consulente di Speranza, firmare un appello contro l’Italia e tacciare il governo di becero lobbismo?”.
Chi ci va giù ancora più duro è la Lega con Matteo Salvini che ha chiesto la testa dell’ex presidente dell’Iss: “Se è vero che il consulente del ministro della Salute Walter Ricciardi ha firmato un appello francese in favore del Nutriscore (con i “semafori” che penalizzano la dieta mediterranea). ”È grave”, gli fa eco Gian Marco Centinaio, sottosegretario leghista all’Agricoltura: “Così si accusano i ministri italiani di lobbismo”. E infatti è la verità .
“Tutte le opinioni personali sono rispettabili, ma la prudenza dovrebbe essere d’obbligo quando si riveste la carica di consigliere del ministro della Salute”, ha dichiarato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura. “Il professor Ricciardi è senz’altro al corrente che l’Italia è assolutamente contraria al sistema Nutriscore perchè penalizza la dieta mediterranea”
“Bisogna fermare con urgenza l’attacco al prodotti alimentari nazionali perchè il rischio del via libera all’etichetta Nutriscore mette in pericolo 46,1 miliardi di esportazioni agroalimentari italiane del 2020”, ha aggiunto il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
Di cosa si tratta? Nel maggio 2020 Bruxelles ha annunciato per la fine del 2022 l’introduzione di un nuovo sistema di etichettatura nutrizionale obbligatoria nella parte anteriore delle confezioni per aiutare i consumatori nel compiere scelte alimentari sane. Da tempo sembra sia nato un largo consenso intorno alla proposta francese del Nutriscore, un sistema “a semaforo” che assegna un bollino dal verde al rosso in base alla presenza di zuccheri, grassi o sale nei cibi e già in uso in diversi Paesi europei. Facciamo qualche esempio: l’etichetta “nutri-score” assegna al parmigiano reggiano il bollino arancione (D): un giudizio critico, senza appello, che punta il dito sulla quantità assoluta di grassi presenti nell’alimento.
Per non parlare poi della mozzarella di bufala, o dell’olio extravergine di oliva, classificato anch’esso con il bollino arancione (D).
Dal canto suo l’Italia ha avanzato una proposta alternativa, il cosiddetto “sistema a batteria”, con cui viene rappresentata una batteria senza l’uso di colori che connotano il prodotto indicando al contempo sia la quantità esatta di energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale sia la quantità di assunzione giornaliera raccomandata e da non superare.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 16th, 2021 Riccardo Fucile
L’ADDIO A ROUSSEAU A UN PASSO
L’addio è un passo, l’unica speranza è che non volino gli stracci portando il ‘divorzio’ tra M5S e Davide Casaleggio dritto in Tribunale.
A quanto apprende l’Adnkronos, Beppe Grillo e Giuseppe Conte starebbero pensando a una nuova piattaforma, il progetto sarebbe ancora in fase embrionale ma, di fatto, già in progettazione. Due-tre mesi per realizzare la nuova creatura che prenderà il posto di Rousseau, ma che, questa è l’idea, sarà un patrimonio del M5S.
Restando nel tempo, indipendentemente da chi assumerà la guida del Movimento in futuro, da qui al 2050, per dirla alla Grillo.
Sta infatti scemando l’idea di rivolgersi a una società esterna, che presti il servizio che consenta alla ‘democrazia diretta’, sale del M5S, di esprimersi. Gli attivisti dovranno probabilmente reiscriversi, anche se dovrà essere sciolto il nodo -una vera e propria matassa da sbrogliare- sui dati ora in uso all’Associazione Rousseau. Con cui è difficile si possa ricucire: le possibilità , nei fatti, sarebbero ridotte al lumicino.
La nuova piattaforma avrebbe un costo iniziale stimato di circa 400mila euro, che poi andrebbe però a scendere attestandosi su cifre più contenute -circa la metà o poco più- una volta ammortizzate le spese di progettazione e realizzazione. E raccogliere tutte le idee più all’avanguardia in campo di Rete e tecnologie, a partire dal concetto di intelligenza artificiale tanto caro al fondatore del Movimento.
La separazione da Casaleggio certo non sarà indolore, ma appare a questo punto ineludibile. Le stesse fonti raccontano all’Adnkronos che il 4 marzo scorso, giorno dell’annuncio della nascita del manifesto ControVento da parte di Casaleggio, il presidente dell’associazione Rousseau avrebbe sentito al telefono sia Grillo che Conte. I colloqui sarebbero stati sereni, tanto da lasciar sperare in una soluzione a portata di mano.
Ma Casaleggio, raccontano, non avrebbe informato nè l’uno nè l’altro dell’iniziativa assunta dall’associazione Rousseau solo un paio d’ore dopo, quella di un manifesto rivelatasi poi, a distanza di giorni, un ‘codice etico’, una sorta di carta dei valori. Il suo blitz, a maggior ragione per il silenzio che lo aveva accompagnato, avrebbe mandato su tutte le furie il garante del Movimento, e lasciato Conte di sasso.
Senza contare che la situazione con i parlamentari grillini sembra ormai irrecuperabile, tanto che gli eletti confidano che Conte prenda in mano la situazione, mettendo alla porta Casaleggio e l’associazione Rousseau. Intanto nei prossimi giorni il tesoriere del M5S Claudio Cominardi potrebbe aprire un conto corrente intestato al Movimento: lì i deputati e i senatori verseranno eventualmente i soldi che da mesi, ormai, hanno smesso di inviare a Rousseau.
(da agenzie)
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Marzo 16th, 2021 Riccardo Fucile
LE STRUTTURE SONO CALATE DA 8.145 A 5.482 FAVORENDO L’IRREGOLARITA’ E OSTACOLANDO L’INTEGRAZIONE
Ora c’è la controprova. I cosiddetti Decreti sicurezza del primo governo Conte hanno penalizzato
l’integrazione, colpito i modelli di accoglienza virtuosi, scaraventato nell’irregolarità decine di migliaia di richiedenti asilo.
Nel 2019 infatti sono stati oltre 46 mila i posti cancellati nel circuito dell’accoglienza. Di questi, 15 mila nelle strutture piccole diffuse sul territorio. Se nel 2018 più di un terzo dei comuni ospitava centri, l’anno dopo la percentuale era calata a meno di un quarto.
Il taglio della quota per ospite, poi, da 35 a 27 euro, ha ridotto l’investimento sull’integrazione, a partire dalla lingua.
È il quadro che emerge dal rapporto Una mappa dell’accoglienza – Centri d’Italia 2021, realizzato da Openpolis e ActionAid, che sarà presentato dopodomani.
Il dossier – che Avvenire è in grado di anticipare – offre la prima mappatura dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) gestiti dalle prefetture in Italia, nel corso del 2019, con dati ufficiali a livello provinciale e comunale, diversi dalle aggregazioni predisposte dal ministero dell’Interno. «Informazioni importanti e necessarie per un monitoraggio costante del sistema di accoglienza», scrivono gli analisti delle due ong. «Il Viminale però – affermano i ricercatori – continua a negare informazioni essenziali sulle attività di monitoraggio della gestione dei centri di accoglienza, svolte da ministero dell’Interno e prefetture».
Per questo ActionAid e Openpolis domani saranno in udienza al Tar del Lazio «per rivendicare il diritto a conoscere informazioni fondamentali per poter valutare le politiche in base agli effetti che producono».
Qual è l’obiettivo della ricerca? «Verificare quali controlli vengano effettuati e con quale frequenza, quali violazioni siano state riscontrate e di quale gravità », spiega Vittorio Alvino di Openpolis. «Quello che chiediamo al nuovo governo è di superare l’approccio emergenziale – afferma Fabrizio Coresi di ActionAid – per mettere da parte le strumentalizzazioni, orientando le scelte in ambito migratorio. E fare davvero dell’accoglienza pubblica e diffusa il sistema ordinario e principale, che è per le persone ospitate un diritto e per i territori ospitanti un’opportunità ».
I numeri dunque raccontano una realtà diversa dall'”invasione” sbandierata da certa propaganda ansiogena. La quota media di richiedenti asilo nei comuni con centri di accoglienza, in rapporto ai residenti, è dello 0,2%. Sicuramente maggiore l’impatto dei mega-centri. Ma il Conte I perseguiva la chiusura proprio delle piccole strutture, quelle a basso “impatto sociale”, che favoriscono l’integrazione degli ospiti nelle comunità locali. Il numero di comuni che ospitava strutture di accoglienza è diminuito in un anno, da 2.691 (il 33,8 dei comuni italiani) a 1.822 (il 23%), con un taglio del 32,3%.
I tagli economici dei Decreti sicurezza hanno impedito in molti centri la presenza di mediatori culturali, psicologi, formatori professionali, mettendo gravemente a rischio l’integrazione
In un anno il numero di strutture di accoglienza è calato da 8.145 a 5.482. E a chiudere i battenti sono state soprattutto quelle con pochi ospiti, massimo 20: ben 15.482 posti in meno su 49.487. Nei centri medi c’è stata una riduzione di 11.619 posti, di 14.502 in quelli grandi, di 4.748 nei centri molto grandi. Un colpo di scure che in un anno ha fatto scomparire 46.351 posti: da 107.463 a 67.036. Non va dimenticato che gli stranieri espulsi dal circuito di accoglienza, come i titolari di protezione umanitaria, dopo la cancellazione di questo status, non sono stati rimpatriati, ma trasformati di fatto in irregolari.
A chiudere molti centri piccoli è stato il taglio delle quote per il mantenimento: da 35 a 27 euro al giorno. Meno pesante il taglio per i grandi centri, da 35 a 29 euro, sopravvissuti grazie a economie di scala che abbattono i costi. L’apparente risparmio che ha colpito i percorsi di integrazione (lingua, formazione al lavoro) però «si traduce in un costo netto in parte quantificato dall’Anci con un rincaro annuo di 280 milioni per gli enti locali».
(da Avvenire)
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Marzo 16th, 2021 Riccardo Fucile
DI MAIO, GIORGETTI E FRANCHESCHINI AL LAVORO PER SPARTIRSI LA TORTA
Da qui ai prossimi giorni si aprirà la cruciale partita per le nomine delle partecipate. Aziende che molto spesso valgono ben più di un ministero.
Con Roberto Garofoli il ruolo del sottosegretario alla presidenza del Consiglio è tornato ad essere centrale negli snodi del potere: è lui che Mario Draghi incarica per la preparazione dei vertici e per le decisioni più importanti. Ed è lui l’ufficiale di collegamento con l’altro grande decisore delle partite che contano: Daniele Franco, ministro dell’economia.
Ma la partita delle nomine sarà il primo vero banco di prova per la “triade” Di Maio-Giorgetti-Franceschini. Che, a quanto si dice negli ambienti del Deep State, quello “stato profondo” sempre molto bene informato, sarebbe già al lavoro. Di più, avrebbe iniziato a studiare una nuova architettura possibile.
In scadenza, tra le grandi, ci sono Saipem e Cdp (qui la sfida è tra Palermo che punta alla riconferma e Scannapieco, fedelissimo di Draghi e Franco) ma a restare in bilico è ancora Leonardo, visto che le vicende giudiziarie potrebbero costringere i vertici a rassegnare le dimissioni (in ballo c’è anche il Nos, il Nulla Osta Sicurezza).
Poi il Gse, sottovalutato da molti ma strategico per il futuro del Paese. La partita è aperta e chi pensa che la politica sia rimasta a guardare commette un grande errore di misura. I partiti sono allo sbando e navigano a vista, è vero, ma lo erano anche un anno fa. La grande novità è nel numero dei timonieri. E Draghi non potrà non tenerne conto.
(da TPI)
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Marzo 16th, 2021 Riccardo Fucile
PEGGIORANO LOMBARDIA E MARCHE: UN POSTO SU DUE E’ OCCUPATO DA PAZIENTI COVID
Non è stato ancora raggiunto il picco delle curve relative all’ospedalizzazione dei pazienti infettati
dal Coronavirus. Anzi, nella settimana che va dal 9 al 15 marzo, il tasso di occupazione delle terapie intensive da parte di pazienti Covid è aumentato del 4%, raggiungendo quota 35% a livello nazionale. Ben oltre la soglia critica fissata dalle linee guida del governo al 30%. Secondo i dati pubblicati dall’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, sono 13 le regioni — due in più rispetto alla scorsa settimana — che hanno superato la percentuale critica. La Lombardia è passata dal 43% del 10 marzo al 51%, le Marche dal 44% al 57%. Molise e Umbria, che pure risultano oltre il 50%, hanno visto il dato calare negli ultimi giorni (prima erano al 67% e 57% rispettivamente).
Tasso di occupazione delle terapie intensive nelle regioni oltre il 30%
Abruzzo (40%),
Emilia Romagna (49%),
Friuli-Venezia Giulia (40%),
Lazio (31%),
Lombardia (51%),
Marche (57%),
Molise (51%),
Provincia autonoma di Bolzano (33%),
Provincia autonoma di Trento (53%),
Piemonte (44%),
Puglia (33%),
Toscana (40%),
Umbria (53%).
In Emilia-Romagna ci sono attualmente 378 persone ricoverate per Covid-19 in terapia intensiva: si tratta del numero più alto in assoluto, che ha superato quella della prima ondata. Al picco precedente, registrato il 5 aprile, in terapia intensiva c’erano 374 pazienti
Tasso di occupazione dei reparti ordinari nelle regioni oltre il 40%
Non sono solo le terapie intensive a preoccupare. Il numero di ricoveri di pazienti meno gravi, prendendo i dati dell’intero territorio italiano, ha raggiunto la percentuale del 39%, in crescita del 4% rispetto alla settimana precedente. La soglia critica per i reparti di pneumologia, malattie infettive e medicina generale — in questo caso fissata al 40% — è stata superata da otto regioni, una in più rispetto al monitoraggio dell’Agenas del 9 marzo.
Abruzzo (46%),
Emilia-Romagna (53%),
Friuli-Venezia Giulia (42%),
Lombardia (49%),
Molise (46%),
Piemonte (53%),
Puglia (42%)
Toscana (48%).
(da Open)
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Marzo 16th, 2021 Riccardo Fucile
INVECE DI FAR RAGIONARE CHI LO LEGGE, RIESCE AD ATTACCARE L’EUROPA, SVICOLARE SULLA PRODUZIONE DEI VACCINI IN ITALIA E SPONSORIZZARE SPUTNIK
La decisione da parte di AIFA di sospendere temporaneamente il vaccino Astrazeneca in Italia, a poche ore dalla rassicurazione sulla sua sicurezza, ha sicuramente generato confusione e sconcerto in larga parte degli italiani: un corto circuito nella comunicazione che sarà possibile recuperare solo dando messaggi chiari e spiegando con trasparenza cosa sta succedendo
Eppure Salvini non ha perso l’occasione per rinfocolare le polemiche: un atteggiamento che non invita alla calma e non ricorda i fatti ma piuttosto rischia di aumentare il panico. Ecco cosa ha detto.
“AstraZeneca, altro fallimento dell’Europa. Non solo non arrivano i vaccini promessi, ma vengono sospesi quelli autorizzati. Ma che fanno a Bruxelles? L’Ema deve aspettare fino a giovedì? Fa bene il governo italiano a correre per una produzione propria nazionale, e a contattare altri Paesi per forniture e produzione: si corra per verificare l’affidabilità del vaccino Sputnik”
Salvini parla di fallimento dell’Europa e auspica una produzione nazionale di vaccini. Però non dice neanche per sbaglio una parola per spiegare cosa è successo e rassicurare, o quanto meno far ragionare, chi lo legge.
Non spiega neanche che i vaccini eventualmente prodotti in Italia sono gli stessi che l’Europa, che sta accusando, ha acquistato, e che non c’è un “vaccino italiano”. Non si capisce dunque cosa cambierebbe in termini di sicurezza. Inoltre c’è da notare un cambio di passo per quanto riguarda il vaccino russo Sputnik.
Ricordate che fino a pochi giorni fa il leader della Lega diceva che gli italiani vicini a San Marino avrebbero potuto essere vaccinati con Sputnik? Non solo non era vero ma poi si è anche capito che anche producendolo in Italia fino all’approvazione di EMA non potrebbe essere somministrato sul territorio nazionale.
E ora il “Capitano” fa un passetto indietro: “si corra per verificare l’affidabilità del vaccino Sputnik” dice: ma se fino a poco tempo fa spiegava che accettare “la collaborazione di San Marino per ottenere dosi di vaccino (anche dalla Russia) per mettere in sicurezza un’intera zona d’Italia, migliaia di persone che lavorano nella Repubblica o ci vivono vicino” sarebbe stato un bellissimo segnale, allora voleva che quelle migliaia di persone fossero immunizzate con un vaccino che lui stesso spiega sia ancora da verificare?
Insomma è tutto un altro stile rispetto a quello del ministro della Salute Speranza che oggi rispondendo alle domande del direttore del ‘Corriere della Sera’, Luciano Fontana, durante l’online Talk Sanità organizzato da Rcs Academy, sul tema ‘Strategie per la riforma del sistema e vincere la pandemia’ ha detto in maniera molto chiara che i vaccini servono. E che bisogna avere fiducia:
“Ora tutti i governi dei Paesi europei che si sono mossi in maniera unitaria nella giornata di ieri” sospendendo la vaccinazione anti-Covid con AstraZeneca in maniera precauzionale “attendono il giudizio ulteriore” dell’Agenzia europea del farmaco Ema “per la giornata di giovedì su questi nuovi dati emersi in maniera particolare dalla Germania, ma anche in altri Paesi. Rispetto a questo pronunciamento, noi siamo fiduciosi che possano emergere tutti gli elementi di rassicurazione che ci consentano nel minor tempo possibile di ripristinare a ritmo pieno la vaccinazione. Ma ribadisco che per noi i vaccini restano la chiave per vincere questa pandemia — torna a puntualizzare il ministro — La decisione assunta ieri dai principali Paesi europei è di natura esclusivamente precauzionale. E riguarda solo uno dei vaccini a disposizione”
(da NextQuotidiano”)
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