Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
IN AUMENTO ANCHE PD, M5S E FORZA ITALIA… SCORAGGIANTE “CORAGGIO ITALIA”: APPENA L’1%
Si riduce ancora il distacco tra Fratelli e la Lega, ridotto ormai a 1,3%.
Il sondaggio settimanale di Swg per La7 vede infatti il partito di Salvini subire ancora un calo dello 0,3%, attestandosi al 21,4%, mentre Fdi sale dello 0,1% e raggiunge il 20,1%.
Alle loro spalle recupera il Pd che sale dal 19% al 19,2%, leggero aumento anche del M5s che passa dal 15,8% al 15,9%.
Forza Italia è il partito che questa settimana registra il maggiore aumento, passando dal 6,3% al 6,9%.
In calo Azione di Calenda (dal 3,6% al 3,4%) e la Sinistra (dal 3 al 2,6%).
Italia Viva è stabile al 2,1%, Leu passa dal 2,2% al 2,1%, + Europa dal 2% all’1,8%, i Verdi dall’1,7% all’1,8%.
“Coraggio Italia”, il nuovo partito di Toti e Brugnaro raggiunge un misero 1%, in pratica quello che il partito di Toti Cambiamo raccoglieva prima da solo.
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
LA DIMOSTRAZIONE DELLA MALAFEDE DEL CAPITONE SULLA FEDERAZIONE DI CENTRODESTRA IN ITALIA
L’idea di federare la Lega con Forza Italia non cambia i progetti europei di Matteo
Salvini.
Se in Italia il leader leghista pensa ad una ‘fusione’ con la parte più moderata del centrodestra, a livello europeo i punti di riferimento del segretario restano Vitkor Orban, Marine Le Pen e affini.
Secondo quanto viene spiegato dai suoi, Salvini continua a lavorare per un nuovo gruppo all’Europarlamento con “il meglio del Ppe, del gruppo sovranista Identità e Democrazia”, in cui è attualmente collocata la Lega, e “del gruppo dei Conservatori”, in cui è collocata Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni presidente dei Conservatori europei.
Se dunque a livello italiano, la bussola si rivolge verso la creatura di Silvio Berlusconi, a livello europeo i riferimenti restano il premier ungherese, leader del partito di nazionalista Fidesz, e Le Pen, leader dell’ultradestra francese ‘Rassemblement National’.
In realtà, si tratta di due forze politiche che finora non hanno legato in Europa. Le Pen ha fondato il gruppo Identità e Democrazia insieme a Salvini, a coronamento del successo elettorale alle europee del 2019 e dopo una campagna elettorale comune. Orban, benché da sempre alleato di Salvini, era nel gruppo dei Popolari fino a qualche mese fa, quando si è consumato l’ultimo scontro interno che lo ha portato fuori dalla famiglia politica più grande d’Europa, di cui fanno parte sia Forza Italia che la Cdu di Angela Merkel.
Il progetto di un nuovo gruppo di destra parte in effetti dall’addio di Orban al Ppe, suggellato dall’incontro tra Salvini e il premier ungherese a Budapest. Presente anche il premier polacco Mateusz Morawiecki, a capo dei nazionalisti del Pis, che al momento sono pilastro del gruppo dei Conservatori con gli eletti di Meloni, dopo aver respinto, nel 2019, l’idea di Salvini di creare un unico gruppo sovranista.
Mentre a Roma spinge per una federazione con Forza Italia, all’ombra del governo Draghi che Fratelli d’Italia non sostiene, in Europa Salvini continua a lavorare per creare quell’unione sovranista che non riuscì nel 2019. Allora, fu forte il no dei polacchi, diffidenti dei legami tra la Lega e Mosca, nonché con Le Pen che ha proprio ammesso di aver accettato finanziamenti dai russi.
Adesso, non è ben chiaro se le stesse incognite saranno superate. Dipenderà anche dal rapporto che l’Ue, su spinta di Biden, instaurerà con Putin: il 16 giugno a Ginevra il presidente Usa e il capo del Cremlino si incontreranno per la prima volta, all’indomani del vertice Ue-Usa a Bruxelles.
Ad ogni modo, oggi le incognite sul campo sono anche le elezioni del 2022: sia in Ungheria che in Francia.
A Budapest, Orban combatte contro sondaggi che danno il suo Fidesz più o meno alla pari (49 per cento) con la coalizione di sei partiti che l’anno prossimo vuole sfidarlo alle elezioni (48 per cento). La sua parabola sta conoscendo una fase più complicata del passato, il suo sfidante potrebbe essere l’attuale sindaco di Budapest Gergely Karácsony, il candidato più in vista alle primarie della coalizione avversaria a Fidesz.
In questi giorni, l’ultima battaglia è sulla presenza cinese in Ungheria: in migliaia sono scesi in piazza nel weekend nella capitale contro il progetto di aprire una filiale magiara dell’università cinese di Fudan, sostenuto da Orban.
Al contrario, l’alleata francese di Salvini, Le Pen, sta attraversando un’altra fase di ascesa. I sondaggi danno il Rassemblement National testa a testa con ‘La Republique en marche’ di Macron in vista delle presidenziali dell’anno prossimo. E magari proprio queste previsioni così ottimistiche – benché il doppio turno francese abbia sempre favorito i partiti tradizionali – ha indotto Salvini a riprendere i contatti con Le Pen anche dopo la cosiddetta ‘svolta moderata’ a favore del governo Draghi.
Tre settimane fa, il leader della Lega ha tenuto un incontro in videoconferenza con la leader del Rassemblement National. Non accadeva da tempo.
Dunque, se il piano italiano pende verso Forza Italia, il piano europeo di Salvini resta sintonizzato con le forze più nazionaliste del continente.
Sulla tempistica della nascita del nuovo gruppo, nella Lega non si sbilanciano, sottolineando che il progetto è “sganciato dagli appuntamenti elettorali nazionali”. Appuntamenti che però, volendo o nolendo, disegneranno un bel pezzo di futuro per le forze politiche dell’Unione (insieme alle elezioni tedesche di settembre), nessuno escluso.
(da Huffingtonpost)
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Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
E’ STATO UN RIFORMISTA AUTENTICO, RAZZA INVISA TANTO AI CONSERVATORI QUANTO AGLI INTELLETTUALI GAUCHISTE
È stato il primo socialista a guidare la Cgil, dopo il “biennio rosso” di Sergio Cofferati: i tre milioni di lavoratori al Circo Massimo, una delle più grandi manifestazioni di massa della storia recente, contro la legge Biagi, la politicizzazione del sindacato, la leadership carismatica del Cinese.
Ed è stato il primo socialista a prendere la guida, come “traghettatore” si disse, del Pd, partito nato dalla fusione tra ex comunisti ed ex democristiani, dopo le dimissioni di Pier Luigi Bersani: la “non vittoria” del 2013, i “giorni bugiardi” del Quirinale, un partito già scosso dal renzismo montante. E forse per questo, con cattiveria, i suoi ex compagni del Psi transitati nel centrodestra dicevano: “L’unico socialista ad essere diventato comunista”.
In verità Guglielmo Epifani, il socialista che sapeva parlare con i comunisti, innanzitutto sapeva parlare con i lavoratori.
Come l’ultima volta, un paio di settimane fa, quando in piazza Santi Apostoli è intervenuto al presidio degli operai della Whirlpool. Con la tempra del vecchio leone contro il blocco dei licenziamenti dal 1 luglio, anche se il corpo tradiva già una certa fatica “perché davvero non capisco la differenza tra sbloccarli a luglio o ottobre quando magari l’economia si è ripresa”.
È stato, semplicemente, un riformista autentico, anzi un socialista riformista, razza piuttosto invisa tanto ai conservatori quanto agli intellettuali gauchiste.
Uomo delle eredità complicate da gestire, poco avvezzo ai miti, molto incline al pragmatismo, alla sapiente valutazione dei rapporti di forza.
Mite, riservato così riservato da aver condiviso solo negli ultimi giorni e solo con pochi compagni di partito il riemergere di un problema polmonare che gli è stato fatale.
Gentile nei modi, così galanti e demodé che aveva anche la fama di essere stato un gran tombeur de femme da giovane. Ma anche tosto, riflessivo, calcolatore come si addice a quei dirigenti della sinistra forgiatisi in anni duri, di grandi conflitti sociali.
Entrato da giovane in Cgil, dopo una tesi su Anna Kuliscioff e una militanza socialista, ha percorso nel sindacato tutte le tappe del cursus honorum, da segretario generale aggiunto dei poligrafici fino alla segreteria negli anni di Bruno Trentin, poi segretario aggiunto con Sergio Cofferati, interpretando quel ruolo in modo “unitario”, con coerenza e rigore morale.
Unità è una parola non retorica nel movimento operaio di una volta, è ricerca, costruzione, in anni non facili a sinistra, dopo il “duello” sulla scala mobile, così lacerante nella sinistra politica e in quella sindacale, dove Ottaviano Del Turco si era distinto per posizioni più autonome e conflittuali.
Con gradualità ma anche con una certa maestria tattica Epifani ha gestito per otto anni a partire dal 2002 un sindacato ritornato a fare il sindacato, consapevole che il suo curriculum di socialista mai pentito avrebbe suscitato a corso Italia anche parecchi pregiudizi.
E così stupì tutti quando nel 2003, sterzò a sinistra, schierando la Cgil a favore del sì al referendum sull’articolo 18, mentre il suo predecessore, che solo l’anno prima aveva guidato l’opposizione sociale al governo Berlusconi, dichiarò che si sarebbe astenuto. L’unità del sindacato è sempre la stata la sua bussola: il moderato, mediatore a oltranza ha sempre evitato lo strappo con Fiom radicale movimentista di Gianni Rinaldini e Maurizio Landini.
E, termine di una estenuante trattativa col governo Prodi sul Protocollo del welfare, di quelle a un certo un punto “portate i panini che si va avanti a oltranza”, come segno di distinguo non firmò l’accordo raggiunto ma lo siglò “per presa d’atto”.
Ricordano i cronisti quando in quei giorni a un certo punto si chiuse per qualche ora da solo nella sua stanza, per ritrovare un equilibrio tra nervi e stanchezza montante.
Sono gli anni complicati dell’opposizione a Berlusconi, che segnano il momento più basso nelle relazioni tra i sindacati. La Cgil contro Cisl a Uil, “unici sindacati in Europa a non essersi mobilitati contro la crisi”. La Cisl contro la Cgil “buona solo a fare le parate”.
C’è chi lo chiama isolamento, ma in verità è coerenza, perché la Cgil resta severa anche con Monti quando mette mano allo Statuto dei lavori e poi col jobs act di Renzi affettuosamente ricambiato come “quelli che mettono i gettoni nell’I-Phone”.
In quel periodo Epifani, che aveva traghettato il Pd al congresso, è già in Parlamento, fortemente voluto da Bersani. Quando il gioco si faceva duro, toccava a lui, ricordano i suoi compagni.
Era toccato a lui presentare la candidatura di Franco Marini al Colle, da sindacalista a sindacalista, riconoscendo le differenze di sensibilità ma anche l’afflato di una prospettiva comune. Ed era toccato a lui, nell’assemblea al Parco dei Principi, pronunciare il discorso della scissione della sinistra del partito, che avrebbe dato vita ad Articolo 1: “Per stare in un partito ci vuole rispetto”. Fu un discorso intransigente, col tono di voce pacato. I riformisti veri sono così: duri, ma senza perdere la tenerezza.
(da Huffingtonpost)
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Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
IL FATTO DOVUTO ALL’AUMENTO DI GENITORI CHE HANNO PERSO IL LAVORO
Gli effetti del Covid si fanno sentire su una larga percentuale di giovani. In poco più
di dieci anni, la povertà minorile in Italia è aumentata di 10 punti percentuali e ha raggiunto nel 2020 il suo massimo storico degli ultimi 15 anni.
Un milione e 346mila minori, cioè il 13,6% dei bambini e degli adolescenti del Paese, risulta infatti in condizioni di povertà assoluta.
E’ quanto emerge dall’indagine di Save the Children pubblicata in occasione della campagna “Riscriviamo il futuro”.
Gli effetti della pandemia
Si tratta di un dato destinato a crescere con la crisi economica generata dal Covid e dovuto, in larga parte, all’aumento consistente del numero di genitori che hanno perso temporaneamente o definitivamente il lavoro, 345mila durante l’anno trascorso, e la conseguente diminuzione delle loro disponibilità economiche. Rispetto all’anno precedente i minori in povertà sono 209mila in più.
La campagna di Save the Children
Per far ascoltare la loro voce Save the Children rilancia la campagna “Riscriviamo il Futuro”, che quest’anno vede proprio bambine, bambini e adolescenti come protagonisti assoluti, attraverso un Manifesto elaborato con il contributo dei ragazzi del Movimento Giovani Sottosopra, all’interno del quale si chiede agli adulti di provare finalmente a guardarli e che tutti possono firmare sul sito di Save the Children.
“E’ il momento di agire”
“Ora è il momento di agire in maniera decisa per rilanciare il futuro dell’Italia ripartendo dalle giovani generazioni. L’ascensore sociale che fino a qualche anno fa era fermo, ora sembra addirittura avere invertito la rotta e rischiamo che i nostri ragazzi debbano abdicare al loro domani. Non possiamo permettere che questo accada e per invertire la rotta è necessario partire dal sistema educativo e dalle diseguaglianze che contribuisce a generare”, afferma Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children.
Il 29,3% dei minori non sa scaricare file dalla piattaforma della scuola – Inoltre, secondo quanto emerge dalla prima indagine pilota sulla povertà educativa digitale, realizzata sempre da Save The Children, ben il 29,3% dei ragazzi cosiddetti “nativi digitali”, che quest’anno a causa del Covid hanno lavorato soprattutto in Dad, non è in grado di scaricare un file da una piattaforma della scuola. Il 32,8% non sa utilizzare un browser per l’attività didattica; l’11% non è infine capace di condividere uno schermo durante una chiamata con Zoom.
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
NEPPURE UNA PAROLA SU IL SOLE 24 ORE, CORRIERE E REPUBBLICA
Per Emma Marcegaglia è stato chiesto il rinvio a giudizio per una presunta evasione fiscale Iva da 800mila euro. Ma non si dice.
La notizia è comparsa sabato scorso su La Gazzetta di Mantova, poi è calato il silenzio, o quasi. Le fatture si riferirebbero a lavori di pulizia e depurazione eseguiti sull’isola di Albarella (dove il gruppo dell’imprenditrice possiede un complesso immobiliare) da stessa Alba Tech nel 2007, una società che – secondo le accuse – mancherebbe di attrezzature, capitali e beni strumentali. L’accusa della Procura si basa su un’indagine della Guardia di Finanza che ha riguardato le dichiarazioni dei redditi dell’imprenditrice dal 2015 al 2018
Non è ovviamente una condanna e la difesa dell’imprenditrice si dice certa di poter dimostrare che tutto è in regola.
Sta di fatto che secondo i magistrati qualcosa da chiarire c’è. Marcegaglia era e rimane una delle donne più potenti di Italia.
E’ stata prima alla guida dei giovani imprenditori di Confindustria e poi, dal 2008 al 2012, alla presidenza della Confindustria vera. E’ ancora molto influente negli equilibri della galassia confindustriale e protagonista di alleanze e fazioni che hanno portato alla nomina dei suoi successori, Giorgio Squinzi, Vincenzo Boccia, Carlo Bonomi.
E’ stata presidente dell’Eni, società controllata al 30% dalla Stato, dal al 2014 al 2020. Oggi è a capo del G20 Business Summit ed è vicepresidente dell’impero industriale di famiglia, focalizzato sulla siderurgia e con un giro d’affari di 5,5 miliardi di euro l’anno.
La notizia del rinvio una qualche rilevanza dunque ce l’ha. Ma in più di una redazione diventa subito una patata non bollente ma incandescente.
Il più in difficoltà è giocoforza il Sole 24 Ore, dove la questione è “politicamente” delicatissima. Non solo perché il quotidiano appartiene a Confindustria ma anche perché, Emma Marcegaglia potrebbe presto sostituire Edoardo Garrone alla presidenza del gruppo editoriale degli industriali. E così la notizia rimane nel cassetto.
Non ce n’è traccia sul numero in edicola domenica e neppure sul sito dove pure il flusso delle news è costante. L’ultima notizia su IlSole24Ore.com relativa a Marcegaglia risale al 2 giugno 2021 ed è la ripresa di un’intervista in cui l’imprenditrice siderurgica afferma che l’acciaio diventerà 100% green (soprattutto grazie ai soldi stanziati dallo Stato con il Recovery plan, ndr)
L’attuale presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha affermato nei mesi scorsi: “L’agenzia delle entrate stima la maggiore evasione su Iva e Irpef, non su Ires e Irap delle imprese e indica i settori e le parti d’Italia su cui intervenire” e ancora “Se il governo deciderà di imboccare seriamente la strada della lotta all’evasione ci avrà dalla sua parte”. Appunto.
Ancora più incomprensibile il fatto che la notizia sparisca completamente anche dalle pagine cartacee e dal sito de la Repubblica, quotidiano controllato dalla famiglia Agnelli. Anche sul sito di Repubblica l’ultima notizia attinente ad Emma Marcegaglia riguarda la conversione verde della produzione di acciaio.
Diversa la scelta dell’altro quotidiano della dinastia torinese: La Stampa pubblica infatti la notizia del rinvio a giudizio nelle pagine economiche dell’ edizione di domenica e sul sito Lastampa.it.
Nel mezzo sta il Corriere della Sera di Urbano Cairo. Neppure una goccia di inchiostro sull’edizione di domenica ma la notizia è presente sul sito del quotidiano.
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
IL PM: “SISTEMA DI SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI, OMESSI VERSAMENTI IVA E ONERI PREVIDENZIALI”
20 milioni di euro sequestrati d’urgenza alla Dhl Supply Chain Italy, società colosso
nella logistica, a margine di un’indagine della Procura di Milano per presunta frode fiscale sull’Iva.
Su delega del pm Paolo Storari il sequestro è stato eseguito dagli agenti della Guardia di Finanza, mentre le indagini sono state svolte in collaborazione con il settore Contrasto Illeciti dell’Agenzia delle Entrate.
Stando a quanto emerso dall’inchiesta e dalle perquisizioni delle Fiamme Gialle, la società del gruppo Dhl Supply Chain Italy, al fine di avere dei «meri serbatoi di manodopera» si sarebbe avvalsa di un un consorzio a cui facevano capo 23 cooperative di intermediazione di manodopera che assumevano formalmente i lavoratori della logistica, interscambiando i lavoratori l’una con l’altra.
Inoltre, secondo quanto emerso dalle indagini, l’azienda avrebbe omesso «sistematicamente il versamento dell’Iva e, nella maggior parte dei casi, degli oneri di natura previdenziale nei confronti dei lavoratori».
Dall’inchiesta sarebbe emersa inoltre «una complessa frode fiscale caratterizzata dall’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti, da parte della multinazionale, e dalla stipula di fittizi contratti di appalto per la somministrazione di manodopera, effettuata in violazione della normativa di settore».
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
LA PROCURA: ORA ANNULLARE L’ORDINANZA…RIENTRA LA TITOLARE CHE RIPRENDE IL POSTO DELLA SOSTITUTA
Non sarà il gip di Verbania Donatella Banci Buonamici, che ha scarcerato i tre indagati per la tragedia della funivia del Mottarone nella quale il 23 maggio scorso sono morte 14 persone, a dover decidere sull’incidente probatorio chiesto dalla difesa di Gabriele Tadini, il caposervizio della funivia ora ai domiciliari, ma il giudice Elena Ceriotti, “titolare per tabella del ruolo”. Lo ha deciso il presidente del tribunale di Verbania, Luigi Montefusco.
Poco dopo la Procura della Repubblica di Verbania ha chiesto al Tribunale del Riesame di annullare il provvedimento con cui il gip Banci Buonamici lo scorso 29 maggio aveva rigettato la richiesta di misura cautelare per Luigi Nerini, il titolare della “Ferrovia del Mottarone” che gestisce la funivia della strage, e per Enrico Perocchio, l’ingegnere direttore di esercizio. Lo ha confermato il procuratore della Repubblica Olimpia Bossi.
La gip Banci Buonamici, nella sua funzione di “supplente” ha deciso giustamente, rileva il presidente del tribunale, sui fermi dei tre indagati per omicidio colposo plurimo, ma non può decidere sull’incidente probatorio “rilevato – si legge nella nota del presidente del tribunale di Verbania – che il 31 maggio 2021 è cessato l’esonero dalle funzioni di gip di Elena Ceriotti, titolare per tabella del ruolo”.
Dunque sulla richiesta di incidente probatorio sulla fune e sul sistema frenante della cabin, presentata il 3 giugno scorso dall’avvocato Marcello Perillo, difensore di Tadini, si deve esprimere il gip Ceriotti.
Il provvedimento si inserisce nella diversità di opinioni emerse tra il procuratore capo Olimpia Bossi e il gip Donatella Banci Buonamici, presidente di sezione coordinatrice dell’area penale ma a disposizione dell’ufficio gip per sopperire alla “grave situazione di sofferenza dell’ufficio Ceriotti”.
Sotto la lente del presidente del tribunale è finita proprio la decisione della Banci Buonamici di autoassegnarsi il fascicolo sull’incidente della funivia del Mottarone che doveva essere assegnato al giudice Annalisa Palomba “impegnata in udienza dibattimentale”, come emerge in un documento a firma Banci Buonamici.
Se l’udienza di convalida non è in discussione, il presidente del tribunale ricorda che il gip supplente “non deve, per un’equa e coerente distribuzione del lavoro, accollarsi, sino alla definizione del procedimento, affari per tabella non spettantigli”.
Rientrato il giudice titolare ora è tutto nelle mani di Elena Ceriotti: sarà lei a decidere sull’incidente probatorio e su eventuali altre questioni.
Il provvedimento di esonero, su richiesta del presidente del tribunale di Verbania, viene trasmesso alle parti interessate e “per le valutazioni di competenza al consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Torino”, oltre che al presidente della Corte d’appello e al procuratore generale sempre di Torino.
Già sul piede di guerra gli avvocati della difesa: “E’ un provvedimento anomalo. Non è mai capitato che durante una partita venga cambiato l’arbitro nonostante tutti riconoscano abbia operato bene”. Lo ha detto l’avvocato Pasquale Pantano, legale di Luigi Nerini. Aggiunge Marcello Perillo, difensore di Gabriele Tadini, unico dei tre fermati ad essere agli arresti domiciliari: “Non si è mai visto un provvedimento del genere. E’ la prima volta che non per un valido impedimento ma per un problema tabellare sia sostituito un giudice di un procedimento in corso”.
“Singolare”. Cosi viene definito il provvedimento da Alberto De Sanctis, presidente della Camera penale del Piemonte occidentale. “Mai – osserva – viene riassegnato ad altro gip un fascicolo in fase di indagini, salvo in casi di impossibilità a svolgere le funzioni (per esempio: maternità o trasferimento ad altro ufficio). È doppiamente singolare che accada in un piccolo tribunale in cui il vero problema dovrebbe essere quello di evitare l’incompatibilità tra gip e gup. Non ‘bruci’ due gip perché avresti problemi a trovarne il terzo per celebrare l’udienza preliminare. È ancora più incredibile che questo avvenga d’urgenza, così di fatto da impedire al gip originario di decidere su una richiesta di incidente probatorio formulata dalla difesa”.
Secondo De Sanctis “queste inspiegabili decisioni rischiano di minare la credibilità della magistratura così come percepita dai cittadini e proprio non ne avevamo bisogno in questo momento storico. Spero – è la conclusione – che qualcuno all’interno della magistratura e dell’Anm se ne accorga così da tutelare l’indipendenza e la terzietà del giudice”.
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
ZEMMOUR E’ QUOTATO AL 13% E I DUE CANDIDATI SOVRANISTI RISCHIANO UNA SOVRAPPOSIZIONE DI PROGRAMMI CON UNA EMORRAGIA DI CONSENSI PER MARINE LE PEN
Alle prossime elezioni presidenziali del 2022, l’estrema destra francese rischia il
sovraffollamento. Alla corsa per l’Eliseo potrebbe partecipare anche Eric Zemmour, controverso editorialista del Figaro e volto noto dell’emittente CNews, famoso per le sue posizioni anti-immigrazione e anti-Islam.
Una figura apprezzata dagli elettori di quella destra estrema e ultra-conservatrice “hors le mur” (fuori le mura, in italiano), stanca del restyling lanciato da Marine Le Pen che chiede un ritorno alle origini.
La notizia è nell’aria da settimane, ma il diretto interessato al momento si limita a mandare qualche segnale senza sciogliere completamente la riserva. “Forse bisogna passare all’azione”, ha detto ieri sera Zemmour in un’intervista rilasciata a Le Livre Noir, media on line ultraconservatore. “Faccio sempre più proposte, penso sempre di più a come applicare quello che dico”, ha spiegato l’opinionista, lasciando intendere che una riflessione è in corso
Da anni corteggiato dall’estrema destra francese, Zemmour si è sempre rifiutato di candidarsi portando i colori di un partito. Nel 2019 la sua intesa con Marion Maréchal, ex deputata del Front National e nipote della Le Pen, aveva alimentato le fantasie di diverse testate d’oltralpe, che già vedevano una “unione delle destre” mai realizzatasi.
Secondo Politico, Zemmour sarebbe già in cerca di un direttore per la campagna elettorale. In quest’ottica nei giorni scorsi questo si sarebbe rivolto a Patrick Stefanini, volto noto della destra francese che ha seguito Jacques Chirac nel 1995 e François Fillon nel 2017. La notizia è stata confermata dallo stesso Stefanini, che ha ammesso di aver recentemente visto il giornalista, spiegando però di non voler prendere al momento “il minimo impegno presidenziale”. “Le differenze ideologiche su certi temi, come l’Europa, sono troppo forti, l’affare non dovrebbe concludersi sebbene Eric lo sognava”, ha rivelato una fonte al settimanale L’Express.
In effetti, l’aspirante candidato potrebbe avere qualche difficoltà nel formare un’équipe. Celebre per le sue provocazioni, Zemmour vanta un lungo curriculum di condanne per incitamento all’odio razziale.
L’ultima, in ordine di tempo, è la maxi multa da 200 mila euro inflitta a marzo dal Consiglio superiore dell’audiovisivo (Csa) a CNews, per dei commenti sugli immigrati minorenni non accompagnati, descritti come “ladri”, “stupratori” e “assassini”. Un episodio sul quale sta indagando anche la procura di Parigi.
Ma l’emittente televisiva di Vincent Bolloré non sembra essere per niente imbarazzata dal suo opinionista, che dopo essere diventato ospite fisso della trasmissione “Face à l’Info” nell’ottobre del 2019 ha fatto schizzare gli ascolti alle stelle in meno di un anno, con un aumento del 220% degli spettatori tra febbraio e maggio del 2020 secondo i dati di Mediametrie. Squadra che vince non si cambia, quindi, per buona pace della redazione, che ha preso le distanze da certe affermazioni.
Malumori anche tra i giornalisti del Figaro. “È evidente: non si può essere giornalista al Figaro e allo stesso tempo candidato alla presidenziale”, ha garantito il direttore Alexis Brezet, rispondendo alle preoccupazioni dei dipendenti. Ma l’imbarazzo nella redazione è causato anche dalle recenti accuse di molestie sessuali rivelate da “Mediapart”, citando alcune donne.
Al momento, però, il giornale non ha lanciato nessuna inchiesta interna, preferendo la via del silenzio nell’attesa di conoscere la decisione del suo editorialista su una eventuale candidatura.
Una prospettiva che spaventa Marine Le Pen. “Qual è l’interesse di una simile candidatura?”, si è chiesta intervenendo ai microfoni del “Grand Jury Rtl – Le Figaro – Lci” la leader del Rassemblement National, che con l’arrivo di Zemmour si dovrebbe confrontare con un alter ego più volte elogiato in passato.
Come nel 2012, quando la presidente dell’allora Front National difese il giornalista, accusato di razzismo e maschilismo per delle dichiarazioni sulla ministra della Giustizia, Christiane Taubira.
Il rischio per la principale sfidante del presidente Emmanuel Macron non è certo quello di vedersi sorpassata a destra, visto che un sondaggio pubblicato a febbraio dall’Ifop dà Zemmour solamente al 13%. Le Pen teme invece una sovrapposizione di programmi che gli porterebbe via quella fetta di voti decisiva per battere Macron.
In questi ultimi mesi il dibattito politico si è polarizzato sui temi della sicurezza, spostando l’ago della bilancia nettamente a destra. Un falso tema secondo l’opinionista: “la sicurezza è un problema perché viviamo un cambiamento di popolazione e una guerra di civilizzazione”. Zemmour vuole ergersi al di sopra del dibattito e per questo fa leva sulle tesi dello scrittore Renaud Camus riguardanti la “Grande Sostituzione” dei popoli occidentali da parte degli immigrati islamici, tanto care a quell’estrema destra francese che strizza l’occhio alla sfera complottista.
Così, a meno di un anno da voto, la sfida per l’Eliseo si polarizza ancora di più a destra
(da Huffingtonpost)
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Giugno 7th, 2021 Riccardo Fucile
LOTTA AL TRAFFICO DI ESSERI UMANI E ALLA CORRUZIONE, MA ANCHE AIUTI ECONOMICI PER CONVINCERE A RESTARE
Il primo viaggio all’estero di Kamala Harris nel ruolo di vicepresidente Usa avviene nel segno dell’immigrazione, l’argomento più spinoso per l’amministrazione Biden dopo aver domato la pandemia.
Così, mentre il presidente lima i preparativi della missione europea di questa settimana, la sua numero 2 è impegnata in una visita di due giorni tra Guatemala e Messico.
L’obiettivo della visita – spiega il suo staff – è lanciare una serie di iniziative tese a contrastare il traffico di esseri umani e il contrabbando attraverso il confine meridionale degli Stati Uniti. Lo scopo di lungo periodo è ancora più complesso: intervenire “alla radice” sulle problematiche che alimentano i fenomeni migratori, incoraggiando le persone a restare nei propri Paesi d’origine
Harris, alla prima trasferta internazionale da quando ha assunto l’incarico, a gennaio 2021, è stata nominata dal presidente Biden titolare proprio del dossier migrazione, coordinando le relazioni con i Paesi del cosiddetto “triangolo nord” – Honduras, El Salvador, Guatemala – tradizionale punto di partenza dei flussi verso il nord del continente.
La missione centramericana è considerata un test per le sue ambizioni di leadership e la sua proiezione internazionale, un percorso ancora tutto da costruire vista la sua esperienza politica profondamente radicata nello Stato della California.
Il programma comprende incontri con il presidente del Guatemala Alejandro Giammattei ed esponenti della comunità guatemalteca. È prevista la firma di tre accordi con il governo guatemalteco che includono questioni di sicurezza delle frontiere, lotta alla corruzione e sviluppo economico.
La strategia di fondo – nelle parole della stessa Harris – è quella di “dare alla gente un senso di speranza: far capire loro che se decidono di fermarsi, le cose miglioreranno”.
Finora, gli aiuti dell’amministrazione Biden all’America centrale sono stati molto limitati. Tuttavia, Biden ha proposto un pacchetto di sostegni da 4 miliardi di dollari come parte di una strategia a lungo termine verso la regione.
Ad aprile, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo internazionale ha schierato una squadra di risposta ai disastri per aiutare nell’assistenza umanitaria. Nello stesso mese, Harris ha annunciato che gli Stati Uniti avrebbero inviato ulteriori 310 milioni di dollari per aiuti umanitari e per affrontare l’insicurezza alimentare in Guatemala, El Salvador e Honduras.
La VP ha anche annunciato che una dozzina di aziende e organizzazioni – tra cui Mastercard, Nespresso e Microsoft – si sono impegnate a investire nei Paesi del triangolo settentrionale per contribuire a stimolare lo sviluppo economico nella regione.
Una delle architravi della strategia Usa sarà il contrasto alla corruzione.
Un tema su cui non sarà facile trovare la quadra con il governo guatemalteco di Giammattei, che tempo fa ha denunciato come il fenomeno non riguardi “solo” la classe politica ma anche le organizzazioni non governative che nel Paese eserciterebbero forme di controllo illecito del denaro pubblico.
A febbraio il presidente ha promulgato una legge che aumenta i controlli, soprattutto contabili, sulle ong, ignorando le preoccupazioni espresse dai parlamentari Usa.
L’allarme, rilanciato anche dall’ufficio dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani in Guatemala, è scattato soprattutto per un articolo della legge che rende possibile la “cancellazione immediata” e l’imputazione “civile e penale” dei dirigenti di quelle ong “che utilizzano donazioni o finanziamento esterno per alterare l’ordine pubblico”.
La scorsa settimana la Casa Bianca ha emesso una nota nella quale conferma che Washington ha intenzione di usare proprio le organizzazioni non governative operanti sul terreno come strumento essenziale di intervento nella lotta alla corruzione, alla criminalità e di riflesso alla difesa degli interessi nazionali.
Un monito che in Messico è stato letto come conferma che l’amministrazione Biden non ha intenzione di chiudere i rubinetti a Mexicanos Contra la Corrupción y la Impunidad, ente che il presidente, Andrés Manuel López Obrador, definisce apertamente contrario al suo governo e pertanto non idoneo a ricevere fondi dall’estero.
Il presidente guatemalteco ha insistito sulla necessità che dagli States arrivi un messaggio “chiaro” sulla gestione dei migranti, censurando la “marcia indietro” fatta dopo i primi annunci di Biden sulla sospensione dei controlli imposti in precedenza da Trump. Il Guatemala si aspetta che il Congresso Usa renda quello dei “coyote”, i trafficanti di esseri umani, un reato federale e non più una fattispecie dei singoli Stati.
La tappa messicana sarà altrettanto delicata. Martedì a Città del Messico Harris incontrerà prima il presidente, López Obrador, in una conversazione privata e quindi il ministro degli Esteri, Marcelo Ebrard, con le due delegazioni al completo.
Secondo quanto riferisce la consigliera speciale per le Americhe del Dipartimento di Stato Usa, Hillary Quam, la vicepresidente dovrebbe anche sostenere colloqui con donne imprenditrici e intervenire a una tavola rotonda con un gruppo di lavoratori, oltre che colloqui con membri della missione Usa nel Paese.
La numero due della Casa Bianca arriverà in Messico in un momento particolare. Il Paese ha appena votato per le elezioni di medio termine, restituendo una tenuta ma anche un calo del partito dl presidente Obrador.
Secondo i primi risultati, il blocco al governo dovrebbe mantenere la maggioranza nella Camera bassa del Congresso. Il partito Morena di Obrador dovrà fare affidamento sui voti dei suoi alleati nel Partito dei lavoratori e nel Partito dei Verdi, ma insieme dovrebbero arrivare a conquistare tra i 265 e i 292 seggi nella Camera da 500 seggi. Si prevede che la sola Morena avrebbe vinto da 190 a 203 seggi.
Ciò segnerebbe un declino significativo per il partito del presidente che nell’attuale Congresso ha la maggioranza semplice, detenendo da sola 253 seggi. Inoltre, priverebbe il presidente della maggioranza qualificata dei due terzi necessaria per approvare le riforme costituzionali.
Che la visita di Harris sia entrata nella polemica politica interna è provato dalla cancellazione di un suo passaggio al Senato, originariamente in agenda martedì, per “mancanza di consenso”: “l’invito ha avuto reazioni contrastanti tra i colleghi parlamentari” , si legge in una nota.
Le posizioni del Messico sull’immigrazione sono chiare: al vertice internazionale sul clima promosso da Biden ad aprile Obrador aveva lanciato agli Usa l’offerta di agevolare le richieste di cittadinanza ai migranti che si impegnino – a determinate condizioni di modo e di tempo – nel programma sociale “Sembrando vida” (Seminando vita).
Si è tratta di uno strumento già in uso nel Messico meridionale e che Obrador vorrebbe estendere ai Paesi del triangolo nord: ai contadini delle zone più disagiate si offre uno stipendio mensile per seminare alberi da frutta e da legna nelle loro coltivazioni, con il triplice obiettivo di dare occupazione immediata, innescare un’attività che potrebbe rivelarsi un domani redditizia e aumentare il polmone verde della zona. La Casa Bianca non ha mai formalmente risposto.
Malgrado le aspettative centroamericane, non sono attesi annunci sulla questione dell’offerta dello status di protezione temporanea (TPS) ai guatemaltechi. Il programma TPS consente alle persone già negli Stati Uniti di soggiornare e lavorare legalmente se i loro Paesi d’origine sono stati colpiti da disastri naturali, conflitti armati o altri eventi che ne impediscono il ritorno in sicurezza. Le designazioni durano da sei a 18 mesi e possono essere rinnovate.
Oltre ad avere alcuni dei tassi di omicidi più alti al mondo, Guatemala, Honduras ed El Salvador sono stati scossi negli ultimi anni da disordini politici, disastri naturali e dalla pandemia di Covid-19, con relativa crisi economica. La pandemia sembra aver causato un drastico calo della migrazione dalla regione nel 2020, ma gli attraversamenti dei migranti sono aumentati nuovamente nel 2021.
Nei mesi scorsi Biden ha formalmente annullato il programma “Restate in Messico”, noto formalmente come Migrant protection protocols (Mpp). Si è trattato di una pietra angolare della politica di gestione delle frontiere di Trump, in base alla quale i potenziali richiedenti asilo venivano fatti rimanere in Messico per attendere l’esito della loro domanda presso il Tribunale per l’immigrazione degli Stati Uniti.
Per questa e altre decisioni sul tema, ritenute incentivi certi alle migrazioni, la Casa Bianca è finita nel mirino delle polemiche del Gop: secondo le autorità doganali Usa, il numero di migranti in arrivo da Messico e America centrale è passato dai circa 7000 di gennaio ai circa 19mila di aprile.
Frenare questo flusso senza perdere la ritrovata “umanità” – così il presidente Usa ha inquadrato la revoca delle misure dell’era Trump – sarà la grande sfida dell’amministrazione Biden. Con Kamala Harris in prima fila, consapevole delle opportunità ma anche dei rischi di una missione da coltivare nello spazio di anni.
(da Huffingtonpost)
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