Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
PARTITI M5S 19,2%, FDI 19%, PD 18,4%, LEGA 7,5%, AZIONE 7%, FORZA ITALIA 4%… IL CENTRODESTRA ATTUALE UNITO ARRIVA A ROMA ALLA STESSA PERCENTUALE (30%) CHE NEL 1993 IL MSI RAGGIUNSE DA SOLO (MEDITATE GENTE)
Enrico Michetti avanti, il candidato del centrosinistra alle spalle e Virginia Raggi fuori
dal ballottaggio.
Secondo un sondaggio realizzato da BiDiMedia, Michetti potrebbe arrivare davanti a tutti al primo turno delle elezioni comunali di Roma in programma a ottobre.
Al secondo posto c’è il candidato del centrosinistra, ancora da decidere visto che domenica 20 giugno si terranno le primarie con Roberto Gualtieri netto favorito della competizione interna alla sinistra. Fuori dal ballottaggio resterebbe la sindaca uscente, Virginia Raggi.
Michetti è accreditato del 28,5 per cento, il candidato del centrosinistra del 27 per cento, Raggi del 21,4 per cento e Calenda del 14,9 per cento.
Al quinto posto la candidata Monica Lozzi, ex Movimento 5 Stelle e presidente del Municipio VII, con l’1,9 per cento e al sesto posto Paolo Berdini, ex assessore all’urbanistica di Virginia Raggi, con l’1,5 per cento.
Per quanto riguarda il voto ai partiti, Pd, Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle si contenderebbero il primo posto: rispettivamente 18,4 per cento, 19 per cento e 19,2 per cento. Segue la Lega al 7,5 per cento e poi Azione di Carlo Calenda al 7 per cento. Buone le performance delle due liste di sinistra: Sinistra Italiana e Liberare Roma, al 3,6 e al 3,3 per cento. Italia Viva al 3,1 per cento.
Da segnalare che nella Roma dove Fdi in ascesa dovrebbe rappresentare “la destra romana”, la Maloni arriva solo al 19%, la Lega sprofonda al 7.5% e sparisce Forza Italia con il 4%.
Nel 1993 alle comunali di Roma il Msi arrivò da solo al 30,1% (e al 47% al ballottaggio).
La differenza tra una destra sociale è la patacca sovranista.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
COSI’ FINIREBBE LA LEGISLATURA SENZA STRAPPI … E FORSE SALVINI NON REGGEREBBE UN ALTRO ANNO CON IL CROLLO DEI SONDAGGI
Altro che Giorgia Meloni e Matteo Salvini che vogliono andare al voto subito dopo l’elezione del nuovo inquilino del Colle. A palazzo Chigi l’hanno già ribattezzato il “lodo Giorgetti”: è la possibilità che Mario Draghi salga al Colle ma senza chiudere anzitempo la legislatura.
Già, perché tutti sanno che Giorgetti (GG per gli amici) è uno dei pochissimi ministri ai quali Mario Draghi si rivolge dandogli del tu (l’altro è Renato Brunetta).
Per tutti gli altri il “lei” è di rigore.
Ebbene, GG starebbe già da tempo lavorando per favorire l’ascesa di Mario Draghi al Quirinale tranquillizzando però i parlamentari spaventati da una chiusura anticipata della legislatura e quindi dalla possibilità di perdere la poltrona.
Anche molti leghisti cominciano a tremare, stante i sondaggi perennemente in calo e il prossimo taglio dei parlamentari in arrivo.
Ebbene che cosa ha escogitato GG? Dopo l’interregno di Renato Brunetta (che come ministro più anziano avrebbe la reggenza del Paese nel periodo di vuoto tra la nomina di Draghi al Quirinale e l’incarico per il nuovo premier) a palazzo Chigi sarebbe pronta ad arrivare una donna, Marta Cartabia, ora ministro della giustizia.
Gradita anche all’inquilino attuale del Quirinale, sarebbe perfetta, dicono ai piani alti del Mise, per portare a termine la legislatura seguendo il solco tracciato da Mario Draghi che comunque continuerà ad elargire consigli e a tenere d’occhio le sorti del paese dal Quirinale.
Il vero banco di prova per la sua candidatura a palazzo Chigi sarà la riforma della giustizia: se riuscirà a destreggiarsi tra le richieste delle forze politiche ed a portare a termine il compito in maniera soddisfacente, mettendo d’accordo tutti, allora la strada per la presidenza del Consiglio (e quindi per la “salvezza” della legislatura) sarà spianata.
(da TPI)
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Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
PREFERISCE FAR FINTA DI NON SAPERE… TACCIONO ANCHE LA MELONI E SALVINI
E fu così che Enrico Michetti, candidato sindaco del Centrodestra a Roma, cadde dal
pero e si fece pure male.
Dopo il turpiloquio defecatorio di Vittorio Sgarbi rivolto alla sindaca Virginia Raggi ci saremmo aspettati, se non le scuse, almeno una sia pur blanda presa di distanza dal suo designato assessore alla Cultura. E invece nulla.
Il “tribuno del popolo” – così si è autodefinito Michetti – liquida l’offensivo post del critico d’arte come un fatto a lui sconosciuto. “Non conosco le frasi di Sgarbi (se le legga, ndr). Io posso parlare per me e non voglio entrare nel merito perché non conosco la vicenda…”. Proprio così.
“Annamo bene, sì sì annamo proprio bene”, direbbe la mitica Sora Lella. Non c’è male per l’aspirante sindaco di Roma che a tre giorni dal fattaccio dichiara di non sapere neppure di cosa si sta parlando.
Una toppa -come si suol dire – peggiore del buco. Che primo cittadino sarebbe questo Michetti che neppure sa cosa dice non una persona qualsiasi ma una delle tre punte di diamante del tridente – insieme alla Matone – della sua squadra? Non ce l’ha un ufficio stampa? E se no, qualcuno gli ha detto di farselo?
Oppure se ce l’ha proprio non funziona, meglio cambiarlo. Roma ne ha piene le tasche di questi “peronauti” che pensano che i cittadini siano tanti ebeti a cui darla da bere sempre e comunque.
Una figuraccia inenarrabile. Un indicatore plastico della serietà di una coalizione che non prende le distanze dallo Sgarbi pensiero e soprattutto non prende le distanze dal degrado della politica rappresentato dal deputato di (S)Forza Italia, dato il contesto suggestivo evocato dal fine polemista.
E dire che qualche giorno fa l’improvvido Vittorio ebbe a dire “Il ticket Michetti-Matone per Roma è una mia idea” e quindi il legame tra i tre è indissolubile.
Ergo: quello che pensa Sgarbi lo pensa anche il ticket?
Ci saremmo aspettati che almeno Giorgia Meloni, in nome della causa femminile, intervenisse scusandosi per la gaffe con cui il tribuno all’amatriciana è sceso nell’agone politico, ma anche lei nulla, bocca cucita sulla scelta fatta che potrebbe compromettere le performance di FdI, che stanno insidiando da vicino la Lega, al terzo posto nei sondaggi dopo il Pd e i padani.
Ed anche Matteo Salvini tace, perché di cadute dal pero ne ha collezionate anche lui molte e finge di non aver sentito le bestialità rivolte alla Raggi.
Chissà che ne pensano le signore ministre di Forza Italia, Carfagna e Gelmini. Anche loro nulla da dire?
(da La Notizia)
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Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
SULLA NOSTRA GIUSTIZIA I FRANCESI NON AVEVANO TUTTI I TORTI
Sabato Cesare Battisti è svenuto. È in sciopero della fame nel carcere di Rossano Calabro da undici giorni, per protestare contro il regime carcerario di alta sicurezza che gli è stato attribuito.
Il suo avvocato, Davide Steccanella, che oggi ha avuto una videochiamata con lui, dice che è “visibilmente abbattuto” e che “ha perso circa 8,5 chili dall’inizio della protesta”. Battisti ha sessantasei anni ed è affetto da varie patologie. Tuttavia, dice Steccanella, “parla con totale lucidità dell’idea di non tornare indietro dalla sua decisione di uscire, vivo o morto, dal corridoio dell’Isis”
Cinque giorni fa, Battisti ha scritto una lettera ai propri cari, per chiedergli un ultimo sforzo: “Quello di comprendere le ragioni che mi spingono a lottare fino all’ultima conseguenza in nome del diritto alla dignità”.
Le sue parole, pubblicate dal “Riformista”, hanno suscitato qualche ironia sulla “gauche caviar” e un titolo liquidatorio del Secolo d’Italia, che dice: “Cesare Battisti frigna ancora sul trasferimento”.
In solidarietà, su Facebook, è stato promosso un “Digiuno staffetta per Cesare Battisti”. Il gruppo, al momento, ha ottantanove iscritti.
Le altre coscienze democratiche del Paese non sono state scosse dalla vicenda. Anche se di mezzo c’è una questione che riguarda il diritto. Dunque, ciascuno di noi.
Battisti è stato condannato all’ergastolo, nel 1993, dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano. È stato ritenuto responsabile di quattro omicidi, più furti, rapine, violenze private, detenzione illegale di armi, tutti reati commessi tra il 1978 e il 1979, come militante dell’organizzazione Proletari armati per il comunismo.
Quando, all’inizio del 2019, è stato riportato in Italia, il suo avvocato ha chiesto che la sua pena venisse commutata a trent’anni di carcere.
Il tribunale di Milano ha rigettato l’istanza e ha scritto che “sarà la magistratura di sorveglianza a valutare se e quando Cesare Battisti potrà godere dei benefici penitenziari”.
Il tribunale di Milano ha ribadito che Battisti sconterà l’ergastolo, specificando che dovrà stare in isolamento sei mesi. Il dettaglio giuridicamente significativo è che i sei mesi sono passati, ma il regime di isolamento in cui Battisti è detenuto no, da oltre due anni.
“Secondo la legge – dice l’avvocato Steccanella – dal 14 giugno 2019 Cesare Battisti dovrebbe essere detenuto in regime ordinario”. Tuttavia, fino al settembre del 2020, Battisti è stato detenuto a Oristano, in regime di alta sorveglianza, in un carcere in cui non c’erano altri detenuti classificati come lui, dunque di fatto in isolamento, perché quel regime impedisce il contatto con detenuti diversamente classificati.
Battisti, scrive l’avvocato Steccanella in un lettera inviata al Ministero della giustizia, ha passato più di un anno “in palese violazione di quanto stabilito dal giudice e dalle leggi italiane”.
Ora Cesare Battisti si trova nel carcere di Rossano Calabro. Il ministero dell’interno l’ha trasferito lì dopo le proteste del detenuto e un piccolo clamore che la vicenda ha avuto sui media.
“Questo carcere – dice il suo avvocato – è ancora più distante e difficile da raggiungere del precedente, sia per i familiari, sia per me, che sono il suo legale”.
Ma il problema più rilevante – dice l’avvocato – è che è stato collocato nello speciale “padiglione di massima sicurezza riservato agli accusati di terrorismo islamico”, pur essendo Battisti estraneo al jihadismo, dunque “di fatto isolato” ancora una volta. L’avvocato Steccanella descrive la cella in cui Battisti è rinchiuso “minuscola” e “priva di luce solare” e sostiene che nel carcere di Rossano “risulta privato della possibilità di svolgere attività alcuna, compresa l’ora d’aria per camminare”.
A febbraio di quest’anno, Steccanella ha scritto l’ultima volta al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per chiedere quali sono le ragioni che hanno spinto il Dipartimento del ministero dell’interno a classificare Cesare Battisti nel regime di “Alta sorveglianza 2”, dal momento che i reati per cui è stato condannato risalgono a più di quarant’anni fa e sono avvenuti in un contesto politico e sociale completamente diverso da quello attuale.
Nessuno, però, ha mai risposto alle domande dell’avvocato Steccanella.
Così il 12 maggio, dopo l’arresto in Francia di sette ex terroristi, e approfittando di un’intervista alla ministra Marta Cartabia, in cui Cartabia spiegava che lo stato italiano non vuole vendetta, bensì giustizia, Steccanella ha scritto anche a lei. “Spettabile Ministro…”. Anche stavolta, nessuna risposta.
Vittorio Sgarbi, che è l’unico parlamentare che è andato a far visita a Battisti a Rossano, mi dice che il “Battisti che ho incontrato è un altro uomo rispetto a quello che ha compiuto quei crimini”.
E chissà se ci si rende conto che il rischio è di dare ragione a chi ha avuto torto. Più di quindici anni fa, Guillame Perrault (oggi capo delle pagine dei commenti del Figaro) scrisse in Francia un libro, “Génération Battisti”, in cui accusava la politica, il giornalismo e gli intellettuali francesi di aver disconosciuto per anni il dolore delle vittime del terrorismo italiano e la storia del nostro Paese.
Nessuno di loro parlava mai di chi era morto, della speciale situazione storica in cui si trovò l’Italia in quegli anni. Erano tutti troppo presi a considerare le leggi italiane come illiberali e lesive dei diritti individuali.
Quando i sette ex terroristi italiani sono stati arrestati in Francia, Perrault è tornato sull’argomento denunciando “il delirio ideologico” che ha accompagnato culturalmente la vicenda degli ex terroristi in Francia e confidando che, una volta consegnate nelle mani dello stato italiano, quelle persone sarebbero state trattate secondo le regole di uno stato di diritto.
Oggi l’Italia chiede l’estradizione di quegli uomini e di quelle donne. E sarebbe sgradevole smentire la fiducia che Perrault ha risposto nelle nostre istituzioni, e anche macchiare la credibilità che l’Italia si è conquistata all’estero, per il trattamento che invece sta riservando a Cesare Battisti.
Soprattutto, dopo che è passata liscia la parata che Salvini e Bonafede organizzarono quando Cesare Battisti venne riportato in Italia, mostrando bene all’opinione pubblica che la preda era ormai in gabbia.
O bisogna pensare che si trattava, in realtà, di un manifesto programmatico nazionale?
(da Huffingtonpost)
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Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
“CONTRATTO AZIENDALE DEROGHI DAL CONTRATTO NAZIONALE, COME IN GERMANIA”
Professore Pietro Ichino, il gancio per entrare nelle dinamiche del lavoro povero ce lo
dà l’ultimo rapporto dell’Istat. L’incidenza della povertà è in aumento in modo consistente anche nelle famiglie in cui la persona di riferimento ha un lavoro. Come si ridà a questo lavoro la sua funzione principale, cioè essere innanzitutto una forma di sostentamento per se stessi e per la propria famiglia?
Su questo terreno si pongono due problemi molto diversi tra loro: uno è il problema della correzione delle distorsioni del mercato del lavoro, che hanno effetti depressivi sui livelli delle retribuzioni. Altro, e completamente diverso, è il problema della scarsa produttività media del lavoro nel nostro tessuto produttivo. La via maestra per valorizzare meglio il lavoro consiste nel favorirne l’aumento di produttività.
E come si aumenta la produttività del lavoro?
Innanzitutto con servizi di formazione mirati agli sbocchi professionali offerti dalle imprese più produttive, più capaci di valorizzare il lavoro dei propri dipendenti. Ma anche favorendo il passaggio della manodopera dalle aziende marginali o addirittura in stato fallimentare, che oggi tendiamo a tenere in vita con la respirazione artificiale, a quelle più produttive. Che oggi stentano a trovare il personale di cui hanno bisogno.
Torneremo più avanti su quello che si può fare. Restiamo alla situazione attuale: il lavoro povero, pagato meno di 9 euro all’ora, riguardava quasi 3 milioni di persone già prima della pandemia. Oltre un milione erano giovani, con meno di 30 anni. Perché le competenze e le conoscenze dei giovani sono soggette a questa logica di scarsissima valorizzazione economica e in alcuni casi di sfruttamento?
I giovani italiani soffrono di un grave difetto del primo “anello della catena” dei servizi al mercato del lavoro: cioè del servizio di orientamento scolastico e professionale. Nei Paesi dove questo servizio funziona, esso raggiunge in modo sistematico, a tappeto, ogni adolescente all’uscita di ogni ciclo della scuola media inferiore e superiore, traccia il profilo delle sue attitudini e quello delle sue aspirazioni, mette a confronto le une con le altre e indica i percorsi di formazione più appropriati. Il tasso altissimo di disoccupazione giovanile si spiega principalmente con l’assenza di questo servizio, organizzato in modo capillare. L’alto tasso di disoccupazione, poi, diventa causa di debolezza nel mercato, che si traduce in lavoro più precario e mal retribuito.
Veniamo alla questione che divide: i salari. Dal 2015 in poi i governi ci hanno provato a farli crescere con la decontribuzione e anche le imprese, soprattutto quelle del turismo, sono tornate a chiedere sconti fiscali per alzare i salari. Basta?
Il cuneo fiscale e contributivo, in Italia, grava sulle retribuzioni nette in misura nettamente superiore rispetto alla Germania, e ancor più rispetto al Regno Unito. Nel 2015 il Governo enunciò un progetto tendente alla riduzione progressiva del cuneo contributivo, che trovò poi un inizio di attuazione con le leggi finanziarie del dicembre 2015 e 2016, con misure strutturali di decontribuzione del lavoro dei più giovani. Quel progetto andrebbe ripreso e rilanciato.
Su questo giornale in molti, dallo specialista di previdenza Giuliano Cazzola all’ex segretario della Fim Cisl Marco Bentivogli, spingono per dare più spazio al contratto di prossimità in tema di salari. Non si rischia una deregulation a danno dei lavoratori se si sminuisce troppo il ruolo del contratto nazionale?
Il progetto che ho sostenuto in un libro del 2005, poi ripreso ne L’intelligenza del lavoro, di cui è uscita da poco la nuova edizione, prevede che il contratto collettivo nazionale di settore conservi la funzione di “rete di sicurezza minima”, cioè di disciplina contrattuale che si applica per default, quando manchi un contratto aziendale; ma che il contratto aziendale, se stipulato da una coalizione sindacale maggioritaria nell’impresa e che abbia un minimo di rappresentatività almeno in quattro regioni, possa derogare o addirittura sostituire il contratto nazionale. Come accade in Germania ormai da vent’anni
Lei è uno storico sostenitore del contratto di secondo livello. Però questa strada ha prodotto una generazione di precari con salari bassissimi. È ancora convinto che bisogna proseguire su questa strada?
Non mi pare che si possa imputare allo sviluppo, comunque fin qui modesto, della contrattazione aziendale il peggioramento relativo delle condizioni di lavoro nella fascia professionale medio-bassa, che si è verificato nel corso dell’ultimo quarto di secolo. Anche perché quelle condizioni non sono quasi mai l’effetto di una previsione contenuta in contratto collettivo aziendale.
È arrivato il momento in Italia di introdurre il salario minimo?
Credo che la fissazione di uno standard retributivo orario minimo anche in Italia possa avere effetti molto positivi per correggere le distorsioni che si osservano molto diffusamente nella fascia bassa del mercato del lavoro e in particolare a danno degli immigrati, ma anche nell’area della parasubordinazione. Dovrebbe, però, essere uno standard espresso in termini di potere d’acquisto. Il valore medio potrebbe essere fissato fra i sei e i sette euro, da moltiplicare per un coefficiente che vada da 0,8 a 1,2 in corrispondenza con le variazioni regionali del costo della vita.
I sindacati temono che la fissazione di uno standard orario minimo costituisca una mina sotto il sistema attuale della contrattazione collettiva centrata sul contratto nazionale.
Per un verso mi sembra che questo timore non costituisca un buon motivo per lasciare senza standard minimo – come lo sono oggi – le zone più svantaggiate del mercato del lavoro. Per altro verso, la preoccupazione delle confederazioni maggiori potrebbe trovare risposta in una riscrittura dell’ultimo comma dell’articolo 39 della Costituzione, che consenta finalmente di risolvere la questione dell’efficacia dei contratti collettivi nazionali di settore.
I sussidi hanno avuto un ruolo di protezione importantissimo durante la pandemia. Alcuni di questi, come il reddito di cittadinanza, esistevano già prima e sono sempre più richiesti. Il RdC fa parte oramai a livello strutturale del welfare italiano o va ridimensionato?
Il RdC non è altro che un rafforzamento e ampliamento del ReI, il reddito di inserimento, già istituito in precedenza, e costituisce una parte molto rilevante del sistema del welfare italiano. Però va corretto per eliminare almeno gli abusi più gravi che si osservano; e per evitare che abbia l’effetto di un forte disincentivo al lavoro per quel 20 o 25 su cento di beneficiari che possono effettivamente essere utilmente inseriti nel tessuto produttivo. Lì è necessario che la condizionalità del beneficio sia effettiva; e per questo è indispensabile investire in modo efficace sui servizi al mercato e le politiche attive del lavoro.
Di investire sulle politiche del lavoro parlano tutti, ma ancora non si vede quasi nulla.
A Milano sta accadendo qualche cosa di importante su questo fronte: il Comune ha messo a disposizione dell’Agenzia metropolitana per il lavoro e la formazione, AFOL, lo spazio necessario in una zona centrale della città per la nascita dello Hub Lavoro: un grande open space nel quale soprattutto i giovani, ma anche chiunque altro sia in cerca di lavoro troverà il “primo anello della catena” dei servizi per il lavoro, oggi mancante: servizi di prima informazione, profilazione personale, job counseling, navigazione assistita nei siti web utili, incontri periodici con le aziende che assumono. Come nelle maggiori città del centro e nord-Europa. Spero che questa iniziativa diventi un modello per tutto il resto del Paese.
(da Huffingtonpost)
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Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
DOPO LE ESPERIENZE NEL SOCIALE DELL’ULTIMO ANNO HA IN MENTE UNA SERIE DI PROGETTI
La politica degli influencer continua e Fedez aprirà una sua fondazione.
Ad annunciarlo è lo stesso cantante, ovviamente via Instagram, spiegando i suoi intenti. Tutto parte da Scena unita – fondo per i lavoratori della musica e dello spettacolo, creata apposta per sostenere il comparto dei lavoratori dello spettacolo che il Covid ha colpito tanto duramente. E che ancora fatica a rialzarsi, considerato che concerti, discoteche, teatri, cinema e tutto l’ambito degli eventi e dell’intrattenimento sta ripartendo piano piano e, ancora, arranca.
Fedez, che ha cominciato a prendere a cuore le cause sociali già dall’inizio della pandemia, negli ultimi mesi si è distinto in più ambiti.
Insieme alla moglie con la raccolta fondi per il San Raffaele, partecipando alla raccolta fondi per i lavoratori dello spettacolo e scagliandosi contro la Lega e il blocco del DDL Zan in Parlamento, ospitando anche sul suo profilo lo stesso Zan.
Il tutto, ovviamente, è avvenuto sui social o tramite social. Una componente imprescindibile che sicuramente avrà il suo ruolo anche nella nuova fondazione Fedez che il cantante ha annunciato.
Nella giornata di oggi Fedez ha reso noto via Instagram Stories i suoi progetti: «Abbiamo raccolto 4.780.000 euro destinati a lavoratori e aziende in difficoltà nel mondo dello spettacolo, – spiega il rapper – soldi che verranno erogati nella loro totalità tra pochissime settimane. Un lavoro incredibile, io sono contentissimo».
Arriva poi la notizia: «Dall’esperienza maturata in questo progetto ho deciso di aprire una mia fondazione che ogni anno si darà un obiettivo da perseguire per aiutare più persone possibile».
Federico Lucia ha deciso quindi di investire parte del suo tempo nella creazione di un ente che possa «portare avanti altri progetti di questo tipo», si legge nelle stories, sottolineando che molte idee già ci sono e che ne parlerà presto con i follower.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
“BASTA AMBIGUITA’ NEL CENTRODESTRA”
Una posizione da destra contro i sovranisti. “La Presidente della Commissione europea,
Ursula von der Leyen, si è giustamente detta preoccupata per la nuova legge approvata dall’Ungheria nei confronti dell’omosessualità. Ed ha confermato che l’Europa è contro ogni discriminazione basata sul l’orientamento sessuale. A questo punto, sorge spontanea la domanda, l’Italia, dove è in discussione al Senato il ddl Zan, con centinaia di audizioni e l’ostruzionismo dei partiti di destra, è con l’Europa o con l’Ungheria? Ed è una domanda che va rivolta non solo ai leader del centrodestra, che devono sciogliere ogni ambiguità, ma anche allo stesso governo Draghi, che non può più esimersi dall’assumere una posizione coerente con la sua postura europea anche su questi temi.”
Lo dichiara Elio Vito deputato di Forza Italia
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
OGNI VOLTA CHE FIGLIUOLO PARLA FA DANNI
Per la logistica, si dirà: ma la logistica funzionava anche prima, il problema era che non c’erano vaccini. È che bisognava segnare “un cambio di passo”, dare “fuoco alle polveri”, “fiato alle trombe” e la famosa “spallata”, e l’immagine dell’alpino in mimetica e anfibi, sempre in movimento come una palla matta da un lato all’altro d’Italia a dare ordini alle truppe vaccinali, era funzionale alla retorica dei Salvatori della Patria che sostiene, e in definitiva giustifica, l’avvento di Draghi.
Una cosa è certa: a noi non sarebbe mai venuto in mente di dire, davanti alla catastrofica gestione delle vaccinazioni e alle (pur timide) rimostranze di qualcuno, una cosa come: “Non è il momento delle polemiche, è il momento di stringersi a coorte”, come ha detto Figliuolo martedì, una frase composta da due proposizioni entrambe sbagliate.
“Basta polemiche”: davvero credeva, il Generale, che non avremmo fatto polemiche? Pensa di godere di qualche guarentigia? Vige forse il dogma dell’infallibilità commissariale? Che crede, che siamo in caserma, dove comandano i nonni e le reclute subiscono in silenzio?
Come se il problema, poi, fossero le polemiche e non le morti per trombosi cerebrali. “Stringersi a coorte”: che c’entra l’amor di Patria dei singoli con la sicurezza sanitaria di una popolazione in una pandemia?
Ciò che deve animare la volontà di vaccinarsi è la fiducia nella scienza e nei decisori politici motivata da evidenze razionali, non l’afflato patriottardo di stampo rinascimentale. Non siamo affatto pronti alla morte, per fargli raggiungere i suoi (disattesi) record vaccinali.
A proposito: sempre martedì Figliuolo si vantava di aver superato le 500mila vaccinazioni al giorno, che però erano state promesse per metà aprile, dimenticando che ai primi di maggio, promettendone presso medici di base e farmacie, si impegnava per 1 milione di dosi al dì entro giugno.
A ciò servivano gli Open Day: chiami in massa giovani, minorenni, maturandi a vaccinarsi per andare in vacanza, al grido di “i vaccini vanno impiegati tutti”, seguito da Curcio, capo della Protezione civile: “Tutto quello che abbiamo lo dobbiamo somministrare. A noi interessano le percentuali”; poi, se va male, com’era prevedibile visti gli accertati effetti avversi di AZ, redarguisci il popolo che non ama abbastanza la Patria.
Ogni volta che Figliuolo apre bocca fa danni. “Chiunque passa va vaccinato”, così, senza anamnesi, senza parere del medico di base, senza alcun filtro tra il cittadino e l’inoculatore, di modo che ogni eventuale malattia o difetto genetico viene fuori solo sul tavolo delle autopsie.
“L’imperativo categorico è accelerare. Dobbiamo allungare il passo”. Sicuro? C’è una parte della popolazione che è sacrificabile? Visto che l’alternativa c’è (i vaccini a mRna), non è meglio togliere dalla circolazione AZ e J&J, farli sparire, preferibilmente non nei deltoidi dei cittadini?
Si sapeva dall’inizio che la tenuta bellica, l’eloquio marziale e i tonitruanti propositi, in caso di fallimento, si sarebbero rovesciati nel macchiettismo. È il destino del marziano a Roma. Ma il disastro sanitario si porta dietro un disastro simbolico: il vaccino rappresenta la salvezza, la protezione; se la gente non si fida e non va a vaccinarsi, il danno è gravissimo. E se ci va senza tutele, è peggio.
È forse vietato a un under-60 vaccinarsi con AZ? Se il Gen. avesse qualche elemento di medicina conoscerebbe il primo dei comandamenti per un clinico: non nuocere.
Vuol dire che nessun fine sanitario giustifica il male procurato al singolo e che tra due rimedi bisogna usare quello che ha meno effetti collaterali.
Immaginiamo cosa sarebbe successo se tutto questo l’avessero fatto Conte e Arcuri. Ma questo è il Governo dei Migliori voluto da Renzi e Mattarella, non può sbagliare per definizione.
Infatti Draghi tace, forse spera che nessuno si accorga che il capo è lui. È il Governo di Tutti, quindi non è colpa di nessuno (poi si lamentano se la Meloni cresce).
Se va bene, il merito è di Figliuolo, se va male è colpa di Speranza; il quale naturalmente non ha alcun merito per le 500mila somministrazioni.
Quindi la colpa sarà dei ragazzi che sono andati a farsi vaccinare agli Open Day.
Infine, l’ultima trovata di un apparato commissariale confondente e confuso: il mix, anche detto cocktail. Il Cts sostiene che fare il richiamo con un vaccino a mRna dopo la prima dose con AZ sia efficace e sicuro, anzi: che dia ancora più protezione.
E come mai allora a chi ha fatto la prima dose con Pfizer non viene consigliato il richiamo con AstraZeneca? Misteri.
(da IL Fatto Quotidiano)
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Giugno 17th, 2021 Riccardo Fucile
POSSIBILE FARLO ANCHE IN FARMACIA
Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha firmato il Decreto che definisce le
modalità di rilascio delle Certificazioni verdi digitali COVID-19 “che faciliteranno la partecipazione ad eventi pubblici, l’accesso alle strutture sanitarie assistenziali (RSA) e gli spostamenti sul territorio nazionale”. Lo rende noto palazzo Chigi.
Con la firma del Dpcm si realizzano le condizioni per l’operatività del Regolamento Ue sul “Green Pass”, che a partire dal prossimo 1 luglio garantirà la piena interoperabilità delle certificazioni digitali di tutti i Paesi dell’Unione. In tal modo, sarà assicurata la piena libertà di movimento sul territorio dell’Unione a tutti coloro che avranno un certificato nazionale valido.
Palazzo Chigi fa sapere che il sito dgc.gov.it è operativo a partire da oggi e tutte le certificazioni associate alle vaccinazioni effettuate fino al 17 giugno saranno rese disponibili entro il 28 giugno. La piattaforma informatica nazionale dedicata al rilascio delle Certificazioni sarà progressivamente allineata con le nuove vaccinazioni. Collegandosi al portale si viene indirizzati verso diverse piattaforme che permettono di ottenere la certificazione, tramite tessera sanitaria, spid o anche scaricando l’App Immuni.
Sarà possibile ottenere una delle certificazioni verdi Covid 19 anche in farmacia. In alternativa alla versione digitale, sottolinea Palazzo Chigi, i documenti potranno essere richiesti al proprio medico di base, al pediatra o in farmacia, utilizzando la propria tessera sanitaria.
Per tutte le informazioni è possibile contattare il Numero Verde della App Immuni 800.91.24.91, attivo tutti i giorni dalle ore 8.00 alle ore 20.00. I cittadini già dai prossimi giorni potranno ricevere notifiche via email o sms. La Certificazione sarà disponibile per la visualizzazione e la stampa su pc, tablet o smartphone.
In alternativa alla versione digitale.
Il certificato verde Covid19 ha una durata variabile, a seconda delle tre modalità con il quale può essere ottenuto (vaccinazione, tampone negativo, guarigione). Con la vaccinazione, è valido a partire dal 15esimo giorno dopo la somministrazione della prima dose e fino alla data della seconda dose. Da quel momento, la certificazione è valida per ulteriori 9 mesi. Se viene ottenuto per avvenuta guarigione, è valido per sei mesi dalla data di fine isolamento. Infine un tampone negativo garantisce una validità di 48 ore dal momento del prelievo del materiale biologico.
La validità del green pass, che si ottiene a titolo gratuito, può essere controllata dalle forze dell’ordine, dai pubblici ufficiali, dai gestori dei locali, dagli organizzatori degli eventi per i quali è necessario esibirlo. Chi dovesse spostarsi in Europa, può mostrare la sua certificazione verde all’imbarco e all’ingresso nel Paese di destinazione
(da agenzie)
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