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IL TAGLIO DELLE TASSE DI DRAGHI SCONTENTA TUTTI, DAI SINDACATI A CONFINDUSTRIA

Novembre 25th, 2021 Riccardo Fucile

IN SINTESI; FINO A 15.000 EURO NON CAMBIA NULLA, DA 15.000 A 28.000 EURO SI PAGA 21 EURO IN MENO AL MESE, CHI DICHIARA 40.000 EURO RISPARMIA 50 EURO AL MESE, CHI GUADAGNA 50.000 EURO PAGHERA’ 75 EURO IN MENO AL MESE

Otto miliardi, di cui sette per il taglio dell’Irpef e uno per l’Irap, con cui il Governo finanzia, in maniera strutturale, il primo intervento per la riduzione del carico fiscale sui lavoratori dipendenti, pensionati e lavoratori autonomi. Nel vertice in mattinata in Via XX Settembre, nelle stanze del Ministero dell’Economia, le forze di maggioranza hanno finalmente trovato la quadra politica su scaglioni e aliquote, soglie e redditi, insommma su come dare un po’ di sollievo al ceto medio e medio-basso. “Questo è solo il primo passo di un percorso che abbiamo iniziato seguendo le indicazioni arrivate dal Parlamento”, ci tiene a precisare all’HuffPost il viceministro dell’Economia Gilberto Pichetto Fratin. “Abbiamo ridotto le aliquote e abbiamo modificato gli scaglioni di reddito. È chiaro che i benefici maggiori andranno in particolar modo a chi ha un reddito lordo fino a 50mila euro l’anno, ma chi guadagna di più potrà beneficiare degli sconti sulle fasce di reddito precedenti. Ma ripeto, questo è solo un primo passo di un percorso di armonizzazione della progressione fiscale che prevede, tra le altre cose, il superamento dell’Irap per le imprese”.
Nel dettaglio, le aliquote Irpef calano da cinque a quattro grazie ai sette miliardi messi sul piatto dal Governo nella legge di Bilancio. Per chi ha un reddito fino a 15mila euro non cambia nulla, l’aliquota – che interessa circa 30 milioni di contribuenti – resta al 23%. Nella fascia successiva, quella da 15mila a 28mila, arriva la prima modifica al sistema fiscale prodotta dalla maggioranza: l’aliquota scende al 25% dal precedente 27%. Oltre la soglia dei 28mila euro cambia lo scaglione e cambia l’aliquota: se fino a ieri tra i 28mila e i 55mila l’aliquota era del 38%, con la nuova impostazione scende al 35% per i redditi fino a 50mila euro. Sopra i 50mila, invece, si pagherà il 43%, cancellando così la precedente aliquota del 41% che era valida per i redditi compresi tra i 55mila e i 75mila (e che poi saliva al 43%).
Il risparmio, come detto, andrà a interessare soprattutto chi guadagna fino a 50mila euro, potendo fruire dello “sconto” sia sulla seconda aliquota (che cala dal 27% al 25%) sia sulla terza (che cala dal 38% al 35%). Al momento non è chiaro come si interverrà sul sistema di detrazioni fiscali che oggi concorre in parte rilevante a definire l’effettivo netto in busta paga per i lavoratori: “Tutti i bonus fiscali, a partire da quello Renzi”, continua Pichetto Fratin, “verranno assorbiti nelle detrazioni, che a loro volta dovranno essere rimodulate e armonizzate. Essendo materia molto tecnica e che necessita di simulazioni, se ne occuperanno i tecnici del Mef e poi verranno prese le decisioni politiche. Ma è materia complessa: ad esempio a breve, com’è noto, le detrazioni per figlio a carico verranno tolte perché assorbite dall’assegno unico familiare”.
“Sulle aliquote”, dice all’HuffPost Giuseppe Buscema dei Consulenti del Lavoro, “l’intervento va nella giusta direzione perché prima c’era un salto tra soglie troppo ampio generando squilibri tra redditi tra loro non così distanti. Ma ora bisogna guardare con attenzione a come si interviene sul sistema di detrazioni e bonus, perché anche quello incide sul netto in busta paga”. Ma i timori che con la rimodulazione delle detrazioni fiscali si possa in parte vanificare l’intervento sulle aliquote non hanno ragione di essere, dice il viceministro in quota Forza Italia: “No, quando verranno riviste le detrazioni non ci saranno penalizzazioni di alcun tipo”, ha assicurato Pichetto Fratin.
In linea di massima si possono fare alcune simulazioni, da prendere a titolo meramente indicativo dal momento che non si tiene conto delle detrazioni e dei bonus che variano in base alle condizioni familiari e personali del lavoratore.
Di certo chi guadagna fino a quindicimila euro l’anno, non vedrà alcun cambiamento in busta paga: la sua aliquota marginale resta del 23%, e pertanto pagherà di Irpef 3450 euro l’anno.
Chi invece ha uno stipendio lordo annuo di 28mila euro inizierà a vedere in busta i primi effetti reali dell’intervento del Governo, con un risparmio annuo di 260 euro, pari a 21 euro in più sul mese. Chi percepisce 40mila euro di stipendio vedrà crescere il vantaggio fiscale, con uno sconto annuo di 620 euro, poco più di cinquanta euro al mese. Ma è chi guardagna 50mila euro lordi che godrà dei maggiori benefici previsti dall’intervento sull’Irpef. Se prima versava di tasse 15320 ora ne pagherà 14.400, ovvero 920 euro in meno: tradotto, 75 euro in più in busta paga.
Discorso diverso per chi guadagna invece 75mila euro l’anno che vedrà i risparmi fiscali ottenuti dall’abbassamento della seconda e della terza aliquota in parte compensati dall’aumento della terza (dal 41% al 43%) sulla parte eccedente i 50mila euro.
In altre parole: se prima versava di Irpef 25.420 euro, con la rimodulazione delle aliquote ne pagherà 25.120, con un risparmio netto di 270 euro, pari a 22 euro sul mese.
Numeri che – va ricordato – vanno presi a titolo indicativo dal momento che non tengono conto delle detrazioni, deduzioni e bonus fiscali di altro tipo e sui quali interventi mirati sono tuttora allo studio. Per dare un esempio del peso delle detrazioni basta leggere un paper di alcuni economisti de LaVoce.info, tra i quali Massimo Baldini e Silvia Giannini, che scrivono: “Per quanto riguarda l’equità, le aliquote determinano solamente il 40% dell’effetto redistributivo; il rimanente 60% è spiegato dalle detrazioni per lavoro e famiglia”.
Le reazioni.
I partiti della maggioranza hanno subito difeso l’accordo raggiunto su Irpef e Irap, ma fuori dal Ministero dell’Economia l’accoglienza non è stata altrettanto calda e positiva. “Il taglio delle tasse deve essere realizzato attraverso un aumento delle detrazioni per lavoratori dipendenti e pensionati. Solo in questo modo, come sottolineato anche dalla Banca d’Italia, si avrà un risultato significativo per milioni di italiani”, ha criticato il segretario confederale Uil Domenico Proietti. “Siamo in attesa di una convocazione, ribadiamo che gli 8 miliardi dovrebbero andare tutti ai lavoratori dipendenti e ai pensionati”, ha invece rimarcato il leader della Cgil Maurizio Landini, chiedendo che anche l’ultimo degli otto miliardi venga dirottato sul taglio delle tasse (un miliardo equivale all’incirca al calo di un punto percentuale di una aliquota intermedia) e non a un primo isolato intervento sull’Irap.
Ma chi più di tutti ha criticato l’accordo raggiunto dalla maggioranza sul fisco è Confindustria, chiaramente delusa perché destinataria di un solo miliardo – quello destinato all’Irap – per il taglio delle tasse: “Un errore che se lo sommiamo agli altri sin qui compiuti significa inequivocabilmente non tenere in alcuna considerazione le imprese che garantiscono l’occupazione nel Paese e che stanno trainando la ripresa economica”, ha detto il numero uno di Viale dell’Astronomia. Eppure la legge di Bilancio non lesina risorse per le imprese, alle quali sono destinate misure per oltre dieci miliardi sui 25 a disposizione.
(da Hufingtonpost)

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MARC LAZAR: “MACRON IL PIU’ FILO-ITALIANO DEI PRESIDENTI FRANCESI”

Novembre 25th, 2021 Riccardo Fucile

IL PROFESSORE DI SCIENCE PO SUL TRATTATO DEL QUIRINALE

“Tra tutti i presidenti della Quinta repubblica francese, Emmanuel Macron è sicuramente quello più filo-italiano”.
Anche per questo sono stati portati a termine i lavori per il Trattato del Quirinale, secondo Marc Lazar, professore all’università Sciences Po di Parigi e alla Luiss di Roma e specialista dei rapporti tra Francia e Italia.
L’accordo, annunciato nel 2017 durante il vertice franco-italiano di Lione da Macron e dall’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, sarà firmato domani.
Un’intesa diplomatico frutto di un lunga gestazione che ha attraversato momenti difficili, come quando nel 2019 durante il “Conte I” si aprì una crisi tra Roma e Parigi che portò al richiamo temporaneo dell’ambasciatore di Francia a Roma.
Prof. Lazar, quali sono gli elementi che hanno permesso di rilanciare le trattative per arrivare alla conclusione del Trattato?
Fin dall’inizio del suo mandato il presidente Macron ha mostrato l’intenzione di voler agire con l’Italia per trovare una soluzione a questo rapporto complesso che esiste tra i due Paesi. Il capo dello Stato francese non ha solamente una passione culturale nei confronti dell’Italia, come poteva essere ad esempio quella del suo predecessore, anche lui filo-italiano, François Mitterrand. Secondo la realpolitik di Macron, l’Italia ha un ruolo da svolgere in Europa. A questo si aggiunge poi l’arrivo di Mario Draghi alla presidenza del Consiglio. Tra i due c’è una stima reciproca molto forte e una convergenza di vedute. Macron ha anche un ottimo rapporto che il il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Il rafforzamento dei rapporti franco-italiani potrebbe andare a discapito della Germania?
È impossibile. C’è un riconoscimento da parte di entrambi i Paesi della superiorità delle relazioni franco-tedesche. Questo per ragioni storiche, ma anche economiche. Francia e Germania hanno firmato il Trattato dell’Eliseo nel 1963, il rapporto tra di loro resta molto stretto. L’idea non è quella di creare un’asse Parigi-Roma in contrapposizione a quella di Parigi-Berlino. Il Trattato del Quirinale non sarà un’alternativa ma una complementarità alla forte relazione tra Francia e Germania, di cui bisognerà definire l’esatto contenuto.
L’accordo è stato fortemente criticato in Italia, soprattutto da Giorgia Meloni, che definito “scandaloso” il fatto che “un simile accordo sia firmato di soppiatto senza una discussione parlamentare”. Il testo approderà in Parlamento solo dopo la firma. Come si spiega queste critiche?
È innegabile che in Italia ci sia un sentimento critico nei confronti della Francia. È quanto emerso anche da un sondaggio fatto nel giugno del 2019 nell’ambito dei “Dialoghi italo-francesi” organizzati da Sciences Po e dalla Luiss con la partecipazione del Forum Ambrosetti. Dall’inchiesta risultò che tra il 38% e il 40% degli italiani ha antipatia nei confronti della Francia. Tra le motivazioni addotte dagli intervistati c’era la presunta arroganza dei cugini d’oltralpe, l’ingresso di importanti aziende francesi nel mercato italiano o l’atteggiamento avuto da Parigi su alcuni dossier, come ad esempio quelli riguardanti la gestione dell’immigrazione o la crisi in Libia. È proprio su questo sentimento critico che giocano alcuni partiti politici, giornalisti o commentatori. C’è poi una seconda riflessione: denunciare “l’imperialismo” dei grandi gruppi francesi è più facile rispetto all’interrogarsi sulle responsabilità delle aziende italiane, che hanno permesso agli investitori transalpini di entrare nel loro mercato.
Che tipo di reazioni ha suscitato il Trattato del Quirinale in Francia?
Qui c’è molta più indifferenza. Al momento non vedo reazioni, commenti politici o critiche, anche perché ricordo che i contenuti del trattato non sono ancora stati resi noti.
A cosa porterà un simile accordo?
Tutto dipenderà da come verrà utilizzato in entrambi i Paesi. Potrà rimanere un semplice pezzo di carta firmato e messo da parte o potrà essere utilizzato come uno strumento per sviluppare i rapporti e aumentare la collaborazione in diversi settori, come quello dell’industria o dell’istruzione. Ma su questo pesa l’incertezza politica che sussiste in entrambi in Paesi. In Italia si eleggerà a breve il nuovo presidente della Repubblica, e la destra potrebbe andare al governo quando si tornerà alle urne. In Francia, invece, bisognerà attendere le prossime elezioni presidenziali che si terranno nell’aprile del 2022 per sapere se Macron sarà confermato. In caso di sconfitta, non è detto che il futuro inquilino dell’Eliseo sarà disposto a portare avanti questo trattato.
(da Huffingtonpost)

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MACRON, DRAGHI E IL TRATTATO DEL QUIRINALE: NASCE IL PATTO POST MERKEL

Novembre 25th, 2021 Riccardo Fucile

PARTNERSHIP IN TANTI SETTORI

L’arrivo del presidente francese Emmanuel Macron a Roma per la firma del laborioso Trattato del Quirinale suggella la luna di miele tra Italia e Francia, dopo un periodo burrascoso nelle relazioni tra i due Paesi che ha conosciuto il suo picco durante il governo M5S-Lega.
Ripercorrere le origini e le battute d’arresto del contratto con cui Roma e Parigi promettono di rimanersi fedeli sempre, in una molteplicità di settori, è indicativo delle montagne russe che hanno caratterizzato la politica italiana dal 2017 a oggi.
Quanto alla portata del Trattato, basti sapere che per importanza è paragonato a quello dell’Eliseo del 1963, quando Francia e Germania si misero insieme per ricucire un rapporto infranto dopo la Seconda guerra mondiale.
Da sottolineare il tempismo a livello europeo, con il vuoto di potere lasciato dalla cancelliera Angela Merkel ancora tutto da colmare dal suo successore designato Olaf Scholz.
L’idea originaria del Trattato risale al settembre 2017: il presidente del Consiglio italiano era Paolo Gentiloni e Macron aveva appena pronunciato, il giorno prima, il discorso della Sorbona sul rilancio dell’integrazione Ue.
Gli sherpa di entrambi i Paesi iniziarono subito a lavorarci, ma dovettero fermarsi l’anno successivo di fronte agli attriti tra l’Eliseo e il primo governo presieduto da Giuseppe Conte. In quel periodo i rapporti sono entrati in una fase di “profonda crisi”, spiega Jean-Pierre Darnis, esperto di relazioni franco-italiane e professore associato presso l’Université Côte d’Azur e l’Università Luiss Guido Carli di Roma.
L’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini si scontrò apertamente con Macron su migranti e Libia.
Mentre Luigi Di Maio – all’epoca ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, prima dell’approdo alla Farnesina – fece infuriare l’Eliseo incontrando i manifestanti francesi dei gilet gialli (Parigi arrivò a richiamare il suo ambasciatore a Roma).
Sotto il governo Conte II, nel 2020, la discussione sul Trattato è ripartita, ma è solo con l’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Draghi che è arrivata l’accelerazione. L’estradizione ad aprile di dieci condannati per terrorismo negli anni di piombo può essere considerata come il ramoscello d’ulivo offerto da Parigi, il segnale che ha aperto la strada alla collaborazione.
Cerimonia in pompa magna
Oggi le tensioni sono acqua passata. L’Eliseo sottolinea che il Trattato del Quirinale “favorirà la convergenza delle posizioni francesi e italiane, come il coordinamento tra i due Paesi in materia di politica europea ed estera, di sicurezza e difesa, di politica migratoria, economia, intelligence, ricerca, cultura e cooperazione transfrontaliera”. La visita servirà anche ad affrontare “temi a livello europeo, come a preparare la presidenza francese dell’Ue” dal primo gennaio prossimo.
Il primo appuntamento per Macron è alle 17.20 per un incontro con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Poi il faccia a faccia con Draghi seguito da un incontro allargato alle delegazioni.
Alle 21 la cena al Quirinale offerta da Mattarella; domani mattina la cerimonia per la firma del Trattato e le dichiarazioni alla stampa, prima dell’udienza in Vaticano con Papa Francesco.
Cosa prevede il Trattato
Il Trattato si presenta come un documento di una trentina di pagine, composto da una premessa su valori e obiettivi comuni tra Italia e Francia, e poi da undici capitoli tematici. Sarà accompagnato da un programma di lavoro di altre 30 pagine, che individua più concretamente come i due governi perseguiranno gli obiettivi fissati. Le aree di partnership includono sicurezza, difesa, affari europei, migrazione, industria, settori strategici (inclusi 5G, intelligenza artificiale e cloud), giustizia, capitale di rischio in start-up e imprese innovative, macroeconomia, cultura e politiche giovanili.
L’obiettivo – come spiegato da Michele Valensise su HuffPost – è creare meccanismi di consultazione periodica in ogni settore, attraverso cui verificare i rispettivi interessi, superare eventuali divergenze, promuovere possibili sinergie. Il programma di lavoro allegato evoca riunioni congiunte dei Consigli dei ministri, un vertice bilaterale ogni anno e la ricerca costante di una posizione comune nell’Unione europea ma anche nelle istituzioni internazionali come l’Onu o la Banca Mondiale. I ministeri collegati ai vari settori avranno il compito di coordinarsi con i loro omologhi. La bozza include anche un impegno a rafforzare la strategia di difesa dell’Ue, un tema caro a Macron come complemento alle capacità della NATO.
Cosa significa in chiave europea
Superati i contrasti dell’epoca giallo-verde, Parigi e Roma si sono avvicinate negli ultimi mesi anche per coordinarsi sul piano di ripresa economica post-pandemia dell’Ue. Poiché entrambi i Paesi sono fortemente indebitati, hanno un interesse comune a spingere l’Ue verso posizioni più permissive in fatto di spesa. Tanto più che a Berlino sta per arrivare un nuovo ministro delle Finanze considerato un falco dell’austerity, il liberale Christian Lindner.
La firma del Trattato del Quirinale coincide con l’uscita di scena, dopo 16 anni, della cancelliera Angela Merkel.
Il quotidiano tedesco Handelsblatt descrive il Trattato come “una sfida” per la Germania, sostenendo che Italia e Francia potrebbero “porre il loro marchio sull’Ue nell’era post-Merkel” e spingere per la riforma delle regole europee sul debito. Macron e Draghi – sottolinea il quotidiano – sono “due capi di governo forti nell’Europa del sud, con grandi ambizioni anche oltre il confine” dei rispettivi Paesi.
Nella prospettiva di un’Ue più incisiva, l’auspicio di molti è che si rafforzi il treppiede composto da Roma, Parigi e Berlino.
Per Giampiero Massolo, presidente dell’Ispi, dopo il Trattato del Quirinale l’Italia dovrebbe lavorare a un’intesa analoga con la Germania per completare quel triangolo Roma-Parigi-Berlino grazie al quale rafforzare l’Ue. Secondo Sandro Gozi, eurodeputato di Renew Europe e segretario generale del Partito democratico europeo, “dobbiamo metterci in testa che o si ricostruisce l’Europa su un treppiede – Roma, Berlino, Parigi – oppure l’Europa non ce la farà”.
La cooperazione industriale come cartina di tornasole
È probabile che la cooperazione industriale sia una cartina di tornasole per capire se il nuovo patto è più che simbolico. Come suggerisce Politico, la presenza del ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire a Roma con Macron sembra puntare in questa direzione.
La politica industriale europea è stata tradizionalmente dominata dal binomio franco-tedesco – che spesso ha fissato l’agenda industriale dell’Ue elaborando piani di investimento congiunti o spingendo insieme per le riforme – mentre il rapporto industriale franco-italiano è stato spesso teso. I legami economici tra i due Paesi sono molto forti, soprattutto in termini di scambi, ma quando si tratta di investimenti, la bilancia pende a favore della Francia. Secondo il ministero dell’Economia francese, la Francia è stata il primo investitore straniero in Italia nel 2019, mentre gli investitori italiani si sono classificati all′8° posto in Francia. Uno dei banchi di prova sarà proprio la capacità di sviluppare relazioni bilanciate e favorevoli a entrambe le economie.
(da Huffingtonpost)

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LIBERARSI DI DRAGHI (E LIBERARLO PER IL COLLE): TUTTI CON LA TESTA AL VOTO

Novembre 25th, 2021 Riccardo Fucile

OGNUNO CON LE PROPRIE RAGIONI, MA LA SENSAZIONE E’ CHE SI VADA VERSO ELEZIONI L’ANNO PROSSIMO

C’è uno strano odore nell’aria, la cui scia porta alle parole – un po’ troppo definirla una “linea”, un po’ poco “riduzione del danno” – che Matteo Salvini, diventato più taciturno ai limiti dell’ammansito in pubblico, va ripetendo ai suoi in privato: “Ingoiamo i rospi fino a febbraio”.
La scia, dalla parte opposta, porta, e l’odore non è poi così dissimile, al concetto che Enrico Letta ha accennato incontrando i sindaci del Pd: “La stagione di Draghi a un certo punto finirà e la politica dovrà riprendersi le sue responsabilità”.
Non proprio un “Draghi dopo Draghi”, perennemente imbullonato a palazzo Chigi – prima, durante e dopo il 2023 – ma la politica dopo Draghi.
Se poi il cronista, col naso all’aria e il taccuino in tasca, volesse entrare nelle stanze dove Conte, appena sceso con poca gloria dall’Aventino sui talk del servizio pubblico, distribuisce incarichi con un occhio alle liste che verranno, si potrebbe annotare questo: è come se le leadership di questo paese fossero in attesa di un evento liberatorio – fuor di metafora: Draghi al Quirinale – anche se i cui confini sono ancora avvolti in una nebulosa.
Sì, va bene: l’inerzia profonda del Parlamento, la storia dei tacchini che vedono in Draghi il Natale perché “chi lo fa un governo senza di lui” – si è capito, il punto non è il vitalizio che arriverà a 65 anni, ma i “pochi maledetti e subito”, vuoi mettere quante mensilità ci sono fino al 2023 – bene tutto, però la politica, quella che c’era e anche quella che c’è, si nutre anche di irrazionalità, ma alla fine i fondamentali tornano sempre, in una logica razionale. E la voglia di votare ce l’hanno un po’ tutti.
Ce l’ha innanzitutto Salvini, e spiega questa Caporetto in definitiva accettata dal leader della Lega, che si becca un Green Pass allargato, un Super Green Pass e pure l’obbligo ai poliziotti che arringa, in fondo senza battere più di tanto ciglio (per molto meno sulla delega fiscale disertò il consiglio dei ministri).
Insomma, questi sono provvedimenti duri, che si prestano pure a un dibattito mica alla camomilla di quattro spin sulle tensioni interne. E il giorno dopo, e non in omaggio al Vangelo ma al realismo, porge pure l’altra guancia sull’Irfep costretto a dire che l’ha sempre voluta e non solo Irap chiedeva.
Ci si può anche raccontare la storiella di un leader pressoché interdetto dai suoi, oppure di uno che, proprio ingoiando l’amaro calice sta lavorando per uscire dalla trappola in cui si è ficcato, perché se Draghi va al Colle, e dunque cade il governo, cambia tutto e nelle liste conta più il segretario che le constituency del paese. A proposito di calici, con l’immigrazione fuori controllo nel Mediterraneo, tutto tace, anche nei giornali di destra.
Certo è un paradosso che la way out per il maschio alfa leghista sia proprio nella strategia della Capitana Meloni – lei egemone, lui subalterno perché la linea Giorgetti lui proprio non ce l’ha in canna – che è diventata una grande elettrice di Draghi sognando il sorpasso nelle urne.
Tant’è, del resto Salvini sa che, avanti così, al 2023 arriva cotto come leader, altro che tacchini. Dunque, dice, bene tutto, purché col Quirinale, partita che Draghi non solo non ha chiuso ma tiene molto aperta, ci si liberi dall’imbarazzo.
Ce l’ha (quella voglia) Letta che pensa di potersela giocare, e Conte che, pure lui, avanti così, tra un dileggio da parte di Grillo e un inseguimento verso Di Maio, si troverà nel 2023 a essere il protagonista di una leadership che si è consumata prima di essere esercitata.
Insomma, stringiamo: tutti sanno che c’è un unico fattore in grado di tenere un equilibrio che sta stretto a tutti, a destra come a sinistra: il Covid, l’unica che rende impronunciabile la parola elezioni e inchioda Draghi proprio nel posto da cui vuole andarsene.
Perché il Quirinale, fino a poco tempo fa una legittima ambizione è diventato anche un modo per liberarsi elegantemente da un governo per cui il prossimo anno è un percorso a ostacoli più che una marcia trionfale, tra Pnrr già in ritardo e partiti in campagna elettorale per le politiche.
Ecco, se riprende la pandemia, è inevitabile continuare in questa coabitazione forzata che mai si è trasformata in un patto politico. E tutti, proprio tutti quelli che stanno costruendo via d’uscita restano incastrati, in una fase sulla quale ormai non hanno più di tanto neppure la testa. Che è già a febbraio.
(da Huffingtonpost)

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RESPINTA LA SOSPENSIVA PER LA DEPUTATA NO VAX CUNIAL: PER ENTRARE A MONTECITORIO DOVRA’ ESIBIRE IL GREEN PASS

Novembre 25th, 2021 Riccardo Fucile

FINE (PER ORA) DELLA SCENEGGIATA

La deputata no vax del Gruppo misto Sara Cunial deve restare (di nuovo) fuori dalla Camera. Il Consiglio ritiene che non vi siano ragioni d’urgenza per sospendere la decisione dei deputati Questori di chiedere il Greenpass a tutti i deputati e quindi anche per la Cunial.
Con queste stringate parole viene respinta dalla Camera la sospensiva per la deputata, in questi giorni autorizzata ad entrare a Montecitorio senza green pass dopo un suo ricorso. Alla Camera si entra solo con il green pass.
Il presidente del Consiglio di giurisdizione della Camera dei Deputati Alberto Losacco ha firmato due ordinanze con le quali si definiscono le istanze cautelari richieste da alcuni deputati che non intendono esibire il Green pass per accedere nelle sedi della Camera.
Il Consiglio, composto anche dalle onorevoli Stefania Ascari e Silvia Covolo, ritiene che non vi siano ragioni d’urgenza per sospendere la decisione dei deputati Questori, del 12 ottobre scorso, di chiedere il Greenpass a tutti i deputati, oltre che ai dipendenti ed a tutti coloro che accedono ai palazzi della Camera. La decisione del Consiglio – ricorda una nota – era stata anticipata da due decreti monocratici del presidente Alberto Losacco, che risultano quindi oggi confermati.
Uno dei due decreti, quello che riguarda la posizione della deputata Sara Cunial, era stato oggetto di una pronuncia del Presidente del Collegio d’appello della Camera, Andrea Colletti, che aveva invece sospeso l’obbligo di esibire il Green pass per quella deputata.
La decisione di oggi del Consiglio di giurisdizione rende dunque inefficace quel decreto. Le due ordinanze del Consiglio di giurisdizione ritengono, in particolare, che sia la vaccinazione contro il Covid-19, sia il “tampone” sono strumenti che, “pur non potendo scientificamente garantire la certezza in assoluto della loro efficacia ed attendibilità, offrono al riguardo un significativo tasso di probabilità statistica, ed in ogni caso costituiscono attualmente le uniche misure concrete che le Istituzioni possono porre in essere nel doveroso perseguimento della tutela della salute individuale e collettiva, garantita dall’articolo 32 della Costituzione”.
E osservano, ancora, che il “tampone” è “strumento diagnostico che comporta, per la persona che vi si sottopone, un’invasività obiettivamente minima”.
Il Consiglio ritiene pure che i membri del Parlamento siano tenuti, al pari e più di ogni altro cittadino, a “non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’uguale protezione del coesistente diritto degli altri”, come osservato dalla Corte costituzionale.
I deputati e i senatori, “tenuti a porre in essere tutto quanto rientra nella loro disponibilità per il miglior esercizio del loro mandato, devono ricondurre ogni loro ipotetico sacrificio o disagio rispetto alla condizione di ogni altro cittadino all’insieme di responsabilità, potestà, diritti e doveri che compongono lo status di parlamentare in carica”.
(da agenzie)

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DA MILANO A FIRENZE, DA BERGAMO A BOLOGNA: ECCO LE CITTA’ DOVE SARA’ OBBLIGATORIA LA MASCHERINA ANCHE ALL’APERTO

Novembre 25th, 2021 Riccardo Fucile

ALTRE CITTA’ STANNO PER ADOTTARE LA STESSA MISURA

Nonostante il no del Governo a una stretta sull’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, sono tanti i sindaci e i governatori regionali che hanno deciso di non correre nessun rischio.
“Rispetto la loro volontà ma non abbiamo ritenuto indispensabile farlo perché già c’è una norma che lo prevede in caso di assembramenti” ha replicato la Ministra Mariastella Gelmini alle richieste delle amministrazioni locali. Andiamo a vedere più nel dettaglio le singole decisioni:
Lazio
L’assessore alla sanità del Lazio, Alessio D’Amato, ha dichiarato: “L’uso della mascherina in questa fase di aumento dell’incidenza dei contagi Covid è il primo livello di prevenzione e il suo uso può solo portare beneficio soprattutto in questo periodo di grandi spostamenti”. Di conseguenza, anche in accordo con il neo-eletto sindaco di Roma Roberto Gualtieri, nella Capitale sono attesi transennamenti nelle principali vie dello shopping del centro storico e accessi contingentati nelle piazze più frequentate, come già avvenuto l’anno scorso. Ad Aprilia (in provincia di Latina), dove i contagi sono in ripresa, il sindaco ha già firmato un’ordinanza che impone le mascherine anche all’aperto.
Milano
Beppe Sala ha firmato un’ordinanza, che sarà attiva già da questo sabato, che prevede l’obbligo di mascherina all’aperto nella zona del Centro: “L’ordinanza è pronta, e la firmerò adesso al rientro in Comune, sarà a valere dalla mezzanotte di venerdì fino al 31 dicembre e riguarderà tutta l’asse dal Castello a San Babila” ha detto il sindaco.
Bergamo
Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, ha firmato un’ordinanza che obbliga all’uso della mascherina all’esterno. Il provvedimento riguarderà specifiche zone della città (principalmente le strade dello shopping in centro, tra cui via XX Settembre) dove sono previste situazioni di affollamento. Gori sta completando in queste ore le procedure per firmare il provvedimento che interessa la città che più di tutte, nella primavera del 2020, aveva sofferto per la pandemia.
Bologna
Da domani 26 dicembre fino al 9 gennaio 2022 a Bologna nel centro storico (delimitata dai viali di circonvallazione) sarà obbligatorio indossare mascherine anche all’aperto. Lo prevede un’ordinanza firmata oggi dal sindaco Matteo Lepore alla luce della costante crescita della diffusione del virus e delle prossime festività che porteranno nelle vie centrali un afflusso notevole di persone. L’obbligo non riguarda i bambini di età inferiore ai sei anni, le persone con patologie o disabilità incompatibili con l’uso della mascherina (nonché le persone che devono comunicare con un disabile in modo da non poter far uso del dispositivo) e gli sportivi in attività. La violazione dell’ordinanza comporta una multa da 400 a mille euro.
Da Aosta a Firenze
Ad Aosta il sindaco Gianni Nuti ha annunciato un’ordinanza per rendere l’obbligatoria la mascherina anche all’aperto per tutti i fine settimana fino alla fine delle vacanze natalizie. E anche a Firenze si pensa al Natale in sicurezza: il sindaco Dario Nardella ha annunciato che sta valutando l’ipotesi di introdurre l’obbligo di mascherine all’aperto a partire dal primo o dal secondo weekend di dicembre.
(da agenzie)

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CANCELLATO IL CAPODANNO NO VAX A LIGNANO SABBIADORO DOPO LE PROTESTE DEI CITTADINI CON IL CERVELLO CONNESSO

Novembre 25th, 2021 Riccardo Fucile

GLI ORGANIZZATORI: “CERCHIAMO UNA NUOVA LOCATION”: OTTIMA IDEA, CHIEDETE A BOLSONARO

Cancellata la festa di Capodanno No-vax a Lignano Sabbiadoro, in provincia di Udine. «Creiamo il nostro mondo», questo il nome dell’evento a cui avrebbero dovuto partecipare un gran numero di medici radiati dall’albo e seguaci delle «cure naturali». Lo ha comunicato il sindaco della citta friulana, Luca Fanotto, che ha ricevuto la conferma formale che il party, organizzato dall’associazione «Liberi si nasce», non avrebbe più avuto luogo.
I vertici della struttura che avrebbe dovuto ospitare l’evento hanno infatti deciso di annullarlo.
Ieri, dopo che erano circolati sui social gli inviti alla festa, Fanotto aveva chiesto ai promotori di fare un passo indietro. «Si precisa – ha dichiarato il sindaco – che la festa era e rimane del tutto legata all’iniziativa di privati. Ciò non ha tuttavia impedito all’amministrazione comunale di intervenire pubblicamente per chiedere che l’evento che venisse annullato».
Pericolo scampato, dunque. «Non posso che esprimere la mia soddisfazione – ha detto Fanotto – Auspicando un senso di responsabilità da parte di tutti in un momento estremamente delicato per il Friuli e per l’intero Paese».
La risposta dell’associazione
«Il nostro evento di Capodanno, per il quale erano state impiegate risorse economiche, di tempo e di energia, è stato boicottato, denigrato e diffamato», ha scritto in un comunicato stampa l’associazione «Liberi si nasce», aggiungendo che adiranno le vie legali.
Nel frattempo, però, l’evento non è stato cancellato del tutto: Byoblu, canale televisivo vicino agli ambienti No Vax e a quelli che si oppongono alla certificazione verde anti-Covid, si è resa disponibile a dare pieno appoggio per festeggiare a distanza.
Ma gli organizzatori sperano di comunque di riuscire a passare l’anno nuovo in presenza e hanno lanciato un appello: «Siamo in cerca di un’altra location. “Costruire il nostro mondo” cerca casa».
(da agenzie)

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SUPER GREEN PASS COME LA STELLA DI DAVID: IL POST OSCENO DEL LEADER NO VAX

Novembre 25th, 2021 Riccardo Fucile

POI INCITA ALLA RIVOLTA SBAGLIANDO PURE IL VERBO: “SVEGLIAMOCI, PRIMA CHE SARA’ TROPPO TARDI”… GLI ITALIANI CHE VOGLIONO TUTELE DAI CRIMINALI NO VAX? SONO NAZISTI

Sembrava essersi interrotto, e invece torna nuovamente nel dibattito sul Green Pass il parallelismo con la segregazione nazista ai tempi della Seconda guerra mondiale.
A rilanciare il paragone ci ha pensato questa volta Marco Liccione, uno dei leader italiani della protesta contro il certificato verde, che sul suo profilo Facebook ha pubblicato una foto di una famiglia ebrea con la Stella di David appuntata sul petto. Un post che incita alla rivolta e che arriva dopo la decisione del governo di limitare le libertà dei non vaccinati istituendo il “Super Green Pass”, scaricabile soltanto da chi ha scelto di immunizzarsi o è guarito dal Covid.
Liccione spiega il suo punto di vista con una citazione di un ebreo ungherese dal documentario “Gli ultimi giorni”: “Le persone si chiedono come mai non abbiamo fatto qualcosa, non siamo fuggiti, non ci siamo nascosti. Beh, le cose non sono successe all’improvviso, le cose sono andate molto lentamente. Ogni volta che usciva una nuova legge o una nuova restrizione dicevamo: beh, solo un’altra cosa, esploderà. Quando abbiamo dovuto indossare la stella gialla per stare fuori, abbiamo iniziato a preoccuparci”. La chiamata a raccolta, poi, contiene un evidente errore grammaticale: “Svegliamoci prima che sarà troppo tardi”.
La sua iniziativa social ricorda in parte e in maniera meno eclatante le scene di Novara, quando lo scorso 30 ottobre alcuni manifestanti sfilarono per la città travestiti da deportati di Auschwitz paragonando il certificato verde alla discriminazione antisemita. Il post con l’uso strumentale della Stella di David, che ha suscitato lo sdegno della Comunità ebraica torinese, è già finito sul tavolo della Digos di Torino che riferirà in procura del contenuto del messaggio.
Tra i commenti c’è definisce l’obbligo vaccinale “lo sterminio più grande della storia” e chi inneggia “alla marcia su Roma”.
Lui, però, nega ogni riferimento a quanto accaduto alla fine dello scorso mese. “Il mio post dice altro – spiega Liccione a margine di una manifestazione solitaria davanti al Comune di Torino – e dice che stanno ghettizzando le persone. Quelle del mio post sono parole forti, lo riconosco, ma non possiamo non esprimerci diversamente per far sentire in modo chiaro il nostro stato d’animo. Perché devo stare a casa? Perché questi devono legiferare alle nostre spalle senza che nessuno dica niente. Chi dice che bisogna ghettizzare i non vaccinati è un nazista”.
(da agenzie)

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IL CARDINAL BASSETTI AI SACERDOTI: “VACCINATEVI, ESISTE ANCHE IL FRATELLO CHE VI STA ACCANTO”

Novembre 25th, 2021 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE DELLA CEI: “IL SOLO TAMPONE NON RISOLVE IL PROBLEMA”

Misure necessarie per fermare la pandemia, perché non esiste la libertà di infettare il prossimo. Le ultime iniziative del Governo sul cosiddetto super Green pass trovano d’accordo i vescovi italiani.
Nel corso di una conferenza stampa al termine dei lavori del 75.ma Assemblea generale della Cei, che ha visto riuniti a Roma oltre 200 vescovi provenienti da tutta Italia, il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Gualtiero Bassetti ha detto: “stiamo orientando tutti a vaccinarsi, anche perché il solo tampone è uno strumento estremo che non risolve il problema. Siamo in linea certamente con le disposizioni del governo anche perché le misure di sicurezza non bastano mai, così come le precauzioni. Occorre essere sempre più attenti e questo per noi e per gli altri, osservando le regole. Questo – ha spiegato il porporato – anche per quanto riguarda il culto. Con il Governo abbiamo stabilito delle regole e non solo noi cattolici ma le altre religioni come gli ebrei e i musulmani”.
Il cardinal Bassetti ha poi detto di non avere fino ad ora “avuto segnalazioni negative per quanto riguarda le chiese”.
“Ripeto – ha poi aggiunto – abbiamo fatto proprie le indicazioni circa un dovere grande di garanzia, che ci è giunto dai medici, che è quello di vaccinarsi ed invitiamo le persone, per rispetto degli altri, a fare questo passo. Anche chi è renitente trovi le motivazioni che si basano sul bene comune e sulla convinzione che non esisto solo io ma esiste anche il fratello che mi sta accanto”.
Per quanto riguarda, infine, i casi di preti no vax, il cardinal Bassetti ha detto: “è molto difficile, da parte nostra, obbligare qualcuno a fare un passo che il normale cittadino per legge non è obbligato a fare. Naturalmente per quel sacerdote dovrà essere limitata la presenza in certi momenti del culto. Mi metto nei panni di qualche vescovo che ha questo problema, occorre mettersi nelle condizioni di non danneggiare l’altro. Non lo posso imporre per legge ma c’è l’invito morale a vaccinarsi e mettersi in una posizione di libertà per esercitare il proprio ministero”.
(da agenzie)

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