Marzo 15th, 2022 Riccardo Fucile
L’ABITAZIONE COMPRATA NEL 2009 DALLA DONNA CHE RICOPRE LA TERZA CARICA DELLA RUSSIA
Oltre un miliardo di euro di beni (non solo i soliti yacht ma anche ville e immobili) sono
stati sequestrati in Italia agli oligarchi russi dopo le sanzioni imposte per la guerra in Ucraina.
E non è finita qui, le liste sono ancora in fase di compilazione e all’appello mancherebbe anche una villa che sorge nel cuore dal Parco del San Bartolo, nelle Marche.
A Pesaro tutti la chiamano «Villa Rudas» (era di Tibor Rudas, tra i manager di Luciano Pavarotti che pure soggiornò spesso da queste parti a Villa Giulia di sua proprietà) ma all’ingresso di questa tenuta quasi nascosta nel verde delle colline che si affacciano sull’Adriatico nella pietra è scolpita una scritta «Villa M», dove la M sta per Matvienko, la famiglia della terza carica dello Stato russo, la presidente del consiglio federale (che è la camera alta del parlamento), la settantaduenne Valentina Matvienko, già sindaca di San Pietroburgo.
Non una persona qualunque ma una delle più fidate di Vladimir Putin, tra le personalità più potenti del Paese che il sito della fondazione Aleksej Navalny, l’organizzazione legata all’omonimo dissidente politico ora incarcerato, definisce il «braccio destro di Putin» anche e soprattutto nell’ambito del conflitto russo-ucraino, nonché «esempio di corruzione e arricchimento goduto grazie alla sua vicinanza al presidente».
L’acquisto
Ad accendere i riflettori della stampa sulla villa è stata proprio una piccola inchiesta portata avanti dalla fondazione Navalny: alcuni reporter sono andati di persona a Pesaro a ripercorrere le vicende «italiane» dell’oligarca russa.
Che a Pesaro era già più o meno nota ma che alla luce del conflitto in corso sono ritornate in auge non senza l’imbarazzo di molti cittadini. Bisogna tornare indietro al 2009 per capire come – più o meno – siano andate le cose. Durante l’amministrazione dell’allora futuro presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli, Valentina e Sergey Matvienko acquistarono l’ex Villa Rudas per sette milioni di euro.
Al Comune marchigiano favorirono anche un assegno da 20.000 euro per coprire le spese (o parte delle spese) per finanziare lo spettacolo pirotecnico della seicentenaria festa del porto, molto sentita dai cittadini e ingraziarsi la città che li avrebbe ospitati perlomeno per le vacanze.
I soggiorni Sergey Matvienko
Va detto che l’habituè della villa finì per essere il figlio della «zarina» (come è soprannominata dalla fondazione Navanly e pare anche da qualche pesarese), negli ultimi anni anche in compagnia della moglie.
I reporter della fondazione russa hanno diffuso alcune foto pubblicate sul suo account Instagram raffrontandole con alcune riprese aeree fatte a Pesaro di recente: dai dettagli ambientali, pare che la coniuge della figlia dell’oligarca russa abbia soggiornato a «Villa M» almeno fino all’estate del 2019.
I lavori della discordia
Al di là della villa le cronache ricordano anche altri episodi, non privi di polemiche. Qualche anno dopo l’acquisto – la villa è formalmente di proprietà di una società immobiliare sconosciuta – i Matvienko tentarono in tutti i modi di conquistare il loro angolo di paradiso immerso nel Parco San Bartolo: immaginando uno sbocco privato sul mare e un eliporto: partirono lavori di disboscamento (per costruire la strada) e di costruzione dell’eliporto ma fu tutto bloccato dall’amministrazione di Pesaro.
Gli altri oligarchi
Pochi anni dopo la Matvienko, a Pesaro arrivò anche un noto industriale russo del settore farmaceutico, Boris Spiegel. Anche lui acquistò una villa ma sul colle Ardizio, altra terrazza sul mare marchigiano. Gli costò quattro milioni di euro.
Ma l’oligarca sparì ben presto: di recente Spiegel è stato arrestato in Russia per corruzione anche se la stampa locale parla di divergenze con Putin per la produzione del vaccino Sputnik, quello arrivato a migliaia di dosi poco più in là di Pesaro in cima al Monte Titano, a San Marino, che da Pesaro quando il cielo è terso non si fatica a intravedere all’orizzonte.
(da agenzie)
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Marzo 15th, 2022 Riccardo Fucile
LA LEZIONE APPRESA NELL’ADOLESCENZA DA RAGAZZO DI STRADA («BISOGNA COLPIRE PER PRIMO») È LA STESSA CHE SEGUE ANCORA OGGI NELLA SUA GUERRA SCIAGURATA IN UCRAINA. MA AL DI LÀ DELLA SUA ARROGANZA, SI COGLIE IN LUI UNA PAURA PROFONDA
Nel grande salone dell’Ordine di Santa Caterina nel Cremlino, progettato e realizzato dagli Zar per celebrare le glorie dell’Impero Russo, Vladimir Putin ha riunito i capi della sicurezza per riconoscere le nuove Repubbliche ucraine. Il fatto risale a qualche settimana fa ed è illustrativo del carattere e del modo di avere rapporti con i collaboratori del leader russo.
È uno scenario agghiacciante: nel grande salone tondo, completamente bianco, ornato di grandi colonne, Putin è seduto al centro e intorno a fargli da corona ci sono i suoi sottoposti seduti, ognuno distante dall’altro (l’immagine è irreale, potrebbe quasi ricordare le scene del film muto di Fritz Lang «Metropolis», in cui si rappresentava un mondo assoggettato a una dittatura del futuro che si sarebbe imposta nell’anno 2026, non molto lontano dall’oggi).
Come abbiamo visto i funzionari della sicurezza cercavano di assecondare il monarca, come poi è avvenuto al capo dei servizi segreti Sergei Naryshkin che si dibatteva imbarazzato per cercare di non contraddire quello che il padrone intendeva rivolgendogli degli sguardi tra l’imperativo e l’ironico.
A un certo punto Putin si è rivolto a loro con una domanda che non richiedeva risposte: «Ci sono punti di vista diversi?».
Colpisce in questo scenario la glacialità dell’incontro, che vorrebbe trasmettere agli spettatori russi che hanno seguito in televisione le fasi dell’incontro il senso autocratico di Putin, che domina incontrastato la Grande Madre Russia assoggettata al suo potere.
È un’immagine potente e grandiosa che ai miei occhi di psichiatra rievoca quello che scrisse parecchi decenni fa il sociologo americano Norman Cameron sulle pseudo comunità paranoidi, vengono immaginate e costruite nella mente di quanti sono affetti dalla paranoia. Sono mondi mentali abitati dai persecutori che devono essere assoggettati e annichiliti per non rappresentare più una minaccia. Più che stretti collaboratori, i capi dei servizi di sicurezza sembrano piuttosto dei «competitor» pericolosi che devono essere annullati per non contrastare il potere del monarca.
Non è la prima volta che accade nel mondo russo. Più volte si è parlato della paranoia di Stalin, addirittura diagnosticata nel 1927 dal grande neurologo di Pietroburgo Vladimir Bechterev che l’aveva visitato al Cremlino e che poi pagò con la sua vita quella che fu la sua ultima diagnosi.
Non credo che Putin sia mai stato visitato da uno psichiatra, ma colpisce ad esempio il suo atteggiamento freddo e distante nell’intervista rilasciata al regista americano Oliver Stone, anche quando risponde alla domanda che gli viene fatta sulla sua adolescenza, quando era un ragazzo di strada in un quartiere degradato. Lì aveva forgiato il suo carattere calloso e privo di emozioni che viene descritto nei trattati di psichiatria, apprendendo nelle lotte quotidiane le strategie di una cultura antisociale e violenta.
Più volte si è espresso con queste parole: «Bisogna colpire per primo», per evitare di dover subire le aggressioni degli altri che ai suoi occhi sono sempre nemici. Sicuramente nelle strade di Leningrado aveva imparato ben presto a diffidare dei compagni di strada, sempre pronti a tradirti per un pezzo di pane in più.
È la stessa strategia che Putin segue ancora oggi nella sua guerra sciagurata in Ucraina: colpire i paesi dell’Occidente prima che possano reagire. Ma al di là della sua arroganza, si coglie in lui una paura profonda e un dubbio che lo tormenta: «Non so se sia vero ma basandomi sul semplice sospetto agirò come se fosse sicuro», parole che Otello continua a ripetere a sé stesso nella tragedia di Shakespeare.
(da Il Corriere della Sera)
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Marzo 15th, 2022 Riccardo Fucile
I SOLDATI RUSSI CADUTI IN UCRAINA SONO GIÀ PIÙ NUMEROSI DEGLI AMERICANI CADUTI IN IRAQ E L’OFFENSIVA È IN STALLO PERCHÉ GLI UOMINI SONO ESAUSTI E IL MORALE È STATO COMPROMESSO DALLA MORTE DI TRE GENERALI… PARECCHIE UNITÀ SI SONO ARRESE SENZA COMBATTERE
Il fallimento degli obiettivi iniziali dell’invasione russa in Ucraina è stato così profondo, da
provocare una spaccatura nella cerchia più ristretta dei collaboratori di Putin. Il ministro della Difesa Serghej Shojgu vuole continuare e inasprire la guerra, da cui nasce anche la disperata richiesta di aiuti militari alla Cina, mentre il capo dei servizi e della sicurezza Nikolaj Patrushev spinge per chiuderla. Lo rivelano autorevoli fonti di intelligence, che però mettono in guardia dal pericolo che queste difficoltà e divisioni spingano il capo del Cremlino a rendere ancora più brutale l’aggressione, minacciando i paesi della Nato.
Nei giorni scorsi il capo della Cia William Burns e la direttrice dell’intelligence nazionale Avril Haines hanno tenuto un briefing al Congresso. «Putin – ha detto Burns – si aspettava di prendere Kiev in un paio di giorni. Invece i suoi militari non sono riusciti a conquistare le principali città e hanno perso diverse migliaia di soldati». Per capire le proporzioni, Mosca ha già subito in Ucraina più caduti di quanti Washington ne avesse sofferti durante l’intero intervento in Iraq.
«Penso che Putin – ha detto il capo della Cia – sia arrabbiato e frustrato. È probabile che raddoppi gli sforzi e cerchi di schiacciare l’esercito ucraino senza riguardo per le vittime civili. Non ha una soluzione politica sostenibile, di fronte a quella che continuerà ad essere una feroce resistenza da parte degli ucraini». Secondo Haines, il capo del Cremlino «percepisce questa come una guerra che non può permettersi di perdere. Ma ciò che potrebbe essere disposto ad accettare come vittoria può cambiare nel tempo, dati i costi significativi che sta subendo».
In questo quadro, l’allerta nucleare e i missili lanciati verso il confine con la Polonia «probabilmente sono intesi a dissuadere l’Occidente dal fornire ulteriore supporto all’Ucraina». Perciò i parlamentari hanno risposto esortando l’amministrazione ad aumentare le consegne militari, sbloccare i caccia offerti dalla Polonia a Kiev, e in alcuni casi anche stabilire una presenza Nato nelle regioni occidentali del paese per favorire la distribuzione dell’assistenza umanitaria.
Secondo l’intelligence l’offensiva è in stallo perché gli uomini sono esausti e il morale è stato compromesso anche dalla morte di generali come Andrej Kolesnikov, Vitalij Gerasimov e Andrej Sukhovetskij. Parecchie unità si sono arrese senza combattere. Il fallimento è dipeso dalle informazioni sbagliate fornite a Putin, secondo cui gli ucraini erano pronti ad accoglierlo come liberatore, ma anche da problemi operativi.
Il presidente ha fatto arrestare il capo del “Quinto servizio” dell’Fsb Serghej Beseda e il suo vice Anatolij Bolyukh, perché a loro aveva consegnato i fondi per corrompere i leader di Kiev affinché appoggiassero l’invasione: o non ci sono riusciti oppure hanno intascato i soldi. L’arresto però ha fatto infuriare gli apparati. Lo stesso problema di corruzione e incompetenza ha minato l’ammodernamento delle forze armate, evidente soprattutto nel fiasco dell’aviazione.
Putin potrebbe reagire attivando i veterani della riserva, ma così le famiglie vedrebbero sparire gli uomini, le attività economiche si fermerebbero, il paese capirebbe che è veramente in guerra e sta perdendo. Altri aiuti, tipo i bielorussi, i mercenari di Wagner o i siriani, sono già stati messi in conto ma non sembrano sufficienti. Anche se occupasse Kiev, Vladimir Putin non riuscirebbe a tenerla.
Tutto ciò avrebbe spaccato il cerchio magico, col potente Patrushev schierato contro Shojgu. Il capo della sicurezza non viene visto come un uomo da golpe, ma la sua dissidenza pesa. Sentendosi nell’angolo, Putin potrebbe puntare sulle armi chimiche, o anche atomiche. Il suo ordine però andrebbe confermato da Shojgu e dal capo di Stato Maggiore Valerij Gerasimov. Il ministro lo seguirebbe, ma gli americani pensano che il generale si rifiuterebbe, scatenando lo scontro finale per il potere a Mosca.
(da “la Repubblica”)
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Marzo 15th, 2022 Riccardo Fucile
L’ALTRO INCUBO DEI RUSSI SONO I DRONI TURCHI “BAYRAKTAR TB2” CHE GLI UCRAINI IMPIEGANO PER BERSAGLIARE I TANK: MOSCA DOVREBBE DOTARSI DI STRUMENTI (MADE IN CHINA, OVVIAMENTE) PER DISTURBARE LE FREQUENZE
Le parole della diplomazia sono accorte e misurate, alternando dichiarazioni ufficiose a smentite ufficiali. Ma la convinzione che Putin abbia domandato un sostegno militare al presidente Xi, unico alleato strategico, comincia a prendere sostanza. E gli analisti si chiedono quale sia la lista delle richieste presentate da Mosca. Le prime due settimane di combattimenti hanno mostrato alcune carenze nell’arsenale del Cremlino, che Pechino potrebbe aiutare a colmare.
La principale riguarda i droni armati. L’esercito russo ne ha pochissimi, perché la sua filosofia bellica pone la priorità sull’artiglieria: gli aerei teleguidati servono a individuare i bersagli, che poi vengono distrutti con cannonate e razzi sparati dai semoventi. Questa è la tattica sperimentata in Siria e applicata ora negli scontri in Ucraina. Gli invasori si sono però trovati davanti a un problema sottovalutato: le imboscate contro le loro colonne, che tormentano sia le avanguardie dei tank, sia i camion dei rifornimenti.
Le tattiche russe prevedono che questi reparti siano scortati in azione dagli elicotteri da combattimento, in grado di scoprire eventuali agguati e intervenire per sventarli. Ma i missili terra- aria Stinger forniti dall’Occidente agli ucraini infliggono perdite dure agli elicotteri, spingendo i generali a tenerli lontani ed esponendo così le loro forze terrestri agli attacchi di sorpresa. L’unica reazione che Mosca può tentare è copiare quello che fa la Nato e affidare la protezione dei convogli ai droni armati.
I Wing Loong – anche chiamati “Pterodattili” come i feroci dinosauri alati – prodotti in Cina possono restare in volo per venti ore, sorvegliando l’area intorno alle colonne con sensori all’infrarosso per individuare le squadre ucraine e poi colpirle con missili o bombe. Basterebbero poche decine di questi aerei telecomandati per ridare sicurezza alle pattuglie russe che si inoltrano nelle periferie contese o alle file di camion nelle retrovie che oggi vengono decimate dalla resistenza.
Pechino ne ha esportati più di duecento e continua ad accumulare ordini, dall’Egitto all’Algeria. Si tratta inoltre di un sistema semplice da gestire: i tecnici russi potrebbero imparare a usarlo in pochi giorni. L’altro incubo degli invasori sono i droni turchi Bayraktar TB2 che gli ucraini impiegano con sapienza per bersagliare i tank. Come era già accaduto in Libia, questi piccoli apparecchi non vengono avvistati dai radar dei semoventi contraerei russi e si stanno dimostrando praticamente invincibili.
Anche in questo caso, Mosca dovrebbe imitare la Nato e, piuttosto che cercare di abbatterli con missili e cannoni, dotarsi di strumenti per disturbare le frequenze che pilotano a distanza i droni. Se si riesce a spezzare il collegamento radio, allora il robot volante precipita o vaga fino all’esaurimento del motore.
Pechino negli ultimi anni ha investito molto su questo genere di apparecchiature, vendute in tutto il mondo: si ritiene che persino gli ucraini le stiano sfruttando con successo contro gli invasori. Mentre invece quelle progettate dagli ingegneri moscoviti non solo non fermano i micidiali Bayraktar ma non riescono neppure a spazzare via i droni commerciali che gli ucraini lanciano per spiare il nemico: un gap tecnologico, specchio del ritardo russo nella micro-elettronica. Infine i generali del Cremlino dovranno presto fare i conti con l’esaurimento delle riserve di missili a lungo raggio.
Ne sono già stati scagliati centinaia, forse più di settecento, e non possono essere rimpiazzati velocemente. L’unico Paese a cui si possono rivolgere è la Cina, anche se in questo caso ci sarebbero difficoltà di integrazione con i velivoli russi che ogni notte attaccano le città ucraine. Putin non ha alternative e per questo gli Stati Uniti cercheranno in ogni modo di sbarrare la via della Seta alle armi hi-tech.
(da “la Repubblica”)
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Marzo 15th, 2022 Riccardo Fucile
“LE DONNE SONO STATE LE PRIME A OPPORSI ALLA GUERRA“
All’inizio di marzo, le femministe russe hanno unito le forze e organizzato la resistenza
femminista contro la guerra.
Al momento è il gruppo di opposizione più organizzato in Russia. Abbiamo contattato un membro del gruppo di coordinamento, un’attivista e storica femminista russa, Ella Rossman.
Abbiamo parlato della repressione che subiscono le ragazze, della violenza durante gli arresti e di come le donne russe devono lottare per l’umanizzazione dell’intero Paese.
Quali sono le caratteristiche della vostra resistenza contro la guerra?
Il nostro movimento sta ora cercando di fermare la guerra in ogni modo possibile. Quando è iniziata, tutte le femministe russe, ovviamente, sono rimaste scioccate. Da come è stata condotta questa guerra contro i civili fin dall’inizio e dal fatto che il nostro Stato ha deciso di invadere il territorio di uno Stato sovrano indipendente. Ma è anche diventato un duro colpo per tutto ciò che abbiamo fatto per molti anni in Russia. Negli ultimi 10 anni, il movimento femminista si è sviluppato attivamente, le nostre attiviste, infatti, hanno fatto ciò che le organizzazioni e gli organismi statali avrebbero dovuto fare come ad esempio, fornire sostegno alle donne in situazioni di violenza domestica. Dopo l’inizio della guerra, tutta questa lotta viene spazzata via. Ci sarà più povertà e più violenza in Russia, soprattutto dopo tutte le sanzioni. Questa guerra non l’ha capita nessuno, così le femministe sono diventate la prima forza di opposizione in Russia a creare un’associazione contro la guerra. Le nostre due linee d’azione principali ora sono protestare e informare. Da un lato, uniamo gruppi femministi in tutta la Russia, ci sono stati più di 45 gruppi femministi organizzati in tutta la Russia in diverse città. I gruppi fuori dal Paese si uniscono a noi: in Italia, Svizzera e USA, ad esempio, hanno manifestato sotto i nostri simboli. Organizziamo delle proteste in strada contro la guerra e chiediamo al governo di fermarla. I gruppi all’estero chiedono pressioni da parte dei governi locali sul governo russo. E la seconda cosa che facciamo è informare. In Russia, dall’inizio della guerra, la maggior parte dei media indipendenti è stata bloccata o chiusa anche prima dell’inizio del conflitto. Ora i social media sono bloccati o rallentati dal governo. Le persone ottengono pochissime informazioni indipendenti, per lo più è propaganda di Stato. Il primo modo è distribuire volantini, il secondo è attraverso campagne online che lanciamo regolarmente sui social network. Lo facciamo non solo su Instagram, ma anche sui social network ad esempio, su Odnoklassniki (social media russo popolare tra le persone di età compresa tra 40 e 70 anni), abbiamo lanciato una parodia dei messaggi “invia a sette amici e sarai felice”. Ma le abbiamo chiamate “lettere di sventura” e abbiamo scritto un testo contro la guerra con informazioni sulle vittime.
Ora anche distribuire volantini contro la guerra in Russia è molto pericoloso. Quali sono i consigli che date a chi manifesta?
Ora qualsiasi protesta è molto pericolosa, a causa delle nuove leggi sul tradimento della patria (fino a 20 anni di reclusione) e della legge sulle fake news (fino a 15 anni), è vietato diffondere qualsiasi informazione sulla guerra se non quella approvata dal Ministero della Difesa. Ogni manifestante viene arrestato per le strade, nonostante il fatto che i picchetti singoli non siano ancora vietati dalla legge nel nostro paese. Molte delle nostre ragazze sono già state portate via di peso alla polizia per aver affisso volantini, quindi avvertiamo apertamente i nostri partecipanti che questo è pericoloso. Abbiamo un canale Telegram che descrive gli strumenti di sicurezza di base: suggeriamo di prepararsi alla distribuzione dei volantini come per le manifestazioni, “andateci sempre con qualcuno, con telefono carico, acqua, restate in contatto, salvatevi i contatti degli avvocati dal dipartimento di OVD – info (un’organizzazione russa per i diritti umani che fornisce la prima assistenza legale ai raduni)”. Per le campagne online, abbiamo anche un meccanismo per la comunicazione sicura su Internet, spieghiamo cosa sono i messenger crittografati, dove puoi chattare, dove no, quale applicazione usare in modo che cancelli tutta la tua corrispondenza quando vieni arrestato. Anche Telegram è diventato pericoloso, perché la sua corrispondenza viene spesso utilizzata per accusarti di “terrorismo telefonico” ed estremismo. Inoltre, tengo d’occhio come si comportano gli altri gruppi nello spazio online e faccio loro regolarmente sapere se si mettono in pericolo.
In che modo venite colpite dalla repressione?
Direi che siamo i più organizzati in Russia adesso. Prima della guerra, Yulia Tsvetkova è stata incarcerata per pornografia (illustratrice attivista che disegnava fumetti sui diritti delle donne) e Anna Dvornichenko (specialista in studi di genere e organizzatrice di festival femministi), che è stata praticamente cacciata dal Paese. Abbiamo avuto molte repressioni nel nostro gruppo, ma allo stesso tempo, in una cultura patriarcale, le donne sono sempre sottovalutate e in Russia non si aspettavano che diventassimo una forza politica. Il nostro gruppo principale è deliberatamente ridotto in modo da non sminuire l’efficacia del nostro lavoro. Chiediamo a tutti i gruppi femministi nelle diverse città di auto-organizzarsi e discutere in modo indipendente le azioni che proponiamo loro e di non unirsi al nostro gruppo. Questa è una questione di sicurezza, perché se vengono a prendere noi, ci saranno comunque molte cellule autonome che potranno continuare a funzionare da sole. Inoltre, alcuni hanno già lasciato il territorio della Russia, perché la polizia è già a conoscenza delle nostre attività e molti attivisti sono già stati perquisiti e arrestati con l’accusa di “terrorismo telefonico”. Questo tipo di accusa è un nuovo modo per la polizia di sospendere le attività degli attivisti per un po’ e intimidirli.
Puoi dirci di più sul comportamento della polizia durante le manifestazioni?
Il 6 marzo abbiamo avuto diverse colonne di donne come parte delle azioni in Russia contro la guerra. Molte delle nostre ragazze hanno partecipato in città diverse. La stessa sera degli arresti, abbiamo ricevuto informazioni su diversi casi di percosse e torture di ragazze da parte della polizia. A San Pietroburgo sono stati segnalati anche casi di violenza sessuale da parte di agenti di polizia. E ora il Consiglio per i diritti umani in Russia ha annunciato che il Ministero degli Affari Interni e il Comitato Investigativo stanno conducendo un’ispezione in una delle stazioni di polizia di Brateevo, dove una delle nostre ragazze ha registrato un audio di come gli agenti l’hanno picchiata e costretta a rispondere alle loro domande. Questa ragazza, tra l’altro, in seguito ha detto che nella sua infanzia suo padre la picchiava spesso, quindi in questa situazione ha mantenuto la lucidità ed è riuscita ad accendere il registratore. L’8 marzo abbiamo organizzato un’azione mondiale in memoria dei morti ucraini. Abbiamo suggerito alle ragazze in Russia di recarsi ai monumenti della seconda guerra mondiale nelle loro città, in quanto presenti in qualsiasi città e villaggio, e di deporre fiori in segno di protesta. Hanno partecipato 112 città in tutto il mondo. Ciò era particolarmente importante per le piccole città, dove le ragazze pensavano di essere le uniche a essere contro la guerra, quindi sono andate ai monumenti e hanno visto un mucchio di bouquet, cartoline e poster contro la guerra e sono rimaste sorprese. Questo ha dato loro la consapevolezza di non essere sole.
Qual era il lavoro che facevate prima dello scoppio della guerra nella società russa?
Sì, c’è un’idea sbagliata in Europa che la parità di genere in Russia sia stata raggiunta sotto i bolscevichi, ma questo non è vero nemmeno da un punto di vista storico. E anche nella moderna Russia post-sovietica le cose sono peggiorate, negli ultimi anni abbiamo fortemente limitato la possibilità di abortire, ridotto il tempo in cui si può averla, molte cliniche hanno reso obbligatorio consultare i sacerdoti se una donna decide di interrompere una gravidanza. In Russia non esiste una legge sulla violenza domestica, la pena massima per questo reato è una multa, non abbiamo una normale protezione per la famiglia, non ci sono strutture protette. Le femministe hanno combattuto a lungo per questa legge, ma non è mai stata adottata. Tutte le nostre strutture protette e il lavoro psicologico con le vittime di violenza sono svolti dagli sforzi di volontari e non con l’aiuto del sostegno statale. Le femministe stanno cercando di umanizzare la società russa. Abbiamo una tolleranza molto alta per la violenza: se uno studente viene picchiato a scuola, allora viene disciplinato, se un uomo picchia una donna, allora si sistemano le cose. Le femministe stanno cambiando questo punto di vista, spiegando e dimostrando che possiamo vivere diversamente, che non è normale restare in silenzio sulla violenza. C’è stata una comprensione di questo problema. Ragazzi, pro-femministe, hanno cominciato a unirsi a noi, a partecipare alle nostre azioni. Ma pensiamo che la guerra ci riporterà indietro di molti anni in questo senso.
(da Globalist)
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Marzo 15th, 2022 Riccardo Fucile
I MILIARDARI RUSSI SONO NEL PANICO DOPO LA FUGA DEI GRANDI MARCHI DA MOSCA. METTETECI ANCHE IL BANDO DI INSTAGRAM, FACEBOOK E WHATSAPP, E CAPIRETE PERCHÉ PUTIN RISCHIA DI AVERE UNA GROSSA RIVOLTA INTERNA
Il Gruppo Prada non opererà più in Russia, almeno per il momento e ha già fermato l’attività dei negozi nel Paese governato da Putin, dopo l’invasione dell’Ucraina.
Il Gruppo, con il cuore e le fabbriche nell’Aretino – terra di origine del patron Patrizio Bertelli – ha reso noto di aver sospeso le sue attività.
A Mosca sarebbero 8 in particolare gli store che riportano sulle vetrine il cartello ’temporanemanete chiuso’.
Stesso cartello anche a San Pietroburgo. Il marchio era presente anche in Ucraina, a Kiev. Prada si aggiunge così ai numerosi marchi dell’alta moda che hanno deciso di sospendere le attività di retail in questa parte del globo.
Tra chi ha deciso di abbassare la saracinesca delle sue 124 boutique russe ci sono anche Lvmh, colosso francese del lusso di François Pinault che vanta tra i brand di punta griffe come Gucci, Bottega Veneta e Balenciaga.
“La nostra preoccupazione principale è per tutti i colleghi e le loro famiglie colpiti dalla tragedia in Ucraina ai quali continueremo a garantire supporto”, spiega una nota del Gruppo
Il colosso del lusso a cui fanno capo anche i marchi Miu Miu, Church’s e Car shoe e che, proprio recentemente aveva annunciato di essere uscita dalla pandemia più forte di prima, pronta a investimenti anche nell’Aretino, spiega che “continuerà a monitorare gli sviluppi” del conflitto in corso.
Attraverso Camera Nazionale Moda Italiana i protagonisti del made in Italy si stanno muovendo con le loro donazioni per supportare l’emergenza.
Prada compresa che ha contribuito con una donazione, giovedì scorso, all’agenzia italiana delle Nazioni Unite per i Rifugiati Unhcr.
Il settore della moda è uno dei più colpiti dall’effetto della guerra: l’Italia infatti è tra i primi Paesi europei per l’esportazione in Russia: secondo Camera Moda, ogni anno l’Italia vende 1,2 miliardi di euro di capi di moda e beni di lusso. Il Gruppo opera nell’Aretino con 2300 dipendenti circa distribuiti nelle fabbriche valdarnesi di Levanella e Terranuova.
(da La Nazione)
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Marzo 15th, 2022 Riccardo Fucile
MANCANO INTELLIGENCE E ARMI
Sabato i russi hanno dichiarato di ritenere «obiettivi legittimi» i convogli di armi
occidentali che arrivano in Ucraina, ma la realtà del campo è un’altra: l’esercito di Vladimir Putin non ha per ora le armi né una rete sul campo per colpire in modo massiccio obiettivi in movimento con missili da crociera o balistici.
Per riuscire a distruggere – o quantomeno intralciare – queste spedizioni di materiale bellico, sostengono gli analisti, dovrebbero innanzitutto intensificare il lavoro di intelligence, e poi esporsi a maggiori rischi sul campo di battaglia. Intelligence e armi Per quanto riguarda l’intelligence, la rete dei servizi di Mosca si è dimostrata estremamente carente nel preparare l’offensiva, tanto che lo Zar ha fatto arrestare il capo del servizio estero dell’Fsb Sergej Beseda e il suo vice Anatolij Bolyukh, colpevoli di aver fornito un quadro inesatto della realtà ucraina: non erano solo dei funzionari, ma agivano in coordinamento con alcune figure chiave del Cremlino e sono ritenuti responsabili dello stallo militare.
È comunque probabile che i russi rilanceranno gli sforzi per identificare le rotte dei convogli, affidandosi magari a nuclei di sabotatori che agiscono dietro le linee nemiche. Quanto ai maggiori rischi, per intercettare i convogli occidentali lo Stato Maggiore russo dovrebbe inviare velivoli in spazi aerei contestati, con il pericolo che vengano abbattuti, oppure incursori in territori che non sono in loro controllo.
All’esercito russo resta, per ora, una sola alternativa: i missili, come quelli che domenica mattina hanno colpito la base di Yavoriv, a pochi chilometri dal confine polacco, un’installazione e quindi facilmente identificabile. In questo caso, però, devono essere pronti a sacrificare un buon numero di missili stand-off di cui sono già a corto e che almeno in parte non raggiungeranno l’obiettivo.
Le difese aeree ucraine hanno inoltre la capacità di intercettare i cruise russi, anche se questo non basta a creare uno scudo: di certo, dopo l’attacco a Yavoriv, l’esercito di Kiev e la Nato si adatteranno. Washington, infatti, sta valutando la possibilità di far arrivare agli ucraini batterie missilistiche anti-aeree da Paesi vicini e non solo i sistemi portatili. Tuttavia anche l’Armata di Putin si adegua e cambia.
Il vero rischio, nota Tyler Rogoway, direttore di The War Zone , è che l’esercito di Mosca colpisca fuori dai confini ucraini, dove vengono effettuate le consegne di armi che poi arrivano via terra – con camion, treni, vetture camuffate, ma anche normali automobili civili – alla resistenza ucraina: ad esempio la base aerea di Rzeszow Jasionka, in Polonia, dove atterrano i cargo, diventata il centro logistico di gran parte delle spedizioni occidentali.
Un attacco simile equivarrebbe a una dichiarazione di guerra all’intera Nato, e potrebbe anche avvenire per sbaglio. C’è anche il tema del riconoscimento preciso di un bersaglio. Come faranno a distinguere un furgone carico di viveri da quello con le munizioni? Serviranno segnalazioni precise da girare all’aviazione o a commandos. I margini di errore sono ampi, situazioni drammatiche che si riproducono in ogni conflitto, è sempre il più forte a dettare le regole di ingaggio.
Putin ignora i diritti umani. Il precedente I tentativi di ostacolare le filiere di rifornimento sono sempre complessi. Gli americani lanciarono ogni tipo d’azione per bloccare il sentiero di Ho Chi Minh, creato dal Nord Vietnam per assistere i vietcong: bombe, sensori e anche un metodo originale affidato ad alleati locali. Ad alcuni laotiani, che non conoscevano l’inglese, era stato fornito un piccolo apparato con tasti, ognuno contraddistinto da un disegnino che raffigurava un camion, soldati, animali, cannoni: la «vedetta» doveva limitarsi a premere il tasto quando avvistata i bersagli e da qui partiva un segnale per un ricognitore statunitense. Ma il «fiume» ha continuato a scorrere.
(da Corriere della Sera)
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Marzo 15th, 2022 Riccardo Fucile
LA REPORTER, 45 ANNI, LAVORAVA PER NTV DAL 2006: “PRIMA ME NE SONO ANDATA VIA DALLA RUSSIA POI MI SONO DIMESSA. TEMEVO CHE NON MI AVREBBERO LASCIATA PARTIRE”
La giornalista e conduttrice russa Lilia Gildeeva del canale televisivo Ntv, filo-Cremlino, si è dimessa.
Lo riporta Ria Novosti, citando l’ufficio stampa della tv, che non ha dato motivazioni ufficiali sulla decisione. La reporter, 45 anni, lavorava per Ntv dal 2006.
“Prima me ne sono andata via” dalla Russia, “temevo che non mi avrebbero lasciata partire. Poi mi sono dimessa”, ha detto Gildeeva in un’intervista al blogger Ilya Varlamov, citata sul canale Telegram di quest’ultimo
(da agenzie)
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Marzo 15th, 2022 Riccardo Fucile
“SONO STATA INTERROGATA PER 14 ORE DALLA POLIZIA“
La giornalista che aveva interrotto il tg russo mostrando un cartello contro la guerra,
Marina Ovsyannikova, è stata rilasciata dopo la condanna a pagare una multa di 30mila rubli – circa 250 euro – per “organizzazione di un evento pubblico non autorizzato”.
Adesso, Ovsyannikova è apparsa pubblicamente e ai giornalisti ha rilasciato alcune dichiarazioni, promettendo di fornire ulteriori dettagli domani. “Non ho dormito per due giorni, sono stata interrogata per 14 ore dalla polizia”, ha detto, ringraziando per il supporto quanti si erano spesi per lei
La condanna nei suoi confronti non era per il suo gesto di irrompere nello studio televisivo, ma per il suo appello social registrato in precedenza nel quale invitava i cittadini a scendere in piazza e protestare
“Quello che sta accadendo in Ucraina è un crimine. E la Russia è l’aggressore qui. E la responsabilità di questa aggressione ricade sulla coscienza di un solo uomo: Vladimir Putin. Mio padre è ucraino. Mia madre è russa. E non sono mai stati nemici. E questa collana che indosso è un simbolo del fatto che la Russia deve porre fine immediatamente a questa guerra fratricida. E i nostri popoli fraterni potranno ancora fare la pace. Sfortunatamente, ho passato molti degli ultimi anni lavorando per Channel One, facendo propaganda al Cremlino, e me ne vergogno profondamente. Mi vergogno di aver permesso che le bugie provenissero dallo schermo della TV. Mi vergogno di aver permesso la zombificazione del popolo russo. Siamo rimasti in silenzio nel 2014 quando tutto questo era appena iniziato. Non abbiamo protestato quando il Cremlino ha avvelenato Navalny. Abbiamo semplicemente osservato in silenzio questo regime antiumano all’opera. E ora il mondo intero ci ha voltato le spalle. E le prossime 10 generazioni non laveranno via la macchia di questa guerra fratricida. Noi russi siamo persone intelligenti e intelligenti. È solo in nostro potere fermare tutta questa follia. Vai a protestare. Non aver paura di niente. Non possono rinchiuderci tutti“
(da agenzie)
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