PUTIN PARANOICO COME STALIN? LO PSICHIATRA MASSIMO AMMANITI ANALIZZA “MAD VLAD”
LA LEZIONE APPRESA NELL’ADOLESCENZA DA RAGAZZO DI STRADA («BISOGNA COLPIRE PER PRIMO») È LA STESSA CHE SEGUE ANCORA OGGI NELLA SUA GUERRA SCIAGURATA IN UCRAINA. MA AL DI LÀ DELLA SUA ARROGANZA, SI COGLIE IN LUI UNA PAURA PROFONDA
Nel grande salone dell’Ordine di Santa Caterina nel Cremlino, progettato e realizzato dagli Zar per celebrare le glorie dell’Impero Russo, Vladimir Putin ha riunito i capi della sicurezza per riconoscere le nuove Repubbliche ucraine. Il fatto risale a qualche settimana fa ed è illustrativo del carattere e del modo di avere rapporti con i collaboratori del leader russo.
È uno scenario agghiacciante: nel grande salone tondo, completamente bianco, ornato di grandi colonne, Putin è seduto al centro e intorno a fargli da corona ci sono i suoi sottoposti seduti, ognuno distante dall’altro (l’immagine è irreale, potrebbe quasi ricordare le scene del film muto di Fritz Lang «Metropolis», in cui si rappresentava un mondo assoggettato a una dittatura del futuro che si sarebbe imposta nell’anno 2026, non molto lontano dall’oggi).
Come abbiamo visto i funzionari della sicurezza cercavano di assecondare il monarca, come poi è avvenuto al capo dei servizi segreti Sergei Naryshkin che si dibatteva imbarazzato per cercare di non contraddire quello che il padrone intendeva rivolgendogli degli sguardi tra l’imperativo e l’ironico.
A un certo punto Putin si è rivolto a loro con una domanda che non richiedeva risposte: «Ci sono punti di vista diversi?».
Colpisce in questo scenario la glacialità dell’incontro, che vorrebbe trasmettere agli spettatori russi che hanno seguito in televisione le fasi dell’incontro il senso autocratico di Putin, che domina incontrastato la Grande Madre Russia assoggettata al suo potere.
È un’immagine potente e grandiosa che ai miei occhi di psichiatra rievoca quello che scrisse parecchi decenni fa il sociologo americano Norman Cameron sulle pseudo comunità paranoidi, vengono immaginate e costruite nella mente di quanti sono affetti dalla paranoia. Sono mondi mentali abitati dai persecutori che devono essere assoggettati e annichiliti per non rappresentare più una minaccia. Più che stretti collaboratori, i capi dei servizi di sicurezza sembrano piuttosto dei «competitor» pericolosi che devono essere annullati per non contrastare il potere del monarca.
Non è la prima volta che accade nel mondo russo. Più volte si è parlato della paranoia di Stalin, addirittura diagnosticata nel 1927 dal grande neurologo di Pietroburgo Vladimir Bechterev che l’aveva visitato al Cremlino e che poi pagò con la sua vita quella che fu la sua ultima diagnosi.
Non credo che Putin sia mai stato visitato da uno psichiatra, ma colpisce ad esempio il suo atteggiamento freddo e distante nell’intervista rilasciata al regista americano Oliver Stone, anche quando risponde alla domanda che gli viene fatta sulla sua adolescenza, quando era un ragazzo di strada in un quartiere degradato. Lì aveva forgiato il suo carattere calloso e privo di emozioni che viene descritto nei trattati di psichiatria, apprendendo nelle lotte quotidiane le strategie di una cultura antisociale e violenta.
Più volte si è espresso con queste parole: «Bisogna colpire per primo», per evitare di dover subire le aggressioni degli altri che ai suoi occhi sono sempre nemici. Sicuramente nelle strade di Leningrado aveva imparato ben presto a diffidare dei compagni di strada, sempre pronti a tradirti per un pezzo di pane in più.
È la stessa strategia che Putin segue ancora oggi nella sua guerra sciagurata in Ucraina: colpire i paesi dell’Occidente prima che possano reagire. Ma al di là della sua arroganza, si coglie in lui una paura profonda e un dubbio che lo tormenta: «Non so se sia vero ma basandomi sul semplice sospetto agirò come se fosse sicuro», parole che Otello continua a ripetere a sé stesso nella tragedia di Shakespeare.
(da Il Corriere della Sera)
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