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IL CASO POZZOLO AGITA I FRATELLI D’ITALIA: “NON SPARIAMOCI SUI PIEDI”

Gennaio 5th, 2024 Riccardo Fucile

IN PIEMONTE TEMONO RIPERCUSSIONI SUL VOTO REGIONALE… DIVISIONI A VERCELLI, LA GENERAZIONE ATREJU IN DIFFICOLTA’ E L’ALLARME LISTE

Quando un Fratello con la sfiga incontra un Fratello con la pistola, quello con la sfiga se non morto è certamente un Fratello parecchio acciaccato. Se Andrea Delmastro, il sottosegretario alla Giustizia che tra inciampi e sortite a dir poco infelici sembra muoversi col corvo sulla spalla e un buco nel cappello, potesse riscrivere la scena che ha trasformato la paciosa proloco di Rosazza in un saloon, quel Fratello con la pistola lo sostituirebbe con un più tranquillo pianista.
Invece Emanuele Pozzolo, il peone che negli sfoghi dei meloniani fa scattare la rima con la qualifica guadagnata con lo sparo, dalla notte di Capodanno sta lì sulla spalla di Delmastro al posto del corvo. A scrollarselo di dosso un po’ ci ha provato, ma oltre ad essere tardi è pure dura visto che al netto del ricercato distacco, quello tra Pozzolo e Delmastro è più di un rapporto tra politici dello stesso partito e di territori confinanti.
Non servono riti esoterici evocati da mosaici e sculture nel borgo di Rosazza per svelare gli arcana imperii di provincia che hanno portato Pozzolo in Parlamento e lasciato più di un aspirante deputato del partito di Giorgia Meloni con l’amaro in bocca.
Quando si trattò di spendersi per l’ex leghista, cacciato anni addietro dal partito nelle mani del compianto sindaco-sceriffo di Borgosesia Gianluca Bonanno, uno che se ne capiva di pistole e non meno di “pistola” (alla lombarda), Delmastro non lesinò generosità.
C’è chi non glielo ha mai perdonato e oggi, mentre il sottosegretario sembra perdere rapidamente peso nel Vercellese conservando la sua ridotta biellese, saltano fuori vecchie ruggini e non digerite messe all’angolo quando passava quel treno per Roma con tanti posti facili.
È passato ancora troppo poco tempo per far scordare a Carlo Riva Vercellotti, già presidente forzista della Provincia di Vercelli poi approdato in consiglio regionale e nelle fila di FdI, quella scelta a favore del futuro pistolero che gli segò le gambe pronte a marciare verso Montecitorio.
Ora è molto vicino a Delmastro, al quale una parte del partito vercellese imputa una scarsa difesa o un rapido scaricamento di Pozzolo, ma tra l’ex azzurro e il sottosegretario con indiscusso rapporto diretto con la premier raccontano ci siano stati in passato momenti di frizione, fors’anche per il ruolo di pigmalione politico che entrambi non hanno mai nascosto verso la sorella Elena Chiorino, assessore regionale e figura femminile in ascesa nel partito piemontese.
Un po’ guida, un po’ maestro di colui che si sarebbe dimostrato non proprio allievo modello, Delmastro ora, anzi dallo sparo, con Pozzolo ha troncato ogni rapporto, senza attendere la sospensione annunciata ieri da Giorgia Meloni. Una presa di posizione, più che comprensibile, ma che tale non risulta per tutti i Fratelli vicini al “pistola”.
E così se c’è chi non condivide quel rapido abbandono, come “il federale” di Vercelli Alberto Cortopassi o il sindaco di Trino, Daniele Pane, altri si pongono su posizioni meno tranchant com’è il caso del presidente della Provincia di Vercelli Davide Gilardino, altro segato alle politiche da Pozzolo e figura di quell’ala moderata del partito che, allargando il campo all’intera regione, guarda con naturale irritazione all’ambaradan combinato da Pozzolo, ma pure non scorda scelte che forse si sarebbero potute fare in maniera diversa.
Uno è arrivato al veglione con il revolver mignon, ma i coltelli tra i Fratelli girano non da ieri.
Quella manfrina che aveva in parte illuso un altro ex leghista come il già parlamentare Paolo Tiramani, poi conclusasi con la candidatura di Pozzolo non è che avesse trovato in questo esito, benedetto da Delmastro, tutti contenti nella famiglia meloniana. Non certo entusiasta del futuro uomo con la pistola a Montecitorio, uno che di armi se ne intende come il ministro della Difesa Guido Crosetto e altri di quella parte di FdI non erede del Msi, cui appartiene lo stesso segretario regionale Fabrizio Comba.
Ma pure nella stessa generazione Atreju, quella da cui proviene Delmastro, ci sono differenze che, di fronte a quanto successo a Rosazza e a ciò che ne è seguito a partire dalla bizzarra invocazione da parte di Pozzolo dell’immunità parlamentare per non consegnare i vestiti, emergono piuttosto visibilmente.
Compagni di partito sì, stesso percorso nel segno degli Hobbit ma certo non delmastriani l’assessore regionale Maurizio Marrone, così come la deputata Augusta Montaruli che dopo essersi dimessa da sottosegretaria per la condanna relativi ad alcuni acquisti con fondi della Regione, si sarebbe prestata di buon grado a comprare i regali dei colleghi per la premier, recapitati poi in via della Scrofa.
E proprio quest’ala del partito che in Piemonte (e non solo) ha Crosetto come figura di riferimento è quella che pare vivere con maggiore fastidio la vicenda del deputato pistola. Fastidio e preoccupazione, confermata dalle dure parole pronunciate ieri dalla stessa Meloni, anche in vista delle prossime elezioni. Specie, in Piemonte, quelle regionali. Di cartucce i Fratelli, forti dei numeri pronti a tramutarsi in seggi, ne hanno parecchie. Il rischio di spararsi nei piedi, quello, è ancora più alto e temuto dopo aver scoperto che se incontri un Fratello con la pistola non puoi che dire, come diceva il Biondo ne Il buono, il brutto e il cattivo, “No, Dio non è con noi, perché anche lui odia gli stupidi”.
(da Lo Spiffero)

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CASO POZZOLO: DALLA BBC A EL PAIS, DA LE FIGARO A DE TELEGRAAF. TUTTA LA STAMPA ESTERA IRONIZZA SUL DEPUTATO DELLA MELONI CHE SI APPELLA ALL’IMMUNITA’ PARLAMENTARE

Gennaio 5th, 2024 Riccardo Fucile

UNA PERSONA SEDICENTE DI DESTRA, NO VAX E SESSISTA CHE SI RIFUGIA DIETRO L’IMMUNITA’ PARLAMENTARE E’ UN INSULTO ALLA STORIA DI TANTI MILITANTI CHE HANNO PAGATO DI PERSONA LA PROPRIA COERENZA

La notizia dello sparo dalla pistola del deputato Emanuele Pozzolo tiene banco non solo in Italia. Dalla BBC a El País, da Le Figaro al De Telegraaf, tutta la stampa estera racconta dello sparo del “deputato di Meloni”. . E non senza imbarazzi.
Se El País, storico quotidiano spagnolo, parla di “primo scandalo politico dell’anno per Giorgia Meloni”, i vari quotidiani europei raccontano anche le posizioni no-vax del deputato, ex membro della Lega di Salvini prima di entrare in Fratelli d’Italia.
Il colpo di pistola della notte di Capodanno fa quindi il giro dell’Europa, tra cronaca, polemiche e talvolta anche ironia. Non mancano i meme, anche critici – virale sui social quelli su Netanyahu, guerra in Ucraina e l’uso delle armi – ma anche notizie approfondite e polemiche sul sistema politico italiano: El Periodico, ad esempio, si sofferma sulla autorizzazione da parte di Pozzolo a eseguire il test della polvere da sparo seguito dal diniego a consegnare i vestiti, “forte dell’immunità di cui godono i parlamentari in Italia”.
Sui social si parla già di “pessima figura mondiale“, e intanto tabloid, siti e quotidiani internazionali titolano tutti sul “deputato di Meloni”, riportando la forte reazione dell’opposizione, ma anche il passato del deputato – e le sue uscite sessiste e pro-gun – e la mancata reazione di Meloni. E ancora su El País viene riportata l’espressione ironica del Movimento 5 Stelle, “legislatore pistolero“. Intanto, dopo giorni, il cognome del deputato resta un trend italiano su X/Twitter.
(da Il Fatto Quotidiano)

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PUÒ UNA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SOSTENERE PUBBLICAMENTE DI ESSERE OGGETTO DI RICATTI E TENTATIVI DI DESTITUZIONE SENZA ACCOMPAGNARE LA DENUNCIA CON NOMI, FATTI E CIRCOSTANZE?

Gennaio 5th, 2024 Riccardo Fucile

LA CAPA DEL GOVERNO DI UN PAESE DEL G7 SI DICE TESTIMONE DI TRAME OSCURE MA NE TACE IL CONTENUTO. UNA SCELTA IMBARAZZANTE: SE COMPLOTTI E RICATTI NON CI SONO, LA MENZOGNA DI MELONI È MOLTO GRAVE. SE CI SONO E NON SPIEGA CHI, COME E PERCHÉ, È IRRESPONSABILE IL SUO SILENZIO. LA POSA VITTIMISTA È LA CIFRA NATURALE DELLA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

Può una presidente del Consiglio sostenere pubblicamente di essereoggetto di ricatti e tentativi di destituzione senza accompagnare la denuncia con nomi, fatti e circostanze? Non può, secondo la più elementare logica e grammatica politica. Può, invece, se la presidente del Consiglio si chiama Giorgia Meloni.
Non è la prima volta che Meloni evoca scenari di complotto ai danni del suo governo, ma in altre occasioni ha lanciato l’accusa senza essere incalzata in tempo reale su una tale enormità. Stavolta, a domanda di Repubblica sull’obbligo di dare concretezza agli spettri che ha di nuovo evocato durante la conferenza stampa di fine anno, ha rivendicato l’omertà: non fatemi dire di più, ha tagliato corto, come davanti a un amico che le chiedesse un segreto personale o un pettegolezzo.
La capa del governo di un Paese del G7 si dice testimone di trame oscure ma ne tace il contenuto. Una scelta imbarazzante anche per ragioni logiche: se complotti e ricatti non ci sono, la menzogna di Meloni è molto grave. Se ci sono e non spiega chi, come e perché, è irresponsabile il suo silenzio.
Non si può nemmeno escludere che Meloni, anche se la persecuzione non c’è, sia sinceramente convinta di essere minacciata da nemici appostati nell’ombra. Si è formata in una comunità politica autoconvintasi di essere ghettizzata per il coraggio delle proprie idee anziché per la sciagurata scelta di porsi in continuità con il ventennio fascista.
La posa vittimista è la cifra naturale della presidente del Consiglio e della famiglia politica che l’ha allevata: non a caso ha impiegato parte consistente della conferenza stampa a descrivere una destra discriminata, anche ora che tutto decide e dispone, e lei stessa conculcata dalle prepotenze della «sinistra», citata così, senza riferimenti partitici, come un’entità, un blob di potere che ingloba e, se non può, aggredisce.
Meloni ha bisogno di simulare lo scontro tra lei e questo mostro per continuare a ergersi nella retorica della lotta al sistema («In questa nazione c’è chi è abituato a dare le carte») e nel sedicente eroismo della resistenza al pensiero unico. Fuori da questo schema, resta solo da governare, l’attività nella quale la presidente del Consiglio e i suoi ministri sono più in difficoltà.
La tendenza al complottismo è connessa a questa educazione sentimentale: in passato Meloni è stata capace di citare il piano Kalergi, fantomatico disegno delle élite cosmopolite per sostituire la razza bianca, cristiana ed europea, con l’immigrazione di massa islamica. L’incubo del meticciato, uno dei cavalli di battaglia dell’ultradestra identitaria.
Resterebbe da capire, ma servirebbe un’altra iniezione di logica mancante, come sia possibile conciliare questa visione, ovvero una sinistra che muove leve occulte per tornare al vecchio regime, con l’identikit di alcuni dei soggetti che nei mesi scorsi Meloni ha chiaramente considerato attentatori del suo potere.
Come Silvio Berlusconi – al Cavaliere era rivolta la frase «non sono ricattabile» che ieri la presidente del Consiglio è tornata a pronunciare – oppure Mediaset, cui nell’annuncio di separazione da Andrea Giambruno attribuì pur senza citarla una strategia contro la sua persona («Se qualcuno pensa di colpirmi nel privato, ha sbagliato i conti») o anche Matteo Salvini, forse effettivamente l’unico che non abbia mai perso di vista l’obiettivo di indebolire Meloni, ma al quale è difficile attribuire l’etichetta di complottardo rosso o di agente della plutocrazia europeista.
l resto degli avversari spunta dal mischione di totem e tabù ereditati dalle fumisterie ideologiche di Colle Oppio, la sinistra e i sindacati, la Corte costituzionale e la magistratura, i capitalisti «ben introdotti» e le lobby affaristiche, entrambi sempre ricondotti al progressismo, secondo la tipica logica da populismo
A livello sovranazionale ci sono invece il bau bau Mario Draghi, e il finanziere ebreo George Soros, che in passato Meloni ha più volte attaccato pubblicamente, Meloni, che ai tempi della militanza nella corrente missina dei Gabbiani aveva per soprannome Calimera accusa l’opposizione di praticare un doppio standard. Però non perde occasione di dimostrarsi campionessa nell’uso dei due pesi e due misure.
Il picco lo ha toccato con la risposta di ieri sul caso Degni: parlando del magistrato della Corte dei conti, nei guai perché sui social si è espresso inopportunamente contro il governo, Meloni chiede alla sinistra se sia giusto che persone nominate in ruoli super partes si comportino da militanti politici, proprio lei che ha insediato alla seconda carica dello Stato Ignazio La Russa, il quale dal primo giorno di mandato ha rivendicato il diritto di partecipare alla vita di partito, il suo, e di intervenire nel dibattito pubblico
(da La Repubblica)

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VITTORIO SGARBI E LA STORIA DEL QUADRO DI MANETTI RUBATO: “C’E’ UNA FOTO CHE LO INCASTRA”

Gennaio 5th, 2024 Riccardo Fucile

IL FATTO: “UNO SCATTO AD ALTA RISOLUZIONE PREVEREBBE CHE SI TRATTA DELLO STESSO”

Nella storia del quadro di Rutilio Manetti rubato irrompe una foto in HD. Che, secondo il Fatto Quotidiano, inchioderebbe Vittorio Sgarbi. E dimostrerebbe che quella di sua proprietà e chiamata La cattura di San Pietro è proprio la tela rubata nel 2013 dal castello di Buriasco in Piemonte.
Il confronto tra la scansione utilizzata per la riproduzione dell’opera e le foto del restauratore a cui lo stesso Sgarbi affidò il quadro indica «con ragionevole certezza» che si tratta della stessa. Anche se la prova regina rimane il frammento rinvenuto sul luogo del furto che combacia perfettamente con la versione del quadro esposta a Lucca. Domenica sera anche Report tornerà sulla vicenda.
Stalking
Thomas Mackinson, autore dell’articolo, fa anche sapere di aver chiesto conto al sottosegretario alla Cultura del governo Meloni delle somiglianze, ma lui ha risposto che il quadro l’ha venduto e ha chiamato la polizia per accusare i giornalisti di stalking. Samuele e Cristian De Petri sono i titolari di G-Lab e Sgarbi è un loro cliente. Il primo test della collaborazione è stato proprio il quadro di Manetti. «Per noi erano dipinti qualsiasi, solo quando ho visto la foto del dipinto sul vostro giornale ho realizzato di cosa si trattava davvero, e mi sono venuti i brividi: mai avrei immaginato d’avere tenuto per mesi, qui, un quadro che si sospetta rubato», dice De Petri. Che precisa: la candela già c’era. Sgarbi ha pagato 6.100 euro per il lavoro dei due. «Un prezzo di costo, perché una prova doveva essere, non un articolo da esporre o vendere»
La scansione
Sia la copia che l’originale finiscono a Ro Ferrarese, sede della Fondazione Cavallini Sgarbi. Ma in azienda rimane il file della scansione 3D con risoluzione a 1600 Dpi, che pesa 52 gigabyte ed è «l’impronta digitale» dell’opera. L’analisi dello scatto fa emergere la cosiddetta cracchettatura, ovvero la rete di fratture sottili della vernice antica che nessun copista saprebbe riprodurre. Attorno alla candela invece ci sono parti bianche chiare. Che dimostrerebbero che quella pittura è recente. La prova più importante però è il brandello di tela trovato a Buriasco nella cornice del furto. È stato acquisito dal Nucleo Tutela dei Carabinieri di Roma il 20 dicembre scorso. E può collegare la copia al quadro. L’immagine, spiega il quotidiano, si incastra a pennello in un’area in cui c’è un rattoppo. Il vuoto corrisponde perfettamente al frammento.
(da Open)

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POZZOLO, LA SERATA DI CAPODANNO ORA PER ORA

Gennaio 5th, 2024 Riccardo Fucile

«LO SPARO DA UN METRO IN UNA FESTA TRA FAMIGLIE, CON I BIMBI CHE CORREVANO»

Tutti quelli sentiti a verbale finora hanno concordato l’identica ricostruzione: la pistola era nelle mani di Pozzolo e non è mai caduta sul pavimento. Ma cosa è successo la notte di Capodanno nell’ex asilo di Rosazza? Il nastro va riavvolto alle prime ore della serata.
Stando alla ricostruzione tutto avviene in piedi, accanto a uno dei tavoli. Pozzolo viene visto «maneggiare» la pistola. Lui dirà invece che l’arma gli è caduta. È il punto fondamentale dell’indagine. Tutti i testimoni finora lo hanno smentito. Il sospetto della procura è che il deputato abbia estratto la piccola arma dalla tasca per mostrarla a qualcuno e che in quel momento, accidentale, sia partito il colpo. Per accertare l’esatta dinamica la procura potrebbe comunque chiedere nei prossimi giorni una perizia balistica.
Accanto a Pozzolo c’è un gruppetto di persone, anche loro in piedi. Campana è lì, più o meno a un metro di distanza: non conosce Pozzolo, non sa neppure che sia un deputato. Non c’è invece Delmastro (vicino all’auto per lasciare gli avanzi di cibo), né la sorella Francesca tornata a casa per badare al cane. Tutti sentono lo sparo, compresi i figli del 31enne che sono nell’altro salone.
Campana sente un bruciore alla coscia sinistra. Si allontana di pochi passi, entra nella dispensa, vede la ferita, il sangue e ha un malore. Parte la chiamata al 112. Qualcuno urla, i bambini ancora presenti vengono scortati nel salone dei giochi dove i più grandi li intrattengono nella speranza che non si accorgano di nulla. Poi l’ambulanza e la corsa all’ospedale di Ponderano, 20 chilometri più a valle. L’operazione per estrarre il proiettile dura un quarto d’ora. Nel frattempo i carabinieri di Androno Micca iniziano a sentire i testimoni e sequestrano la pistola al deputato. Sono le prime ore del 2024, l’inizio del Pozzolo-gate.
«Il cane non si arma da solo»
La Stampa parla anche con l’avvocato Sandro Evangelisti, perito balistico del tribunale di Macerata e di varie procure. «Impossibile che un revolver si armi da solo o cadendo a terra. Se però il cane è già armato, il colpo può partire nell’impatto con il pavimento. Ma qualcuno deve aver armato il cane. E per armare un revolver occorre un gesto volontario. Se prendessimo un’arma per simulare il movimento che alza il cane dovremmo esercitare una trazione sullo spigolo di un mobile molto decisa ed energica. Ma stiamo parlando di un gesto assolutamente volontario e preciso», spiega. E ancora: «Per esplodere un colpo il cane della pistola deve essere armato. Quindi, se qualcuno ha sparato per errore, vuol dire che il cane era alzato. E il cane non si arma da solo».
(da il Corriere della Sera)

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“QUELLA PISTOLA NON È CADUTA A TERRA: EMANUELE POZZOLO LA TENEVA IN MANO”: TUTTI I TESTIMONI, SENTITI DALLA PROCURA DI BIELLA, SBUGIARDANO IL DEPUTATO PISTOLERO DI FRATELLI D’ITALIA

Gennaio 5th, 2024 Riccardo Fucile

POZZOLO AVEVA DETTO CHE L’ARMA GLI ERA SCIVOLATA DALLA TASCA E CHE UN GRUPPO DI PERSONE SI ERA CHINATO A RACCOGLIERLA … NELLA SALA DELLA FESTA C’ERANO BAMBINI CHE CORREVANO: LA POSIZIONE DI POZZOLO POTREBBE AGGRAVARSI

Tutti i testimoni sentititi finora dalla procura non hanno dubbi: «Quella pistola non è mai caduta a terra: era nelle mani di Emanuele Pozzolo». Bambini e adolescenti erano quasi tutti nella sala accanto a giocare con i gonfiabili quando il colpo partito dal mini-revolver North american arms provo ut, calibro 22, ha ferito il genero trentunenne del caposcorta del sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro.
Ma almeno un bimbo di quattro anni era in quella sala, «era crollato dal sonno in braccio al suo papà», racconta un testimone. Se la conferma dovesse arrivare dagli accertamenti dei carabinieri rischierebbe di aggravarsi la posizione dell’unico indagato nell’inchiesta della procura diretta Teresa Angela Camelio.
«Si è sentito il botto, sembrava quasi un mortaretto». Nessuno ha dubbi sul fatto che quella «piccola pistola» fosse nelle mani di Pozzolo. Si ipotizza che il deputato l’abbia tirata fuori per mostrarla a qualcuno. E mentre la maneggiava, «accidentalmente», sia partito il colpo. Anche il ferito, Luca Campana, che ieri ha denunciato Pozzolo per lesioni, ha assicurato: «Sicuramente il colpo è partito per errore, ma quella pistola non è mai caduta a terra».
È un punto fondamentale su cui si concentra l’inchiesta aperta dai magistrati per lesioni colpose, accensioni ed esplosioni pericolose e omessa custodia dell’arma. Perché è vero che Pozzolo non è ancora stato interrogato, ma nelle dichiarazioni spontanee davanti ai carabinieri quella notte ha assicurato di non aver mai tirato fuori il revolver, che aveva sempre con sé da un paio di settimane, dal 12 dicembre, quando la prefettura di Biella gli ha rilasciato il porto d’armi «per difesa personale». Ai militari ha detto che l’arma è scivolata dalla sua tasca e un gruppetto di persone incuriosite si sono chinate a raccoglierla: così sarebbe partito per sbaglio lo sparo.
Oltre al ferito, sono in tutto sei i testimoni già sentiti da carabinieri e pm. Tra loro c’è la compagna della vittima e la sindaca di Rosazza, Francesca Delmastro, sorella del sottosegretario, che ha ribadito: «Non ero presente al momento dello sparo, ero già tornata a casa».
Tre in tutto i testimoni sentititi ieri in procura. L’ultimo è stato il caposcorta di Delmastro, Pablito Morello, ex sindacalista della Penitenziaria. «Sono un poliziotto, parlo solo con i magistrati», ha dichiarato all’uscita dal palazzo di giustizia, dopo un colloquio durato un paio d’ore. Oltre a lui, al veglione ha partecipato almeno un altro componente della scorta con la famiglia.
Nella sala della festa non c’erano telecamere: per questo ogni testimonianza e dettaglio è fondamentale per gli inquirenti che hanno già inviato al Ris di Parma la matrice dello “stub”, per rilevare le tracce di polvere da sparo sulle mani e gli abiti che Pozzolo si è rifiutato di consegnare. La procura non ha ancora convocato il sottosegretario Delmastro, forse lo farà nei prossimi giorni. Sin dall’inizio ha dichiarato che al momento dello sparo era vicino all’auto, giù per i gradini, nei parcheggi sotto l’ex asilo. Non ha visto, non ha sentito. Ma al suo entourage ha fatto sapere che, nel caso, è pronto e disponibile a rendere la sua testimonianza.
( da La Stampa)

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IL PARTITO ARMATO CON IL CULTO DELLE ARMI

Gennaio 5th, 2024 Riccardo Fucile

POZZOLO CHIEDA LE ATTENUANTI AMBIENTALI: E’ VITTIMA DELLA VOCAZIONE PISTOLERA DELL’AMBIENTE POLITICO CHE FREQUENTA

Per il povero Pozzolo chiedo le attenuanti ambientali. Si è fatto le ossa in un milieu politico nel quale le armi da fuoco sono considerate materiale nobile, orpelli da ostentare.
Da anni il web pullula di leghisti amici della doppietta (è senza dubbio la Lega, in Italia, il partito armato per eccellenza), poi saliti sul carro meloniano per il tracollo elettorale di Salvini. Pozzolo tra questi.
La cronaca (anche nera) è ricca di episodi che confermano la vocazione armigera della destra, in un Paese, il nostro, che tra tanti difetti non ha, o almeno non aveva, quello di venerare le armi da fuoco.
Gli italiani, a parte l’ignobile parentesi del terrorismo nero e rosso, non hanno mai avuto gran dimestichezza con le armi, con l’eccezione legale di un paio di minoranze organizzate, i cacciatori e i tiratori sportivi, che almeno possono accampare un pretesto “tecnico”. Il resto della popolazione era abituata a considerare fucili e pistole come dotazione delle forze dell’ordine e dell’esercito.
Poi l’idea della giustizia privata, come nell’Arizona dell’Ottocento, è diventata un ritornello della Lega, a partire dalle “trecentomila doppiette” di Bossi.
Non c’è giustiziere privato che il Salvini non abbia difeso ed elogiato (morte ai ladri!). Il mitico sindaco Gentilini disse (spiritosamente, eh…) che agli immigrati si deve sparare come ai leprotti; e lungo quella scia si sono espressi in parecchi, guadagnandosi la riconoscenza eterna della lobby delle armi.
E dunque, il povero Pozzolo, che cosa poteva saperne, che le pistole non sono cose da maneggiare come i datteri e le noci, a Capodanno? Sospenderlo dal partito, e perché mai, visto che il culto delle armi da fuoco è al governo?
(da La Repubblica)

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UCRAINA, LA STORIA DI GALINA E MYKOLA, CATTURATI NELLA BATTAGLIA DI AZOVSTAL: SI RITROVANO DOPO 20 MESI DI PRIGIONIA RUSSA E SI SPOSANO

Gennaio 5th, 2024 Riccardo Fucile

QUANDO L’AMORE PUO’ SOPRAVVIVERE A PROVE CHE POSSONO SPEZZARE ANCHE I PIU’ FORTI

Galina Fedyshyn, medico ucraino combattente della Brigata dei Marines liberata dalla prigionia russa lo scorso 3 gennaio, ha annunciato il proprio matrimonio con il commilitone Mykola Hrytsenyak.
Lo ha rivelato sui propri canali social Serhiy Volynsky, comandante della 36ª Brigata della Marina. Secondo Volyn, la coppia ha combattuto insieme nelle battaglie per Mariupol, sopravvivendo al calvario della prigionia e a una lunga separazione. «Questo amore è sopravvissuto a prove che possono spezzare i più forti. Una coppia di marines ucraini ha dimostrato che i veri sentimenti non conoscono barriere, anche quando è “l’inferno sulla terra’”», ha scritto il comandante. Volyna ha aggiunto che Galina Fedyshyn è stata l’ultima donna marine a essere tenuta prigioniera dal nemico russo.
Secondo Army.Inform, Galina è originaria della regione di Ivano-Frankivsk e proviene da una famiglia numerosa: i suoi genitori hanno cresciuto cinque figli e quattro figlie. La ragazza ha firmato un contratto con le Forze armate dell’Ucraina nel 2016. Prima di allora, aveva lavorato come infermiera in un ospedale civile per un anno. Nell’ottobre 2016, Galina si era recata nell’Oblast di Luhansk come parte di un team medico e infermieristico dell’Ospedale mobile di Vinnytsia. Lì ha partecipato all’evacuazione di soldati feriti verso una struttura medica e ha prestato primo soccorso. In seguito, Galina si è unita ai ranghi della Brigata Marina Separata del contrammiraglio Mykhailo Bilynskyi, dove ha continuato a salvare vite di soldati ucraini come medico di combattimento.
Nelle trincee sulla linea di demarcazione nell’Oblast’ di Donetsk, Galina ha trovato l’amore: il marine Mykola Hrytseniak. Con l’invasione russa e sotto la pressione del nemico, la loro unità si è ritirata dalle posizioni vicino a Mariupol verso il territorio delle acciaierie Ilyich e poi verso Azovstal. Durante i combattimenti, la ragazza è più volte rimasta ferita. Nel maggio 2022, insieme a Mykola e ad altri colleghi, è stata fatta prigioniera ad Azovstal. Nel periodo dietro le sbarre la coppia non ha avuto contatti di alcun tipo e notizie del partner. Dopo 20 mesi di separazione, Mykola è tornato dalla prigionia e solo allora ha potuto scoprire che Galina era viva, così al loro primo incontro le ha chiesto di sposarlo. Il commovente video ha fatto velocemente il giro del web.
(da La Stampa)

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LA GRANDE EVASIONE ITALIANA: ECCO LA MAPPA DEI CONTI NASCOSTI ALL’ESTERO

Gennaio 5th, 2024 Riccardo Fucile

200 MILIARDI DI EURO IL VALORE

Il valore della ricchezza detenuta all’estero dai possessori dei grandi patrimoni italiani, secondo l’indagine “Global Tax Evasion Report 2024” di EuTax Observatory (un gruppo di ricerca della Paris School of Economics guidato dall’economista Gabriel Zucman), ammonta a quasi 200 miliardi di euro.
Si tratta, per la precisione, di 196,5 miliardi di euro, in gran parte leciti ma per una buona fetta non dichiarati al Fisco. Soldi che potrebbero essere affidati agli istituti finanziari del nostro Paese per essere magari investiti nelle nostre città ma che per varie ragioni sono stati trasferiti oltreconfine dai loro proprietari.
196,5 miliardi di euro di cui 181 miliardi sono depositati nei conti correnti delle banche offshore oppure in altre attività finanziarie come azioni, obbligazioni, fondi di investimento, polizze vita.
Geograficamente parlando, di questi 181 miliardi “censiti” di ricchezza finanziaria italiana offshore, il 45,5%, ovvero 82,6 miliardi, è depositato in Svizzera, una quota del 33,8%, pari ad altri 61,5 miliardi, si trova nelle aree fiscali protette all’interno dell’Unione Europea, il 14,6% (pari a 26,6 miliardi) nelle giurisdizioni asiatiche e 11 miliardi, il 6% del totale, nelle aree offshore del continente americano.
Una somma stimata in 15,5 miliardi di euro è stata invece impiegata per l’investimento in beni immobili in Costa Azzurra (7,3 miliardi), nelle grandi capitali europee come Parigi (3,7 miliardi) e Londra (2,7 miliardi), ma anche in altre aree come Dubai (920 milioni) e Singapore (140 milioni).
Mancano invece dati attendibili sulle somme impiegate all’estero per l’acquisto di beni rifugio o di altissima gamma come opere d’arte, oro, gioielli, auto di lusso e d’epoca, vini pregiati, yacht e jet privati. Il complesso di risorse accumulate attraverso questo tipo di investimenti porterebbe il totale del valore dei capitali detenuti dagli italiani nei paradisi fiscali a valori notevolmente più elevati.
In totale, la ricchezza offshore degli italiani, calcolata in base alle fonti di informazioni note e rilevabili, è pari dunque al 10,6% del PIL nazionale. Il solo patrimonio finanziario pesa per il 9,8% della ricchezza del Paese mentre il patrimonio immobiliare, per la parte conosciuta, vale lo 0,8% del PIL.
Si tratta di una ricchezza sottratta al sistema imprenditoriale e al mercato dei capitali italiano che, se fosse impiegata in Italia, potrebbe rappresentare un importantissimo volano per lo sviluppo dell’economia nazionale. A tal proposito basti pensare che la massa totale dei capitali offshore equivale attualmente più o meno all’intero ammontare del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza a cui l’Italia affida il rilancio di un’economia che non cresce da decenni. O, ancora, il tesoretto degli italiani all’estero vale otto volte la manovra del governo Meloni, una volta e mezzo la spesa sanitaria e quasi quattro volte i fondi pubblici destinati alla scuola. Ci si potrebbero costruire 17 ponti sullo Stretto di Messina e si riuscirebbero ad acquistare più di 600 rigassificatori simili a quello di Piombino.
Non stupiscono questi dati se si considera che, dal 2016 al 2022, considerando soltanto i patrimoni finanziari ed escludendo, di conseguenza, gli immobili, dall’Italia sono fuggiti all’estero 159 miliardi di euro, che sono andati ad aggiungersi ai 74 miliardi già espatriati in precedenza. L’incremento di questa massa di denaro che sfugge ad ogni controllo è stata dunque del 144% e potrebbe essere spiegato dalla forte crescita del mercato azionario degli ultimi anni, che ha incrementato il valore degli asset finanziari. In queste occasioni, infatti, la ricchezza in generale (e quella offshore in particolare) tende a crescere più velocemente del PIL, mentre scende più rapidamente durante i ribassi del mercato azionario. Purtroppo, non esistono grafici che possano quantificare anche i soldi investiti in abitazioni, oro, gioelli, opere d’arte, yacht e aerei. E dunque i dati restano parziali. Nessuno conosce le vere dimensioni della fuga di capitali.
Ciò che invece è certo è che se, come proposto dalla ONG Oxfam Italia, si applicasse un’imposta del 2% allo 0,1% dei contribuenti italiani più ricchi, l’Italia si garantirebbe un’entrata aggiuntiva fino a 16 miliardi di euro
Giulia Schiro
(da wallstreetitalia.com)

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