PUÒ UNA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SOSTENERE PUBBLICAMENTE DI ESSERE OGGETTO DI RICATTI E TENTATIVI DI DESTITUZIONE SENZA ACCOMPAGNARE LA DENUNCIA CON NOMI, FATTI E CIRCOSTANZE?
LA CAPA DEL GOVERNO DI UN PAESE DEL G7 SI DICE TESTIMONE DI TRAME OSCURE MA NE TACE IL CONTENUTO. UNA SCELTA IMBARAZZANTE: SE COMPLOTTI E RICATTI NON CI SONO, LA MENZOGNA DI MELONI È MOLTO GRAVE. SE CI SONO E NON SPIEGA CHI, COME E PERCHÉ, È IRRESPONSABILE IL SUO SILENZIO. LA POSA VITTIMISTA È LA CIFRA NATURALE DELLA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
Può una presidente del Consiglio sostenere pubblicamente di essereoggetto di ricatti e tentativi di destituzione senza accompagnare la denuncia con nomi, fatti e circostanze? Non può, secondo la più elementare logica e grammatica politica. Può, invece, se la presidente del Consiglio si chiama Giorgia Meloni.
Non è la prima volta che Meloni evoca scenari di complotto ai danni del suo governo, ma in altre occasioni ha lanciato l’accusa senza essere incalzata in tempo reale su una tale enormità. Stavolta, a domanda di Repubblica sull’obbligo di dare concretezza agli spettri che ha di nuovo evocato durante la conferenza stampa di fine anno, ha rivendicato l’omertà: non fatemi dire di più, ha tagliato corto, come davanti a un amico che le chiedesse un segreto personale o un pettegolezzo.
La capa del governo di un Paese del G7 si dice testimone di trame oscure ma ne tace il contenuto. Una scelta imbarazzante anche per ragioni logiche: se complotti e ricatti non ci sono, la menzogna di Meloni è molto grave. Se ci sono e non spiega chi, come e perché, è irresponsabile il suo silenzio.
Non si può nemmeno escludere che Meloni, anche se la persecuzione non c’è, sia sinceramente convinta di essere minacciata da nemici appostati nell’ombra. Si è formata in una comunità politica autoconvintasi di essere ghettizzata per il coraggio delle proprie idee anziché per la sciagurata scelta di porsi in continuità con il ventennio fascista.
La posa vittimista è la cifra naturale della presidente del Consiglio e della famiglia politica che l’ha allevata: non a caso ha impiegato parte consistente della conferenza stampa a descrivere una destra discriminata, anche ora che tutto decide e dispone, e lei stessa conculcata dalle prepotenze della «sinistra», citata così, senza riferimenti partitici, come un’entità, un blob di potere che ingloba e, se non può, aggredisce.
Meloni ha bisogno di simulare lo scontro tra lei e questo mostro per continuare a ergersi nella retorica della lotta al sistema («In questa nazione c’è chi è abituato a dare le carte») e nel sedicente eroismo della resistenza al pensiero unico. Fuori da questo schema, resta solo da governare, l’attività nella quale la presidente del Consiglio e i suoi ministri sono più in difficoltà.
La tendenza al complottismo è connessa a questa educazione sentimentale: in passato Meloni è stata capace di citare il piano Kalergi, fantomatico disegno delle élite cosmopolite per sostituire la razza bianca, cristiana ed europea, con l’immigrazione di massa islamica. L’incubo del meticciato, uno dei cavalli di battaglia dell’ultradestra identitaria.
Resterebbe da capire, ma servirebbe un’altra iniezione di logica mancante, come sia possibile conciliare questa visione, ovvero una sinistra che muove leve occulte per tornare al vecchio regime, con l’identikit di alcuni dei soggetti che nei mesi scorsi Meloni ha chiaramente considerato attentatori del suo potere.
Come Silvio Berlusconi – al Cavaliere era rivolta la frase «non sono ricattabile» che ieri la presidente del Consiglio è tornata a pronunciare – oppure Mediaset, cui nell’annuncio di separazione da Andrea Giambruno attribuì pur senza citarla una strategia contro la sua persona («Se qualcuno pensa di colpirmi nel privato, ha sbagliato i conti») o anche Matteo Salvini, forse effettivamente l’unico che non abbia mai perso di vista l’obiettivo di indebolire Meloni, ma al quale è difficile attribuire l’etichetta di complottardo rosso o di agente della plutocrazia europeista.
l resto degli avversari spunta dal mischione di totem e tabù ereditati dalle fumisterie ideologiche di Colle Oppio, la sinistra e i sindacati, la Corte costituzionale e la magistratura, i capitalisti «ben introdotti» e le lobby affaristiche, entrambi sempre ricondotti al progressismo, secondo la tipica logica da populismo
A livello sovranazionale ci sono invece il bau bau Mario Draghi, e il finanziere ebreo George Soros, che in passato Meloni ha più volte attaccato pubblicamente, Meloni, che ai tempi della militanza nella corrente missina dei Gabbiani aveva per soprannome Calimera accusa l’opposizione di praticare un doppio standard. Però non perde occasione di dimostrarsi campionessa nell’uso dei due pesi e due misure.
Il picco lo ha toccato con la risposta di ieri sul caso Degni: parlando del magistrato della Corte dei conti, nei guai perché sui social si è espresso inopportunamente contro il governo, Meloni chiede alla sinistra se sia giusto che persone nominate in ruoli super partes si comportino da militanti politici, proprio lei che ha insediato alla seconda carica dello Stato Ignazio La Russa, il quale dal primo giorno di mandato ha rivendicato il diritto di partecipare alla vita di partito, il suo, e di intervenire nel dibattito pubblico
(da La Repubblica)
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