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SE LA MELONI ALLE EUROPEE RAGGIUNGE QUOTA 30 E SALVINI RESTA ALL’8%, DENTRO LA LEGA SCOPPIA IL REGOLAMENTO DEI CONTI

Gennaio 8th, 2024 Riccardo Fucile

IL RISCHIO PER IL CAPITONE È CHE NEL NORD-EST ZAIA POSSA SCAVALCARLO E LEGITTIMARSI COME ALTERNATIVA ALLA GUIDA DEL PARTITO …. ALMENO UN PAIO DI ASSESSORI REGIONALI VENETI DEL CARROCCIO SONO SUL PUNTO DI STRAPPARE CON LA LEADERSHIP NAZIONALE, A CAUSA DI UNA LINEA SOVRANISTA GIUDICATA POCO RAGIONEVOLE

La Sardegna c’entra nulla, o quasi. La battaglia di Matteo Salvini per l’isola è in realtà una storia di sopravvivenza politica. Il leghista si impunta su un’elezione locale — in una Regione di medio peso — per reagire a un duello, sotterraneo e durissimo, ingaggiato con Giorgia Meloni. Che va avanti da giorni tra colpi bassi, presunti patti traditi, silenzi rabbiosi e mediazioni fallite.
Con un detonatore, riferiscono fonti del Carroccio e confermano meloniani di rango: l’annuncio della presidente del Consiglio di voler correre alle prossime Europee. È in quel passaggio consegnato ai cronisti nella conferenza stampa dello scorso 4 gennaio che lo scontro è finito fuori controllo. Il vicepremier, raccontano, non credeva che Meloni volesse davvero scendere in campo per l’Europarlamento.
Secondo la versione che circola nel Carroccio, aveva addirittura in tasca un patto di massima con la diretta interessata: io mi candido, tu eviti e schieri i ministri di FdI. In questo modo, Palazzo Chigi avrebbe blindato la leadership del ministro delle Infrastrutture, assai indebolita dai malumori interni. E stabilizzato l’esecutivo. Meloni, invece, si è esposta. A tal punto che nella sede del governo già si preparano a sei mesi di campagna elettorale. Un colpo durissimo, per Salvini. Che lo ha mandato su tutte le furie.
La spiegazione è aritmetica, oltreché politica: Salvini vive il passaggio elettorale di giugno consapevole dei rischi pesanti che comporta. Nel 2019 fu l’uomo d’Europa, con uno strabiliante 34,3%. Fu l’inizio del declino, in realtà. In ogni caso quella percentuale, quella vetta toccata cinque anni fa è un paragone destinato a pesare. Ha bisogno di superare almeno la soglia psicologica del 10%, ma i sondaggi non sono dei migliori. Sta cercando di conquistare alla causa ras locali in giro per l’Italia, uomini capaci di portare preferenze in dote. Sogna il generale Roberto Vannacci in lista.
Ecco, la candidatura di Meloni rovina i suoi piani. Ma c’è di più, a rendere angosciante il duello. C’è la competizione tutta interna alla Lega. Anche in questo, è stata Meloni a far saltare — quanto volontariamente lo dirà soltanto la storia — equilibri già delicati. Quando in conferenza stampa la leader si è espressa sull’opzione di un terzo mandato, ha tenuto a specificare che non sarà comunque il governo a intervenire. Delegare il dossier al Parlamento significa però mettere Salvini in una posizione scomoda con Luca Zaia, al quale aveva promesso di fare il massimo per garantirgli altri cinque anni alla guida del Veneto. Questa incertezza potrebbe spingere il governatore uscente a candidarsi alle Europee.
Una mossa che, almeno nel Nord Est, può mettere in imbarazzo il segretario del Carroccio: Zaia potrebbe scavalcare il suo leader, fare il pieno di preferenze, legittimarsi come alternativa alla guida del partito.
Un nefasto effetto a catena: ecco quello che Salvini prova a evitare. In un contesto interno già agitato. Almeno un paio di assessori regionali veneti del Carroccio sono sul punto di strappare con la leadership nazionale, a causa di una linea sovranista giudicata poco ragionevole. Senza trascurare il fatto che la galassia produttiva in Veneto e Lombardia ha lamentato negli ultimi mesi la scarsa capacità della Lega di incidere a Roma con misure a favore delle imprese. Salvini deve gestire questo malumore. E nel frattempo guardarsi dalla “concorrenza”
(da La Repubblica)

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MELONI, PER IL SECONDO ANNO DI FILA, NON HA RICORDATO SUI SOCIAL LA STRAGE DI ACCA LARENTIA, A ROMA, NELLA QUALE VENNERO UCCISI TRE ATTIVISTI DEL FRONTE DELLA GIOVENTÙ

Gennaio 8th, 2024 Riccardo Fucile

E PENSARE CHE IL 7 GENNAIO 2009 MELONI, DA MINISTRO DEL GOVERNO BERLUSCONI, SI RECÒ ALLA COMMEMORAZIONE SCORTATA DA GIULIANO CASTELLINO, RAMPELLI E FEDERICO MOLLICONE

Il 7 gennaio è la giornata in cui i camerati italiani commemorano la cosiddetta “strage di Acca Larentia” avvenuta il giorno successivo all’Epifania nel 1978. Strage nella quale furono uccisi tre giovani attivisti del Fronte della Gioventù – Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni – di fronte all’allora sede del Movimento Sociale Italiano situata in via Acca Larentia a Roma.
Il 7 gennaio di ogni anno confluiscono quindi ad “Acca” un certo numero di militanti che, al grido di “presente, presente, presente”, corredato dai nomi dei tre ragazzi uccisi e da tre rispettivi saluti romani, rendono pubblicamente omaggio ai caduti fascisti.
Quest’anno, come del resto l’anno scorso, si evidenzia però il silenzio sui profili social di Giorgia Meloni, quando invece per molti anni la leader di Fratelli d’Italia ha ricordato pedissequamente la ricorrenza, auspicando più volte che si facesse luce sulle responsabilità relative alla strage, non ancora chiarite fino in fondo.
Da segnalare altresì che il 7 gennaio 2009 – come rivelò Report – Giorgia Meloni, allora ministro del Governo Berlusconi, si recò personalmente ad Acca Larentia per commemorare i tre attivisti del Fronte della Gioventù, accolta dal leader di Forza Nuova Giuliano Castellino.
Assieme a Meloni nel video s’intravedono l’attuale presidente della commissione Cultura alla Camera dei Deputati Federico Mollicone e l’attuale vicepresidente della Camera dei Deputati Fabio Rampelli, che anche ieri ha reso omaggio ai tre ragazzi uccisi.
Il video della visita di Meloni ad Acca Larentia è datato erroneamente “7 gennaio 2008”, quando invece si trattava per l’appunto del 7 gennaio 2009 (Meloni fu del resto nominata ministro della Gioventù da Berlusconi nel maggio 2008).
Quest’anno, in ogni modo, da inquilina di Palazzo Chigi, così come l’anno scorso, la presidente del Consiglio non ha scritto alcunché sui suoi profili social riguardo alla ricorrenza fascista, preferendo invece festeggiare la giornata del Tricolore italiano
Elemento peculiare: il silenzio su Acca Larentia da parte di Meloni è stato stigmatizzato sia da numerosi commentatori di Sinistra che le chiedono di deplorare pubblicamente i saluti fascisti rivolti dai militanti nella commemorazione di ieri, sia da commentatori di Destra ed Estrema Destra, nelle cui chat private esprimono forte delusione per il mancato cordoglio da parte della Meloni verso i militanti del FdG uccisi. Cordoglio che invece era solita esprimere prima di andare al Governo.
Chissà se, incalzata da più parti, la presidente del Consiglio si vedrà infine costretta a esternare il proprio parere sui saluti romani di ieri ad Acca Larentia, sapendo perfettamente di scontentare qualcuno: o i suoi detrattori o, peggio per lei, parte del suo bacino elettorale.
In ultima analisi potrebbe invece decidere di scontentare tutti continuando a restare in silenzio. Visto che il silenzio che, in un caso delicato come questo, significa già di per sé una eloquente presa di posizione politica.
(da Dagoreport)

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“A ME HANNO MANDATO LA DIGOS PER AVERE DETTO “VIVA L’ITALIA ANTIFASCISTA” ALLA SCALA, QUESTI VIOLANO LA COSTITUZIONE E NESSUNO GLI DICE NIENTE. È IL VERO MONDO AL CONTRARIO, ALTRO CHE QUELLO DEL GENERALE VANNACCI”

Gennaio 8th, 2024 Riccardo Fucile

MARCO VIZZARDELLI, IL LOGGIONISTA DELLA SCALA IDENTIFICATO DALLA DIGOS, COMMENTA I SALUTI FASCISTI DI ACCA LARENTIA: “SONO INDIGNATO. NESSUNO LI HA FERMATI. SI USANO DUE PESI E DUE MISURE. FOLKLORE? FOLKLORE UN CAZZO”

«Vedo mani tese alle braccia tese. A me hanno hanno mandato la Digos per avere detto “Viva l’Italia antifascista” a teatro, questi se ne vanno in giro a centinaia a violare la Costituzione e nessuno gli dice niente. Questo è il vero mondo al contrario, altro che quello del generale Vannacci».
Il tono è affabile, le parole meno. Marco Vizzardelli, il loggionista della Scala identificato dalle forze dell’ordine alla prima del Don Carlo, non usa mezzi termini per commentare l’adunata davanti alla ex sede del Msi, con le centinaia di saluti romani nella notte di Acca Larentia, e quel grido, “Camerati, presenti!”, in antitesi con l’affermazione pronunciata a teatro dall’appassionato di lirica subito dopo l’inno nazionale, che pure gli valse l’immediata richiesta di consegnare i documenti.
Vizzardelli, come si sente?
«Indignato è dire poco».
Si spieghi meglio.
«Che dire, è lapalissiano. Io, per avere detto alla Scala a bassa voce una cosa in linea con la Costituzione, sono stato identificato nientemeno che dalla digos, al pari di un pericoloso sovversivo. Questi invece hanno gridato il contrario, e le forze dell’ordine, che pure erano lì, non hanno fatto una piega. E loro non lo hanno sussurrato: lo hanno proprio gridato».
Due pesi e due misure diverse?
«Veda lei».
La turba di più l’adunata fascista o il fatto che nessuno sia intervenuto a fermarla?
«Entrambe le cose. Perché qui purtroppo dobbiamo chiarire un punto, anche se è surreale doverlo fare. La nostra Costituzione è antifascista, e questo è un fatto, non un’opinione. E chi viola la Costituzione commette un reato, non uno strafalcione. Un reato».
Lei disse che sentiva un profumino di fascismo e un profumone di razzismo.
«E lo confermo. I fatti di ieri confermano che purtroppo questo rimane un nervo scoperto del nostro Paese. Di sicuro di nostalgici del ventennio siamo pieni, bontà loro. E c’è persino chi si ostina a difenderli, sostenendo che si tratti di folklore. Folklore un c…o».
Da lei la Digos si presentò immediatamente.
«Quanto è appena accaduto mi fa rileggere le cose in maniera diversa. Lì per lì scherzai con gli agenti, che pure furono molto gentili. Quando dissi loro che mi avrebbero dovuto arrestare se avessi detto “Viva l’Italia fascista” e non il contrario, risposero che concordavano con me, ma obiettarono che avevano ricevuto quelle disposizioni. Ora, a maggior ragione, sono convinto della bontà del mio gesto. È stato utile».
Salvini la criticò.
«Mi aspetto che condanni con la stessa sollecitudine i fatti di ieri. Lui, La Russa e Meloni. Lo faranno? Attendo con ansia. Altrimenti dopo è inutile sporcarsi la bocca citando Liliana Segre».
Cosa pensa della destra al potere?
«Che stanno scherzando col fuoco, letteralmente»
(da La Repubblica)

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COS’E’ L’APOLOGIA DI FASCISMO E PERCHE’ NON E’ FACILE CONTESTARLA A CHI FA IL SALUTO ROMANO

Gennaio 8th, 2024 Riccardo Fucile

COME FUNZIONA LA LEGGE INTRODOTTA NEL 1952 E QUAL’E’ IL DISCRIMINE PER CONTESTARE IL REATO: LA RICOSTITUZIONE DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA

La cosiddetta “apologia di fascismo” è stata introdotta dalla legge Scelba, la numero 645 del 20 giugno 1952. Una norma che però, va detto subito, si occupa di punire chi tenta di ricostruire il vecchio partito fascista e non tanto chi lo difende o esprime opinioni favorevoli al fascismo.
Il discrimine: rifondare il fascismo
Cosa significa voler ricostituire il partito fascista?
Lo dice l’articolo 1: «Quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista».
La legge fu approvata nel 1952 per attuare la XII disposizione finale della Costituzione, dove per l’appunto si proibisce la ricostruzione del partito fascista. L’articolo 4 della legge Scelba rende perseguibile anche chi «esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche», e si rischia dai sei mesi ai due anni di reclusione, oltre che una multa da 206 a 516 euro. Dopodiché varie sentenze della Cassazione hanno ridotto notevolmente il perimetro in cui applicare la legge Scelba.
I pronunciamenti della Corte Costituzionale
Negli anni successivi alla sua approvazione, la legge Scelba venne immediatamente utilizzata contro diversi esponenti del Msi, partito primogenitore di Fratelli d’Italia e fondato da reduci del fascismo.
Non li si accusò tanto di voler rifare il partito fascista (articolo 1), ma appunto di “apologia di fascismo”. Ma gli imputati dissero che l’articolo 4 della legge era in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione, che garantisce la libertà di espressione.
Il tribunale di Torino, uno dei tre che si stavano occupando dei processi, trasmise il rilievo alla Corte Costituzionale. La sentenza della Corte Costituzionale è del gennaio del 1957 e stabilì che la legge Scelba non violava la Costituzione. Ma allo stesso tempo precisò il significato dell’articolo 4: per esserci una vera e propria apologia di fascismo non è sufficiente che ci sia «una difesa elogiativa» del vecchio regime, ma occorre «una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista».
Nel dicembre del 1958 una seconda sentenza della Corte Costituzionale fornì una simile precisazione anche per l’articolo 5 della legge Scelba (“chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da duecentomila a cinquecentomila lire”). La Corte stabilì che le manifestazioni erano vietate, ma solo nel caso in cui fossero propedeutiche alla ricostruzione del partito fascista.
Le interpretazioni della legge Scelba stabiliscono quindi che finché un giudice non appura che è in corso un tentativo di fondare un nuovo partito fascista, è legittimo fare praticamente qualsiasi cosa, sempre a patto di poter dimostrare di non stare ricostruendo l’antico partito fascista e di non avere i suoi obiettivi antidemocratici.
L’evoluzione: il decreto legge Mancino
Nel 1993 il governo di Giuliano Amato approvò un decreto legge che tentava di restringere le possibilità di fare propaganda ed esporre simboli fascisti. Il “decreto Mancino”, convertito con modificazioni in legge 25 giugno 1993 e dal nome dell’allora ministro dell’Interno, è la principale legge italiana contro l’incitamento all’odio e alla discriminazione. In Parlamento il Msi, che si stava trasformando in An, si astenne.
La legge stabilisce le aggravanti per i reati commessi con finalità razziste o discriminatorie, e punisce «chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi», proibisce di creare organizzazioni ispirate a questi valori e impone il loro scioglimento.
La legge enuncia poi il divieto esibire bandiere, slogan o altri simboli di organizzazioni violente o discriminatorie durante gli eventi sportivi, e modifica l’originale legge Scelba per rendere più chiaro il divieto di fare propaganda al fascismo.
Tra parentesi: nel 2014 la Lega Nord ha proposto un referendum per abolirla. Dopodiché la legge Mancino vive lo stesso “stallo” di quella Scelba, per cui sono i giudici di volta in volta a decidere se applicarle o se stabilire che l’episodio o gli episodi in questione siano tutelati dall’articolo 21.
Il saluto romano
Periodicamente al centro del dibattito ci sono sentenze di tribunali che assolvono, oppure condannano, persone che fanno il saluto fascista in luoghi pubblici. Le interpretazioni più diffuse negli ultimi anni sulla normativa vigente stabiliscono – e qui torniamo al senso delle leggi – che non è reato fare un saluto fascista se non c’è il pericolo di riorganizzazione di un nuovo partito fascista o del perseguimento di finalità antidemocratiche e discriminatorie. Ma appunto: chi può certificarlo (o meno) di volta in volta?
(da La Repubblica)

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ACCA LARENTIA, CENTINAIA DI SALUTI ROMANI

Gennaio 8th, 2024 Riccardo Fucile

RAMPELLI: “CANI SCIOLTI, FDI NON CENTRA”… OPPOSIZIONI PRESENTANO ESPOSTI E INTERROGAZIONI A PIANTEDOSI

L’immagine è impressionante: centinaia di braccia tese che si levano verso l’alto quando viene chiamato il “presente”. Saluti romani davanti all’ex sede dell’Msi di via Acca Larentia, a Roma, per commemorare tre giovani del Fronte della Gioventù uccisi lì davanti 46 anni fa, Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, i primi due da un commando di estrema sinistra, il terzo negli scontri che seguirono tra giovani di estrema destra e forze dell’ordine.
I saluti romani
I saluti romani sono scattati nel quartiere Tuscolano della capitale la notte scorsa, ma sembra di essere nel 1924, cento anni fa, in piena epoca fascista. Il video di qualche decina di secondi che racconta quanto accaduto a Roma dopo le commemorazioni ufficiali delle autorità, con la deposizione delle corone di alloro da parte del presidente della Regione Lazio Francesco Rocca e, per il Campidoglio, dell’assessore alla Cultura Miguel Gotor, nel piazzale dove c’è la targa ricordo. Poi, in serata, il rito del “presente”, la “cerimonia” che i gruppi neofascisti dedicano ai loro caduti.
L’appuntamento era stato lanciato con un manifesto nero con il titolo ‘presente, presente, presente’ e in alto una piccola celtica bianca, mentre sui ponteggi di un cantiere è stato affisso un grande manifesto con i volti dei tre ragazzi e la scritta ‘Nella lotta’.
Interrogazione dei senatori Pd al governo ed esposto M5S
Il Pd, sia alla Camera che al Senato, presentano interrogazioni all’esecutivo. “Quali siano le valutazioni del governo sui fatti accaduti il 7 gennaio a Roma nel corso della commemorazione delle vittime dell’attentato di Acca Larentia e quali iniziative intenda adottare al fine di fare chiarezza e di far cessare qualunque attività o comportamento commessi in aperta e palese violazione del dettato costituzionale e delle leggi del nostro ordinamento”. È quanto chiedono i senatori del Pd al governo, con un’interrogazione rivolta alla premier, al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e al ministro della Giustizia Claudio Nordio, di cui è primo firmatario il presidente del gruppo Francesco Boccia. E ancora. Dopo aver gridato per tre volte ‘presente’ con le braccia tese nel saluto romano, “i militanti si sono spostati davanti all’ex sede del Msi, dove era presente anche il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli e, come spesso è accaduto già in passato in occasione di altre commemorazioni, hanno salutato con il braccio teso di fronte a un manifesto nero recante la scritta ‘presente, presente, presente’ e in alto una croce celtica bianca. La XII disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista e, in sua attuazione, la legge ‘Scelba’ prevede il reato di apologia del fascismo, punendo con la reclusione da 5 a 12 anni e con la multa da euro 1.032 a euro 10.329 chiunque promuova, organizzi o diriga le associazioni, i movimenti o i gruppi con carattere fascista – ricordano i senatori dem – Questa legge vieta di perseguire ‘finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista’, ovvero rivolgendo ‘la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito’ o compiendo ‘manifestazioni esteriori di carattere fascista’. È dunque evidente che le attività e i gesti compiuti durante la commemorazione rientrano pienamente nelle condotte vietate. Per questo chiediamo al governo valutazioni e un intervento tempestivo”. L’interrogazione chiede conto al governo anche delle dichiarazioni di Maurizio Gasparri, presidente dei senatori di Fi, contro la magistratura romana.
Interviene anche il M5S che presenterà un esposto alla Procura di Roma per chiedere anche di verificare la sussistenza del reato di apologia del fascismo.
La replica di Rampelli: “Cani sciolti, FdI non c’entra”
“Sono persone di varia provenienza, cani sciolti, organizzazioni extraparlamentari. Non hanno niente a che vedere con FdI”, replica il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, di Fratelli d’Italia, contattato da LaPresse. Che aggiunge: “Noi facciamo la nostra celebrazione ufficiale e poi andiamo via”, e anche quest’anno “Fratelli d’Italia si è presentata la mattina, ha deposto tre cuscini sui luoghi dove sono caduti i tre ragazzi. I giovani di FdI, il pomeriggio, organizzano invece una celebrazione al Parco della Rimembranza”, spiega Rampelli. Quest’ultima manifestazione viene organizzata in un altro luogo proprio per evitare di andare ad Acca Larentia, “dove ogni anno succede la stessa cosa, anche se l’anno scorso non ci sono stati interrogazioni parlamentari”, aggiunge il vicepresidente della Camera.
Le opposizioni
La segretaria del Partito democratico sottolinea il silenzio della premier. “Oggi presenteremo un’interrogazione al ministro Piantedosi, quel che è accaduto non è accettabile – scrive su Facebook Elly Schlein condividendo il video – E Meloni non ha niente da dire?”. Così come il leader di Iv, Matteo Renzi: “Meloni riuscirà, fra un post sulla Ferragni e una discussione su Delmastro o Lollobrigida, a dire che questo è sbagliato? Noi lo aspettiamo”.
L’Alleanza Verdi-Sinistra che con Angelo Bonelli chiede di “sciogliere tutte le organizzazioni neofasciste”. Il responsabile informazione del Pd, Sandro Ruotolo, rincara la dose: “In Germania arrestano chi fa il saluto romano. È accaduto a due italiani all’Oktoberfest. Da noi no. Accade ogni volta quando i fascisti commemorano Acca Larentia. Il fascismo è un crimine che va perseguito sempre. Le organizzazioni fasciste vanno sciolte”, scrive su X. “Una vergogna inaccettabile in una democrazia europea”, la definisce il leader di Azione, Carlo Calenda.
Tajani: “Legge vieta apologia di fascismo”
Si fa sentire il vicepremier e segretario di Forza Italia, Antonio Tajani: “Noi siamo una forza che certamente non è fascista, siamo antifascisti. Chi ha avuto un comportamento deve essere certamente condannato da parte di tutti, come devono essere condannate tutte le manifestazioni di sostegno a dittature. C’è una legge, è previsto che non si possa fare apologia di fascismo nel nostro paese”.
CasaPound: “Ogni 7 gennaio saremo in quel piazzale”
Con una nota, CasaPound Italia, interviene sulle polemiche per la commemorazione della strage di Acca Larentia: “Non ci interessa entrare nel solito rancido dibattito. A chi ci chiede un’opinione rispondiamo semplicemente come sia possibile che dopo 46 anni Franco Francesco e Stefano siano ancora senza giustizia. Dovrebbe chiederselo anche chi in queste ore sta gettando fango e nella propria bassezza dovrebbe vergognarsi. Le interrogazioni parlamentari, le polemiche, le richieste di identificazione e questo misero teatrino non potranno fermare il ricordo ed ogni 7 gennaio saremo in quel piazzale”.
(da La Repubblica)

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IL PNRR È IL PARADISO DEI TRUFFATORI, LA RAGIONERIA DI STATO STRIGLIA I MINISTERI: SERVONO CON URGENZA REGOLE PIÙ STRINGENTI SUGLI APPALTI DEI PROGETTI FINANZIATI DAL RECOVERY, “IN DIFESA DI RISORSE PUBBLICHE”

Gennaio 8th, 2024 Riccardo Fucile

FINORA L’EUROPA HA SGANCIATO ALL’ITALIA 102 MILIARDI. L’ALLARME È SU FATTURE FALSE O DOPPIE, CONFLITTO DI INTERESSI E PREZZI GONFIATI

L’impegno richiesto è «urgente». Perché «il flusso di denaro » che circola è «ingente»: 102 miliardi, i soldi del Pnrr che l’Italia ha incassato fino ad oggi. E soprattutto perché – recita l’alert che arriva dal ministero dell’Economia – l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza rischia di essere vanificato dal malaffare. «Da eventi di illecita captazione di risorse pubbliche», è l’espressione che marca la portata del rischio.
Messa nero su bianco nella nuova versione della “Strategia generale antifrode Pnrr” allestita dall’Ispettorato generale che risponde alla Ragioneria. L’urgenza, dunque. «Si invitano le amministrazioni titolari di misure Pnrr a recepire tempestivamente i contenuti del nuovo documento», scrive il Ragioniere Biagio Mazzotta nella circolare che accompagna le nuove disposizioni per Palazzo Chigi e i ministeri. È all’interno dei dicasteri che si sollecita a fare di più e meglio.
Il punto focale della strategia è l’autovalutazione del rischio di frode da parte dei ministeri. Per questo viene richiesta la costituzione di appositi gruppi di lavoro, denominati “Gruppi operativi per l’autovalutazione del rischio frode”.
Spetterà a loro, con l’ausilio di alcuni strumenti che arriveranno dalla regia centrale, effettuare un esame e una valutazione periodica dell’impatto e della probabilità dei potenziali rischi di frode che potrebbero verificarsi. Un compito complesso. Per questo le amministrazioni potranno utilizzare cartellini rossi, indicatori che «richiamano comportamenti e fatti potenzialmente anomali, che possono far sorgere il sospetto di trovarsi di fronte ad una frode».
La lista dei cartellini è ben dettagliata, a evidenziare le diverse fattispecie in cui si può nascondere l’illecito. Dal conflitto di interessi non dichiarato, quando ad esempio si percepisce un favoritismo nei confronti di un particolare contraente di un appalto che è inusuale o ingiustificato, ma anche quando si è di fronte a un’accettazione continua di prezzi elevati per lavori di qualità inferiore.
Quando invece c’è uno scarso controllo delle procedure di gara, come il mancato rispetto del calendario, il cartellino rosso segnala la possibile presenza di una fuga di dati relativi al bando.
E poi ci sono le fatture false, gonfiate e doppie. Sempre per rafforzare l’autovalutazione, ogni amministrazione dovrà assegnare un punteggio di rischio a ogni singolo progetto. Una mappatura continua, che non viene prescritta a caso. L’allarme intorno al Pnrr sta crescendo. Anche perché il sistema dei controlli presenta alcune falle. Le ha rintracciate la Corte dei conti, nell’ultima Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr trasmessa al Parlamento.
(da La Repubblica)

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LA SONDAGGISTA ALESSANDRA GHISLERI: “ELLY SCHLEIN SI GIOCA IL TUTTO PER TUTTO NEL CONFRONTO CON GIORGIA MELONI, È L’OCCASIONE PER DIMOSTRARE AGLI ELETTORI DI CENTROSINISTRA CHE PUÒ REGGERE IL CONFRONTO CON MELONI”

Gennaio 8th, 2024 Riccardo Fucile

“SE ANDASSE MALE POTREBBE INDEBOLIRSI A VANTAGGIO DEGLI ALTRI LEADER DEL CENTROSINISTRA, A COMINCIARE OVVIAMENTE DA CONTE”… “ENTRAMBE, PERO’, HANNO QUALCOSA DA PERDERE”

Nel duello tv tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein, a prescindere da quando e dove si farà, «entrambe hanno da guadagnare e da perdere», assicura Alessandra Ghisleri.
La direttrice di Euromedia Research, sondaggista e osservatrice della nostra politica, si limita a sottolineare la differente condizione di partenza delle due leader:
«Una è al governo e ha un gradimento personale del 37-38%, con un’ampia fiducia nel bacino di centrodestra – spiega – l’altra è all’opposizione e gode di un consenso tra il 20 e il 22%, variabile in base alle forze del centrosinistra».
Un gap di popolarità non banale: Meloni ha fatto bene ad accettare il confronto? Non rischia di rimetterci?
«Credo che a entrambe convenga fare questa campagna “teaser”, creare l’attesa in vista del duello tra le due donne leader della politica italiana: puntare i riflettori su di loro e oscurare gli altri, fa gioco al Pd come a Fratelli d’Italia. Mi viene in mente l’annuncio della partecipazione di Berlusconi alla trasmissione di Santoro del 2013, del suo duello con Travaglio, si parlava solo di quello. Quanto al rimetterci, dipende da come andrà il confronto».
Chi vede favorita?
«Nessuna delle due. Meloni è da più tempo in politica, ha un’esperienza, una capacità dialettica e retorica superiori. Oltre a essere, al momento, leader indiscussa del centrodestra. D’altra parte, deve rendere conto dell’attività di governo, delle difficoltà e delle contraddizioni, e questo la rende più vulnerabile. Schlein è 8 anni più giovane, meno esperta e, soprattutto, non è ancora riconosciuta come leader del campo progressista. Ma ha il vantaggio di essere appena arrivata, di non avere responsabilità sul Pd di governo fino al 2022, quindi di poter offrire la sua visione e fare le sue proposte, parlando con maggiore libertà».
È stata proprio Schlein a lanciare la sfida, potrebbe rivelarsi un boomerang?
«Non credo, ma certo per lei sarà un esame importante, non privo di rischi. È l’occasione per dimostrare agli elettori di centrosinistra, in particolare quelli del Pd, che può reggere il confronto con Meloni e può effettivamente incarnare l’alternativa. Se va male, potrebbe indebolirsi a vantaggio degli altri leader del centrosinistra, a cominciare ovviamente da Conte.
Ma un eventuale faccia a faccia con Conte sarebbe per lei più impegnativo?
«Onestamente non penso, perché è vero che Conte ha esperienza di governo e maggiore conoscenza di alcuni dossier, ma allo stesso tempo verrebbe attaccato per quanto fatto nei suoi anni a Palazzo Chigi: rischierebbe di diventare una gara a rinfacciarsi gli errori».
Il dove e quando si farà il confronto sono variabili che possono pesare?
«Sì, perché in base a quando si svolgerà, ci saranno in agenda alcuni temi piuttosto che altri. E il dove non è mai un fattore neutrale, visto che parliamo di quello che potrebbe essere l’evento politico e mediatico del 2024. Sarebbe interessante organizzare una platea di giornalisti di varia estrazione, da Vespa a Mentana, da Porro a Berlinguer e fare una specie di conferenza stampa allargata. Ma mi rendo conto che poi sarebbe impossibile decidere dove trasmetterla».
Ma un confronto televisivo del genere, alla fine, sposta voti?
«Certo non tra destra e sinistra, ma può spostare qualcosa all’interno dei due schieramenti, diventano importanti le sfumature. Nel bene e nel male, si può guadagnare consensi come anche perderli. I telespettatori più interessati saranno Salvini e Tajani da una parte, Conte o Calenda dall’altra».
(da La Stampa)

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IL 2023 È STATO L’ANNO DELLA GRANDE FUGA DAI TELEGIORNALI: TUTTI I TG DELLA RAI E DI MEDIASET HANNO PERSO SPETTATORI MENTRE TGLA7 È L’UNICO CHE RIESCE A GUADAGNARE QUALCHE TELEMORENTE

Gennaio 8th, 2024 Riccardo Fucile

A PASSARSELA PEGGIO È IL TG1: NELL’EDIZIONE DELLE 20 PERDE 336MILA, PUR CONSERVANDO ANCORA IL PRIMATO DEL PIÙ VISTO (24,7%)… SI ASSOTTIGLIA LA DISTANZA CON IL TG5 CHE REGISTRA, PERÒ, UN -149MILA SPETTATORI MENTRE IL TG DI MENTANA CATTURA 4MILA SPETTATORI IN PIÙ

La grande fuga. Il 2023 è stato l’anno dell’esodo di massa dai telegiornali. Tutti: pubblici e privati. Sintomo di una conclamata disaffezione degli italiani, che preferiscono informarsi su altri media, abbandonando quelli tradizionali; nonché di un crescente “sgradimento” per i principali notiziari nazionali.
A fare eccezione è solo il TgLa7, l’unico che riesce a guadagnare un po’. Mentre Rai e Mediaset soffrono parecchio, soprattutto l’emittente di Stato, che perde — e tanto — sia in termini di audience, sia di share.
Per fare un calcolo totale: nell’anno appena passato, nella fascia serale, sono fuggiti dai telegiornali del servizio pubblico oltre mezzo milione di persone (578mila per l’esattezza), dai canali del Biscione 238mila, meno della metà. Enrico Mentana ne ha invece catturati 4mila in più.
A passarsela peggio è il Tg1 di Gian Marco Chiocci, che nell’edizione delle 20 ha lasciato per strada 336mila spettatori e mezzo punto di share, pur conservando ancora il primato del più visto (24,7%). Ma la distanza dal Tg5 di Clemente Mimun si è assottigliata, nonostante l’ammiraglia Mediaset, nella stessa edizione, cali in media di 149mila teste e lo 0,4 di share.
Simile il risultato del Tg2 di Antonio Preziosi, sprofondato al 5,8%: anche a lui nel 2023 è sfuggito mezzo punto di share (e 160mila ascoltatori).
Va invece meglio al Tg3 e alla TgR, che pur perdendo ascolti — 82mila persone il primo, 68mila la seconda — guadagnano entrambi lo 0,4 sebbene trasmessi su una rete, la terza, devastata dai nuovi vertici del servizio pubblico, decisi a depurare l’ex fortino rosso di programmi e conduttori vicini alla sinistra.
Chi gode, come detto, è il TgLa7 che avanza di uno 0,3 e raggiunge al 5,8 il telegiornale cadetto della Rai. Sostanzialmente stabili restano invece Studio Aperto (+0,1 di share) e il Tg4 (che scende dello 0,1).
A cavallo tra Natale e la Befana, nei telegiornali è difatti scattata un’infornata di promozioni e moltiplicazione di poltrone
Nelle redazioni si racconta infatti che almeno la metà della cinquantina di giornalisti beneficiati da uno scatto di carriera sono stati sollecitati a cancellarsi dall’Usigrai per iscriversi a Unirai, il nascente sindacato meloniano che intende far concorrenza alla storica rappresentanza interna, ritenuta troppo sbilanciata sulle opposizioni.
Complessivamente già in 200 avrebbero abbandonato, anche se l’Usigrai non appare preoccupata: «Quando nel ’94, con Berlusconi appena insediato, nacque il Singrai se ne andarono in 300, ma non fecero molta strada».
Una manovra pilotata dal settimo piano di Viale Mazzini per fidelizzare le truppe e assegnare le leve di comando a chi risponde ai nuovi potenti.
A fare impressione sono i numeri. Alla Testata regionale sono stati nominati tre condirettori e sei vicedirettori, come mai si era mai visto prima. Ad affiancare il direttore Alessandro Casarin, vicino alla pensione, sono stati confermati Roberto Pacchetti (d’area Lega) e Carlo Fontana (in quota Pd), mentre Carlo Gueli è la novità imposta da Giuseppe Conte. Stessa proporzione per i vice.
Tutti ingaggiati per seguire, ciascuno per la propria parte, le imminenti elezioni amministrative e regionali. Al Tg2 sono invece arrivate oltre una ventina di promozioni: 17 di line, ossia capiredattori, vice e capiservizio; il resto ad personam per meriti speciali, come quelli conquistati da Manuela Moreno, pupilla dell’ex direttore ora ministro Gennaro Sangiuliano, che conduce il Tg2 Post. Idem alla Radio, dove il direttore Francesco Pionati ha nominato cinque caporedattori centrali e 4 inviati, in attesa di riempire con il job posting altrettante caselle.
Come tutta questa voracità si possa sposare col mezzo miliardo di disavanzo in bilancio è un mistero. Che oltretutto rischia di premiare pochi e penalizzare tutti gli altri. I vertici Rai hanno infatti preannunciato al sindacato la disdetta del premio di risultato, calcolato su ascolti e margine operativo lordo, riconosciuto ogni anno ai giornalisti.
(da agenzie)

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CARO SOTTOSEGRETARIO DELMASTRO, COSA DICE DI MATTEO SUICIDA IN CELLA?

Gennaio 8th, 2024 Riccardo Fucile

LA LETTERA DI ILARIA CUCCHI… “AVEVA DISABILITA’ PSICHIATRICHE E AVEVA GIA’ MANIFESTATO IL PROPOSITO DI IMPICCARSI, GLI AGENTI LO SAPEVANO”

Signor Sottosegretario al Ministero della Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove, voglio chiederle: lei sa chi è Matteo Concetti? Sicuramente no, perché era un giovane uomo detenuto nel carcere di Ancona. Per una persona, come lei, che nella scorsa Legislatura si è impegnata a portare avanti una battaglia come quella di tentare di eliminare dalle funzioni istituzionali del Dipartimento di Polizia Penitenziaria la tutela dei detenuti limitandola ai soli agenti, cosa possono contare la salute e la vita dei carcerati? Nulla.
A lei non interessa nulla il fatto che Matteo, persona con particolari deficit psichiatrici tanto da aver costretto il Tribunale di Rieti a nominargli un amministratore di sostegno, la sera del 4 gennaio sia stato trovato morto impiccato nella cella di isolamento nella quale era stato rinchiuso. Un ragazzo di soli 23 anni con disabilità psichiatriche che viene ristretto in un carcere, e pure in cella d’isolamento, abbandonato ad un destino assolutamente prevedibile.
Matteo aveva manifestato più volte il proposito di impiccarsi. Lo ha fatto con le lenzuola della sua branda. Non solo la madre lo aveva detto agli agenti ma, fatto ancor più grave, già il 28 dicembre il suo avvocato aveva inviato una pec alla struttura carceraria chiedendo un colloquio urgente per discutere della terapia medica che gli veniva somministrata. Addirittura l’avvocata Cinzia Casciani ha messo nero su bianco il fatto che Matteo avesse più volte detto di volersi suicidare!
Caro Sottosegretario le confesso che io, a differenza sua, mi sento tanto in colpa. Non riesco a dormire. Sa perché? Perché la madre di quel ragazzo aveva cercato di contattarmi riuscendo a parlare con me al telefono alle 14 di quel maledetto giorno. Era arrabbiata per l’inerzia indolente dell’Amministrazione.
Disperata per la sua preoccupazione perché conosceva bene suo figlio e sapeva che non scherzava. Ho fatto mie quelle preoccupazioni. Stavo preparando le valigie per fare ritorno a Roma da Ferrara, la città del mio compagno, ripromettendomi che alla ripresa del mio lavoro, la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata quella di contattare il Carcere ed il DAP.
Non ho fatto in tempo: Matteo Concetti è deceduto alle 20 di quello stesso giorno in cui sua madre aveva parlato con me. Mi sto chiedendo se avrei potuto fare qualcosa per salvarlo.
I miei figli di fronte al mio sconforto, dicono che non sarebbe cambiato nulla. “Mamma – mi dicono – non ci sarebbe stato tempo e poi, con tutte le continue richieste di aiuto che ricevi da ogni parte come potevi sapere che quel ragazzo lo avrebbe fatto davvero?”. Hanno ragione ma io mi sento in colpa.
Credo sia normale visto che un ragazzo di 23 anni oggi non c’è più. Ma io le chiedo: come si può concepire che possa essere trattato in questo modo?! Il sindacato di Polizia Penitenziaria, puntuale come sempre, fa sapere che nei giorni precedenti Matteo aveva aggredito un agente. Ma era un malato psichiatrico con tanto di amministratore di sostegno, caro Sottosegretario! Le interessa tutto questo? Si sente in colpa come titolare delle funzioni istituzionali che riveste o quantomeno come uomo?Onestamente non credo.
D’altronde, non si può mettere certo in discussione la sua coerenza dal momento che, in questa Legislatura, non sono mancate le interrogazioni parlamentari sui suoi rapporti, a dir poco anomali, con la Penitenziaria, con una delle relative organizzazioni sindacali in particolare.
Il sindacato che oggi interviene sulla morte annunciata di Matteo denuncia lo stato di profondo degrado delle nostre carceri ma si indigna, difendendola, con i partiti che le hanno proposte facendo esplicito riferimento alla famosa cena col botto.
Lei e soltanto lei, oggi, dovrà rispondere su questa tragedia. Ma non mi aspetto nulla da parte sua. Sono note le sue vibranti prese di posizione per abolire la legge che punisce la tortura, rea, la legge, di non consentire agli agenti di difendersi. Per lei le Istituzioni non debbono sprecare tempo e risorse per la tutela della popolazione carceraria di questo Paese. Si tratta, in fondo, soltanto di numeri privi di identità e diritti.
Nobile e di alto valore la sua decisa presa di posizione documentata in un video girato nel Settembre del 2020, davanti al carcere di Biella, ove lei disse a gran voce: «Intanto il 33 per cento dei detenuti sono stranieri. Prendano la barca e tornino a casa loro a scontare». Queste le sue esatte parole.
Intanto Matteo Concetti non c’è più ed io non me ne do pace. Alimenterà l’allucinante statistica dei suicidi in carcere avvenuti nel nostro Paese, nell’indifferenza generale e, soprattutto, sua. Io porto il peso di questa immane tragedia. Sicuramente vive meglio lei, tra feste, cene e proclami.
Farei a cambio con Lei? No grazie. Preferisco la mia vita.
Preferisco condividere il dolore delle famiglia Concetti come quelle di tutti gli ultimi i cui diritti sono quotidianamente calpestati da uno Stato troppo spesso cieco, sordo, quando non addirittura crudele.
Buona vita Sottosegretario
Ilaria Cucchi

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