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JORIT AL SERVIZIO DI PUTIN: NON SOLO 90.000 EURO, IL SUO INCONTRO CON IL DITTATORE E’ STATO PREPARATO (E NON IMPROVVISATO) DALL’AMBASCIATA RUSSA IN ITALIA

Marzo 9th, 2024 Riccardo Fucile

LA PARTECIPAZIONE AL FESTIVAL DEI GIOVANI DI SOCHI ERA STATA STUDIATA NEI DETTAGLI PER LA GRANCASSA DELLA PROPAGANDA PUTINIANA IN ITALIA, COMPRESO L’ABBINAMENTO A ORNELLA MUTI, IN MODO DA RAGGIUNGERE DUE FASCE DI ETA’

Jorit ha iniziato il suo percorso di avvicinamento al leader del Cremlino, come ha ben raccontato Antonio Musella su Fanpage, due settimane dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina del febbraio del 2022, quando raffigurò Dostoevskij sulla facciata del Liceo Righi di Napoli, tanto da essere subito apprezzato da Vladimir Putin.
Dopo mesi di corrispondenze, e passata la fase più impervia sul campo, arriva la richiesta di entrare nei territori occupati illegalmente in Ucraina, a Mariupol.
Così nell’estate del 2023 Jorit e il suo staff di sei persone sono stati ingaggiati nell’ottica di un piano di un piano di ricostruzione della città.
Secondo i documenti che abbiamo visionato, lo street artist e la sua crew sarebbero stati finanziati dal Cremlino tramite un consorzio di aziende dell’oblast di Leningrado, la regione di San Pietroburgo, incaricate dal ministero dell’Edilizia e da quello dei Trasporti di ricostruire la città occupata e di mostrarla agli occhi del mondo come un esempio di innovazione, efficienza e libertà.
Oltre i materiali per realizzazione del murales, (centottanta barattoli di vernice, ponteggi e attrezzature varie), che raffigura una bambina circondata da bombe della Nato, le aziende avrebbero pagato il viaggio, il vitto, l’alloggio e il cachet che si aggira intorno ai novantamila euro.
Secondo quanto riportato dal memorandum che abbiamo consultato, il murales in questione sarebbe il primo di dieci opere commissionate allo street artist italiano sui territori russi e dell’Ucraina occupata.
Capitolo a parte merita per la partecipazione al Festival dei Giovani di Sochi che si è concluso nei giorni scorsi; qui Jorit, oltre a realizzare la seconda opera pittorica allo stesso prezzo di quella di Mariupol, in virtù dei buoni contatti già avviati con l’ufficio culturale dell’ambasciata russa di via Gaeta a Roma, è stato selezionato tra una serie di italiani presenti all’evento (tra cui il propagandista Andrea Lucidi) come testimonial della «resistenza culturale italiana all’Occidente».
Jorit, contrariamente a quanto affermato nelle scorse ore, sarebbe stato selezionato per visibilità e presa nel pubblico giovane del nostro Paese proprio dagli addetti diplomatici del Cremlino.
Un incontro preparato e non improvvisato dall’ambasciata russa in Italia nell’ottica di destabilizzare il nostro dibattito pubblico in vista delle prossime elezioni europee e con l’intenzione di arrivare a tutte le fasce d’età.
Di qui il coinvolgimento di Ornella Muti, sia come madrina dell’evento sia come protagonista del murales realizzato da Jorit a Sochi. L’attrice è molto popolare in Russia (sua madre era una scultrice nata in Estonia) e non ha nascosto vicinanza e simpatia per Putin e per il popolo russo in diverse occasioni.
Resta da comprendere quali saranno le prossime tappe della strategia del Cremlino da qui ai prossimi mesi, ma una cosa è certa: il ventre molle del nostro dibattito pubblico è l’alleato migliore, perché la propaganda è sempre l’arma più forte.
(da Linkiesta)

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JORIT PAGATO DAL CREMLINO: “90.000 EURO DALLA RUSSIA PER FARE PROPAGANDA E PRESENTARE I TERRITORI OCCUPATI COME ESEMPIO DI INNOVAZIONE E LIBERTA’

Marzo 9th, 2024 Riccardo Fucile

LO SCOOP DE LINKIESTA: LO STREET ARTIST FINANZIATO TRAMITE UN CONSORZIO DI AZIENDE SU INCARICO DEL MINISTERO ALL’EDILIZIA RUSSO AL FINE DI INFLUENZARE IL VOTO EUROPEO… MATERIALE, VIAGGI, VITTO E ALLOGGIO E 90.000 EURO PER “IL PACIFISTA” A SENSO UNICO

Secondo Linkiesta, lo street artist sarebbe stato finanziato da un’azienda russa per realizzare 10 murales anche nei territori invasi dall’esercito di Mosca per mostrarli come esempi di «innovazione e libertà»
È sempre più opaco il caso di Ciro Cerillo, in arte Jorit, lo street artist di Quarto che in questi giorni ha fatto discutere per aver chiesto una foto al presidente russo Vladimir Putin, finalizzata a «dimostrare l’umanità» del presidente russo.
§Secondo quanto rivela Linkiesta, Jorit ha ricevuto 90mila euro da una società controllata dal ministero dell’Edilizia russo per realizzare dieci murales in zone russe e nell’Ucraina occupata. Pare che i suoi lavori avessero l’obiettivo propagandistico, finanziato dal governo russo, di presentare quei territori occupati come esempi di «innovazione e libertà».
Nell’estate dello scorso anno, infatti, l’artista e il suo staff di sei persone sono stati ingaggiati per il piano e sarebbero quindi stati finanziati dal Cremlino tramite un consorzio di aziende dell’oblast di Leningrado, la regione di San Pietroburgo, incaricate dal ministero dell’Edilizia e da quello dei Trasporti. Le aziende avrebbero poi pagato per loro materiali, viaggio, vitto e alloggio e il cachet di circa 90mila euro.
Obiettivo elezioni europee e giovani
Jorit ha fatto discutere in più occasioni per via delle sue dichiarazioni e scelte artistiche. Prima della foto, l’artista di strada vantava già un elogio ricevuto da Putin per il murale dedicato allo scrittore russo Fëdor Dostoevskij, dipinto sulla facciata di una scuola a Fuorigrotta, Napoli. Elogio che arrivò dopo la decisione, poi ritrattata, dell’Università Bicocca di Milano di sospendere le lezioni su Dostoevskij, curate dallo studioso di letteratura russa Paolo Nori. Inoltre, nei giorni scorsi è stato selezionato come testimonial della «resistenza culturale italiana all’Occidente» in occasione del Festival dei Giovani di Sochi. La sua figura, riporta ancora Linkiesta, potrebbe avere come obiettivo quello di influenzare il dibattito pubblico italiano in vista delle elezioni europee che si terranno a giugno. In particolare, l’obiettivo principale potrebbe essere quello di raggiungere le giovani generazioni.
(da Open)

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NEL CARROCCIO A PEZZI SI AGITA E AVANZA RICCARDO MOLINARI: L’AMBIZIOSO CAPOGRUPPO ALLA CAMERA PUNTA AL RUOLO DI “TRAGHETTATORE” DELLA LEGA, NEL CASO DI UN PASSO INDIETRO DI SALVINI, ASSEDIATO DALLE TRUPPE DI SCONTENTI

Marzo 9th, 2024 Riccardo Fucile

MOLINARI, CHE NON HA MAI PERDONATO AL “CAPITONE” DI AVERGLI PREFERITO FONTANA ALLA PRESIDENZA DI MONTECITORIO, È DIVENTATO UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER I DIRIGENTI CHE VOGLIONO TORNARE AGLI IDEALI “BOSSIANI” DELLA LEGA

Le voci e il sottofondo dei malumori sono sempre più incalzanti. Da settimane ormai non passa giorno senza un articolo, una ricostruzione, un retroscena sulle crepe all’interno della Lega, sui mal di pancia nei confronti di Salvini e sugli scenari del terzo tipo che potrebbero verificarsi se il consenso del Carroccio, tra regionali ed europee, dovrebbe assottigliarsi sotto percentuali da allarme rosso.
Il nodo del terzo mandato in Veneto per Luca Zaia, verso il quale il pressing di Salvini per candidarsi alle Europee sembra non sia affatto scemato; la candidatura che ancora non arriva del generale Vannacci e l’accordo con l’Udc di Cesa in vista delle Europee; le critiche dei leghisti veneti tra accuse ed espulsioni; le spine nel fianco rappresentate dai bossiani che al Nord stanno iniziando a rompere gli indugi candidandosi con altre forze politiche. A Salvini le preoccupazioni non mancano di sicuro.
In particolare non sta passando inosservato il distacco delle ultime settimane dei capigruppo in Parlamento, Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari. In passato solerti a prendere sempre le difese del proprio leader, mentre ultimamente un po’ ad osservare gli eventi.
E sembra farsi strada e trovare una certa solidità l’ipotesi che, in caso di un calo di consensi e una situazione interna non più procrastinabile, Salvini possa fare un passo indietro e lasciare a una figura di traghettatore la gestione del partito in vista del prossimo congresso.
Per questa figura si farebbe il nome proprio di Molinari. Uno scenario che nei giorni scorsi aveva già prefigurato Stefano Iannaccone sul Domani e che sembra avere un certo riscontro. L’attuale capogruppo pare non abbia mai digerito del tutto il voltafaccia che, all’inizio di legislatura, dovette subire da Salvini quando gli preferì Lorenzo Fontana per la guida della Camera dei Deputati.
“Dopo il passaggio – ha scritto il Domani – il rapporto è stato altalenante, sebbene non ci sia mai stata una rottura totale. Ma c’è un accumulo di incomprensioni. Il capogruppo coltiva cosi l’ambizione di un ruolo sempre più autonomo rispetto ai vertici. Fino a diventare un punto di riferimento per quei dirigenti che immaginano un post Salvini al comando della Lega”.
E qui Iannaccone rivela quale sarebbe il “punto fisso: l’attuale segretario resta al governo e lascia il partito agli altri per far ripartire una fase di nuovo radicamento. Una figura che possa garantire una certa continuità rispetto al passato, ma avviando un’operazione di cambiamento. Molinari si immagina come un buon traghettatore in modo da testare la sua capacità di guida da segretario vecchio stile”.
Riccardo Molinari, classe 1983, come ricorda un ritratto del Corriere della Sera, ha preso la prima tessera della Lega nella sua Alessandria a 16 anni. Ad oggi è già stato: consigliere regionale (2010), poi assessore regionale (2013), quindi assessore comunale ad Alessandria (2017).
In mezzo, nel 2016, lo scontro vinto con Gianna Gancia, moglie di Roberto Calderoli, per la conquista della segreteria della Lega Piemonte. “La laurea in Giurisprudenza in virtù della quale potrebbe esercitare la professione di avvocato non gli è mai davvero servita. Perché dopo gli incarichi locali-regionali, Molinari è passato agevolmente a quelli nazionali. Alla prima legislatura da deputato è stato investito subito del delicato ruolo di capogruppo, raccogliendo nel 2018 il testimone da Giancarlo Giorgetti passato a fare il ministro nel governo Conte I”.
“«Un predestinato» lo ha ribattezzato un rivale interno invidioso dei suoi successi” scriveva sempre il Corriere. “Eppure, Molinari ha avuto anche qualche grattacapo giudiziario. Coinvolto nella «Rimborsopoli» in Piemonte, pur assolto in primo grado, nel 2018 viene condannato in appello a 11 mesi per peculato. Nel novembre del 2019 la Cassazione annulla la condanna”.
(da policy makermag)

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COME FINIRA’ IN ABRUZZO? SARA’ DECISIVA L’AFFLUENZA E LA SCELTA FINALE DEI 600 MILA INDECISI (CIOE’ META’ DEGLI AVENTI DIRITTO)

Marzo 9th, 2024 Riccardo Fucile

L’AQUILA E’ UN FORTINO MELONIANO, INSIEME ALLA PROVINCIA DI CHIETI, A TERAMO E NELLA PROVINCIA DI PESCARA È AVANTI IL CENTROSINISTRA

«Ci sono diversi fattori che suggeriscono che la competizione sarà aperta», ragiona Lorenzo Pregliasco, direttore di You Trend. «Per il centrosinistra potrebbe rivelarsi cruciale una mobilitazione d’opinione post Sardegna». La vera partita si gioca sugli indecisi o potenziali astensionisti. Sono stimati in seicentomila, la metà degli aventi diritto. Poi c’è la questione dell’appartenenza. Martedì sera, sul palco di Pescara, non c’era un abruzzese: Marsilio, Meloni, Tajani romanissimi, Salvini lumbard. Un mese fa non era un argomento. Ora lo è.
L’Aquila è la città dove l’alleanza melonian-leghista-forzista ottenne il risultato più potente: 53 per cento. Pd, M5S e Terzo si fermarono al 43. Una tendenza che in molti pronosticano anche per questo voto. L’Aquila ha un sindaco meloniano. È il collegio della premier. Insieme alla provincia di Chieti rappresenta il vero bunker. A Teramo e nel Pescarese è dato avanti invece il centrosinistra. Pescara città, dicono, potrebbe ribellarsi a un sindaco, Carlo Masci, indipendente espresso da Forza Italia, che ha molto deluso. Il Truzzu dell’Adriatico.
C’è un argomento che gioca a favore della destra. E cioè le sue liste sono inzeppate di campioni delle preferenze. Ras dei voti. Piccoli Remo Gaspari. Come il forzista Mauro Febbo a Chieti; Roberto Santangelo all’Aquila, Lorenzo Sospiri a Pescara, Paolo Galli a Teramo, quest’ultimi di Fratelli d’Italia; Antonio Luciani, ex Pd, Nicoletta Verì, ex Lega, della lista Marsilio. […] Quando Marsilio si impose cinque anni fa, il suo partito, Fratelli d’Italia, era al quattro per cento.
C’è poi un’altra particolarità che distingue questo cimento da quello sardo: l’assenza del voto disgiunto. Un fatto che dovrebbe far dormire sonni più tranquilli ai sovranisti. Tuttavia, nelle ultime settimane, è accaduto un piccolo miracolo, un fatto imponderabile con cui nessuno aveva fatto i conti. La vittoria di Alessandra Todde ha sovvertito i piani, ridato entusiasmo a un mondo che si riteneva votato a sicura sconfitta, scatenato energie emotive dimenticate. Si stanno mobilitando i delusi storici
(da La Repubblica)

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MUGHINI IN DIFESA DELLA MEMORIA DI PAOLO SIGNORELLI (MORTO NEL 2010): “A UN CERTO PUNTO APPARVE ESSERE UN MOSTRO, CHE S’ERA MERITATO LA BELLEZZA DI TRE ERGASTOLI. SOLO CHE UNA DOPO L’ALTRA QUELLE ACCUSE CADDERO, DOPO DIECI ANNI DI CELLA”

Marzo 9th, 2024 Riccardo Fucile

ERA STATO INGIUSTAMENTE GIUDICATO E CONDANNATO, UN UOMO CHE S’ERA ACCANITO SÌ NEL PROFESSARE LE SUE IDEE MA CHE NON ERA AFFATTO UN MOSTRO

Paolo Signorelli (nato nel 1934, morto nel 2010), è un nome che è stato fragoroso nella storia recente della destra italiana. Il nome di uno che a un certo punto apparve essere un Mostro quale non ce n’era stato l’eguale nella nostra storia repubblicana, uno che s’era meritato la bellezza di tre ergastoli da quanti ne aveva messi a morte.
Solo che una dopo l’altra quelle accuse caddero, che dopo dieci anni di cella Paolo scrivesse un imperdibile “Professione imputato” che in tanti ci scaraventammo a leggere e che una trentina d’anni fa nell’aula di un alberghetto romano di Trastevere fummo in molti a riunirci e in un certo modo a risarcire Signorelli.
Mi pare fosse stato Francesco Rutelli a organizzare il tutto, c’eravamo io, qualche radicale (forse Valter Vecellio), Giuliano Compagno e altri.
Tutti unanimi nel salutare un uomo che era stato ingiustamente giudicato e condannato, un uomo che s’era accanito sì nel professare le sue idee, uno che con me una volta ha ammesso di avere scherzato col fuoco (come tantissimi a sinistra, uno per tutti Antonio Negri), ma che non era affatto un Mostro calzato e vestito.
Sono poi rimasto un amico della famiglia Signorelli e innanzitutto di sua figlia, la mia carissima Silvia.
Continuo a pensare che la democrazia italiana sia in debito con lui, non in credito. L’importante è sapere come sono andate le cose in quel rovente groviglio di fatti e di idee minacciose che è stata la storia italiana di quest’ultimo mezzo secolo.
Gianpiero Mughini
(da Dagoreport)

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INTERVISTA AL PROFESSORE DI STORIA DEL PENSIERO POLITICO GENNARO CARDILLO; “PUTIN NON E’ JESSICA RABBIT, NON C’E’ BISOGNO DI QUALCUNO CHE LO DISEGNI COSI’ COME APPARE, CI RIESCE BENISSIMO DA SOLO”

Marzo 9th, 2024 Riccardo Fucile

PAROLE CHIARE SUL “MADONNARO FURBISSIMO, UTILE ALLA PROPAGANDA DI PUTIN: PARLI DELL’UMANITA’ DI PUTIN CON LA FIGLIA DI ANNA POLITKOVSKAJA”

Gennaro Carillo, professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, dice che Ciro Cerullo in arte Jorit è «un madonnaro verticale furbissimo. Lo conferma anche il fatto che stiamo commentando le sue parole. Ma viviamo in un tempo nel quale non ci si sofferma più di tanto a distinguere tra oleografia, folklore locale e arte. Pare che il solo metro che conti sia il consenso facile, senza traumi».
Carillo parla in un’intervista al Mattino di Napoli. Nel colloquio con Antonio Menna fa notare che «Putin fa orrore proprio perché è umano. Lo è come lei, come me e come Jorit. È la possibilità che il male si annidi in ognuno di noi a far paura. Anche Hitler, Mussolini e Stalin accarezzavano i bambini sul capo. E Hitler era un – pessimo – pittore dilettante. Tutto molto umano. Ma sarebbe il caso che Jorit andasse a parlare dell’umanità di Putin con Vera Politkovskaja, la figlia di Anna, o con i parenti e gli amici dei tanti dissidenti che hanno fatto la stessa fine».
Underground e antagonisti
Il professore fa notare che «il mondo dell’antagonismo non è un monolite. È complesso e intimamente contraddittorio. Qualche antagonista, per esempio, non ha avuto remore ideologiche ad affiancare frange neofasciste nella devastazione della sede della Cgil. Quell’episodio è oggetto di una grande rimozione collettiva, forse perché ebbe avalli autorevoli, a livello politico e mediatico».
E spiega che «l’ammirazione incondizionata per Putin si fonda sulla seduzione che il capo carismatico ha sempre esercitato sull’immaginario italiano. Si spiega dunque con eros, più che con un argomento razionale, come scriveva Gadda a proposito del consenso a Mussolini».
La propaganda
Sulla presunta propaganda dell’Occidente di cui parla Jorit il docente è netto: «In tempo di guerra – e questo tempo, nonostante gli eufemismi, lo è – la propaganda gioca sempre un ruolo decisivo. Ecco perché non ringrazieremo mai abbastanza i reporter che rischiano la vita per provare a raccontare i fatti, a uscire dal resoconto ufficiale, che esprime sempre una visione di parte. Credo comunque che Putin non sia il costrutto di una propaganda a lui avversa. Non è Jessica Rabbit. Non ha bisogno che qualcuno lo disegni così come ci appare. Ci riesce benissimo da solo».
Il complottismo
Infine, sulle analogie tra il fronte filorusso (o filoputiniano) e i complottisti, Carillo spiega che «siamo di fronte a una puntuale riproposizione dei falsi Protocolli dei Savi di Sion. C’è un’internazionale cospirazionista, paranoica e omofoba che prima ha negato l’esistenza stessa del Covid e poi ha individuato in Putin il baluardo a difesa della tradizione, minacciata da un grande complotto ordito da una presunta élite “globalista”. Sono gli stessi che plaudono a Orban e pendono dalle labbra di Dugin, l’ideologo che pensa che solo una Grande Russia possa arginare la deriva anti-cristiana dell’Occidente. Argine che, molto cristianamente, per Dugin passa attraverso l’eliminazione fisica del popolo ucraino».
(da agenzie)

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INTERVISTA A GIANANTONIO DA RE, L’EPURATO: “SALVINI HA PERSO CREDIBILITA’, VAI A SPIEGARE ALLA NOSTRA GENTE COME FAI A URLARE “CERTEZZA DELLA PENA” E POI VAI A TROVARE TUO SUOCERO CHE HA EVASO I DOMICILIARI”

Marzo 9th, 2024 Riccardo Fucile

“IO VADO NELLE OSTERIE, SAI COSA MI DICONO? VI VOTEREI, MA NON CON QUELLO”… “HO RICEVUTO CENTINAIA DI TELEFONATE DI SOLIDARIETA’, SIAMO APPENA ALL’INIZIO…”

L’hanno espulso dalla Lega. Ma non dalla Lega Nord. E neppure dalla Liga Veneta. “Mi hanno cacciato solo dalla Lega per Salvini premier. Ma io resto nella Lega Nord, anche nel gruppo a Bruxelles. E fino a quando non lo fanno, anche nella Liga Veneta, perché è la Liga Veneta che deve espellermi. E appena mi riprendo vado da Bossi”.
Parla Gianantonio Da Re, per tutti Toni, leghista della prima ora, europarlamentare, iscritto al Leone di San Marco dal 1982, due anni prima che Umberto Bossi portasse dal notaio la fondazione del partito Lega Nord. Baffi alla Schachner, accento schietto. A suo modo, Toni Da Re è vittima di un’epurazione.
Onorevole, lei non se ne va. Anzi.
Non ci sono le regole. Non ci sono neanche i probi viri per fare ricorso. A chi lo faccio, all’usciere? Fabrizio Boron ci ha provato. Gli han risposto ‘irricevibile’. Quindi io adesso continuo a far politica con la Lega Nord, questo è certo. Perché abbiamo un doppio tesseramento. È un partito al quale ho versato 120 mila euro. Evidentemente se ha un conto corrente per intascare i soldi, deve anche esistere. Non trova?
Ineccepibile. Da Re, ufficialmente lei è stato espulso dalla Lega Salvini premier perché ha dato del cretino a Salvini.
Ma non c’è niente di personale. Io mi riferivo al comportamento. Se uno che fa il segretario di partito e fa anche il ministro e va a trovare il suocero in carcere, ha un comportamento da cretino. Come fai a dire su tutti i palchi ‘certezza della pena’, e poi vai a trovare uno che ha evaso i domiciliari? Suvvia. Ma potevo anche dirgli mona. Il concetto è quello. Come dite voi a Roma: fesso?.
Con Salvini, evidentemente, si è rotto qualcosa.
Lui ha perso di credibilità. Questo è il punto. Basta andare in una qualsiasi osteria, dove c‘è la nostra gente. E ti dicono: vi voterei, ma non con quello. Non è più credibile. La Lega per Salvini premier è fallita. Dovrebbe prenderne atto. È diventato ministro e ha deciso di fare il ponte delle arance (il Ponte sullo stretto di Messina). Ma che ne facciamo noi qui al Nord di quel ponte lì? Che poi non si farà mai, lo sanno tutti. Non sta in piedi. E pensi un po’ che io Salvini volevo metterlo in guardia.
Ma non ci è riuscito.
Da 4 anni e mezzo gli chiedo un contatto per spiegargli cos’è che non va qui in Veneto. Non mi ha mai dato cinque minuti. Io lo conosco bene il territorio. Ho fatto il sindaco, sono stato segretario della Liga. E invece lui si fida solo dei suoi, che per non aver problemi gli dicono ‘Xè tuto ben’”.
Ma il Veneto è l’Eldorado dei leghisti. Zaia potrebbe governarci a vita.
Ma non è più così, mi creda. Alle politiche la Lega ha preso il 15 per cento. La parte del leone l’ha fatta Fratelli d’Italia. E stiamo andando verso il 10 per cento. Se andiamo sotto la Lombardia, che si fa?
Ma ora lo spartiacque è l’Abruzzo, anche per voi. Nel 2019 la Lega prese quasi il 26 per cento. Un miraggio.
Sia chiaro: io spero che vinca il centrodestra. Ma per la Lega non andrà bene. Si sente.
Non resta che Bossi. Il senatur è preoccupato. Vuole “rimettere la Lega a posto”, dice.
lo so, lo so. Io sono in contatto col gruppo di Grimoldi. Ora sono sfinito. Non ha idea di quanti mi hanno scritto e quante telefonate ho ricevuto. Anche da parlamentari. Ora mi riprendo. Poi vado su a Gemonio. Vado dal capo.
(da Huffingtonpost)

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MELONI IN ABRUZZO SI GIOCA BEN PIU’ DELL’ABRUZZO

Marzo 9th, 2024 Riccardo Fucile

SE PERDE, DOPO LA SARDEGNA, NON E’ PIU’ UN INCIAMPO MA UNA CHINA… SE VINCE DI UN SOFFIO NON SARA’ FACILE GIUSTIFICARE IN OGNI CASO LA PERDITA DI CONSENSI

Se sei in testa nei sondaggi sin dalla vittoria delle elezioni, il che ti ha consentito di fare del governo un one woman show e degli alleati dei prigionieri politici; se, in questa marcia trionfale, hai avuto il primo inciampo in Sardegna, per colpa della tua arroganza nell’imporre un candidato a causa del quale hai perso; se questo ha cambiato radicalmente il clima in Abruzzo dove eri in vantaggio di venti punti due mesi fa e ora la sfida è aperta; se dopo l’inciampo, invece di un bel bagno di umiltà, hai esasperato, nel comiziaccio di Pescara, i toni ruvidi di Sassari; se queste sono le premesse è chiaro per Giorgia Meloni, la sconfitta in Abruzzo sarebbe difficilmente circoscrivibile alla voce “secondo errore”, ma piuttosto indicherebbe una “china”.
Facciamola breve: la Sardegna è stata uno sbaglio soggettivo, figlio di una sindrome di onnipotenza, l’Abruzzo sarebbe una bocciatura oggettiva del melonismo praticato a livello regionale: il suo feudo locale, lì dove tutto nacque nel 2019 con una vittoria con quasi venti punti di scarto.
E già in questo dato c’è un elemento di analisi perché, se la prima volta hai vinto a valanga e la seconda sei in bilico, qualcosa non ha funzionato. Di norma, l’uscente – vedi Luca Zaia, Giovanni Toti, Michele Emiliano, Vincenzo De Luca – va de plano, se non ha combinato particolari disastri.
Inciso, prima di continuare a discettare di possibili conseguenze per l’uno e per l’altro e dell’uno o dell’altro risultato, e qualche istruzione tecnica.
La prima: l’Abruzzo non è la Sardegna, perché non c’è voto disgiunto, quindi, la debolezza del candidato (Marco Marsilio) viene relativizzata dal fatto che, se uno vuole punirlo nell’urna, punisce anche la lista, ed è un bel deterrente.
La seconda: il voto è un “petto a petto”, non c’è un terzo candidato come Renato Soru, il che, normalmente, favorisce chi sta al potere.
La terza: la partita si gioca nel rapporto tra aree interne e costa. Storicamente l’Abruzzo interno è solidamente di centrodestra: nel 2018 l’unico collegio, in tutto il centrosud, che non fu vinto dal M5s fu proprio quello dell’Aquila, diventato nel 2022 il collegio di Giorgia Meloni (che nel frattempo lì ha piazzato il suo sindaco, il fedelissimo Pierluigi Biondi con percentuali bulgare).
Dove l’elettorato è più mobile è da Teramo verso la costa, quindi il tema è quanto l’Abruzzo Ultra dei Borboni (la costa) riesce a Recuperare sull’Abruzzo Citra (le aree interne).
E poiché, in termini demoscopici, Citra ha perso più popolazione di Ultra, più è alta l’affluenza trainata dalla costa più aumentano le chance del centrosinistra.
Aggiungiamone un’altra. Diffidate dei sondaggi, quelli delle ultime ore servono più come spin che come strumenti di indagine. Il termometro più affidabile del clima è l’ansia che ha accompagnato il centrodestra.
Mai si era vista una tale parata di ministri che, per supplire alla mancanza di un rendiconto di governo regionale su cui chiedere di nuovo la fiducia, si sono presentati a metà tra Achille Lauro (quello di una scarpa prima e una dopo il voto) e Giorgio Mastrota.
Per come è stata vissuta, interpretata, la sfida è davvero diventata una specie di Ohio, anche perché dell’Ohio, paragone spesso abusato, ha stavolta un elemento che la Sardegna non aveva in quanto microcosmo di un possibile scenario nazionale nella dinamica degli schieramenti.
Il comiziaccio di Pescara della premier di questa posta in gioco è un esempio sfolgorante. Che molto racconta del momento psico-politico in cui si trova Giorgia Meloni. Incapace di autocritica e di un cambio di passo dopo la botta, ha riproposto il format sardo: personalizzazione, vocine e autocelebrazione dei risultati del governo (di Abruzzo ha parlato cinque minuti scarsi).
Ha radicalizzato, mettendosi al centro della tenzone. In un’epoca che accelera cicli politici e percorsi psicologici è pienamente entrata nel “momento Renzi”, la narrazione egoriferita che gli valse le amministrative nell’anno del referendum, amplificata da una atavica sindrome da bunker.
Lei, il potere che si auto-magnifica, Elly Schlein, Giuseppe Conte e Carlo Calenda che invece parlano dei problemi degli ospedali di Tagliacozzo, dei lavoratori di Mosciano e della riserva del Borsacchio.
Insomma, è lei stavolta che ha tutto da perdere. La vittoria la metterebbe al riparo dalla “china”: il momento magico finito, la questione della classe dirigente, l’insofferenza degli alleati. Se uno vince, punto. Però saggezza suggerirebbe di prestare ascolto anche agli scricchiolii di una vittoria di misura, quelli, come si dice nelle pagelle del calcio, di quando si vince ma non si convince, perché in ogni caso chiuderebbero la fase del Re Mida.
Gli altri invece hanno tutto da guadagnare, tranne che da una rovinosa sconfitta. In ogni caso è tornata la competizione o, quantomeno, è meno mutilata.
(da Huffingtonpost)

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ATTORI CANTANTI POLITICI E GIORNALISTI TUTTI GLI ITALIANI ALLA CORTE DELLO ZAR

Marzo 9th, 2024 Riccardo Fucile

I “COMITATI DI INFLUENZA SPECIALE” PER INFILTRARSI E FARE PROPAGANDA CONTRO L’OCCIDENTE: SI PUNTA SU GIOVANI E ARTISTI

Si stanno infiltrando in Europa. Secondo il think tank britannico Royal United Services Institute (Rusi), che ha avuto accesso ad alcuni documenti riservati dell’amministrazione presidenziale di Mosca, da questa estate il primo vicecapo dell’amministrazione presidenziale Sergei Kiriyenko è stato messo alla guida di «comitati di influenza speciale», che hanno il compito di coordinare operazioni di infiltrazione e propaganda contro l’Occidente, anche in Italia.
Uno dei punti su cui si devono concentrare di più sono i giovani. E gli artisti.
Non è necessario essere reclutati come agenti, per venire embeddati in questi progetti “artistici”, o “culturali”. Basta essere utili.
Mosca sta cambiando strategia: scoperta ormai anche troppo la penetrazione nelle destre e nei partiti populisti europei di questi anni (da Salvini a Grillo e Assange su Russia Today, dai viaggi di Di Battista in Crimea a quelli di Vito Petrocelli a Russotrudnichestvo e Manlio Di Stefano con “Russia Unita” a Mosca, al caso Lega-Metropol), si può ottenere un risultato forse anche più pervasivo, e politicamente low cost con la somma giovani più Telegram.
In Italia esiste una galassia di canali pro russi che cominciano ad avere ottima audience molecolare, se si considera che 1000 visualizzazioni su Telegram possono essere equivalenti, per penetrazione sul territorio, a 100mila su Youtube.
Prendete il caso del film “Il Testimone”, film di propaganda russo sul conflitto in Ucraina, incredibilmente in tournée in tante città d’Italia. Lo spinge tantissimo il canale telegram Donbass Italia, di Vincenzo Lorusso, che ha spiegato a La Stampa che ci sarà anche altro, presto, con un suo amico storico, «con Andrea Lucidi mi lega una grandissima amicizia e a breve partiremo con un altro progetto comune».
Andrea Lucidi è un altro instancabile motore di questi progetti. Anche lui a Sochi, come Jorit, e uno dei pochi (unico italiano) ammesso nella sala gremitisima a sentire Sergey Lavrov, Lucidi si definisce non senza ironia «reporter e Russlandversteher», appellativo di solito non usato elogiativamente, per dire di quel vario giustificazionismo filorusso che in Italia storicamente è andato dai concerti di Albano in Russia agli accordi di Ca’ Foscari per dare una collaborazione a Vladimir Medinsky, lo storico e accademico revisionista che riscrive la storia russa a uso e consumo di Putin.
Ma Telegram è un mondo a sé, utile quanto l’accademia, e più potente. I russi l’hanno capito. Lorusso e Lucidi, oltre a Jorit, sono solo tasselli di una rete che interseca tantissimi filorussi o antiNato d’Italia, anche se mette insieme cose molto diverse. Da Amedeo Avondet, il giovane di destra torinese a cui risale il sito Il Corrispondente (che fu incredibilmente il primo al mondo a dare la notizia del pilota russo “traditore” assassinato due settimane in Spagna) a Giorgio Bianchi, reporter che nei giorni del Covid veniva ricevuto a Mosca a intervistare nientemeno che Maria Zacharova, a tanti altri canali Telegram
(da La Stampa)

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