Destra di Popolo.net

TRUMP CI RIPENSA SULLO STOP ALLE ARMI PER L’UCRAINA, LA TELEFONATA CON ZELENSKY

Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile

“AIUTEREMO KIEV A RAFFORZARE LA DIFESA AEREA”

Gli Stati Uniti vogliono aiutare l’Ucraina a difendersi in seguito all’escalation di attacchi da parte della Russia.
Lo riporta la testata americana Axios, anticipando il contenuto della telefonata di oggi – venerdì 4 luglio – tra Donald Trump e Volodymyr Zelesnky.
I due leader avrebbero concordato di far incontrare i propri collaboratori per discutere della difesa aerea e delle forniture di altre armi a Kiev. «Trump ha detto di voler aiutare nella difesa aerea e che controllerà cosa è stato fermato», ha detto una fonte ad Axios, riferendosi alla sospensione delle consegne di alcune munizioni e armi all’esercito ucraino. A confermarlo è lo stesso Zelensky, che più tardi precisa di aver concordato con il presidente americano il «rafforzamento della protezione» dei cieli ucraini.
Il colloquio telefonico con Zelensky arriva all’indomani della telefonata fra Trump e Vladimir Putin, che ha portato a un nulla di fatto per i negoziati di pace sulla guerra in Ucraina. Il presidente russo ha ribadito che Mosca non ha alcuna intenzione di rinunciare ai suoi obiettivi, respingendo la proposta di tornare a sedersi a un tavolo per le trattative con Kiev. Nella giornata di venerdì, Trump ha parlato non solo con Zelensky ma anche con il cancelliere tedesco Friedrich Merz, con cui ha discusso proprio della situazione in Ucraina e del negoziato sui dazi tra Ue e Stati Uniti.

(da agenzie)

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E’ DIFFICILE TROVARE UN LEADER PIU’ INCONCLUDENTE, SBIADITO E ONDIVAGO DI ANTONIO TAJANI –

Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile

FA LA FIGURA DEL CAGHETTA PERSINO NELL’UNICO MOMENTO IN CUI AVEVA MOSTRATO UN PO’ DI CORAGGIO: PRIMA HA RILANCIATO LO IUS SCHOLAE, “MINACCIANDO” DI VOTARLO INSIEME ALLE OPPOSIZIONI, E POI, DOPO LE RIMOSTRANZE DI LEGA E FRATELLI D’ITALIA, SI E’ RIMESSO A CUCCIA, RIMANGIANDOSI TUTTO

Ad anticipare il mortaretto estivo di Forza Italia è il portavoce del partito Raffaele Nevi, dalle colonne di Repubblica: «Se il Pd decide di chiedere la calendarizzazione dello Ius Scholae», annuncia, «noi siamo pronti ad approvarlo con loro. D’altra parte è un nostro progetto».
Poco dopo però, quando già la Lega chiarisce che non lo voterà mai e FdI senza scaldarsi ribadisce, con il numero due Giovanni Donzelli, la sua «posizione nota», cioè il suo no, il vicepremier Antonio Tajani ribalta la prospettiva.
«Noi abbiamo una proposta di legge che è lo Ius Italiae. Una parte è già diventata legge perché il governo ha preso la parte sullo Ius sanguinis. Adesso abbiamo lo Ius Scholae», spiega a margine dell’informativa al Senato, «la nostra proposta è diversa da quella del Pd. Noi diciamo: dieci anni di scuola con profitto,
quindi è più restrittiva della situazione attuale, nessuna disponibilità al lassismo». Dunque, nel caso – che sembra quello ipotetico di irrealtà – «non è che noi siamo pronti a votare con loro, è il Pd che deve votare la nostra proposta. Chiunque vuole votare la nostra proposta la voti». Il testo potrebbe essere calendarizzato in autunno. Ma anche qui siamo alle ipotesi, e pure vaghe.
Come un anno fa Tutto già visto un anno fa, nello stesso periodo di caldo torrido: Tajani annunciava che FI lavorava a una proposta, il tormentone è andato avanti tutta l’estate.
Poi a settembre le opposizioni hanno portato in aula quella proposta, sotto forma di emendamento al decreto Sicurezza. FI ha votato No. Il capolavoro lo ha fatto votando No al testo di Azione che raccoglieva gli annunci di FI, parola per parola. Tajani prometteva un testo organico, di cui però si sono perse le tracce. Ora lo si riavvista. Ma l’impressione è che la storia si ripeta.
Stavolta c’è persino un mezzo alibi per non fare niente, per la maggioranza: il fallimento del referendum sulla cittadinanza. Il quesito bocciato, come gli altri quattro, dimezzava i tempi per la richiesta di cittadinanza da dieci a cinque anni, ma è stato quello che ha raccolto più No: il 34 per cento, contro la media dell’11 degli altri.
Il testo forzista in teoria apre alla possibilità di chiedere la cittadinanza per un minore che abbia concluso le scuole dell’obbligo, e quindi può anticipare di due o tre anni il termine previsto dalla legge in vigore, cioè il compimento del 18esimo anno. Ma nei fatti potrebbe avere esiti anche più restrittivi, spiega lo stesso Tajani :] La rassicurazione non basta alla Lega.
Che non ne vuole sentire parlare. Tajani replica al richiamo all’ordine: è vero che lo Ius Scholae «non è una priorità», risponde, ma «anche la Lega ha presentato la proposta sul Terzo mandato e mica è caduto il governo». E per la precisione nel «punto 6 del programma di governo del centrodestra si parla di “integrazione economica e sociale dei migranti regolari”. E secondo me questa proposta è parte anche dell’accordo di governo». FdI dice no, ma non si scalda. Il che lascia intendere che l’ennesima baruffa fra duellanti non avrà conseguenze.
Le opposizioni non ci credono ma hanno il dovere di provare ad aprire contraddizioni nello schieramento avversario. Nel Pd scatta solo la minoranza riformista che intravede la possibilità di portare a casa una riforma in parlamento anziché con il (contestato, da questa parte) quesito referendario poi fallito. L’apertura di FI «è una possibilità che va esperita, non lasciata cadere» per il senatore Filippo Sensi, per Pina Picierno «un’ottima notizia» da verificare. […] Alla fine […] la senatrice Licia Ronzulli che, ieri a metà pomeriggio, forse in modo malizioso, ha svelato il gioco del vicepremier: lo Ius Scholae «non è all’ordine del giorno».

(da agenzie)

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IL VIMINALE CHIEDE 3 MILIONI DI EURO ALLE MAMME ANTIFASCISTE: “COLPA LORO IL MANCATO SGOMBERO DEL LEONCAVALLO”. MA VALE ANCHE PER CASAPOUND?

Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile

LA PROPRIETA’ HA OTTENUTO L’INDENNIZZO DAL MINISTERO DEGLI INTERNI CHE ORA VUOLE RIVALERSI SUGLI OCCUPANTI… MA SE IL VIMINALE NON HA MAI SGOMBERATO LE OCCUPAZIONI ABUSIVE LA RESPONSABILITA’ E’ SUA

Per il Leoncavallo di Milano è l’ora dei conti. La Corte d’Appello ha stabilito che fosse il Viminale a pagare ai Cabassi, proprietari dell’edificio in via Watteau, 3 milioni di euro per il mancato sgombero.
Ma ora il ministero chiede il rimborso a chi occupa il centro sociale. Gli interni hanno notificato un’ingiunzione di pagamento all’associazione Mamme Antifasciste del Leoncavallo, nella persona della sua presidente. Per rivalersi dei 3 milioni versati dal Viminale e dei conseguenti interessi legali. In quanto, spiega il Corriere di Milano, «l’esborso è stato causato dall’inottemperanza dell’associazione ai provvedimenti giudiziari che le ordinavano il rilascio dell’immobile occupato abusivamente».
La condannaLa condanna a ripagare i Cabassi risale a novembre 2024. La proprietà ha più volte chiesto alla Prefettura di eseguire lo sgombero. Procedura però mai portata a termine per «ragioni di ordine pubblico». Poi la sentenza. E il pagamento: «Il 26 marzo la Prefettura ha provveduto a versare ai Cabassi la somma complessiva di circa 3 milioni e 175 mila euro». La cifra comprende il risarcimento per gli interessi legali e le spese processuali. E vuole i soldi indietro. Per questo manda un’ingiunzione di pagamento «all’associazione, nonché alla presidente Marina Boer», con la richiesta di «provvedere entro 60 giorni dalla presente a rimborsare la somma
all’amministrazione».
Il patrimonio
L’associazione non ha patrimonio. E quindi a rifondere è chiamata la presidente. Che ora rischia il pignoramento dei beni. Mentre per il Leoncavallo c’è una nuova data per lo sfratto. Ora è previsto per il 15 luglio. Dopo 130 tentativi andati a vuoto, l’associazione a marzo ha presentato una manifestazione d’interesse preliminare per trasferirsi in uno stabile comunale in via San Dionigi, a Porto di Mare. Ma servono 3 milioni di euro per la riqualificazione.
(da agenzie)

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TAJANI, IL MERLUZZO-DELFINO CHE SOGNA IL QUIRINALE

Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile

CHE DIO CI CONSERVI MATTARELLA

Quando siamo tristi per le cose brutte che ci accadono intorno, quando siamo spaventati perché il mondo scotta, anzi brucia, è sempre lui che ci viene in soccorso. Con una buona parola equivalente a un bicchiere di acqua fresca che ci disseta, a una pacca sulle spalle che ci rincuora. Il mondo non è poi così cattivo e senza speranza finché c’è lui, Tajani Antonio, il nostro ministro degli Esteri, l’ennesimo ciociaro che abbiamo volentieri esportato agli onori del mondo, dopo i portenti del Divo Giulio. L’ultimo monarchico prestato alla Repubblica, in corsa già oggi per la prossima presidenza di tutti gli arazzi custoditi al Quirinale. Che dio ci conservi Mattarella.
Dai tempi della progressiva scomparsa di Mastella e dalla molesta permanenza di Pier Ferdinando Casini – impegnati in queste ore a fare i piccoli Bezos di Ceppaloni – Tajani è il nostro politico preferito. Quello che il tg – dopo la sequenza dei massacri in corso e dei bambini bruciati vivi – usa per consolarci da ogni malumore, cogliendolo sempre nel momento più bello della sua giornata, quello in cui ha finito di rastrellare l’ultimo maccherone e si avvia in ufficio, alla Farnesina, compiendo la lenta passeggiata digestiva, gli occhi spampanati davanti alla sua eterna commedia e alla nostra. Che lui perfeziona con lentissime dichiarazioni, ultimamente arricchite dall’uso eccessivo di peperoncino che alle attuali temperature agisce come l’acido lisergico: “La bandiera dell’Europa? È azzurra in omaggio al manto della Madonna. E le dodici stelle sono le tribù di Israele”. Come no.
Poco prima della guerra dei dodici giorni, Antonio ha detto che non ci sarebbe stata alcuna guerra tra Gerusalemme e l’Iran. Né che l’America, trasformata da Trump in permanente ospedale psichiatrico, avrebbe mai bombardato i siti nucleari degli
ayatollah. Tranquilli, diceva: “L’Italia lavora per la pace”. E poi: “Non ci risulta che Israele abbia intenzione di attaccare Teheran”.
Perciò immaginate lo stupore quando il 12 giugno lo hanno svegliato di soprassalto per riferirgli che l’attacco all’Iran era appena iniziato. E di come si sia precipitato alla Farnesina, dopo il Nesquik, affinché qualche ambasciatore o generale dislocato nel mondo a nostre spese, si degnasse di passare anche a lui qualche informazione, quietando il suo comprensibile sgomento. Al punto che intorno a mezzogiorno, sentendosi offeso dalle risate al suo arrivo in Parlamento, ha detto piccatissimo: “Questa mattina alle 3.30 ero già al lavoro. Invito anche le opposizioni a seguire il mio esempio di svegliarsi presto”. Per lui era quello il punto cruciale degli avvenimenti, la sua sveglia. Per poi informarci che proprio sotto la sua guida, “l’Italia sta lavorando alla de-escalation, per una soluzione diplomatica di questa vicenda”. Altro che Casa Bianca. E che lui personalmente seguiva la sorte dei connazionali per farli rientrare in Italia il più in fretta possibile, con aerei speciali, dimostrando che neanche lui si fidava delle sue previsioni.Anche stavolta aveva così tanto torto, che a mettere insieme le sue dichiarazioni e la sua storia torna immancabile il sorriso. Ne ho archiviate di bellissime.
La migliore risale a prima dell’inferno palestinese: “Ho parlato alcuni minuti con Netanyahu del problema dell’immigrazione e lui mi ha fatto notare che l’Italia è circondata da tre mari”. E poi: “In Medio Oriente la situazione è complicata, ma noi non dobbiamo demordere”. “Con la Russia dobbiamo evitare l’escalation”. “Almasri rimpatriato? Forse bisognerebbe aprire una inchiesta sulla Corte Penale Internazionale”. Giusto, non sul
torturatore libico.
Tajani, lo sapete, viene dalla primissima nidiata di Silvio Berlusconi. Lo pescò ancora ciambellone tra gli inchiostri de Il Giornale, anno 1994, dove strascicava le sue cronache dal Transatlantico. E lo trasformò, in anni di signorsì, nel suo preferito ciambellano. Si seppe, a quel tempo, che era nato nell’anno 1953, babbo generale di fanteria, infanzia ai Parioli, adolescenza al liceo Tasso in battaglia di quell’altro fulmine di Paolo Gentiloni, conte di Filottrano, che ai tempi guidava le zecche comuniste per poi farsi nostro presidente del Consiglio e Commissario europeo, nei panni del Moviolone.
A quell’epoca, Tajani era monarchico, stravaganza che tutti immaginavano estinta come certi lepidotteri inghiottiti dal Giurassico, e che invece sopravviveva tra le rughe e l’argenteria nei tetri palazzi della nobiltà romana nullafacente. In lui fino al dettaglio di preferire Amedeo d’Aosta a Vittorio Emanuele.
Trombato alle prime elezioni in Italia, nel ’94 sbarca in Europa. Sembra un parcheggio. Ci resterà per una ventina d’anni, durante i quali diventa grandicello, ma continua a dare del lei al Dottore e ad alzarsi quando entra. Due volte diventa Commissario europeo. Una volta addirittura presidente dell’Europarlamento. Da dove ogni tanto emette dei bip che segnalano la sua esistenza in vita. Contro l’euro-burocrazia dice: “La nostra Europa non è quella dei burocrati”. Contro l’euro-razzismo dice: “La nostra Europa non è quella del razzismo”. Il meglio lo dà sull’immigrazione con un esordio formidabile: “La nostra storia comincia alle Termopoli, quando i greci hanno respinto l’invasione dei persiani”. E continua: “Continua sulle isole, in riva al mare, lungo i fiumi. Secoli di scambi.
Mescolanza di pensieri. Dialettica di idee, di arte e di scienza”.
Angela Merkel lo trova irresistibile. Gran feeling correrà tra i due, moltiplicando la ruggine tra lui e Matteo Salvini, uno scontro tra titani, che dura ancora oggi.
Quando Silvio lo richiama in patria, i suoi colleghi di partito lo festeggiano: “Da merluzzo è diventato delfino”. Primeggia negli anni del Grande Declino. Illude il Capo quando pretende il Quirinale prima del paradiso. Fa il sesto figlio durante le esequie. Per poi mettersi nella scia di Marina, il maschio alfa di Arcore, che tiene nel borsellino i debiti del partito. Lui offre l’inchino ogni volta che deve, come gli ha insegnato Gianni Letta. Senza mai dimenticarsi della buonanima: “Ci sta guardando da lassù – salmodiò commosso al congresso aziendale di Forza Italia. È con noi in streaming”.
E mentre il governo oggi consuma la sua vendetta contro la magistratura, declama: “Dedicheremo la Riforma della giustizia a lui, Silvio Berlusconi, che ha tanto sofferto, ha tanto lottato”. Giusto: fino alla piena assoluzione dei funerali di Stato.
(da il Fatto Quotidiano)

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TORRI DORATE E NIENTE DENTRO

Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile

TRUMP INCARNA LA FASE TERMINALE DEL CAPITALISMO

Sta usando apertamente il suo incarico pubblico per arricchirsi smodatamente, secondo l’uso più squalificante della politica. Ha favorito il suo clan familiare nella maniera più sfacciata. È arrogante, incolto, rapace con le femmine, vendicativo con i maschi che non gli si sottomettono.
In politica estera l’unico suo criterio leggibile è schierarsi con i forti e schiacciare i deboli. Parla un americano basico, con un vocabolario molto limitato. Odia la cultura perché non ne capisce l’utilità. Ha scelto per il suo governo figure pittoresche
della destra più becera, quasi tutti incompetenti rispetto all’incarico.
La repressione lo eccita: ha chiamato “Alligator Alcatraz” il nuovo reclusorio per migranti, sostiene con un ghigno da cattivo dei B-movie che chi tenta la fuga verrà divorato dagli alligatori. Il suo ultimo gadget spremi-soldi è un profumo che viene venduto con una sua statuina dorata, l’oggetto è così pacchiano che perfino Vanna Marchi avrebbe qualche difficoltà a venderlo.
Viene il dubbio che Donald Trump sia veramente l’uomo delle Provvidenza: nel senso che è venuto al mondo per incarnare la fase terminale del capitalismo e annunciarne la fine. Torri dorate, e niente dentro. Più niente che sprigioni dai soldi, se non i soldi. Più niente che tenga in piedi la politica, se non la volontà di perpetuazione di una casta sempre più ristretta di megaricchi. Difficile perfino chiamare “destra” questa incarnazione della fine. Le persone di buone intenzioni, e specialmente i ragazzi, devono preparare il dopo senza farsi spaventare troppo da questo puzzo di morte.
(da La Repubblica)

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LO IUS SCHOLAE E QUEI PARTITI SENZA CORAGGIO: TUTTI TEMONO L’IMPOPOLARITA’

Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile

IL CORTOCIRCUITO SUI MIGRANTI: I SOVRANISTI TEORIZZANO I RIMPATRI, POI APPROVANO IL DECRETO FLUSSI

Di immigrati anche legali siamo stufi, devono remigrare (convegno sulla remigrazione, sponsor Lega, un mese fa). Anzi no, ne vogliamo moltissimi, e infatti ne accoglieremo altri 500 mila nei prossimi due anni (ultimo decreto flussi del governo, tre giorni fa). Saranno benvenuti e ai loro figli daremo lo Ius Italiae, cioè la cittadinanza garantita, se fanno le elementari e le medie con profitto (Antonio Tajani, FI, ieri). Anzi no, e per di
più le loro figlie, se musulmane e dunque col fazzoletto in testa, a scuola non potranno nemmeno entrare (Silvia Sardone, Lega, sempre ieri).
Il corto circuito strisciante sull’immigrazione arriva al culmine all’inizio della giornata di ieri, ma dura appena qualche ora. A mezzogiorno Tajani adombra la possibilità di maggioranze d’aula trasversali per mandare in porto la riforma della cittadinanza, ed è subito fuoco e fiamme.
Nel primo pomeriggio è già il momento dei pompieri, perché il medesimo precisa che la legge «non è una priorità» e che comunque il suo partito non è disponibile a concordare il testo con l’opposizione. A sera resta solo cenere. Lega e FdI possono decretare: partita chiusa.
E tuttavia per mezza giornata ci si è lasciati andare a un sogno. Un dibattito vero, solido, senza maggioranze precostituite, che riscatti il Parlamento dal suo letargico tran tran. Un confronto di alto profilo che decida una volta per tutte che cosa sono questi novecentomila ragazzini figli di stranieri che crescono nelle nostre scuole, questi Ahmed, Omar, Fatima, Zahra, compagni di banco dei nostri figli: una risorsa o un fastidio? Potenziali cittadini o gente sospetta, da tenere ai margini fin quando intorno ai ventidue, ventitrè anni – se insisteranno, se tutto va bene – lo Stato non sarà obbligato a dargli una carta di identità?Il centrodestra, come si è visto anche ieri, nuota nelle contraddizioni. Negli ultimi tre anni ha programmato flussi di immigrati legali per un totale di 949 mila unità, un milione di persone chiamate a lavorare e a vivere in Italia. La Lega ha sottoscritto senza imbarazzi i relativi decreti, anzi ne è stata fervente sostenitrice visto che arriva dagli imprenditori del Nord
la sollecitazione maggiore a cercare mano d’opera, ovunque sia disponibile. E tuttavia, mentre con una mano firmava quegli atti, con l’altra dettava comunicati di condivisione per il summit milanese sulla remigrazione, e cioè il rimpatrio nei Paesi d’origine pure degli immigrati regolari, da ottenere rendendo la vita difficile a chi viene da altre culture: «Una battaglia di libertà e civiltà, di sicurezza, che è il vero spartiacque tra destra e sinistra». Ovvia la domanda: se è vero che questi immigrati legali ci servono – come i decreti flussi dimostrano – perché non dirlo apertamente, perché affrontare il tema dell’integrazione loro e dei loro figli, perché continuare a trattarli come i baubau del discorso sull’Italia?
L’ultima pantomima sullo Ius Italiae, o Ius Scholae, o Ius Culturae – pure la sarabanda delle definizioni illumina sul caos, perché ognuno si è fatto il suo impervio titolo in latinorum – alla fine segnala soprattutto una paura delle destre: quella di perdere voti rinunciando alla retorica anti-immigrati che è da anni al centro della loro propaganda, e di ammettere che l’immigrazione è fenomeno irreversibile, da governare anziché da demonizzare.
Il passo indietro anche della sinistra
È un timore che ha un fondamento. La valanga di voti presa dal generalissimo Roberto Vannacci racconta che da noi sono ancora tanti a collegare l’idea di italianità al colore della pelle, e non bisogna deluderli anche se poi questi coloured ci sono indispensabili a mandare avanti il Paese e pure a pagare le pensioni “bianche”. Otto anni fa quella minoranza irriducibilmente razzista (si può dire?) spaventò pure la sinistra, che sulla soglia dell’ultima approvazione della riforma della cittadinanza si ritrasse all’improvviso e rinunciò al progetto: si
era alla vigilia di un voto politico difficile, meglio non rischiare. Il tema non fu mai più ripreso con la stessa serietà. Non lo fece Giuseppe Conte, che pure ieri invitava Tajani ad andare «subito in aula». Non lo vuol fare Giorgia Meloni, che pure non era ostile alla riforma quando sedeva ai banchi dell’opposizione.
Per fortuna Ahmed, Omar, Fatima, Zahra, probabilmente non ne sapranno niente. Sono piccoli, convinti di essere italiani esattamente come i loro compagni di banco nati da famiglie venete o siciliane.
Di essere diversi lo scopriranno più avanti, a diciotto anni, ma speriamo per loro (e per tutti noi) che nel frattempo sia emerso in politica quel tipo di coraggio che serve per mandare avanti un Paese, non solo per coccolare minoranze irrimediabilmente reazionarie.
(da agenzie)

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MELONI CERCA UN NUOVO AEREO DI RAPPRESENTANZA E INTANTO PROGRAMMA IL NUOVO GIRO DEL MONDO PER L’AUTUNNO: INDO-PACIFICO, COLOMBIA, BRASILE E SUDAFRICA

Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile

38 MISSIONI NEL 2024, MA L’AEREO “E’ SCOMODO”

Chissà che Giorgia Meloni, osservando l’amico Donald Trump, non abbia provato un po’ di invidia per il Boeing 747-8 con ufficio privato, undici bagni e cinque cucine che il Qatar ha appena regalato al presidente degli Stati Uniti per un valore di 400 milioni di euro. La presidente del Consiglio italiana non aspirerebbe a tanto, ma a qualcosa in più dell’Airbus 319 del 31° stormo con cui viaggia all’estero, sì.
Il suo, in dote a tutti i predecessori, è ormai considerato un velivolo vecchio e scomodo per chi ci viaggia. Non gode di particolari benefit (si dorme in poltrone non ripiegabili, stile economy), ci sono pochi posti (spesso i collaboratori della premier, oltre ai giornalisti, devono raggiungerla con aerei di linea) e non ha un’autonomia per fare lunghi viaggi oltreoceano, come per esempio l’Air Force One in dote al presidente degli Stati Uniti, obbligando la delegazione italiana a fare pause-rifornimento nei luoghi più sperduti del mondo. Ad ogni fermata carburante sono tutti obbligati ad affacciarsi, salutare la delegazione locale che, anche nel cuore della notte, si fa prontamente trovare con un mazzo di fiori e qualche grand commis in cerca di una foto. Gli omologhi europei – dal francese Macron allo spagnolo Sanchez – viaggiano su aerei molto più forniti.
Per questo, negli ultimi mesi, la premier Meloni si è spesso lamentata con i suoi collaboratori delle condizioni con cui viaggia. E a Palazzo Chigi sarebbero iniziate le ricerche per un nuovo aereo che goda di maggiori comodità, anche alla luce del fatto che la premier ha viaggiato molto all’estero da quando è diventata presidente del Consiglio (38 missioni solo nel 2024).
L’idea, rimasta a lungo sotto traccia, ma che Il Fatto è in grado di rivelare, sarebbe arrivata a un punto piuttosto avanzato. Un’ipotesi era stata quella di seguire l’esempio del papa: ovvero prendere in affitto un velivolo di linea Ita Airways e trasformarlo in una sorta di charter privato. Questo avrebbe permesso di ospitare più persone a bordo – fino a un centinaio circa – ma senza risolvere il problema della comodità (il papa non ha uno stanzino privato quando viaggia). Per questo sarebbero iniziate anche interlocuzioni che avrebbero interessato il 31° stormo dell’Aeronautica per un nuovo aereo, ma finora rimaste tali.Il vero problema di un’operazione di questo genere, infatti, è tutta politica e comunicativa. Come spiegare all’opinione pubblica una scelta così impopolare? Tanto più che alla premier verrebbe rinfacciata la campagna contro il cosiddetto “Air Force Renzi”, l’aereo Airbus A340-500 voluto dall’ex premier che fu preso in leasing e il cui contratto fu stracciato nel 2018 dal M5S. Oggi il velivolo è fermo all’aeroporto di Fiumicino e non si sa come smantellarlo. Il costo è di 7 milioni di euro l’anno.
Resta il fatto che a Chigi il problema esiste eccome e si stanno interrogando su come risolverlo. Anche alla luce del fatto che sarà un autunno di viaggi in giro per il mondo per la premier, che da qui a novembre resterà a Roma, sì e no, per un mese. Il 28 e 29 luglio prossimi, Meloni sarà ad Addis Abeba, in Etiopia, per il vertice Onu sui sistemi alimentari. Poi la premier andrà in
ferie e ripartirà il 29 agosto per un lungo viaggio di dieci giorni nell’Indo-Pacifico.
Ufficialmente, per l’Expo di Osaka, ma Meloni toccherà 5 nazioni: oltre al Giappone, andrà in Bangladesh, Vietnam, Corea e Singapore. Una volta tornata dovrà subito ripartire per New York per l’Assemblea dell’Onu. Tra ottobre e novembre, poi, Meloni dovrà non solo prendere parte al Consiglio Ue informale di Copenaghen, ma anche al vertice Ue-Celac (Comunità degli Stati latinoamericani e carabici) a Santa Marta, in Colombia, il 9-10 novembre. Sotto legge di Bilancio, Meloni non potrà perdersi le missioni in Brasile, a Belem, per la Cop30, e il G20 in Sudafrica.
(da Il Fatto Quotidiano)

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“NEGRO DI M…. TI UCCIDO”: AGGRESSIONE RAZZISTA SU UN BUS DI LINEA IN CENTRO A ROMA AD OPERA DI 4 RAGAZZI ITALIANI

Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile

INSULTI, CALCI E PUGNI, ARRESTI DOMICILIARI PER UN 21ENNE, OBBLIGO DI DIMORA PER ALTRI TRE… “UNA AGGRESSIONE RAZZISTA FEROCE” SECONDO IL MAGISTRATO

Quando si sono avvicinati, lui non ci ha fatto caso: sembravano quattro ragazzi come tanti, appena maggiorenni, a bordo di un autobus affollato come ogni giorno. Poi, però, non ha potuto fare a meno di notarli: lo hanno guardato intensamente, lo hanno accerchiato, sputato. “Negro di merda, ti uccido, infame di merda, so dove abiti, ti vengo a uccidere a casa tua, coglione”, dicevano. Poi il pestaggio, senza motivo. Anzi, una ragione c’è, e il giudice la riassume così: “Motivi razziali”.
Il magistrato lo scrive chiaramente nell’ordinanza con cui ieri i
carabinieri della Compagnia di Roma Centro hanno arrestato i quattro aggressori razzisti per aver picchiato e derubato un uomo nato in Libia. Il più grande, e più violento, 21 anni, è agli arresti domiciliari. Gli altri tre complici, tra i 19 e i 20 anni, quando il sole tramonta devono ritornare a casa.
I carabinieri hanno lavorato con il procuratore aggiunto Giovanni Conzo e hanno ricostruito ogni istante di ciò che è accaduto il 6 aprile del 2024 a bordo dell’autobus 201.
Una giornata come tante, il torpedone che attraversa piazza dell’Ara Coeli. I quattro si avvicinano a quel ragazzo di 25 anni che in quel momento pensava ai fatti suoi, seduto al suo posto. Lo accerchiano, si comportano come un branco, lo prendono in giro, lo molestano. Insulti, spinte, minacce. “Negro di merda”, ripetono. “Ti uccido”, promettono. Alcuni passeggeri provano a intervenire, li allontanano con fare malandrino. La vittima non vuole problemi, si sposta, ma il branco ha già puntato la preda. Lo seguono, gli sputano addosso e, quando lui fa un minimo gesto di reazione, lo colpiscono selvaggiamente.
Per 30 secondi, fino a quando la vittima resta distesa. Gli rubano l’orologio e il telefono. Scendono dal bus, poi risalgono e lo picchiano ancora, a rapina conclusa, per razzismo. “Feroce”, come lo descrive il giudice. L’autista del bus interviene come può, aiuterà anche le indagini. La vittima viene trasportata all’Ospedale San Giovanni: “multiple fratture”, dice il referto. I carabinieri iniziano a lavorare, in silenzio. E adesso hanno bussato alla porta dei quattro: arrestati.

(da agenzie)

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RONDE “ANTIDEGRADO” DI SEDICENTI PATRIOTI ALLA STAZIONE DI BOLOGNA, SULLE MAGLIETTE IL TESCHIO DELL SS

Luglio 4th, 2025 Riccardo Fucile

GLI ASPIRANTI QUESTURINI FORSE NON SANNO CHE L’ORDINE PUBBLICO LA DEVE GARANTIRE PIANTEDOSI E IL GOVERNO SOVRANISTA (SE NE FOSSE CAPACE)

Magliette nere con la scritta «educazione Felsinea» e un teschio, il «totenkopf», stemma utilizzato dalle SS durante il nazismo. Questi i simboli indossati dai militanti di estrema destra della Rete dei Patrioti, ieri sera, mercoledì 2 luglio, durante una ronda alla stazione di Bologna. A dare la notizia delle nuove «ronde anti-degrado», gli stessi membri del gruppo, che hanno pubblicato su Facebook delle fotografie che li vedono passeggiare nelle zone vicine alla stazione e piazza dei Martiri. Lo riporta Repubblica.
Le ronde anti-degrado dei neofascisti a Bologna
L’obiettivo delle ronde notturne, esplicitato nel post Facebook dai neofascisti, sarebbe quello di risolvere il degrado che, secondo loro, caratterizzerebbe le zone della stazione di Bologna e di piazza dei Martiri. «I militanti di Bulaggna – così si chiama la squadra di neofascisti emiliani, che corrisponde al nome del capoluogo in dialetto – hanno passeggiato per le zone della stazione centrale e di piazza dei Martiri, zone degradate dove spaccio, risse e aggressioni sono quotidiane. Abbiamo voluto dare un segnale di presenza, solo riappropriandoci delle vie che ora sono in mano a pusher africani si combatte veramente il degrado e soprattutto si trasmette sicurezza ai pochi bolognesi onesti che hanno ancora il coraggio di avventurarsi di notte in queste zone».
Le ronde di mercoledì 2 luglio, a quanto pare, sarebbero solo le prime di una lunga serie. «Le passeggiate della sicurezza continueranno – si legge nel post – invitiamo chi vuole unirsi a noi a contattarci».

(da agenzie)

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