Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
CONTINUA A CRESCERE IL CREDITO AL CONSUMO, ORMAI E’ IL DOPPIO DELLA MEDIA EUROPEA E CON I TASSI PIU’ ALTI TRA I GRANDI PAESI UE
Sarà a volte il risultato di una scelta, o più probabilmente frutto della necessità, fatto sta che gli italiani comprano a rate più degli altri cittadini europei. Il problema è che, quando lo fanno, sono
costretti a pagare tassi più alti rispetto a Paesi come la Francia e la Germania. I prestiti sotto forma di crediti al consumo continuano a crescere in Italia, tanto che nel primo trimestre del 2025 hanno superato i 171 miliardi, registrando nel giro di un anno un aumento in volume del 5,4%. Tra i dati più preoccupanti, il costante aumento delle cosiddette “cessioni del quinto” dello stipendio, pratica che in alcuni casi potrebbe essere l’unica opzione disponibile per ottenere un finanziamento.
Nei nuovi dati rielaborati dalla Fondazione Fiba della First, sindacato dei bancari della Cisl, emerge una conferma: siamo ai primi posti per la quota di crediti al consumo sul totale dei prestiti. Che sia per acquistare lo smartphone, l’auto o la moto, la lavatrice, il frigorifero, il nuovo divano, si tende a indebitarsi e a pagare invece che l’intero importo subito, per non intaccare i risparmi da usare per eventuali spese improvvise. Sarebbe sbagliato cercare un’unica spiegazione a questo fenomeno, ma sicuramente la debolezza dei nostri salari è un fattore determinante.
Negli ultimi trent’anni, l’Italia è l’unico Paese Ocse che non registra crescita nelle retribuzioni, e il recupero di potere d’acquisto dopo la fiammata inflazionistica è iniziato solo a fine 2023. Non è riuscito a coprire tutta la perdita, tanto che le attuali buste paga reali (cioè al netto del carovita) sono ancora ben lontane rispetto a quelle del 2021. I dati sui prestiti al consumo forniscono un altro tassello. Di fronte a questa incertezza, infatti, per gli acquisti più costosi si tende a contrarre nuovi prestiti, a costo di pagare interessi elevati. A maggio 2025, il tasso annuale effettivo globale (Taeg) sulle nuove operazioni di prestito
personale ha raggiunto da noi il 10,18%, mentre in Francia è pari al 6,58% e in Germania all’8,3%. Bisogna ricordare che in Italia è più ampia la forbice tra il Tan, cioè il tasso di interesse sulla cifra prestata, e il Taeg, che comprende anche altri costi come la spesa per la pratica e le polizze assicurative. Questo contribuisce a far sì che gli italiani paghino interessi più alti sul prestito. In Italia, il 19,1% dei prestiti totali è costituito da credito al consumo, mentre in Germania la percentuale si ferma al 9,5% e in Francia al 12,7%. In tutta l’area Euro, siamo invece all’11,2%. A erogare questi prestiti in Italia sono le banche per poco meno di 123 miliardi e le finanziarie per poco più di 48 miliardi.
Continua a crescere in maniera sostenuta anche la quota di prestiti garantiti dalla cessione del quinto dello stipendio. A inizio 2011 erano 10,3 miliardi, mentre nell’ultima rilevazione sono arrivati a 18,3 miliardi (+1,3% rispetto a un anno fa). In parte, è dovuto anche all’aumento del numero totale di lavoratori dipendenti nel nostro Paese, ma il dato va analizzato con attenzione. “Quando correlato ai consumi – fa notare la First Cisl – questo denota implicazioni sul terreno sociale che non possono non destare preoccupazione”. Ricorrere a questa forma di finanziamento, in cui le rate vengono pagate con un automatico prelievo del 20% dello stipendio, può essere una scelta ma può anche essere dovuto al fatto che non si ha la possibilità di ottenere un prestito tradizionale, più flessibile. Ecco perché questi numeri in crescita possono indicare una maggiore difficoltà di accesso al credito e a far fronte a spese ordinarie e necessarie.
Per quanto riguarda i mutui per l’acquisto di casa, in Italia i tassi sono in linea con l’area Euro: 3,58%, e leggermente inferiori a Germania e Francia. Nei prossimi tempi, sarebbe interessante indagare un altro fenomeno: quello dei pagamenti a rate dei prodotti che costano anche solo poche centinaia di euro, per esempio vestiti o cosmetici. Una possibilità offerta da servizi come Paypal e Klarna, spesso a tasso zero. Sapere quante persone la utilizzano racconterebbe molto sugli stili di consumo soprattutto dei più giovani e del loro (scarso) potere di acquisto.
(da agenzie)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
39 ANNI, LAUREATO A ODESSA, CAPO DELL’INTELLIGENCE MILITARE UCRAINA, E’ IL “CERVELLO” CHE COLPISCE CON I SUOI UOMINI IL REGIME DI PUTIN IN TERRITORIO RUSSO CON AZIONI CLAMOROSE… E’ SCAMPATO A DIECI ATTENTATI: HA CREATO UNITA’ DI GIOVANI SOTTO I 30 ANNI. ADDESTRATI E MOTIVATI
Nato a Kiev e laureato presso l’Accademia militare di Odessa, Budanov è da sempre nei
ranghi delle forze speciali dei servizi segreti militari e, secondo il New York Times, faceva parte dell’Unità 2245, un reparto segreto. Dopo la rivoluzione di Maidan nel 2014 e la secessione delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, Budanov ha combattuto a lungo nel Donbass ove sarebbe stato ripetutamente ferito. Nel 2016, avrebbe guidato un commando incaricato di far saltare un aeroporto nella Crimea occupata dai russi. La pattuglia sarebbe stata intercettata e, dopo uno scontro a fuoco, costretta a ritirarsi in territorio ucraino. Nell’operazione Budanov rimase ferito
La vita dell’agente segreto Budanov è avvolta nel mistero e nel mito, gli attribuiscono il merito di aver schivato almeno dieci tentativi di ucciderlo. E a renderla ancor più misteriosa sono due episodi più recenti. Nel 2019 la sua auto fu oggetto di un attentato da parte di un kirghizo con passaporto russo che cercò di piazzarvi un ordigno esplosivo. La mina però scoppiò in anticipo e Budanov riuscì a scamparla. E nel novembre scorso sua moglie Marianna subì un tentativo di avvelenamento, ovviamente attribuito ai russi, da cui si riprese solo dopo lunghe cure in ospedale.
A portare ancora più in alto Budanov, però, oltre al coraggio personale, è stato lo svolgimento della guerra. Mentre le operazioni militari ucraine al fronte prendevano una china negativa, l’intelligence guidata da Budanov si distingueva per una lunga serie di operazioni che mettevano in imbarazzo i russi e galvanizzavano gli ucraini. Gli omicidi mirati di Daria Dugina e del blogger militare Vladen Tatarskij. Le bombe contro il Ponte di Crimea. I droni marini contro le navi russe nel Mar Nero. I droni aerei lanciati contro le raffinerie in territorio russo, anche a molte centinaia di chilometri dal confine. Le incursioni dei “partigiani” russi contro i piccoli centri vicini al confine con l’Ucraina. In tutte queste operazioni c’è la mano di Budanov.
La stessa mano cui i russi ora attribuiscono il massacro del Crocus City Hall di Mosca, con i suoi 143 morti. Non a caso Aleksandr Bortnikov, capo del controspionaggio russo (FSB), ha fatto proprio il nome di Budanov dopo l’attentato, allargando così il bersaglio che Budanov da tempo porta sulla schiena. Per parte sua, il giovane tenente generale ucraino risponde vivendo in una specie di perenne fuga, per non agevolare il compito dei servizi segreti russi che lo eliminerebbero più che volentieri.
(da agenzie)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
I PARALLELI CON IL MOSSAD E IL PROGRAMMA DI ADDESTRAMENTO “PESCE ROSSO”, CHE INSEGNA AGLI UCRAINI A SPACCIARSI PER RUSSI
Negli ultimi tre anni e mezzo di guerra l’attenzione del mondo si è concentrata sulla linea del fronte orientale e meridionale.
Spesso i successi e i fallimenti del conflitto sono stati misurati sulla base di pochi chilometri quadrati di terreno o sulla sorte di piccoli villaggi sconosciuti ai più. Ma dal 2022 è in corso una
guerra parallela e segreta tra Mosca e Kiev il cui impatto non sempre è chiaro.
E ora che gli aiuti occidentali all’Ucraina sono sempre meno scontati, la parte di lavoro più grande di questo conflitto ricade sulle spalle dell’intelligence ucraina.
Operazioni come quella di ieri contro l’aeroporto di Borisoglebsk in Russia sono ormai all’ordine del giorno. Non tutte sono spettacolari come l’attacco «tela di ragno» condotto il 2 giugno contro le basi aeree russe. Ma da quando l’Armata ha attraversato per la prima volta il confine il 24 febbraio 2022, i servizi ucraini — Sbu e Gur — hanno lavorato per infliggere danni ben oltre la linea del fronte.
Oltre agli attentati contro singoli target (uno dei più eclatanti quello costato la vita alla figlia di Dugin, considerato ideologo del Cremlino), sono stati colpiti obiettivi dal Donbass alla Crimea (il più importante è il ponte di Kerch), fino alla periferia di Mosca e alle linee ferroviarie della Siberia.
È il 2016 quando, per proteggersi dalla penetrazione russa, le nuove squadre del Gur — l’intelligence militare — iniziano a reclutare solo ufficiali sotto i 30 anni, giovani «patrioti» anti russi che vanno a formare un commando addestrato dalla Cia.
È la famosa Unità 2245, che sarebbe diventata nota per le sue audaci operazioni dietro le linee russe e all’estero.
Una delle sue punte di diamante è Kyrylo Budanov, ora al vertice del Gur. E, sempre nello stesso periodo a Kiev arriva un nuovo capo della stazione della Cia, soprannominato «Babbo Natale» per la sua barba bianca.
Anche il programma di addestramento «Operazione Pesce Rosso» porta la firma di Langley. Chiamato così per una
barzelletta post sovietica su un pesce russofono di cui non ci si può fidare, insegna agli ucraini a spacciarsi per russi.
Avanti veloce e anche l’Sbu — la sicurezza interna — cambia faccia. È il luglio 2022 quando il suo capo Ivan Bakanov, viene costretto a dimettersi a causa delle accuse di essere molto morbido coi traditori interni. E così al comando dell’Sbu passa Vasyl Malyuk, l’archietto dell’operazione «tela di ragno», progettata per anni e molto simile a quella condotta contro Hezbollah dal Mossad. Un’altra agenzia attenta a quello che accade in Ucraina
(da Corriere della Sera)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
ANZIANI, GIOVANI E DONNE I PIU’ PREOCCUPATI
Gli italiani mostrano una forte preoccupazione per un possibile allargamento del
conflitto in Medio Oriente (43,1%), soprattutto in relazione all’ipotesi di un asse, sempre più robusto, tra Iran, Cina e Russia.
In questo contesto così delicato anche la Turchia svolge un ruolo strategicamente complesso e cruciale con diverse leve di politica estera e diplomazia molto attiva, mentre Donald Trump si è dichiarato ottimista per un cessate il fuoco a Gaza grazie al suo intervento, elogiato anche dal segretario della Nato Mark Rutte. Il Presidente americano continua a invocare una tregua, ma i fronti in guerra ignorano ogni appello, lasciando spazio solo allo sconforto. In questo “maremagnum”, tra famose telefonate, annunci forti e rinnegati, si declinano quelle che sono le paure
degli italiani dinnanzi a tutti i fronti dei conflitti aperti.
Il quadro che si compone è molto realistico e condiviso del sentimento della gente; emergono timori e preoccupazioni non isolati che evidenziano la vulnerabilità e la fragilità percepita a tutto tondo: è la sensazione diffusa di trovarsi sull’orlo di un nuovo fragile equilibrio globale, senza garanzie concrete.
Dai dati emerge con chiarezza che i giovani (68,3%), gli anziani (55,1%) e le donne (46,5%) sono i gruppi più spaventati da un’escalation globale.
A livello nazionale un cittadino su 3 (29,3%) teme gravi ricadute sull’economia familiare, simili o peggiori rispetto alla crisi energetica post-invasione dell’Ucraina. Paventano che una possibile escalation possa destabilizzare il mercato petrolifero con rialzi rapidi di benzina (che si sono già verificati), gas e bollette. I
l 25,8% degli intervistati da Only Numbers nel sondaggio settimanale si dimostra sensibile alla sofferenza civile: le immagini da Gaza, il grido di dolore dei civili, la fragilità di intere generazioni che crescono sotto le bombe colpiscono nel profondo, facendo sentire un cittadino italiano su quattro moralmente coinvolto. Dopo il riaccendersi del conflitto, anche i timori per possibili azioni terroristiche sono tornati al centro del dibattito (20,3%).
A questo si lega la paura di importare cellule radicalizzate e “lupi solitari” attraverso arrivi in massa sulle nostre coste di profughi e immigrati (12,7%). Le preoccupazioni riguardano proprio la capacità di controllo su accoglienza, integrazione e soprattutto sicurezza del nostro Paese, specialmente in un contesto economicamente delicato. L’Italia non è mai stata
isolata dai venti del terrorismo e la possibilità che il conflitto –sotto altre spoglie- «arrivi da noi» è sentita. Tutto si riflette in un aumento della pressione politica sui confini, sui centri di accoglienza e sulle missioni nel Mediterraneo. Infine, un po’ più nascosto e defilato, nell’elenco delle paure dei cittadini sugli sconvolgimenti bellici in Medio Oriente, compare il rifiuto di un intervento militare diretto del nostro Paese (17,3%).
Già, l’invio di armi è visto con grande scetticismo e diffidenza da una parte importante del Paese, specialmente se non supportato da forti intese e garanzie internazionali.
Queste paure, più che derubricarle come semplici ansie, rappresentano un termometro sociale di una popolazione che si sente esposta a scelte e decisioni che dipendono da diplomazie e accordi molto distanti. La diplomazia è protagonista, anche se poco meno di due italiani su tre (62,1%), bocciano quella dell’Unione Europea.
I giudizi più generosi che promuovono sul campo la politica estera della Ue arrivano da un cittadino su quattro (24,8%) a livello nazionale con un pieno sostegno da parte degli elettori di Forza Italia (62,8%) e, un po’ più incerti, ma sempre positivi, da quelli di Italia Viva (42,2%).
Su questo fronte i cittadini italiani –e non solo- percepiscono come più efficaci i singoli capi di Stato europei (54,7%) rispetto all’intera Ue (9,2%) nel gestire le crisi internazionali, soprattutto quelle legate al conflitto in Medio Oriente.
I leader come Macron, Merz o Meloni si espongono pubblicamente con dichiarazioni forti e visibili, spesso assumendosi la responsabilità politica immediata, mentre le istituzioni europee, come la Commissione o il Consiglio,
parlano con voce collettiva, lenta, spesso troppo tecnica o diplomatica, e quindi percepita come lontana o inefficace. Da tutto ciò si può desumere facilmente che nelle crisi globali gli italiani guardano più a Roma che a Bruxelles.
La diplomazia europea non convince, troppo lenta, tecnocratica e frammentata rispetto all’immagine e all’azione dei singoli leader che parlano ai propri cittadini. È un problema strutturale: in un’epoca di crisi globali servirebbe una politica estera europea unita, visibile e autorevole. Se vogliamo che l’Europa sia davvero protagonista, serve meno burocrazia e più coraggio politico, altrimenti, continueremo ad affrontare le sfide globali in ordine sparso, con la diplomazia affidata alle capitali nazionali più che a Bruxelles. La forza di un Paese si misura nella capacità di costruire relazioni, non nei proclami. I cittadini chiedono una politica estera che protegga il nostro domani.
Alessandra Ghisleri
(da lastampa.it)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
QUANDO CHI NON E’ IDENTICO A NOI E’ NOSTRO NEMICO
Chiunque abbia visto Truman Show di Peter Weir, e si sia entusiasmato quando, in uno dei più grandi finali della storia del cinema, Jim Carrey fugge dal fondale finto del mondo finto nel quale è nato e cresciuto, avendolo creduto vero; chiunque si sia commosso per quell’esito di libertà, facendo un tifo disperato per il fuggiasco; e chiunque abbia detestato l’orribile città caramellosa, pettinata e mansueta della quale Truman era prigioniero; vedendo il “promo” che la Casa Bianca ha confezionato per pubblicizzare il “Big Beautiful Bill” avrà la stessa impressione di sorridente conformismo, bianco e piccolo borghese, del quale Truman Show era la feroce parodia.La repressione contro migranti e altre categorie socialmente disturbanti (per esempio i professori) non è che un aspetto – diciamo il più prevedibile – del nuovo potere americano. Più subdola e sgomentevole è la nuova violenza (ancora senza nome) per indicare la quale si deve ricorrere a lunghe perifrasi.
Qualcosa come: guai a chi non si adegua al sorridente conformismo dei consumi, non se ne sente appagato, non si considera felice per un tipo di vita che ricalca quelle pubblicità, quelle famigliole tradizionali felici, quelle funzioni religiose nelle quali si canta tutti insieme per la gloria di Dio e dell’America.
L’irrequietudine, le identità complesse, la volontà critica, il conflitto sociale sono il serpente da schiacciare. Chi non è felice di vivere qui e di vivere così non merita di vivere qui e di vivere così. Chi non è identico a noi è nostro nemico. E noi lo distruggeremo.
Come chiamare questo odio organizzato? Ha ragione chi pensa che “fascismo” sia una parola sbagliata, troppo vecchia. Ce ne vorrebbe una nuova, ma trovarla è difficile: già se ne riconosce, però, la stupidità e la ferocia.
(da repubblica.it)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
L’AMERICA PARTY POTREBBE FRAMMENTARE IL VOTO REPUBBLICANO IN ALCUNI STATI INDECISI,, E ARRIVARE A UNA QUOTA DI CONSENSO DEL 5-10%. FINIREBBE PER FREGARE TRUMP E FAVORIREBBE I DEMOCRATICI
«Creare un America Party potrebbe frammentare il voto repubblicano, soprattutto in stati indecisi come Pennsylvania, Georgia, Arizona, Wisconsin, Michigan e Nevada», ha osservato Grok, il portale di intelligenza artificiale che porta il nome di Elon Musk, «alle elezioni di medio termine del 2026, potrebbe far pendere la bilancia tra Camera e Senato a favore dei Democratici, attirando conservatori scontenti (ad esempio, una quota di voti del 5-10% secondo i sondaggi)».
L’Ai ha previsto inoltre che «per le presidenziali del 2028, una candidatura di un terzo partito potrebbe compromettere i risultati del Collegio Elettorale, come accadde a Perot nel ’92, favorendo il candidato non trumpiano se dovesse attrarre indipendenti di
destra. Il successo dipende dall’accesso alle schede elettorali e dai finanziamenti». Sui finanznaizmenti, pochi dubbi, dato che arriverebbero dalle tasche dell’uomo più ricco del mondo. Le visualizzazioni del post di Musk sono già più di 30 milioni, e i commenti sono circa 45 mila, ma i numeri cresceranno ancora nelle prossime ore.
(da Open)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
L’ANNUNCIO DELL’ATTIVISTA UCRAINO VLADISLAV MAISTROUK, CHE L’AVEVA INCONTRATO DI RECENTE: “ERA UN UOMO GENTILE E CORAGGIOSO, È CADUTO IN BATTAGLIA DIFENDENDO L’UCRAINA E L’EUROPA”
Un altro italiano è morto in Ucraina, combattendo a fianco del Paese aggredito dalla
Russia. È successo qualche giorno fa nella regione di Sumy, particolarmente attaccata nelle ultime settimane. Si chiamava Thomas D’Alba. Era nato a Legnano e viveva a Rescaldina, nell’Alto Milanese. Aveva 40 anni. In precedenza era stato nell’esercito e poi aveva lavorato, per molti anni, come insegnante di musica alla scuola Paganini, con diverse sedi nella sua zona d’origine. Il suo strumento era la batteria. Per questo strumento aveva scritto anche diversi metodi Ex Folgore
Ne ha parlato, in un commosso ricordo su Facebook, il giornalista ucraino Vladislav Maistrouk, che lo aveva incontrato più volte a Kyiv, la capitale dell’Ucraina. “È caduto in battaglia
difendendo l’Ucraina e l’Europa. Thomas non era uno sprovveduto, ma un professionista, aveva già servito nell’esercito italiano, nella Folgore. Lasciò le armi per seguire la sua passione e diventare insegnante di musica. Poi è iniziata la guerra a larga scala in Ucraina, e Thomas non se la sentì di rimanere a guardare. Rinunciò al lavoro ben pagato per uno stipendio mediocre, considerando i rischi, agli aperitivi con gli amici scelse le esercitazioni al freddo nei boschi, alle notti tranquille passate nel proprio letto preferì per un sacco a pelo in una trincea”.
“Mai un dubbio di essere dalla parte giusta”
Ancora Maistrouk: “Ci siamo conosciuti a Kyiv, e passammo serate a parlare, come se fossimo dei personaggi di Remarque. L’ultima volta che ci parlammo, a inizio di giugno, Thomas era in missione, e si vantava di avere un nuovo ‘amico’, un (drone, n.d.r.) FPV russo, inesploso a 1,5 metri dalla sua postazione. Non si lasciava abbattere, neanche in quei momenti. Una cosa che mi disse Thomas, e che vorrei leggessero gli italiani, soprattutto chi dubita, o chi è contro: ‘Sono stato in molte missioni all’estero, e a volte mi chiedevo se fossi dalla parte giusta. In Ucraina non ho mai avuto questo dubbio'”.
L’amico cantante: “Era puro, sincero, disposto ad aiutare”
Commosso anche il ricordo del cantautore Fabio De Vincente, intervistato da Adnkronos: “L’ho conosciuto un anno fa in Ucraina”, ha dettto: “L’ultima volta che ci sono stato, due o tre mesi fa, ho fatto piccoli concerti negli ospedali e nei centri di abilitazione e Thomas mi ha accompagnato. Ho condiviso con lui il piacere di fare del bene. Mi ha colpito la sua lucidità nell’essere vero, etico, puro, sincero”. E ancora: “Una notte in un
bunker ci siamo messi a scrivere un pezzo assieme e abbiamo suonato con alcuni soldati ucraini. Ogni cosa che vivevamo era molto forte. Era una persona molto cara e predisposta ad aiutare chi era in difficoltà”.
(da agenzie)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
SONDAGGIO “YOUGOV” TRA I RAGAZZI DI TUTTA EUROPA: SOLO IL 57 PER CENTO DEGLI INTERVISTATI RITIENE LA DEMOCRAZIA LA MIGLIORE FORMA DI GOVERNO POSSIBILE
Che poi, tutta questa democrazia, alla fine ci serve veramente? È stata posta una domanda simile ai giovani europei e le risposte illustrano un quadro preoccupante. Qualcosa di più di un campanello d’allarme.
Secondo un sondaggio di YouGov commissionato dalla tedesca Tui Stiftung, il sostegno delle giovani generazioni nei confronti della democrazia sta calando. In media, infatti, solo il 57 per cento degli intervistati la ritiene la migliore forma di governo possibile.
Lo studio “Junges Europe 2025” è stato condotto su un campione di oltre 6.700 giovani, tra i 16 e i 26 anni, cittadini di Germania, Francia, Spagna, Italia, Grecia, Polonia e Regno Unito.
E le differenze che emergono tra i diversi contesti nazionali sono rilevanti. Perché i ragazzi e le ragazze che in Germania preferiscono la democrazia ad altri sistemi di governo sono il 71 per cento, mentre in Polonia sono solo il 48 per cento.
Non c’è molto da compiacersi, perché l’Italia – con il 24 per cento – è invece prima per giovani che si sono detti favorevoli a un regime autoritario, seppur a certe circostanze
Uno su quattro. Davanti a Francia, Spagna e Polonia con il 23
per cento. In Germania, invece, la percentuale è al 15.
Secondo il 48 per cento di tutti gli intervistati, nel proprio paese la democrazia è a rischio. Mentre circa un giovane su 10, in tutte le nazioni prese in considerazione, è indifferente e non si preoccupa se il suo governo sia democratico o no.
In linea generale, circa due terzi degli intervistati pensano che l’appartenenza del proprio paese all’Ue sia positiva.
Tra gli italiani la percentuale è al 63 per cento. Significativi i dati dei giovani britannici: per il 73 per cento di loro è necessario un ritorno del Regno Unito nell’Unione, con il 47 per cento che auspica almeno dei rapporti più forti tra Bruxelles e Londra.
Un problema, però, traspare dalle risposte dei giovani riguardo le politiche europee. Bruxelles sembra aver smarrito identità e strada da percorrere. Per il 53 per cento, infatti, l’Ue si concentra troppo spesso su questioni futili, ignorando i temi centrali per un ragazzo o una ragazza: dal costo della vita alla difesa comune, passando per la crescita economica.
Serve quindi una maggiore integrazione europea? Per il 53 per cento degli intervistati italiani sì, ed è un risultato da sottolineare. In linea con le risposte dei tedeschi, ma soprattutto di gran lunga superiore a quanto pensano polacchi (31 per cento) e francesi (27 per cento).
Tuttavia, l’Ue non è vista veramente come un grande attore globale, al pari di Stati Uniti, Cina e Russia: solo il 42 per cento dei giovani la ritiene infatti tra i tre principali player attuali sul contesto internazionale. E c’è di più, qualcosa su cui le istituzioni di Bruxelles dovrebbero riflettere: circa il 40 per cento dei giovani ritiene che l’Ue non funzioni in maniera democratica.
(da agenzie)
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Luglio 6th, 2025 Riccardo Fucile
LA CARTA COPERTA SEMBRA ESSERE UN’ALTRA: GIOVANNI MALAGÒ. CIÒ SPIEGHEREBBE LA PROCLAMAZIONE DI FEDE MELONIANA NELL’INTERVISTA ALLA “STAMPA” DELLA SCORSA SETTIMANA
Qualche sera prima di passare alla festa romana dei Fratelli d’Italia, al laghetto dell’Eur,
una pozza bollente tra tafani grandi come piccioni e auto blu con i lampeggianti del potere, quello vero, concreto, di ministri e sottosegretari, di deputati e senatori e portaborse vestiti pure loro come ministri, tutta gente che governa il Paese e vorrebbe prendersi anche la sua Capitale, compresa la poltrona del Campidoglio, andiamo a una cena. Venite. Saliamo al quinto piano di questo palazzo del centro storico dove si festeggia il compleanno d’una signora che ricopre un incarico di notevole prestigio. Champagne e panzarotti. Si comincia bene.
Roma in purezza. Un’ora dopo, però, le chiacchiere si fanno più sfiziose. «Ho sentito Rossi, dice che tra un po’ s’affaccia…». Un’amica della festeggiata, scesa da Torino.
«Riccardo Rossi? L’attore? Io l’adoro». No, signora. Giampaolo Rossi, il mega direttore generale della Rai, pure lui passato trent’anni fa, come Giorgia Meloni, per la mitologica sezione di Colle Oppio, stanzoni umidi ricavati da una catacomba e un panorama sul Colosseo e su una dimensione nuova di destra.
«Sapete che il segretario, il capo di tutti era Rampelli?», interviene un tipo alto, barba curata, molto informato sulle vicende destrorse e così si finisce a parlare di Fabio Rampelli, dell’amicizia prima spezzata e poi ricomposta (sembra, forse) con le sorelle d’Italia, sulle sue ambizioni vere o presunte di provare a candidarsi come sindaco di Roma, una possibilità che comunque non gli concedono mai (fu estromesso persino dalla
corsa a governatore del Lazio, quando gli venne preferito Francesco Rocca).
È a questo punto che un po’ tutti cominciano perciò a spiegare, con l’aria di saperla lunga, come e perché nemmeno la tornata elettorale del 2027 sarà per Rampelli quella buona.
Ma dai? Aspettate. Prima un altro calice di bollicine, la faccenda si fa interessante. Allora? «Sai, potremmo parlarne con Giovanni, che forse passa». C’è un solo Giovanni, in questa città: Malagò. Tutti lo chiamano per nome.
La voce: Malagò potrebbe essere il candidato sindaco del centrodestra. Indizi. Il primo. Interrogato sull’argomento, l’anno scorso, rispose senza alzare muri, tutt’altro: «Amo la mia città… Un futuro da sindaco? Per ora non ci penso. Il mio mandato di presidente del Coni scadrà nel 2025». Ecco, appunto. È scaduto.
E così arriviamo al secondo, solido indizio. Il giorno che precede la travagliata elezione del suo successore (Luciano Buonfiglio, da lui designato, of course), Malagò rilascia una lunga intervista alla Stampa . In cui, lui che di solito è felpato, equilibrato, prudente (tutti sappiamo quanto lo stimi Gianni Letta), afferma: «Faccio il tifo per Giorgia Meloni e spero che vinca la sua scommessa a medio-lungo termine. Io sono un patriota».
Malagò, di botto, un patriota? Sarabanda di sospetti. Vuol fare il candidato civico di osservanza meloniana? «Chiediamolo direttamente a lui. Tra quanto arriva?». Solo che Giovanni non arriva nemmeno dopo la torta con le candeline. E comunque, se pure fosse venuto, diciamo non è tipo da farsi mettere in mezzo.
Certo però anche lui sa bene che la voce è questa. Ed è forte. Molto. Non l’unica, com’è ovvio
La sensazione è precisa qui all’Eur . L’ultima volta candidarono un certo Enrico Michetti, un simpatico tuttologo che parlava dai microfoni di una radio privata, tra discorsi da bar («I romani so’ gggente meravijosa») e gaffe contundenti.
L’idea venne ad Arianna, grande ascoltatrice radiofonica. Pentita? Sorvoliamo. Piuttosto: secondo alcuni, questa volta starebbe meditando di scendere in pista personalmente (possibile, ma improbabile: chi si occuperebbe, poi, del partito?).
Sul Messaggero hanno sparato forte la suggestione Carlo Calenda: precisando che «per ora è solo una pazza idea», suggerita dalla deriva destrorsa del leader di Azione, il quale — nel 2021 — non riuscì comunque ad arrivare nemmeno al ballottaggio.
Cioè: ci furono romani che tra lui e quel Michetti («Quando ci si pone davanti al cuppolone, cosa ci appare? Quel colonnato che sembrano due braccia aperte»), votarono per Michetti.
Nel frullatore, altri nomi: da Marco Mezzaroma, ad di Sport e Salute, ad Andrea Abodi, che però sta comodo al ministero. Inutile chiedere conferme. Tutti ti dicono che qui si parla di progetti, non di nomi. Sul palco, alle 20.30, dovrebbe salire proprio Rampelli. Ma c’è uno che guarda l’orologio. Ha uno sguardo dubbioso. Come ripeteva sempre l’ex candidato sindaco Michetti, «nell’antica Roma era vietato saltare la cena». Annamosene, va.
(da Corriere della Sera)
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