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“ASSASSINI IN TENUTA SPORTIVA”: MONDIALI DI SCHERMA, SI SCATENA LA PROTESTA PER LA RIAMMISSIONE DEGLI ATLETI DELL’ESERCITO RUSSO

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

L’UCRAINA OLGA KHARLAN ATTACCA LA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE, IL SUO APPELLO SOTTOSCRITTO DA ALTRI 446 ATLETI DI 56 NAZIONI… I CRIMINALI RUSSI IN DIVISA HANNO UCCISO 650 ATLETI UCRAINI DURANTE LA GUERRA

«Uno schiaffo al CIO. Uno schiaffo alla Carta Olimpica. E uno schiaffo a ogni schermidore». Commenta così Olga Kharlan, l’ucraina quattro volte campionessa del mondo di sciabola individuale, la presenza di atleti russi ai Mondiali di scherma che cominciano martedì 22 luglio a Tbilisi, in Georgia. Alla competizione della prossima settimana non ci saranno solo i cosiddetti atleti «neutrali», ammessi alle gare internazionali dopo un’indagine che accerti la loro estraneità alla guerra. Questa volta tra gli atleti provenienti da Mosca ce ne sono anche alcuni appartenenti al Cska, la polisportiva del ministero della Difesa russo.
L’appello di 447 atleti
Un fatto inaccettabile per gli atleti degli altri Paesi (non solo quelli ucraini), che hanno rapidamente dato vita a un vasto fronte di protesta. Quattrocentoquarantasette tra atleti in attività e altri ormai ritirati, provenienti da 56 nazioni, hanno sottoscritto un appello per protestare contro il ritorno nelle competizioni internazionali degli atleti affiliati al governo russo.
La battaglia di Olga Kharlan
A guidare la campagna è Olga Kharlan, che già ai Mondiali di scherma del 2023 fece parlare di sé per essersi rifiutata di stringere la mano alla collega russa Smirnova.
«Oggi la Russia detiene un tale potere sulla Fie che la federazione ha apertamente violato le raccomandazioni del Cio consentendo l’ingresso di palesi propagandisti della guerra e di personale militare, e persino inserendoli nei tornei a squadre», denuncia l’atleta ucraina sui social. Per Kharlan, la partecipazione degli schermidori russi rappresenta «uno schiaffo al Cio e alle sue raccomandazioni, scritte col sangue di oltre 650 atleti ucraini uccisi dalla Russia in questa guerra».
«Gli atleti del Cska? Assassini in tenuta sportiva»
Ma il post pubblicato sui social dall’atleta ucraina va anche oltre. Perché gli schermidori del Cska, scrive Kharlan sono «assassini in tenuta sportiva».
Per dimostrarlo, l’atleta russa fa l’esempio di Sofya Velikaya, che «non è solo una schermitrice ma un maggiore dell’esercito russo: uno strumento della propaganda di stato, parte di un’enorme macchina che ha giustificato guerra e violenza per anni. Gli atleti del Cska fanno parte dell’esercito, proprio come una sciabola è un’estensione della mano che la brandisce».
(da agenzie)

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AMT GENOVA, I SOVRANISTI HANNO LASCIATO DEBITI PER 90 MILIONI, LO CERTIFICA UNA SOCIETA’ INTERNAZIONALE ESTERNA

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

LO SAPEVANO GIA’ DA UN ANNO MA HANNO CONTINUATO A FAR VIAGGIARE GRATIS PER CARPIRE CONSENSI…E’ ORA CHE INTERVENGA LA CORTE DEI CONTI: PAGHINO I RESPONSABILI

Sarà presentato domani, lunedì 21 luglio, il piano anticrisi per Amt Genova. Elaborato dai vertici dell’azienda di trasporto pubblico con l’aiuto dei due professionisti Gian Carlo Strano e Giovanni Bravo, è ben lontano dall’essere la panacea di tutti i mali per i conti della società ma dovrà quanto meno mettere in sesto il portafoglio in vista dei prossimi mesi. Il piano sarà presentato prima a cda e collegio sindacale di Amt, martedì ai sindacati e mercoledì all’assemblea dei soci.
Le scadenze sono imminenti e i numeri sono allarmanti: mancano 7 milioni per i pagamenti di luglio, al 30 giugno i debiti nei confronti dei fornitori erano pari a 90 milioni (di cui 32 milioni con pagamenti scaduti da oltre 90 giorni), non c’è traccia dei circa 20 milioni di euro di fondi attesi dai ministeri Mit e Mase, questi ultimi attraverso la Regione, e la prospettiva di recupero di circa 35mila sanzioni pendenti è assai scarsa.
In questo scenario, come anticipato nei giorni scorsi da Genova24, è praticamente scontato che il piano di rientro da una situazione di potenziale deficit patrimoniale intervenga su quella politica tariffaria commerciale di agevolazione al mezzo di trasporto pubblico voluta dal governo di centrodestra di Bucci, confermata da quello del suo vice Piciocchi, e che ha portato a un sistema di gratuità per alcune categorie di utenti e di trasporto.
Piano Amt: gratuità ridimensionate, soci chiamati a intervenire
Una delle ipotesi del piano anticrisi per Amt è quindi proprio
quella di revisione del sistema tariffario e delle gratuità: una partita che incide non in maniera così pesante sui conti ma che è l’unica effettivamente in mano direttamente all’azienda.
In questa fase Amt non ha controllo immediato né sulle multe da riscuotere, per cui recentemente si è messo in gioco un sistema di cessione del credito, né sui fondi ministeriali in ritardo.
Dunque si saprà a breve se il “nuovo piano” per Amt includerà elementi del “vecchio piano” già prospettato dall’azienda al Comune nell’ottobre 2024 e che contemplava l’introduzione di mini-abbonamenti a 10 o 20 euro per quelle categorie (Over 70 e Under 14) per cui oggi è stabilita la totale gratuità.
A proposito di Città metropolitana, in queste settimane Amt ha avuto l’ok dalla Città metropolitana a un versamento anticipato di 8 milioni di euro di contributo del mese di agosto e probabilmente otterrà altri 8 milioni dell’anticipo di settembre. Altri 3 milioni circa potrebbero arrivare dalle multe comminate per il transito sulle strisce gialle.
Crisi Amt, i dubbi di Deloitte sul Modello Genova già nel 2024
Le preoccupazioni espresse a fine giugno dal collegio sindacale e subito fatte proprie dall’amministrazione comunale, erano ben presenti anche a un soggetto terzo: Deloitte. La società internazionale di consulenza e revisione finanziaria, in una comunicazione alla presidente di Amt Ilaria Gavuglio e al collegio sindacale datata 15 luglio, parla di “possibile situazione di deficit patrimoniale“determinato dallo stato della liquidità e dall’inadeguatezza dei flussi di cassa per far fronte ai pagamenti di stipendi e fornitori a breve termine.
Deloitte, ricordiamo, era stata incaricata dall’assemblea degli azionisti di Amt per la revisione del bilancio di esercizio per il triennio 2023-25 e già nel luglio di un anno fa aveva emesso una relazione in cui era stato espresso un giudizio con rilievi.
In particolare nel bilancio 2023 risultava un credito di Amt verso il Comune di circa 12 milioni di euro, fondi che avrebbero dovuto arrivare da un trasferimento del Mase attraverso la Regione nell’ambito di un progetto sul miglioramento della qualità dell’aria ma quando la relazione venne realizzata il procedimento amministrativo per la destinazione dei fondi non era completato. Quindi, quei 12 milioni iscritti a bilancio per l’esercizio 2023, non erano sussistenti.
Deloitte ricorda, nella comunicazione di 5 giorni fa, che il bilancio di esercizio 2024 non è stato ancora chiuso, e la sua attività di revisione non è quindi completata, ma nell’ambito di alcune attività di verifica sono stati fatti presenti ai revisori alcuni elementi di criticità: dalla latitanza dei fondi ministeriali allo stato degli incassi da sanzioni, dal contenzioso con Trenitalia ad altri aspetti legati ai contratti nazionali, agli ammortamenti delle immobilizzazioni.
Queste tematiche erano state portate all’attenzione della direzione amministrativa di Amt già a dicembre 2024: si suggeriva anche di formalizzare periodicamente un report sugli indicatori di crisi della società. In un altro incontro, a febbraio 2025, Deloitte aveva fatto presente che sulla base della situazione finanziaria di Amt sarebbe stato opportuno modificare gli accordi su un contratto di finanziamento da 26 milioni da parte di Intesa San Paolo.
Nuovamente nel maggio 2025 in un ulteriore incontro tra Deloitte, la direzione di Amt e il collegio sindacale sono stati evidenziati dubbi sulla politica tariffaria – definita “Modello Genova” – che nella pre-chiusura di bilancio 2024 veniva riportato alla voce delle immobilizzazioni immateriali per un importo di 24,7 milioni.
E a oggi – prosegue Deloitte nel documento del 15 luglio – il credito verso il Comune di Genova non è stato ancora incassato,
i tempi di recupero delle sanzioni sono incerti e inoltre “ove non sussistessero i requisiti per la capitalizzazione dei costi del Modello Genova ciò si ripercuoterebbe sul patrimonio netto della società facendo emergere una situazione di deficit”. Questo passaggio, in particolare, giustifica quella che sembra essere la leva principale di azione del piano anticrisi da presentare al cda dell’azienda, domani.
Da alcune verifiche sulla regolare tenuta della contabilità e ulteriori approfondimenti, i revisori di Deloitte hanno evidenziato un ammontare dei debiti ai fornitori da parte di Amt di 90milioni di euro, di cui 32milioni scaduti da oltre 90 giorni, incluso il debito di 9,8 milioni che a oggi Amt dovrebbe versare nei confronti di Trenitalia per il contenzioso sul biglietto integrato (il decreto ingiuntivo è arrivato in questi giorni).
Il centrosinistra: “Ora cambiare i vertici di Amt”
Il Pd va giù duro e chiede alla sindaca un ricambio dei vertici aziendali: “Questo è il momento della trasparenza, sarebbe inspiegabile che a guidare una fase di complesso risanamento, sia chi ha portato l’azienda sull’orlo del fallimento, facendo finta di nulla fino a un attimo prima”, dicono il segretario metropolitano Simone D’Angelo e la capogruppo del Pd in Comune Martina Caputo.
Sempre il Pd non manca di fare riferimenti alle responsabilità del centrodestra e auspica che Bucci, da presidente della Regione, “faccia la sua parte” per salvare l’azienda genovese di tpl.
“La situazione critica in cui versa oggi Amt non stupisce. Già durante la scorsa amministrazione, la nostra capogruppo Cristina Lodi aveva posto con forza l’attenzione sul bilancio consuntivo 2023 dell’azienda e sulla fragilità complessiva dei conti”, scrivono Chiara Lastrico e Marialuisa Centofanti di Azione. “Le rassicurazioni ricevute in passato circa lo stato dei conti si
stanno rivelando gravemente infondate e prive di reale attendibilità” aggiunge Eugenio Musso, presidente di Italia Viva Genova con la senatrice Raffaella Paita che parla di “giusta operazione trasparenza” della giunta Salis.
Anche il M5S è duro: “Alla drammatica situazione odierna, si aggiunge l’assenza totale di una visione strategica sul trasporto pubblico locale – scrivono Marco Mesmaeker, capogruppo a Tursi, e Stefano Giordano, coordinatore regionale – con le amministrazioni Bucci e Piciocchi non è stato realizzato un solo metro in più di corsie preferenziali per i bus e il progetto dei 4 assi non è mai decollato”.
Infine anche Avs va all’attacco di Piciocchi & Co: “Le stesse persone che hanno contribuito a portare Amt sull’orlo del fallimento osano criticare le misure urgenti che la nuova giunta è costretta ad adottare per salvare stipendi e impegni imminenti, come le scadenze di luglio”.

(da Genova24)

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“NON POTENDO ELIMINARE IL RICORSO IN APPELLO DEL PM, CI DANNO SANZIONI. IL MESSAGGIO E’ FORTE E CHIARO: SE NON RIESCO AD IMPEDIRTELO ALMENO TE LA FACCIO PAGARE” : IL SEGRETARIO GENERALE DELL’ANM, ROCCO MARUOTTI, SI SCAGLIA CONTRO IL GOVERNO

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

“CI RISIAMO CON LE LEGGI AD PERSONAM. NON POTENDO RIPROPORRE L’ELIMINAZIONE TOTALE DEL POTERE DI IMPUGNAZIONE DEL PUBBLICO MINISTERO, GIÀ DICHIARATA INCOSTITUZIONALE DALLA CONSULTA NEL 2007, SI PENSA, EVIDENTEMENTE, CHE IL MODO MIGLIORE PER DISSUADERE IL PUBBLICO MINISTERO DAL PROPORRE APPELLO SIA QUELLO DI PREVEDERE CONSEGUENZE NEGATIVE SUL SUO PERCORSO PROFESSIONALE”

“Ci risiamo con le leggi ad personam. Non c’è altro modo per spiegare in questo momento la riesumazione della proposta Costa. Infatti, dopo l’approvazione nel 2024 del ddl Nordio, che ha escluso la possibilità per il pubblico ministero di impugnare le sentenze di assoluzione per i reati punibili con una pena non superiore a quattro anni, il numero dei ricorsi in appello si è drasticamente ridotto. Non si comprende, perciò, quale efficacia dovrebbe avere una soluzione di questo tipo”.
Lo afferma il segretario generale dell’Anm, Rocco Maruotti secondo il quale “non potendo riproporre l’eliminazione totale del potere di impugnazione del pubblico ministero, già
dichiarata incostituzionale dalla Consulta nel 2007, si pensa, evidentemente, che il modo migliore per dissuadere il pubblico ministero dal proporre appello sia quello di prevedere conseguenze negative sul suo percorso professionale. L’importante è che il messaggio arrivi in modo forte e chiaro: se non riesco ad impedirtelo almeno te la faccio pagare”.
Per il vicesegretario del sindacato delle toghe, Stefano Celli, la “lettura distorta del ‘ragionevole dubbio’, fatta propria dal ministro, dimentica che il ricorso per Cassazione serve ad applicare in maniera eguale per tutti il diritto, e non c’entra nulla con il ragionevole dubbio. Oltre tutto è previsto dalla Costituzione, e la maggioranza finora non ha neanche detto di volerlo cambiare”. Dal canto suo Paola Cervo, componente della giunta, “l’iniziativa sembra sganciata dalla riforma costituzionale in corso di approvazione ma in realtà tradisce la cultura che la sorregge: intimidire la magistratura che si limita ad esercitare le sue prerogative, ogni volta che questo esercizio non è ossequiente al potere”.
(da agenzie)

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GENOVA, INCHIESTA CORRUZIONE SULL’EX ASSESSORE GAMBINO (FDI): AL TELEFONO SI LAMENTA DELLE NUOVE DELEGHE CON CUI NON PUO’ FARE “MARCHETTE”

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

I SEGGI NELLE CASE DI RIPOSO DEGLI IMPRENDITORI AMICI PER PRENDERE 100 VOTI SU 300 RICOVERATI

La campagna elettorale di Sergio Gambino in occasione delle elezioni regionali in Liguria dello scorso autunno puntava anche ai voti degli anziani ricoverati nelle Rsa degli imprenditori amici.
L’ex assessore comunale alla sicurezza e alla polizia locale, sapeva però che il gioco poteva essere rischioso e per questo spiegava quali accortezze era necessario usare. E’ quanto emerge dalle carte dell’inchiesta per corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio coordinata dalla pm Arianna Ciavattini con l’aggiunto Federico Manotti.
In base alle intercettazioni captate dagli investigatori della squadra mobile, Gambino precisa al telefono che non tutti gli anziani ospiti di una struttura potevano votare per lo stesso candidato. E spiega che a lui basterebbero anche una decina di preferenze a struttura in modo da portarne a casa un centinaio su 300 ospiti.
Gambino chiarisce inoltre che è fondamentale stare attenti anche a non fare votare persone incapaci di intendere e volere. Secondo la Procura Gambino avrebbe fatto ottenere appalti all’imprenditore Luciano Alessi, attivo nell’assistenza ad anziani ma anche nell’accoglienza dei minori stranieri, in cambio anche di voti.
Non solo. Dalle intercettazioni emerge che a dicembre Pietro Piciocchi riassegna alcune deleghe dopo essere diventato
sindaco facente funzioni. A Gambino assegna la Mobilità sostenibile, Trasporto pubblico e Amt.
L’allora assessore, che vorrebbe la delega alle manutenzioni, se ne lamenta con un conoscente, spiegando che con quelle deleghe non può fare “marchette”: non gestisce soldi e non ha possibilità di spesa.
Inoltre, l’ex assessore spiega al suo interlocutore che smetterà di fare piste ciclabili anche perché quelli che vogliono le ciclabili poi votano a sinistra e nessuno li ringrazia per quelle fatte.
Le indagini sulla presunta corruzione dell’ex assessore da parte di alcuni imprenditori sono state recentemente prorogate di sei mesi per consentire l’esame di tutto il materiale informatico sequestrato.
(da Genova24)

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L’INCHIESTA SULL’URBANISTICA A MILANO E IL DIBATTITO CHE SPACCA DA SEMPRE IL PD: SI PUÒ STARE DALLA PARTE DEI GRATTACIELI, DEGLI ARCHISTAR, DEI FONDI CHE FINANZIANO LE GROSSE OPERAZIONI IMMOBILIARI? O I DEM DOVREBBERO ESSERE DALLA PARTE DELL’EDILIZIA POPOLARE?

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

CI SI DEVE SCHIERARE CON I “B&B”, E DUNQUE CON LE FAMIGLIE CHE METTONO A REDDITO IL LORO PATRIMONIO IMMOBILIARE, O INVEIRE CONTRO IL TURISMO FAGOTTARO E CHIEDERE LIMITI AGLI INGRESSI? – SORGI RICORDA LA SINISTRA SCHIERATA ANIMA E CORPO CON I MAGISTRATI DI MANI PULITE, SALVO ACCORGERSI IN RITARDO CHE PREPARAVANO LA SVOLTA A DESTRA DEL PAESE

Per carità, la sinistra non può stare dalla parte dei grattacieli, degli archistar, dei fondi internazionali che finanziano le grosse operazioni immobiliari. Deve sempre ricordarsi dell’edilizia popolare, dei bisogni della gente, saper scegliere con chi stare. E ancora: la sinistra non può stare con chi (forse qualche frase del genere è sfuggita anche al sindaco Sala) a Milano ha risposto a muso duro agli studenti attendati per protesta che rivendicavano alloggi a prezzo politico. E poi: deve scegliere i “B&b” e il mercato degli affitti brevi, stare con le famiglie che hanno messo a reddito il loro piccolo patrimonio immobiliare.
Non può mica parlare come l’ex-sindaca di Barcellona Ada Colau, e dire che occorre un limite al turismo fagottaro, che non contribuisce all’economia di una città, anzi le crea solo problemi: sicurezza, pulizia, droga, violenza.
Dietro cautele, incertezze e ritardi che hanno portato Schlein a prender tempo, prima di solidarizzare con il sindaco Sala, […] c’è questo dibattito silenzioso, interno alla sinistra, non solo a quella milanese. La sinistra schierata anima e corpo con i magistrati di Mani Pulite, salvo accorgersi in ritardo che preparavano la svolta a destra del Paese, il berlusconismo nato non a caso a Milano, con la lunga stagione di sindaci prima leghisti (Formentini), poi forzisti (Albertini), poi frutto del
compromesso tra il Cavaliere e il pezzo di città “alta”, “snob” da cui sempre si era sentito escluso (Moratti) e che adesso, ai suoi occhi, veniva a Canossa.
La vittoria di Pisapia, l’avvocato di Rifondazione comunista regnante dal 2011 al 2016, e rinunciatario dopo una sola legislatura, era stata rassicurante per questo pezzo di sinistra ferma nelle sue certezze e nella sua vocazione antagonista. Lo era stato molto meno l’arrivo di Sala, il manager “morattiano” di successo dell’Expo scelto da Renzi
Così “Palazzopoli”, come oggi la chiamano già i nostalgici di Tangentopoli, mette di nuovo il Pd, la sinistra meneghina e nazionale al bivio di fronte al quale è ferma da più di trent’anni.
(da agenzie)

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SULLA ONG HUMANITY CI SONO 45 MIGRANTI DISIDRADATI E S0TTO STRESS

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

E IL GOVERNO ASSEGNA LORO IL PORTO DI BARI A 800 KM DI DISTANZA: E’ LO SPIRITO “CRISTIANO” SOVRANISTA

La nave umanitaria Humanity 1 della Sos Humanity ha recuperato ieri al largo di Malta 45 migranti, tutti uomini. Sono stati salvati dopo aver trascorso circa cinque giorni in mare, ma il loro viaggio non è ancora finito. “Questa mattina presto – ha scritto ieri l’ong sui social – l’equipaggio di Humanity 1 ha
soccorso oltre 40 persone gravemente indebolite ed esauste dopo almeno cinque giorni in mare”. L’organizzazione umanitaria ha denunciato la mancata collaborazione da parte di Malta, che ha rifiutato il coordinamento, nonostante il caso fosse stato segnalato in acque di competenza maltese.
I migranti viaggiavano a bordo di un barchino in vetroresina, “sovraffollato e inadatto alla navigazione”, come raccontato da Sos Humanity, che era stato segnalato Alarm Phone, il call center per i migranti in difficoltà nel Mediterraneo. “I sopravvissuti sono ora a bordo della nostra nave di soccorso Humanity 1 e vengono assistiti”, hanno scritto gli operatori dell’Ong sui social, denunciando che il porto assegnato dalle autorità italiane per lo sbarco dei migranti è quello Bari, che dista almeno 800 km dal luogo del soccorso effettuato dalla nave umanitaria. L’arrivo è previsto per lunedì 21 luglio, intorno alle 8 di mattina.
Ora, secondo gli ultimi aggiornamenti, i naufraghi a bordo della nave, i 45 uomini sono ‘disidratati e sotto stress’. Non è ancora chiaro se a bordo vi siano anche bambini. I migranti vengono sottoposti in queste ore alle visite mediche di rito, secondo quanto spiegato da fonti della ong tedesca Sos Humanity. “Alcuni soffrono di mal di mare, erano inizialmente disidratati, altri hanno ustioni da combustibile. I migranti sono in stato di stress psicologico a causa della stanchezza e del lungo periodo trascorso sulla barca senza carburante prima di essere soccorsi”, hanno riferito le stesse fonti all’Ansa.
(da agenzie)

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COSA SUCCEDE SE IL GOVERNO FA RIENTRARE IL PONTE SULLO STRETTO NELLE SPESE MILITARI E PERCHE’ E’ UNA FURBATA, CERCANDO DI FAR CONTEGGIARE LA SPESA NEL 5% DELL’ACCORDO NATO

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

IL PROGETTO DOVREBBE ESSERE COMPLETAMENTE RIFATTO

Lo scorso 4 luglio, per la prima volta il governo ha confermato il progetto di far rientrare le spese per il Ponte sullo Stretto di Messina, almeno 13,5 miliardi di euro, tra quelle previste all’interno dell’accordo firmato alla fine di giugno dai Paesi NATO, con l’obiettivo di aumentare la spesa militare al 5% del Pil nei prossimi dieci anni
In realtà, di questo 5%, il 3,5% riguarda le spese militari
effettive, mentre nell’1,5% dovrebbero rientrare le spese per la “sicurezza”, come cybersicurezza, infrastrutture critiche e mobilità militare. Secondo il deputato e leader di Avs Angelo Bonelli, che ha presentato un’interpellanza al governo, a cui ha risposto il sottosegretario per l’Interno Emanuele Prisco, se il Ponte sullo Stretto rientrasse tra le spese Nato per la difesa, e fosse inserito tra le opere militari, il progetto potrebbe dover essere rifatto da zero. Questo perché i criteri previsti dalla Nato per questo tipo di progettazioni sono più stringenti rispetto a quelli richiesti per le opere civili.
Abbiamo chiesto un parere al professor Domenico Marino, docente di Politica economica ed Economia dell’innovazione all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, co-autore del dossier di Kyoto Club, Lipu e WWF ‘Lo Stretto di Messina e le ombre sul rilancio del ponte’.
Facciamo un passo indietro. A novembre 2024 sul Ponte sullo Stretto di Messina il governo ha avuto dalla commissione Via-Vas una Valutazione d’Incidenza Ambientale (VINCA) negativa su alcune aree vincolate. “Per aggirare questo problema, il governo ha proposto delle opere di mitigazione, sulla base delle quali la commissione Via-Vas ha dato, a maggio 2025, un parere positivo. In presenza di una VINCA negativa, secondo le normative, serve però un ulteriore ok sul parere della commissione Via-Vas da parte dell’Unione europea. Per evitare una bocciatura da parte della Commissione Ue, il governo ha tirato fuori la relazione IROPI (acronimo di “Motivi Imperativi
di Interesse Pubblico Prevalente”, ndr), approvata il 9 aprile scorso dal Consiglio dei ministri, che non è altro che un tentativo di giustificare davanti all’Ue la deroga ambientale, nonostante la negativa Valutazione di Incidenza Ambientale. Sarebbe possibile procedere in deroga infatti solo per opere che servono per la salute pubblica e per aspetti di natura militare”, ha spiegato Marino a Fanpage.it.
Sostanzialmente il governo con la relazione IROPI ha voluto sancire i motivi di imperativo interesse pubblico del progetto del Ponte sullo Stretto, per approvarlo, forzando la procedura, in deroga ad alcune norme ambientali, dichiarando le finalità militari dell’infrastruttura e richiamando esplicitamente anche il piano dell’Unione europea Military Mobility, che ha l’obiettivo di migliorare la “resilienza” delle infrastrutture europee e favorire una mobilità sicura e rapida di truppe e mezzi militari in caso di necessità, in raccordo con le esigenze NATO. È stato il sottosegretario Prisco, in risposta a Bonelli, a citare proprio il corridoio Scandinavo-Mediterraneo, una rete di infrastrutture (soprattutto ferrovie) di quasi 12mila chilometri, che attraversa diversi Paesi (Italia: Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Germania e Austria), che includerebbe anche il collegamento ferroviario e stradale tra Reggio Calabria e Palermo.
“A mio avviso si tratta di un tentativo disperato, per evitare un parere negativo dell’Unione europea, che comunque dovrà pronunciarsi”, ha detto il professore. “Il governo sostiene che trattandosi in questo caso di un’opera militare, basta una
semplice comunicazione alla Commissione europea, che ancora a quanto ci risulta non è stata fatta”. Mentre il governo attende quindi il via libera al progetto da parte del CIPESS il comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, la partita nelle prossime settimane si sposta quindi in Europa. Al momento, come ha fatto sapere lo scorso 2 luglio un portavoce della Commissione europea, non c’è stato nessun “disco verde” per la classificazione militare del Ponte sullo Stretto di Messina, da parte dell’esecutivo Ue: “Spetta alle autorità italiane valutare se lo scopo principale del ponte sia militare o civile”, ha specificato il portavoce.
“Se il Ponte diventa un’infrastruttura militare, il progetto va rifatto”
Il punto è che il Ponte sullo Stretto è progettato come infrastruttura civile. “Ma le infrastrutture militari possono essere realizzate solo da imprese che hanno particolari requisiti, e che si devono impegnare a un vincolo di segretezza. È evidente che dovrebbe esserci una progettazione completamente diversa, come sostiene l’onorevole Bonelli”, ha detto Marino a Fanpage.it. “E poi un’opera militare dovrebbe rispettare determinati parametri, anche in termini di sicurezza, che non sono evidentemente quelli del Ponte sullo Stretto di Messina. Il collegamento tra Sicilia e Calabria, se fosse un’infrastruttura civile, non verrebbe necessariamente presa di mira in un attacco. Un’infrastruttura militare invece sarebbe la prima a essere oggetto di bombardamenti nemici”. Quindi, sostiene il
professore, se il governo adesso vuole trasformare l’opera in infrastruttura militare “deve rifare il progetto: se sul ponte passano i treni è una cosa, se passano i carri armati è tutta un’altra storia”.
§”L’Ue per esempio potrebbe valutare che il Ponte ha un uso misto. Naturalmente qualunque infrastruttura civile può essere utilizzata per finalità militari, ma rimane comunque infrastruttura civile. Allo stesso modo, qualunque infrastruttura militare può essere utilizzata per scopi civili, ma rimane un’infrastruttura militare. Nei due casi il tipo di progettazione è differente”
A giorni, secondo i proclami di Salvini, come dicevamo è atteso anche l’ok del CIPESS al progetto definitivo, poi servirà il progetto esecutivo. Ma se fossimo in presenza di un’infrastruttura militare, potrebbe sorgere anche un problema di competenza: il CIPESS potrebbe anche dover acquisire prima di pronunciarsi altri pareri da parte del ministero della Difesa, da cui dipendono appunto questo tipo di infrastrutture. E così, come in un castello di carte, tutta l’impalcatura per la realizzazione dell’opera potrebbe crollare, tassello dopo tassello. Anche perché è improbabile che l’Unione europea possa accettare la semplice comunicazione da parte del governo, come sostiene Salvini. Secondo il ministro, dopo il via libera all’accordo di programma – firmato qualche giorno fa al Mit da governo, Regione Sicilia, Regione Calabria, Rfi e Anas, per definire preventivamente gli impegni e i ruoli di ciascuno
mancherebbero gli ultimi passaggi per avviare i cantieri: la comunicazione alla Commissione europea appunto, e l’approvazione al CIPESS. Per Marino, “l’Ue potrebbe esprimersi negativamente sul superamento dei vincoli ambientali. Non basta che il governo comunichi che si tratta di un’opera militare, bisogna anche dimostrarlo. Il concetto di ‘scopo principale’ o di ‘uso prevalente’ dell’opera è fondamentale”.
Tutto questo aprirebbe ancora una volta la strada a contenziosi e ricorsi da parte di Comuni e di associazioni ambientaliste presso il Tar o presso la Corte di Giustizia europea, visto che la procedura presenta forti elementi di illegittimità.
(da agenzie)

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PER NON SPACCARSI SULLE CANDIDATURE ALLE REGIONALI, IL CENTRODESTRA STA FACENDO UN PAPOCCHIO: PER NON SCONTENTARE ZAIA, CHE NON POTRA’ RICANDIDARSI IN VENETO, GIORGIA MELONI POTREBBE OFFRIRGLI UN MINISTERO. IL PIU’ PAPABILE SAREBBE IL VIMINALE (CHE SALVINI SOGNA PER SE’) MA VA CONVINTO PIANTEDOSI A CANDIDARSI GOVERNATORE IN CAMPANIA (DOVE PERO’ SCALPITA CIRIELLI)

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

MA A DESTRA SONO IN ALTO MARE: SISTEMATO ZAIA, CHI SI CANDIDA IN VENETO? IL CARROCCIO SPINGE PER ALBERTO STEFANI O DI MARCO CONTE, SINDACO DI TREVISO, FORZA ITALIA VUOLE FLAVIO TOSI E FDI ORA FA CAPOLINO ANCHE RAFFAELE SPERANZON, VICINISSIMO A FAZZOLARI

Accordo fatto in Veneto? Così lasciava intendere ieri mattina il capo di Noi Moderati, Maurizio Lupi che, è cosa nota, non disdegnerebbe di correre da sindaco di Milano, con la sponda di una fetta di FdI, Ignazio La Russa in testa. Ma FI e Lega per ora si mettono di traverso. Da un evento nel Padovano, l’ex ministro metteva a verbale: «Credo che lunedì», cioè domani, quando a Palazzo Chigi si ritroveranno i leader del centrodestra, «daremo indicazione, come coalizione, del candidato alla presidenza della Regione Veneto».
Ecco Flavio Tosi, europarlamentare azzurro e aspirante governatore di Palazzo Balbi in quota forzista: «La trattativa — dice a Repubblica — deve ancora cominciare, difficile che il tavolo possa arrivare a un via libera già tra 24 ore». Anche dal Carroccio e da Fratelli d’Italia ammettevano che no, un accordo
complessivo sulle regionali d’autunno non è alle viste. Il tetris non ha tutti gli incastri sistemati.
Il match principale, a destra, è il dopo-Zaia. Il presidente uscente del Veneto, in gran segreto, ha incontrato la premier Giorgia Meloni, a Palazzo Chigi. Indiscrezione confermata da più fonti governative. Il rendez-vous, che risale a tre settimane fa, non ha sciolto tutti i nodi, ma è il segno di un riavvicinamento politico, dopo gli attriti sul terzo mandato.
Il “Doge”, dicono nella sua cerchia, sta valutando l’offerta che gli ha formulato Matteo Salvini martedì: uno come te può fare il ministro. E il dicastero in cui i fedelissimi di Zaia vedrebbero bene il presidente uscente è uno: il Viminale. Ambito però anche dal segretario lumbard, in teoria. Di certo la Lega, riferiscono fonti vicine al leader, nel vertice di domani dovrebbe mandare un segnale. Rilanciando l’idea di candidare Matteo Piantedosi in un’altra regione che andrà alle urne, la Campania.
Lì il nome di FdI è il viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, che scalda i motori da un pezzo. E Piantedosi finora ha escluso una corsa regionale, peraltro complicata, visto che il giallorosso Roberto Fico è ormai in pista (pare con l’avallo di De Luca) [
La partita campana dunque potrebbe incrociare quella del Veneto. Che nel caso restasse alla Lega potrebbe portare alla corsa di Alberto Stefani o di Marco Conte, sindaco di Treviso. Con la differenza che il primo, vice di Salvini al partito, libererebbe un seggio all’uninominale alla Camera (collegio
Veneto-2), dove potrebbe correre Zaia. Per FdI invece è in pole Raffaele Speranzon, vicinissimo a Fazzolari.
(da la Repubblica)

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DIETRO AGLI ATTACCHI AI CRISTIANI A GAZA CI SAREBBERO GRUPPI DI COLONI ISRAELIANI DI ESTREMA DESTRA CHE AGISCONO IN MODO AUTONOMO E SPESSO RIMANGONO IMPUNITI

Luglio 20th, 2025 Riccardo Fucile

PIETRO PAROLIN: “BISOGNA VEDERE SE E’ STATO UN ERRORE. I CRISTIANI SONO UN ELEMENTO DI MODERAZIONE NEI RAPPORTI TRA PALESTINESI ED EBREI”… I SOLDATI DELLO STATO EBRAICO CONTINUANO AD AMMAZZARE POVERI DISPERATI IN FILA PER I SACCHI DI AIUTI ALIMENTARI: IERI UCCISE ALMENO 32 PERSONE E OLTRE 100 FERITI

E se il proiettile sparato dal carro armato israeliano contro la chiesa cattolica di Gaza due giorni fa non fosse un errore? Il quesito lo solleva direttamente il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, Legittimo «dubitare» che il raid alla sacra Famiglia non sia stato voluto, come invece si giustifica Israele. Ed è un dubbio più che lecito, specie se si tiene conto delle forze estremiste messianiche che compongono oggi il governo Netanyahu e il contesto delle dinamiche terrificanti dei massacri di civili palestinesi che da 21 mesi insanguinano Gaza. E la strage continua: ieri ancora un centinaio di morti nella Striscia.
Parolin spiega che la Santa Sede considera «positiva» la telefonata dal premier Netanyahu a papa Leone: dunque ci si aspetta una spiegazione più chiara per «capire cosa effettivamente sia successo», dato che sono morte 3 persone e 10 sono rimaste ferite tra i 550 sfollati nella chiesa, e oltretutto non è la prima volta che gli israeliani le sparano contro.
Ma Parolin insiste, perché occorre vedere «se è stato verame
nte un errore, cosa di cui si può legittimamente dubitare, o se c’è stata una volontà di colpire direttamente una chiesa cristiana, sapendo quanto i cristiani sono un elemento di moderazione proprio all’interno del quadro del Medio Oriente e anche nei rapporti tra palestinesi ed ebrei».
Già venerdì mattina, arrivando in visita a Gaza, il cardinale Pizzaballa aveva sottolineato che gran parte dei palestinesi cristiani e ancor più di quelli musulmani non crede affatto alla tesi dell’errore. Ieri a Gerusalemme abbiamo raccolto nuove testimonianze in questo senso. La stessa stampa israeliana da tempo racconta di unità dell’esercito legate ai circoli dei coloni e dell’estrema destra che agiscono in modo autonomo e criminal
nei confronti dei palestinesi delle regioni occupate sia di Gaza che della Cisgiordania, anche contravvenendo agli ordini superiori. E i loro crimini restano quasi sempre impuniti.
Anche il presidente Sergio Mattarella ieri ha puntato il dito contro le stragi di civili sia in Ucraina che a Gaza, in violazione del diritto internazionale e della Convenzione di Ginevra. […] Ieri persino l’ambasciatore Usa Mike Huckabee ha definito «terroristiche» le azioni condotte dai coloni ebrei contro Taybeh, unico villaggio completamente cristiano della Cisgiordania.
Huckabee è noto per il suo acceso sostegno ai coloni estremisti, ma pochi giorni fa ha condannato l’assassinio da parte di «terroristi» ebrei di un ventenne palestinese con cittadinanza americana in Cisgiordania, e ieri ha voluto recarsi a Taybeh, vedere le zone degli incendi e dei vandalismi vicino alla chiesa locale.
Ieri circa 100 i morti. Almeno 32 civili, Al Jazeera parla di 38, hanno perso la vita all’alba mentre attendevano in coda di fronte al centro di distribuzione del cibo di Khan Younis. I responsabili Usa della controversa Gaza Humanitarian Foundation negano ogni responsabilità e mettono in guardia dall’«avvicinarsi di notte». Altre 12 persone sono morte sotto un bombardamento vicino all’ospedale al Awda. Parecchie vittime si contano nel nord, non lontano dalla Sacra Famiglia, dove è in corso una vasta operazione di distruzione di tutti gli edifici
La folla che lentamente si assiepa presso i fili spinati e le
transenne che incanalano verso «l’imbuto», dove soldati israeliani e contractor Usa a un certo punto getteranno i sacchi di cibo. Il caos totale, già condannato ripetutamente dall’Onu e dalle maggiori organizzazioni umanitarie internazionali. «Vorremmo evitarlo. Ma non abbiamo più nulla da mangiare, dobbiamo sfamare le nostre famiglie», spiegano disperati. Arrivano dal buio come fantasmi impolverati, alla spicciolata, magri, stanchi, impauriti, alcuni hanno marciato per 20 o 30 chilometri. E con le prime luci dell’alba si ritrovano a migliaia nei punti di raccolta. «I soldati ci sparano contro e neppure sappiamo perché. Tutti scappano, ci buttiamo terra, le urla si mischiano agli spari. Quando finiscono le raffiche ci rialziamo e vediamo morti e feriti rimasti a terra», ci raccontano quelli che tornano indietro.
«Prima hanno sparato in aria, poi sulla gente in marcia, in modo indiscriminato», dice un testimone che ieri c’era, Mahmoud Mokeimar. Le foto e i video che rimbalzano dal girone infernale dei quattro centri della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), gazawi, mostrano scene simili che si ripetono di giorno in giorno.
Ormai sono circa un migliaio gli assassinati, i feriti almeno dieci volte di più, nell’arco di poco meno di due mesi mentre cercavano di prendere un sacco di riso, lenticchie secche, scatolette di tonno e poco altro. E ieri la stessa scena si è ripetuta di fronte alla zona di Al-Tina, dove è situato il centro Ghf a Khan Younis. Secondo le organizzazioni mediche locali,
sarebbero state uccise almeno 32 persone, i feriti sono oltre 100. Il dottor Atef al-Hout, direttore dell’ospedale al-Nasser, dice di avere ricevuto «un numero senza precedenti di feriti in un tempo molto breve».
Il comunicato dell’esercito israeliano reso noto in serata spiega poco. «I soldati hanno sparato quando alcuni sospetti si sono avvicinati. Le sentinelle hanno avvisato di allontanarsi, quando non c’è stata reazione, hanno sparato». Sempre i portavoce militari specificano che l’incidente è avvenuto di notte, a circa un chilometro dal punto di distribuzione ancora chiuso. Dice la 56enne Sanaa al Jaberi, che ha visto tanti morti e feriti a terra: «Noi urlavamo, cibo, cibo! Ma i soldati non hanno risposto, semplicemente hanno aperto il fuoco».
(da “Corriere della Sera”)

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