Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile
UNA TREGUA CHE METTA L’ACCENTO SULLA CONDIZIONALE POST-COLONIALE IN CUI VIVONO I PALESTINESI NON POTRA’ MAI RAPPRESENTARE LA FINE DELLE OSTILITA’
“È un miracolo”, ha commentato all’annuncio dell’accordo la palestinese, Rewaa
Mohsen, da Gaza. Tra festeggiamenti e incredulità, i palestinesi di Gaza hanno accolto con gioia e sollievo la notizia del raggiungimento dell’intesa tra Israele e
Hamas per il cessate il fuoco, negoziata dal presidente Usa, Donald Trump. La prima fase del piano determinerà finalmente la fine dei bombardamenti dell’esercito di Tel Aviv (Idf) a Gaza. Trump ha confermato sul suo social network Truth che tutti gli ostaggi nelle mani di Hamas saranno liberati e che l’esercito israeliano si ritirerà quasi completamente dalla Striscia per una “pace forte e duratura”.
Questa pausa del conflitto dopo la conclusione, lo scorso primo marzo, del cessate il fuoco negoziato dall’ex presidente Usa, Joe Biden, ed entrato in vigore il 19 gennaio, è di sicuro una buona notizia. I palestinesi hanno sofferto uno dei genocidi più gravi della loro storia recente con l’uccisione di oltre 67mila persone, esclusi le migliaia di corpi ancora sotto le macerie.
Le vittime sono principalmente donne e bambini, mentre i superstiti continuano a vivere in condizioni di carestia, malnutrizione, con continui casi di amputazioni tra i feriti, nella minaccia di deportazioni e pulizia etnica e nella costante distruzione di tutte le infrastrutture, le abitazioni, gli ospedali, le università e il patrimonio culturale locale.
Cosa succede dopo la decisione di Hamas sugli ostaggi: i nodi ancora da sciogliere del piano di Trump per Gaza
Perché il riconoscimento della Palestina da Regno Unito e Francia è una buona notizia ma non fermerà il genocidio
Con la liberazione il prossimo lunedì dei 20 ostaggi ancora in vita e la restituzione dei resti degli altri 28 israeliani nelle mani
di Hamas, Idf non potrà più usare il pretesto degli ostaggi degli attacchi del 7 ottobre 2023 per continuare a bombardare indiscriminatamente Gaza. D’altra parte, secondo Hamas, saranno 1950 i prigionieri politici palestinesi a essere liberati contestualmente al rilascio degli ostaggi. Non saranno inclusi nella lista dei detenuti rilasciati, ancora non resa nota, due leader storici palestinesi, come Marwan Barghouti e Ahmad Saadat.
Le reazioni israeliane all’intesa con Hamas
Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, su cui pende un mandato di arresto della Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità e crimini di guerra, ha salutato l’accordo come un “grande giorno per Israele” e ha difeso il suo obiettivo di riportare a casa gli ostaggi.
Proprio la richiesta di liberazione degli israeliani nelle mani di Hamas è stata costantemente rivendicata in sit-in e manifestazioni nelle città del paese. E così anche i familiari degli ostaggi hanno accolto con gioia e festeggiamenti la notizia dell’accordo.
In questa fase, l’opposizione espressa dai politici di estrema destra, come Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, contrari a qualsiasi intesa che ponesse fine alla guerra e che voteranno contro l’accordo, è stata superata dalle costanti pressioni internazionali e dalle mobilitazioni senza precedenti per la Palestina che hanno chiesto la cessazione delle ostilità dopo due anni di guerra.
Nell’accordo di pace lo stop alle deportazioni dei palestinesi
Un altro aspetto positivo degli accordi, e tra le principali richieste dei mediatori arabi, è lo stop alle deportazioni dei palestinesi che avrebbero potuto determinare un esodo senza precedenti dalla Striscia verso Egitto e Giordania.
“Ringraziamo i mediatori di Qatar, Egitto e Turchia che hanno lavorato per rendere questo accordo possibile”, ha più volte ribadito lo stesso Trump. In realtà proprio la pressione ai confini dei paesi vicini, insieme ai raid israeliani in Qatar del 9 settembre scorso contro il tavolo negoziale, hanno dato un’accelerazione senza precedenti ai colloqui di pace.
In altre parole, è diventato intollerabile anche per i paesi arabi, che avevano promosso la normalizzazione con Israele con gli Accordi di Abramo, il genocidio, la pulizia etnica e le mobilitazioni interne e internazionali contro le violazioni del diritto internazionale che avvengono a Gaza. Nonché la minaccia costante di un’estensione del conflitto, dopo Cisgiordania, Libano, Siria, Iraq, Yemen e Iran, che gli attacchi a Doha del 9 settembre scorso avevano fatto presagire.
Usa e Israele alleati di ferro
Dopo due anni di guerra appare sempre più centrale il rapporto privilegiato tra Stati Uniti e Israele. In altre parole, la guerra di Netanyahu, proseguita all’infinito per coprire la crisi politica e le accuse di corruzione a suo carico, è stata tollerata da Washington finché non è iniziata a essere ingombrante anche per Donald
Trump, con le sue aspirazioni di essere rappresentato come un “uomo di pace”.
Questa divergenza di interessi è apparsa con chiarezza in due occasioni: con la guerra dei 12 giorni, che ha messo in crisi la tenuta della Repubblica islamica in Iran, la cui fine avrebbe rappresentato l’avvio di una stagione di grande instabilità per il Medio Oriente, e con gli attacchi in Qatar che hanno messo in allerta il mondo arabo.
Tuttavia, il genocidio a Gaza ha dimostrato fino a che punto Israele è diventato il braccio armato in Medio Oriente degli Stati Uniti, impegnati nel disimpegno militare dalla regione. In questo modo, Tel Aviv ha smesso di negoziare la sua presenza con i paesi vicini mettendo a repentaglio la stessa tenuta delle istituzioni israeliane.
Le reazioni internazionali al cessate il fuoco a Gaza
I colloqui indiretti per il cessate il fuoco erano ripresi lunedì scorso al Cairo e a Sharm el-Sheikh, alla presenza dell’inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e del genero di Trump, Jared Kushner. Mercoledì sera sono emersi i primi segnali di una possibile intesa sulla prima fase, confermata dal segretario di Stato Usa, Marco Rubio, del piano in 20 punti annunciato da Trump la scorsa settimana.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha salutato con favore l’accordo e ha chiesto alle parti di rispettarlo in tutti i suoi termini. “L’accordo deve essere applicato senza
ritardi con la fine di tutte le restrizioni agli aiuti umanitari”, è stato il commento del premier britannico Keir Starmer, che insieme a Emmanuel Macron, che a sua volta ha auspicato che l’intesa segni “la fine della guerra”, e a altri leader internazionali, ha riconosciuto lo stato della Palestina a fine settembre.
Le incognite del piano Trump per la pace a Gaza
A questo punto sarà necessario capire se tutto andrà per il verso giusto, a conclusione della prima fase, con lo scambio tra ostaggi e prigionieri politici palestinesi e il ritiro quasi completo, che sarebbe già iniziato, di Idf da Gaza. Si dovrà verificare se tutte le agenzie delle Nazioni Unite potranno tornare in via indipendente a fornire aiuti alla popolazione palestinese, stremata dalla guerra, e dopo le polemiche per le uccisioni di migliaia di palestinesi in fila per gli aiuti umanitari, distribuiti dalla israelo-americana, Gaza Humanitarian Foundation (Ghf).
Sarà poi necessario verificare quali paesi arabi daranno la loro disponibilità per entrare a far parte della Forza internazionale di stabilizzazione (Fis) che dovrà occuparsi di mettere in sicurezza la Striscia per avviare il lungo processo di raccolta delle macerie e di ricostruzione. Israele ha, per esempio, posto il suo veto a una presenza militare turca a Gaza, come auspicato da Hamas.
Non è ancora chiaro quale ruolo ricoprirà il così detto “Board of Peace”, organismo tecnico chiamato a gestire la transizione dal quale dovrebbe essere esclusa Hamas e l’Autorità nazionale
palestinese ma che neppure dovrebbe contenere il nome controverso di Tony Blair, per esplicita richiesta del gruppo.
L’accordo non metterà fine al conflitto israelo-palestinese
“Per una vera pace e la fine del conflitto, ci vuole ancora tanto lavoro”, è stato il commento a caldo dell’ex inviato speciale Usa per il Medio Oriente, David Satterfield. In verità, restano irrisolti tutti i nodi centrali del conflitto israelo-palestinese che va avanti dal 1948 con la fondazione dello stato di Israele e la Nakba (catastrofe) per i palestinesi che hanno dovuto lasciare le loro case senza diritto al ritorno.
I coloni israeliani continuano inesorabilmente a costruire le loro colonie abusive in Cisgiordania, non si fermano gli sfratti tra i palestinesi a Gerusalemme Est, non è prevista la fine dell’assedio di Gaza. Su quest’ultimo punto, nonostante l’incredibile mobilitazione internazionale che continua, della Global Sumud Flotilla, le acque territoriali palestinesi, con tutto quello che ne consegue in materia di estrazione di gas naturale, continuano a essere controllate dalla Marina israeliana.
Apartheid e colonialismo
E così prosegue l’apartheid sul modello del Sud Africa che costringere i palestinesi a vivere segregati e come cittadini di serie B. Non solo, la fine del regime di Bashar al-Assad ha esteso il controllo dell’esercito israeliano sulle Alture del Golan, in violazione degli accordi di pace del 1974, mentre continua ad essere violato, oltre 4500 volte secondo i dati di Beirut, il cessate
il fuoco con il Libano, dopo l’accordo raggiunto il 24 novembre 2024.
Quindi, appare sempre più evidente che una tregua che non metta davvero l’accento sulla condizione postcoloniale in cui vivono i palestinesi, in assenza di un loro stato, e sulle carenze del sistema politico israeliano che davvero ha dimostrato di essere molto lontano dal rispettare standard democratici credibili, come confermato nel caso dell’intercettazione, delle violazioni in detenzione e delle deportazioni subìte dagli attivisti della Flotilla, non potrà mai rappresentare una fine sistematica delle ostilità.
In queste condizioni, le provocazioni dei ministri di estrema destra israeliani così come lo stato di assedio in cui continuerà a vivere la Striscia di Gaza, insieme alla resilienza di ragazzi e ragazze palestinesi che hanno visto distrutte le loro famiglie, continueranno inesorabilmente a fomentare l’odio contro Israele delle nuove generazioni.
All’annuncio dell’intesa, Hamas ha ricordato il “coraggio, l’onore e l’eroismo” dei palestinesi che hanno vissuto in condizioni estreme rimanendo nella propria terra. La resilienza dei gazawi è il primo punto da cui partire per stabilire che i palestinesi mai si rassegneranno allo svuotamento di Gaza per farne la “Riviera del Medio Oriente”, come auspicato dal progetto immobiliare di Trump, e mai rinunceranno alle loro legittime rivendicazioni nazionali, oltre i veti di Stati Uniti e
Israele. E così qualsiasi sarà il futuro di Hamas, tra disarmo, esilio e clandestinità, mai morirà tra i sopravvissuti del genocidio la necessità di vedere riconosciuti i propri diritti di cittadinanza, di ritornare nelle proprie terre e di riprendere in mano la propria vita, nel nome di chi è stato barbaramente ucciso in questa guerra, come il poeta palestinese Refaat Alareer, il giornalista Anas al-Sharif e la piccola Hind Rajab.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile
LA MANIFESTAZIONE HA BLOCCATO IL CENTRO DI L’AVANA, SFIDANDO LE MINACCE DEL REGIME CASTRISTA … LE PROTESTE AUMENTANO IN TUTTA CUBA A CAUSA DELLA CRISI ECONOMICA: SOLO A SETTEMBRE SI SONO REGISTRATE OLTRE MILLE MANIFESTAZIONI CIVICHE
Decine di residenti del quartiere cubano di Santa Felicia nel municipio di Marianao sono scesi in strada martedì notte per protestare contro i blackout e la scarsità di alimenti, battendo pentole e gridando “luce, cibo e libertà”. La manifestazione ha bloccato la trafficata Avenida 51, sfidando le minacce del presidente Miguel Díaz-Canel, che aveva annunciato sanzioni per chi blocca le strade in segno di protesta
Secondo testimoni, la polizia è intervenuta rapidamente e ha arrestato diversi manifestanti. L’Istituto cubano per la libertà di espressione e stampa (Iclep) ha denunciato la repressione e le aggressioni fisiche, sottolineando la violazione dei diritti alla libertà di pensiero e di espressione.
Le proteste aumentano in tutta Cuba a causa della crisieconomica, dei frequenti blackout, della carenza d’acqua e
della scarsità di alimenti di base. Solo a settembre, secondo l’Osservatorio cubano dei conflitti, si sono registrate oltre mille manifestazioni civiche.
Un residente intervistato da Martí Noticias ha denunciato: “Da quattro anni segnalo la mia situazione e nessuno mi ascolta. Quel canale di reclami non funziona”. La popolazione cubana continua a subire le interruzioni dei servizi essenziali, mentre cresce la tensione tra cittadini e autorità riportano i principali media indipendenti cubani.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile
I DUE ESPONENTI DEM SONO ACCUSATI DI “NON AVER PROTETTO” GLI AGENTI FEDERALI DEL L’UFFICIO IMMIGRAZIONE, INVIATI PER DARE LA CACCIA AGLI STRANIERI ILLEGALI – PRITZER HA RISPOSTO DANDO DEL “DEMENTE” AL TYCOON. MA NEL PAESE AUMENTANO LE INQUIETUDINI DI CHI RITIENE CHE IL COATTO DELLA CASA BIANCA STIA FACENDO LE PROVE GENERALI PER UNA SVOLTA AUTORITARIA
Nell’infinito monologo trumpiano fatto di insulti, intimidazioni e minacce, stavolta
sono finiti nel mirino il governatore dell’Illinois, JB Pritzker, e il sindaco di Chicago, Brandon Johnson. Il presidente degli Stati Uniti ha invocato l’arresto dei due democratici, accusandoli di «non aver protetto» gli agenti federali dell’Ice, l’ufficio immigrazione, inviati in città per dare la caccia agli immigrati illegali.
«Il sindaco di Chicago dovrebbe finire in prigione per non aver protetto gli agenti Ice! Anche il governatore Pritzker!», ha scritto Trump sul social Truth. L’ultimo post ha aumentato le inquietudini di chi ritiene che il presidente stia facendo le prove generali per una svolta autoritaria.
Il tycoon considera legittimo solo il proprio potere. Stavolta, però, lo scontro ha scatenato una questione psichiatrica, dopo che Pritzker, miliardario pragmatico dall’humor sottovalutato, e
potenziale candidato presidenziale nel 2028, ha risposto alla sua maniera, accusando Trump di essere un demente.
«Quest’uomo – ha detto il governatore in un’intervista telefonica al Chicago Tribune – soffre di demenza. Ha qualcosa bloccato nella testa. Non riesce a toglierselo dalla mente. Non legge, non si aggiorna, è solo qualcosa nei recessi del cervello che lo spinge a prendersela con queste città».
Negli ultimi mesi Trump ha più volte chiesto pubblicamente al dipartimento di Giustizia di mettere sotto inchiesta i suoi avversari, e la procuratrice generale Pam Bondi è parsa pronta a eseguire gli ordini.
Al momento siamo solo alla retorica, ma la richiesta di arrestare due esponenti democratici arriva una settimana dopo l’appello di Trump ai vertici militari a usare le città americane come «campo d’addestramento» per allenarsi contro i «nemici», ma anche poche ore dopo l’invio della Guardia Nazionale a Chicago e l’aver evocato l’Insurrection Act, una legge emergenziale del 1807 che permette l’impiego dei soldati per ristabilire l’ordine pubblico. Pritzker ha detto che non si farà intimidire.
«Trump – ha scritto su X – adesso chiede l’arresto di rappresentanti eletti che stanno controllando il suo potere. Cos’altro manca sulla strada verso un pieno autoritarismo?».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile
IL DOCUMENTO, VERGATO DALL’ASSOCIAZIONE DI “GIURISTI E AVVOCATI PER LA PALESTINA”, È STATO SOTTOSCRITTO DA DI BATTISTA, DE MAGISTRIS, TOMASO MONTANARI, LAURA MORANTE E MONI OVADIA… LANDINI APPOGGIA L’INIZIATIVA: “DAL PUNTO DI VISTA POLITICO, LA RESPONSABILITÀ C’È TUTTA”
Intorno alla vicenda palestinese e all’indomani degli ultimi scontri di piazza, il clima resta caldissimo in Parlamento.
Resta, agli atti, la richiesta, sottoscritta insieme da M5S, Pd e Avs, perché Meloni affronti la discussione parlamentare sulla vicenda degli attivisti fermati in acque internazionali.
Intanto sotto la denuncia alla Corte penale internazionale contro la premier, i ministri Antonio Tajani e Guido Crosetto e l’ad di Leonardo Roberto Cingolani, accusati di «complicità in crimini di guerra e contro l’umanità», quelli di Israele a Gaza ai sensi dello Statuto di Roma, si raccolgono sottoscrizioni.
Il documento elaborato dall’associazione di «giuristi e avvocati per la Palestina» si prefigge l’obiettivo di «ottenere l’applicazione del diritto internazionale e il riconoscimento dei diritti del popolo palestinese» e conta sulle firme di giuristi, attori, come Laura Morante e Moni Ovadia, politici come Alessandro Di Battista e Luigi de Magistris, storici, come il rettore dell’Università per stranieri di Siena, Tomaso Montanari, e trentamila cittadini comuni. La denuncia sarà trasmessa al procuratore presso la Corte penale internazionale che la valuterà.
«Dal punto di vista politico, la responsabilità c’è tutta», sostiene Maurizio Landini, segretario della Cgil —. Un governo che non ha fatto né detto niente si rende indirettamente complice del governo che sta commettendo il genocidio, perché non ha chiesto il riconoscimento dello Stato di Palestina né interrotto i rapporti economici con Israele»
Nella denuncia ministri e premier sono accusati di «omissioni»
«in ordine alla cooperazione militare e di sicurezza con Israele e all’autorizzazione delle forniture di armi». Cingolani per «il trasferimento di armamenti, nonché all’attuazione di progetti di cooperazione con Israele».
Dunque si contesta di non aver interrotto le forniture militari e di «scelte politiche e finanziarie» tra cui l’interruzione dei finanziamenti all’Unrwa (agenzia delle Nazioni unite per il soccorso dei profughi palestinesi).
(da Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile
IL NOME SAREBBE GIÀ STATO SELEZIONATO: ETTORE PRANDINI, POTENTE PRESIDENTE DELLA COLDIRETTI E VICINO ALL’EX COGNATO D’ITALIA FRANCESCO LOLLOBRIGIDA MA INVISO AL CLAN LA RUSSA, CHE COMANDA SOTTO LA MADUNINA … IN VENETO LA LEGA CORRERÀ SENZA IL NOME DI ZAIA
Il nome di Luca Zaia, a quanto si apprende, non comparirà sul simbolo della Lega in occasione delle elezioni Regionali in Veneto. Come confermano diverse fonti questo è uno dei punti dell’accordo che ha portato ieri all’ufficializzazione di Alberto Stefani come candidato del centrodestra a presidente della Regione, finora governata proprio da Zaia.
Fino a ieri pomeriggio, spiegano altre fonti, era previsto che nel simbolo della Lega ci fossero sia il nome di Zaia sia quello del
leader Matteo Salvini. Per Zaia finora si è parlato di una candidatura da capolista della Lega, ma ancora manca l’ufficialità.
Matteo Salvini ai suoi la mette giù così, travestendo l’operazione da capolavoro diplomatico: abbiamo tenuto il Veneto subito, per la Lombardia ci sarà tempo. Come dire: meglio l’uovo oggi che la gallina domani. Ma la Lega lombarda frigge. Il segretario regionale, Max Romeo, si sente per tutto il giorno con il governatore del Pirellone, Attilio Fontana, e ripete a tutti: io non ci penso proprio a mollare.
Cronaca di uno psicodramma. Si deve partire dalla fine, dalla dichiarazione che Salvini dirama alle 20.07, cesellata a tu per tu con Giorgia Meloni, nel chiuso di Palazzo Chigi, dopo il Cdm. Nel titolo il vicepremier dice una cosa («Il Veneto non coinvolge la Lombardia»), nel testo certifica l’esatto opposto.
Conferma, di fatto, che il Carroccio è pronto a cedere la sua regione simbolo: «Il candidato presidente in Lombardia sarà annunciato al momento opportuno – annota il ministro dei Trasporti – riconoscendo il diritto di individuare il candidato presidente, da scegliere con la coalizione, al partito con il più recente maggior peso elettorale in Lombardia precedente le elezioni».
Tradotto: poco prima del voto del post Fontana, si vedrà in base ai sondaggi quale partito avrà più consensi in regione. E a quel partito spetterà l’indicazione del candidato
I Fratelli, visto lo scarto con la Lega, sono convinti di avere la regione in tasca. Hanno già scelto il nome: Ettore Prandini, confermano fonti di primo piano, il potente presidente della Coldiretti. In teoria un civico, nei fatti un uomo vicinissimo ai vertici di FdI, a partire dal ministro Francesco Lollobrigida, capodelegazione del partito della fiamma al governo.
Basta alla Lega lombarda? Pare di no. Anche perché tra chi potrebbe aspirare al Pirellone in quota Carroccio c’è proprio Romeo, che ha battuto al congresso regionale di un anno fa il candidato di Salvini, Luca Toccalini. E che dunque ha maturato una sua autonomia.
Lo si è visto anche ieri. La dichiarazione siglata a sera da Salvini avrebbe dovuto essere firmata da Romeo, all’inizio. Ma il capo dei leghisti lombardi ha risposto picche.
Costringendo il vicepremier a intestarsi la mossa. Con il rischio di attirarsi le critiche di un pezzo di partito.
Al netto dell’intesa finale sui tre nomi che correranno in Campania, Puglia e Veneto, è stato un vertice teso, quello di Palazzo Chigi. Incentrato formalmente sulla manovra finanziaria, alla presenza del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Ma con una coda, lunghissima, tutta sulle regionali d’autunno.
In Veneto FdI otterrà 6 assessorati pesanti, come la sanità e il bilancio.
Oppure 5, con la presidenza del consiglio regionale. Ma lo
scoglio vero è stata la Lombardia.
Da tempo Meloni ha chiesto a Salvini di mettere per iscritto che il Pirellone sarebbe finito nel paniere di FdI. La trattativa è andata avanti anche ieri, nel chiuso di Chigi, davanti ad Antonio Tajani e Maurizio Lupi. La prima bozza di nota del centrodestra prevedeva una postilla, che avrebbe riconosciuto ai Fratelli il diritto a chiedere un «riequilibrio territoriale». Salvini si è impuntato.
Anche perché nel frattempo proprio Romeo ripeteva, prima in tv, poi ai cronisti fuori Montecitorio, che «la Lombardia non è sul tavolo di questa trattativa», che se ne riparlerà «fra tre anni», quando si sceglierà «il candidato migliore».
Alla fine è toccato a Salvini intestarsi la mossa. Con una dichiarazione separata. E senza mettere per iscritto che il rinnovo dei vertici del Pirellone avverrà davvero, come sostiene Romeo, nel 2028. Il pressing di FdI è fortissimo: anticipare il voto, accorparlo alle Politiche della primavera del ‘27, assegnando all’uscente Fontana un seggio al Senato. Ma è un finale che per la Lega lombarda non è affatto scontato
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile
L’ORGANISMO INTERNAZIONALE: “IL PIANO NON PREVEDE UNA REALE PARTECIPAZIONE DEI PALESTINESI ALLA GESTIONE DEL PROPRIO TERRITORIO”
Il progetto israeliano di creare un “perimetro di sicurezza”, una zona cuscinetto nelle
aree più fertili della Striscia di Gaza, rischia di rafforzare ulteriormente il sistema di apartheid, l’occupazione e le ingiustizie esistenti.
Qualsiasi tentativo di affidare a terzi la gestione della Striscia senza garantire la libertà di movimento verso il resto del Territorio occupato non farà che aggravare la frammentazione territoriale alla base del sistema israeliano. Allo stesso modo, ogni misura che alteri la composizione demografica e la geografia di altre aree del Territorio occupato, come la Cisgiordania e Gerusalemme Est, deve essere immediatamente annullata, ha sottolineato Agnès Callamard, Segretaria generale di Amnesty International.
“L’attuale piano non prevede una reale partecipazione delle persone palestinesi alle decisioni sul futuro del loro territorio, sul modo in cui saranno governate e su come potranno esercitare i propri diritti umani. Ripetere gli errori e i fallimenti del passato, ignorando i diritti fondamentali e le cause profonde
dell’ingiustizia, non garantirà un futuro equo e sostenibile né per i palestinesi né per gli israeliani. Dopo due anni di doppi standard vergognosi e di veti che hanno paralizzato il Consiglio di sicurezza dell’Onu mentre il mondo assisteva a un genocidio, è giunto il momento di sfruttare questa opportunità per porre fine all’orrore, correggere gli errori e preservare ciò che resta della nostra umanità”, ha concluso Callamard.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DELLE VIOLAZIONI SUBITE
Si moltiplicano le testimonianze degli attivisti e delle attiviste della Flotilla che hanno raccontato i maltrattamenti e le vessazioni vissute durante la detenzione in Israele. L’ultimo gruppo di italiani trattenuti illegalmente è rientrato lunedì dopo quasi una settimana dall’abbordaggio delle navi umanitarie. Molti di loro hanno denunciato le condizioni disumane a cui sono stati sottoposti prima di essere finalmente espulsi. Senza cibo e acqua per più di 24 ore, privati del sonno, umiliati e minacciati dalle autorità israeliane, gli attivisti hanno parlato di
vere e proprie torture psicologiche, che in alcuni casi, come ha riportato il nostro giornalista Saverio Tommasi, sono sfociate anche in violenze fisiche.
I membri della missione hanno presentato degli esposti in cui si accusano le autorità israeliane per l’attacco con i droni che aveva colpito le imbarcazioni mentre si trovavano non lontano da Creta, in acque internazionali, alcuni giorni prima che venissero intercettate, e per il sequestro subito successivamente. Proprio su questo restano diverse cose da chiarire.
Prima ricapitoliamo brevemente quanto accaduto. Come si è potuto ricostruire in questi giorni dalle dichiarazioni di coloro che l’hanno vissuto in prima persona, le imbarcazioni abbordate sono state costrette a cambiare rotta e scortate fino al porto di Ashdod. Dopo l’identificazione, che ha richiesto parecchio tempo, gli attivisti sono stati portati in un certo di detenzione. Dei circa 40 italiani che hanno preso parte alla missione, 26 sono stati espulsi prima. Si tratta di coloro che, come aveva spiegato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, hanno firmato il foglio di rilascio volontario e dunque non hanno dovuto attendere l’espulsione per via giudiziaria. Gli altri 15, che invece avrebbero deciso di non farlo, sono stati detenuti più a lungo.
Una distinzione che appariva teoricamente in linea con quanto spiegato dalla portavoce italiana della Global Movimento to Gaza, Maria Elena Delia, che in conferenza stampa aveva parlato di scelte concordate tra i membri della missione. “Chi rientra l
fa per raccontare, chi resta lo fa per tutela, con i nostri passaporti occidentali e privilegiati protezione dei compagni e delle compagne del Nord Africa che in questo momento sono chiusi nelle prigioni israeliane”, aveva spiegato. “Il fatto che alcune persone stiano rientrando e altre abbiano deciso di non accettare il rito abbreviato, restando nelle prigioni israeliane, è conseguenza di quella scelta iniziale”.
Purtroppo però, le cose non sembrerebbero essere andate esattamente così e tra coloro che sono stati detenuti più a lungo nel carcere israeliano, risulterebbero anche persone che avevano firmato il foglio per il rimpatrio immediato o che avevano deciso di farlo, ma a cui sarebbe stato comunque impedito. A confermarlo, a Fanpage.it, Yassine Lafram, presidente dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia, che è rientrato qualche giorno fa assieme al primo gruppo di italiani: “So per certo di alcuni italiani che facevano parte del gruppo tornato per ultimo e che avevano espresso la volontà di firmare il foglio per essere rimpatriati entro le 72 ore ma non gli è stato concesso”, ci dice. “Li ho incontrati mentre venivamo trasferiti da una cella all’altra. Io personalmente ho subito interrogatori e un processo farsa avanti a un giudice, che alla fine, ha emesso la sentenza: deportation”.
Una versione confermata da José Nivoi, portavoce del Collett autonomo dei lavoratori portuali di Genova e anche lui membro della Flotilla, in un video pubblicato sulla pagina Facebook del
sindacato Usb dopo la sua liberazione: “Tutti avevamo deciso di firmare il foglio di espatrio ma non a tutti è stata data la possibilità di farlo come se Israele avesse deciso che un po’ di italiani dovevano rimanere in carcere”, ha dichiarato.
“Appena siamo venuti a conoscenza di ciò”, ci dice l’europarlamentare Pd Annalisa Corrado, “abbiamo avvertito il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ci ha detto che avrebbe verificato con l’ambasciatore e con il console”. È chiaro che se le autorità israeliane hanno impedito ad alcuni connazionali di siglare i documenti necessari per il rimpatrio immediato e senza una valida motivazione, ci troveremmo davanti ad un’ulteriore violazione dei diritti delle persone illegalmente trattenute. Violazione che si aggiunge a quelle subite dai membri della Flotilla durante la detenzione e su cui bisognerà indagare per accertare colpe e responsabilità. “C’era un livello di arbitrarietà totale che loro (la polizia israeliana, ndr) usavano con sadismo nei confronti di tutti e che è tutto ancora da dimostrare”, conclude Corrado.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile
COSA C’E’ NEL PIANO DI TRUMP
Il piano di pace per Gaza annunciato da Donald Trump rappresenta una delle svolte più
significative nel conflitto tra Israele e Hamas dopo l’attentato di Hamas in Israele del 7 ottobre 2023. Dopo mesi di stallo e negoziati segreti in Egitto, con la mediazione di Qatar e Turchia, Israele e Hamas hanno firmato la “prima fase” dell’accordo, che prevede un cessate il fuoco immediato, il rilascio degli ostaggi israeliani e la liberazione di migliaia di prigionieri palestinesi.
Secondo quanto annunciato da Trump su Truth Social, il piano punta a garantire che “tutti gli ostaggi saranno liberati molto presto” e che Israele ritirerà le proprie truppe secondo una linea concordata, come primo passo verso una “pace forte, duratura ed eterna”. La prima fase prevede il rilascio dei 20 ostaggi israeliani
ancora in vita e, in seguito, dei corpi dei prigionieri deceduti. Parallelamente, Israele libererà 1.950 detenuti palestinesi, tra cui 250 condannati all’ergastolo e 1.700 arrestati dopo l’inizio della guerra, segnando il più ampio scambio di prigionieri dal 2011.L’accordo stabilisce inoltre il ritiro graduale dell’esercito israeliano dal 70% del territorio della Striscia di Gaza, con il posizionamento delle truppe lungo linee di sicurezza concordate e sotto supervisione internazionale. Il cessate il fuoco dovrà essere costantemente monitorato, consentendo il ritorno degli sfollati nelle zone più sicure e l’ingresso di aiuti umanitari essenziali per la popolazione locale.
Hamas ha confermato l’intesa, sottolineando la necessità del ritiro israeliano, la fine del blocco economico e l’avvio di un processo di ricostruzione. Israele ha accolto l’accordo con cautela: il premier Benjamin Netanyahu lo ha definito una “vittoria nazionale e morale” e ha ringraziato Trump e i mediatori per aver raggiunto questo “punto di svolta critico”.
La comunità internazionale ha reagito positivamente: Ursula von der Leyen ha lodato gli sforzi diplomatici di Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia e ha invitato tutte le parti a rispettare pienamente l’accordo, assicurando la consegna rapida degli aiuti e la futura ricostruzione di Gaza. La premier italiana Giorgia Meloni ha definito l’intesa “un’opportunità unica per porre fine al conflitto” e ha assicurato il sostegno dell’Italia nella stabilizzazione e nello sviluppo dell’enclave palestinese.
Il piano di Trump resta tuttavia incompleto su alcune questioni chiave: il disarmo di Hamas e la futura governance della Striscia non sono stati ancora risolti, mentre la conferma di un cessate il fuoco duraturo resta essenziale per garantire la sicurezza degli ostaggi e la pace a lungo termine.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 9th, 2025 Riccardo Fucile
VOLEVA ISTITUIRE IL PRINCIPATO DI SALERNO MA DEVE FARSI PERDONARE LA CHAT CONTRO BERLUSCONI
Mission: Impossible. Ma lui ci prova. Non sarà Tom Cruise, ma la postura da generale di brigata dei carabinieri ce l’ha. Gavetta alla Nunziatella, all’accademia militare di Modena, alpinista ad Aosta, paracadutista a Pisa, tre lauree tre in Giurisprudenza a
Parma, in Scienze politiche a Salerno, in Scienze della sicurezza a Roma. Una lunga carriera politica con An, poi con il Pdl, infine, dalla prima ora, con i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che lo vuole candidato alle elezioni regionali in Campania, e che ha pure fulminato con gli occhi chi si è azzardato a dire: «Mo vediamo…».
Cirielli Edmondo, classe 1964, nato il 22 maggio a Nocera Inferiore, campano nell’animo, figlio di un ufficiale dell’esercito, sposato con Maria Rosaria Campitiello, matrimonio civile celebrato da Ignazio La Russa nella chiesa sconsacrata di Santa Maria in Tempulo. Lei è ostetrica e ginecologa, e diventa capo del dipartimento prevenzione al ministero della Salute. Tempo di West Nile, la zanzara killer. Vincenzo De Luca, a cui non fanno difetto i toni felpati, accusa Campitiello di essere un’incompetente, assunta per ragioni di clientelismo politico. Edmondo lo querela per diffamazione, ché il livore tra i due è di lunga data, si contendono la palma del più amato a Salerno, ma lo scontro non è certo politico, non si sopportano a pelle. Due combattono e uno vive. Poi c’è la concorrenza all’interno dello schieramento, la «sfida» con Mara Carfagna, e poi perché Sangiuliano e Foti ministri e lui no? Tintinnio di sciabole anche con il segretario regionale di FI Fulvio Martusciello, che a sua volta si chiede perché non tocchi invece a lui sfidare Roberto Fico. Buoni rapporti con il presidente della Repubblica, cementati in questi tre anni da
viceministro degli Esteri, tanti viaggi insieme vista la sua delega alla cooperazione internazionale.
«Io voglio essere il candidato della coalizione, non ho mai chiesto questa candidatura, lo faccio con orgoglio per la mia terra, ma anche perché sono convinto che il centrodestra possa dare una diversa possibilità alla Campania».
Dichiarazione misurata e attenta agli alleati, questa di Cirielli. Ma a Forza Italia ancora non basta, anzi, è proprio Martusciello che pretende che venga a Canossa, se vuole l’investitura: «Prima ancora di sederci al tavolo, deve chiedere scusa per gli insulti rivolti a Silvio Berlusconi, raccontati nel libro Fratelli di chat. Se non si scusa, non si comincia nemmeno la discussione».
Accidenti che sventola, ma di che diavolo parla? Il libro è quello del giornalista del Fatto Giacomo Salvini, che fruga tra i messaggi riservati della classe dirigente di Fratelli d’Italia. E ce n’è anche uno attribuito a Edmondo, che risale al 2019: «Bisogna attaccare Forza Italia e Berlusconi con i suoi tg, basta appecoronarsi a questi banditi ladri».
Era tempo di campagna elettorale, ma insomma, la frase è un po’ ruvida, e lui lo sa e corre ai ripari: «Non ho mai parlato male di Berlusconi, per lui ho nutrito sempre stima e ammirazione. Non posso dimenticare che, quando io e la mia famiglia, tra i primi, ci ammalammo di Covid, Berlusconi mi chiamò ogni sera per venti giorni. Il mio terzo figlio aveva 40 giorni e soffriva molto, per me la sua vicinanza fu preziosa». Scuse richieste, scuse arrivate.
Già Maurizio Gasparri aveva teso la mano: «L’alleanza va allargata, ma verso Cirielli non abbiamo pregiudizi».
Ora che la candidatura è cosa fatta, c’è solo da battere Fico, o almeno perdere con onore, per, dicono i maligni, fare un salto di qualità, ché non si può essere vice al governo per tutta la vita. Che sia battagliero non ci sono dubbi. Sua la legge che riduce i termini della prescrizione, che fu soprannominata «Salva Previti», prima di essere chiamata «ex Cirielli» perché, dopo le modifiche non ne volle più sapere di metterci il nome.
Sua la sfida, forse un po’ singolare, per fare della provincia di Salerno una regione autonoma, con un referendum che mai si fece perché la Corte costituzionale disse non se ne parla proprio. Non è tipo da demordere, e presentò una proposta di legge per istituire il Principato di Salerno, ma è un po’ che non se ne parla più. Suo il manifesto nel giorno della Liberazione per dire che fu frutto solo degli anglo-americani, mentre i partigiani non ebbero alcun ruolo.
Polemiche per una frase pronunciata alla festa di Atreju: «Il tratto distintivo più profondo del fascismo era uno spirito straordinario di libertà». Parole estrapolate in malafede, dice Cirielli: «Parlavo della cultura libertaria che permeava gli ambienti intellettuali di una destra mai collettivista. Destra anche antifascista». Sua la strigliata ad Andrea Stroppa, voce a Roma di Elon Musk: «È un signor nessuno». Il Tar lo autorizza a demolire una sua casa di campagna, poi il Consiglio di Stato lo
blocca e lui racconta: «La soprintendenza ha detto no, e il Cds mi ha dato torto, dopo un ricorso del ministero retto da Sangiuliano». Insomma, in campagna elettorale, tra Edmondo, Fico e De Luca, non ci sarà da annoiarsi.
(da Il Corriere della Sera)
argomento: Politica | Commenta »