Ottobre 18th, 2025 Riccardo Fucile
“NON CONSEGNEREMO IL TEATRO NELLE MANI DI VENDITORI DI PACCOTTIGLIA. NO ALLA TRASFORMAZIONE DELLA CULTURA IN UNO SPAZIO DI PROPAGANDA” …LA PIAZZA CHIEDE PIÙ VOLTE LE DIMISSIONI DEL SOVRINTENDENTE COLABIANCHI, CHE HA IMPOSTO LA SCELTA DI VENEZI, E DEL SINDACO BRUGNARO
Campo Sant’Angelo è già pieno alle 17, mezz’ora prima che l’orchestra del Gran Teatro La
Fenice di Venezia cominci la sua protesta lirica, pubblica, aperta, metà suonata e metà parlata, contro la nomina di Beatrice Venezi a direttrice musicale. Tutti vogliono un posto in prima fila.
La prima del Wozzeck di Alban Berg non si terrà: il coro e l’orchestra, 300 professionisti e professioniste, sono in sciopero. Suonano, ma fuori, in strada. Dicono: «Mario Rigoni Stern, un grande intellettuale di questa terra, parlava del coraggio di dire no: noi siamo qui a dire no». Molti no.
A Venezi, naturalmente, che però definiscono “vittima”, una pedina; no alla cultura svilita a marketing; no al dialogo ridotto a diktat; no alla svendita di Venezia; no alla trasformazione dell’Italia in parco giochi e della cultura in uno spazio di propaganda. È una mobilitazione profonda, è la voce di un mondo che si sente aggredito e violato, colonizzato, stravolto.
«Siamo qui per difendere una cosa che non si vede ma che si sente: la dignità», dice Marco Trentin, violoncellista. Quando dice: «Non consegneremo il teatro nelle mani di venditori di paccottiglia», la piazza esplode.
Il punto cruciale della protesta non è Beatrice Venezi, la sua biondezza, il suo genere, l’egemonia culturale, l’ideologia: è la rivolta a un assedio, a una svendita. Quello che da anni viene fatto a tv, giornali, cinema, e cioè la semplificazione in (presunto) favore di popolo, lo scadimento in (presunto) favore di inclusione, qui, non trova sponda ma muro. Insistono: «La nostra è una battaglia professionale, artistica e profondamente culturale».
Sanno di parlare a nome loro, dell’orchestra, per il teatro, ma non solo: sanno di parlare per un Paese intero che non ha saputo opporsi a troppi espropri. Venezia sembra essere tutta qui, in questo campo enorme, intorno al suo teatro e ai suoi orchestrali che suonano il Va’ Pensiero, la Cavalleria Rusticana, La Traviata. Il pubblico, tra gli applausi, urla continuamente grazie. Oltre al coro, ai professori e alle professoresse dell’orchestra, ai
sindacalisti, prendono la parola in questa assemblea lirica, i membri di associazioni cittadine vicine al teatro o nate ora per sostenerlo.
Giorgio Peloso Zantaforni, 35 anni, fondatore del comitato Sconcerto Grosso, dice: «Guardatemi, non sono vetusto: ho la stessa età di Beatrice Venezi. E mi offende che la sua nomina sia stata giustificata come mezzo per avvicinare i giovani all’opera: noi non abbiamo bisogno di personaggi da social per amare Verdi, ma di competenza e qualità. Non è in nostro nome che si può decidere di rovinare un’eccellenza. Ci opponiamo a questa strumentalizzazione». Boato di applausi.
È il primo sciopero della storia in difesa della raffinatezza, della complessità, dello studio, della vocazione, del sacrificio, della responsabilità: tutte cose che credevamo estinte e che, invece, questa orchestra che da settimane viene accusata con malagrazia di snobismo e sessismo, sa di avere il dovere di tutelare.
«Richiedere eccellenza non è un reato né un gesto di discriminazione. È un dovere morale verso l’arte, il pubblico e noi stessi», si legge sui volantini che vengono distribuiti alle persone che riempiono la piazza e che sono in ascolto silenziosissimo. Tantissimi i bambini. Silenziosi anche loro.
È la prima volta che un’orchestra viene estromessa dalla scelta del direttore musicale che la dirigerà, quindi è la prima volta che a un’orchestra non viene riconosciuto titolo per prendere parola sul suo lavoro. Certo, la procedura lo consente, ma se una procedura consente un abuso, non significa che quell’abuso sia legittimo: sarebbe come appellarsi al libero arbitrio per legittimare un crimine.
Quello che l’orchestra riesce perfettamente a spiegare è che rendere l’arte di tutti è un lavoro per pochi. Su questo punto è la frizione più grande tra il governo e La Fenice (che ha dalla sua tutti gli enti lirici e sinfonici italiani).
«Il sottosegretario alla Cultura Mazzi oggi ci ricorda quanti soldi ci vengono assegnati dal suo ministero: proprio per questo dovrebbe rendersi conto che la scelta del sovrintendente Colabianchi sta creando un danno erariale. Oggi non abbiamo suonato, e quindi il teatro non ha incassato, 163 abbonati hanno disdetto l’abbonamento, e siamo solo all’inizio. Noi non arretreremo anche se ricordarci che il ministero eroga i fondi è un modo per dire che potrebbe tagliarceli se non stiamo buoni, soprattutto in questi giorni, mentre sono in corso a Roma le trattative per il rinnovo del contratto nazionale», dice a La Stampa Marco Trentin.
Gli chiedo se a Venezia ci sia qualcuno contro l’orchestra della Fenice, e risponde: «Nessuno. A parte il sovrintendente Colabianchi, che ha imposto la scelta di Venezi, e il sindaco Brugnaro».
Di entrambi, e con enfasi, la piazza chiede più volte le dimissioni. «Sa, sindaco, io non l’ho mai visto una volta all’opera, e sono una signora di una certa età», dice la fondatrice della fondazione Amici della Fenice, la contessa Barbara di Valmarana.
Povera Patria, sì bella e perduta.
(da La Stampa)
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Ottobre 18th, 2025 Riccardo Fucile
DIETRO LA BOMBA DI GIOVEDÌ SERA FUORI DALLA CASA A POMEZIA DEL CONDUTTORE DI “REPORT” CI SAREBBE UN LAVORO DI PREPARAZIONE DURATO SETTIMANE CON APPOSTAMENTI E PROVE… COMPLIMENTI AL VIMINALE, PEDINANO PER SETTIMANE UN SOGGETTO CHE SCORTI E NON TI ACCORGI DI NULLA
Sigfrido Ranucci era pedinato da giorni. E chi voleva intimidirlo aspettato pazientemente il momento giusto per passare all’azione. Dietro l’attentato di giovedì sera fuori dalla casa del giornalista e conduttore di Report, dove un ordigno artigianale è stato posizionato tra la sua auto e quella della figlia, ci sarebbe un lavoro durato settimane. Con appostamenti e prove.
È questa una delle convinzioni dei carabinieri del nucleo investigativo di Frascati, che indagano insieme ai colleghi di Roma.
La sera dell’agguato il giornalista sarebbe stato seguito da Roma. Sigfrido Ranucci, infatti, non tornava a Pomezia da martedì. Ma giovedì notte, alle 21.40, quando la scorta lo ha fatto scendere dall’auto, qualcuno lo aspettava nella pineta di fronte casa. Alla vista del conduttore di Report, il commando si è messo in moto, poi è stato frenato dal ritorno imprevisto della figlia Michela.
L’esplosione è stata rimandata alle 22.17. La prova è un messaggio audio consegnato ai carabinieri, in cui la voce di un residente è sovrastata dal frastuono della bomba. Nessun timer, solo la classica miccia: non concede più di venti secondi per fuggire.
«Avevano messo l’ordigno nel vialetto, tra i vasi e le auto, dove passo abitualmente», racconta Ranucci, incredulo di fronte ai detriti.
La bomba, un chilo di polvere da sparo compressa, ha danneggiato l’Opel Adam che il conduttore aveva regalato al figlio e la Ford Ka della figlia: «Avrebbero potuto ucciderla».
Non era tritolo, ma una bomba rudimentale, mossa da mano esperta. Il sospetto, come emerso dalle segnalazioni dei residenti, è che tutto fosse stato pianificato con largo anticipo.
«Quella di ieri è la quarta esplosione nelle ultime tre settimane», denuncia Nabila, una residente che ieri mattina si è presentata davanti alla casa di Ranucci per esprimergli solidarietà. «Pensavamo fossero ragazzi, forse era un test per studiare i tempi di reazione delle forze dell’ordine». Le date: 27 settembre, 4 e 10 ottobre. Martedì notte, infine, le prove generali: tre colpi d’arma da fuoco sparati in aria. I carabinieri intervenuti non hanno trovato nulla, ma due giorni dopo tutto è diventato più chiaro.
Le testimonianze sono tante. Molte da verificare. C’è chi, poco prima del boato, ha visto un giovane incappucciato fuori dalla casa del giornalista. E chi invece è sicuro di aver notato tre ombre nella pineta che si allontanavano. Una 500 rubata è stata trovata vicino alla casa del giornalista, ma non sarebbe legata all’attentato. Mentre un’auto è stata ripresa da alcune telecamere di videosorveglianza della zona: sarebbe quella della fuga.
Formalmente si indaga per «danneggiamento aggravato dal metodo mafioso» e «violazione della legge sulle armi». In pratica, si tratta di un attentato al giornalista, al giornalismo. Un’intimidazione legata al lavoro di Ranucci e della squadra di Report, riconducibile ai servizi realizzati di recente — o forse a inchieste ancora inedite — per la nuova edizione del programma
Le sagre finanziate dalla politica, i balneari, le infiltrazioni dei clan nell’economia: sono diverse le piste investigative sul tavolo del sostituto procuratore dell’Antimafia Carlo Villani. Una delle ipotesi è che l’attentato sia maturato nel sottobosco ultrà, legato a doppio filo con la criminalità organizzata e con l’estrema destra. Un mondo al centro di numerose inchieste della trasmissione, che ha raccontato le curve di Milan, Inter e Lazio. C’è poi la malavita albanese della zona, quella un tempo legata al narcos e ultrà Fabrizio Piscitelli, che già in passato aveva fatto arrivare segnali preoccupanti al giornalista.
E ancora, l’inchiesta sul porto crocieristico di Fiumicino: un affare da miliardi di euro. «È un fatto gravissimo. Speriamo non sia il frutto di un rinnovato clima pesante nei confronti dei giornalisti», ha dichiarato il procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi, che segue di persona il caso.
Non è la prima volta che Ranucci viene minacciato. Il pm Francesco Cascini lavora su una decina di intimidazioni, tra cui i due proiettili trovati nel 2024 davanti casa dopo una puntata sulla trattativa Stato-mafia ed eversione nera. Segnali che non erano bastati a rafforzare la scorta, rimasta a livello quattro, senza sorveglianza notturna. Ranucci veniva accompagnato fino al cancello di casa. Ora il livello di protezione salirà, con tanto di auto blindata.
(da Repubblica)
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Ottobre 18th, 2025 Riccardo Fucile
IL RISCHIO È CHE SI VERIFICHI UN ESODO DELLE BANCHE DALL’ITALIA: CON L’AUMENTO DELL’IRAP, GLI ISTITUTI CHE HANNO CAPITALE A MAGGIORANZA INTERNAZIONALE POTREBBERO ESSERE ATTRATTI DA SOLUZIONI FISCALMENTE PIÙ CONVENIENTI ALL’ESTERO
«È inutile ricorrere al Golden power rivendicando la difesa dell’italianità delle banche e dei
risparmi, se poi si fa di tutto per allontanare gli investitori dal nostro Paese». Per l’esperto banchiere che a taccuini chiusi si è sfogato con La Stampa «l’ennesimo sforzo richiesto alla banche è incomprensibile».
Non è tanto una questione del quanto, anche perché con la corsa dei tassi d’interessi gli istituti tricolori hanno macinato utili record, ma piuttosto del come: «Le banche hanno un ruolo sociale, non c’è dubbio, ma devono anche rendere conto ai loro azionisti. E per i manager diventa difficile dare spiegazioni ai propri soci. Soprattutto quando chiedono della fiscalità».
Il timore è che di fronte a uno scenario contraddistinto dall’incertezza crescano le tentazioni di andare all’estero. Ottenendo l’effetto contrario di quello che l’esecutivo cerca di fare dall’inizio del suo mandato: trattenere in Italia i risparmi dei cittadini
Certo, non tutte le situazioni sono uguali: ci sono banche fortemente ancorate alla Penisola con un nocciolo duro di azionisti che mai di sognerebbe di traslocare, ma ce ne sono altre
con capitale a maggioranza internazionale che potrebbero essere attratte da soluzioni fiscalmente più convenienti.
Tradotto: per il terzo anno consecutivo le banche hanno ceduto alle richieste del governo, ma potrebbe essere l’ultima volta. Anche perché se dall’Abi vige il più assoluto riserbo in attesa di testi definitivi, l’amarezza è palpabile. Addirittura c’è chi sussurra che avrebbe voluto un atteggiamento più aggressivo dall’associazione delle banche.
Che però non sarebbe stato nel suo stile e in quello del suo presidente Antonio Patuelli che, invece, preferisce l’arte della diplomazia. Con l’obiettivo di negoziare fino all’ultimo le migliori condizioni possibili. Negli ultimi giorni, inoltre, tutti i principali banchieri si sarebbero attivati con il governo per difendere le proprie ragioni.
Insomma, i banchieri sono usciti sconfitti ancora una volta dal governo che nel 2023 ha imposto – in maniera piuttosto maldestra – una tassa sugli extraprofitti che, come nel caso dell’energia, si è rivelata un enorme buco nell’acqua; lo scorso anno ha messo a bilancio lo slittamento delle Dta, ovvero la trasformazione delle imposte differite in crediti d’imposta; quest’anno la tecnica è stata affinata.
La tassa sugli extraprofitti si è trasformata in una exit tax su base volontaria – che rischia di acuire ulteriormente le tensioni tra i banchieri e i loro azionisti. Nel 2023, le banche aveva avuto l’opzione di pagare un’imposta del 40% sugli extraprofitti o in alternativa di accantonare le somme a patrimonio.
Oggi l’esecutivo offre alle stesse banche la possibilità di sbloccare 6,2 miliardi di euro di riserve non distribuibili. La
proposta sul tavolo sarebbe quella di partire da una tassazione del 27,5% per le somme sbloccate nel 2026 per poi salire nel 2027 e ancora nel 2028. Ovviamente non c’è alcun obbligo, ma l’aliquota crescente rappresenta un forte incentivo. Anche perché dal 2029 torna la tassazione al 40%, presupponendo che nel frattempo i capitali siano stati completamente sbloccati.
L’ennesimo ricorso alla Dta era il mantra dei banchieri. Nella sostanza si tratterebbe di un prestito alle casse dello Stato. Abbastanza perché all’interno dell’Abi non ci fossero particolari resistenze di fronte a un leggero incremento degli importi già fissati con l’ultima manovra. Peraltro se fino al 2022 con i tassi a zero l’operazione per le banche era senza costi, adesso l’impatto è di qualche centinaia di milioni di euro per l’intero comparto.
L’Irap è una delle note più dolenti: per le banche dovrebbe salire dal 4,65% al 6,65% e per le assicurazioni dal 5,90% al 7,90% con un gettito totale stimato in circa 900 milioni che, però, dovrebbe appunto diventare strutturale. Così come strutturali dovrebbe diventare anche i provvedimenti relativi alle svalutazioni per le perdite sui crediti e la deducibilità degli interessi passivi.
(da La Stampa)
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Ottobre 18th, 2025 Riccardo Fucile
MELONI: “VERGOGNA, VAI IN GIRO PER IL MONDO A DIFFONDERE FALSITA’”… SCHLEIN: VERGOGNATI TU, SMETTILA CON IL VITTIMISMO, CHI DEFINISCE LE OPPOSIZIONI TERRORISTI E VA ALL’ONU PER ATTACCARE CHI CRITICA IL GOVERNO E’ LA VERGOGNA DEL NOSTRO PAESE”
Duro attacco di Elly Schlein contro Giorgia Meloni dopo l’attentato al giornalista di Report, Sigfrido Ranucci. Schlein, che è intervenuta al congresso del Pse ad Amsterdam, è stata dura contro il governo anche su spesa pubblica, sanità e scuola.
Schlein: “Libertà a rischio quando governa l’estrema destra”
La segretaria del Pd afferma: “La settimana scorsa Meloni a Firenze ha detto che l’opposizione è peggio di Hamas. Voglio solidarizzare con Ranucci vittima di un attentato terribile: la libertà e la democrazia è a rischio quando l’estrema destra è al governo”.
Secondo Schlein “in Italia c’è una estrema destra al governo che sta tagliando la spesa pubblica, la sanità, la scuola, sta bloccano le nostre proposte di salario minimo. Stanno producendo solo propaganda, odio e polarizzazione”.
La leder del Pd prosegue: “Non batteremo l’estrema destra seguendo la loro agenda: dobbiamo ricordare chi siamo come socialisti. Dobbiamo spingerli sul nostro campo della difesa dei diritti e di giustizia sociale”.
La replica di Meloni: “Puro delirio, vergogna”
A stretto giro, via social, arriva la replica della premier Meloni: “Siamo al puro delirio. Vergogna, Elly Schlein, che vai in giro per il mondo a diffondere falsità e gettare ombre inaccettabili sulla nazione che, da parlamentare della Repubblica italiana e leader di partito, dovresti rappresentare e aiutare”.
E Schlein risponde
Il botta e risposta tra le due leader non finise qui. “Pure oggi la presidente Meloni non rinuncia alla sua dose di vittimismo quotidiano. Basta, basta, perché del suo vittimismo gli italiani non se ne fanno niente: parliamo dei problemi concreti degli italiani”, afferma Schlein prima di lasciare Amsterdam. “Lo spieghi lei, faccia una conferenza stampa per spiegare perché stanno tagliando la sanità pubblica. Lei può andare alle Nazioni unite ad attaccare le opposizioni davanti a tutto il mondo, può andare sul palco di Firenze a dire che l’opposizione italiana è peggio dei terroristi ma le opposizioni devono mute, zitte buone, dire solo che va tutto bene”.
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2025 Riccardo Fucile
VALDITARA È INCAZZATO PERCHÉ PER LA SCUOLA, GIÀ IN SOFFERENZA, SONO STATI DESTINATI MENO SOLDI DI QUELLI CHE AVEVA RICHIESTO… L’IRRITAZIONE DI GIULI PER LA “TAGLIOLA” DEL MEF IN MERITO AI FONDI NON UTILIZZATI DA PARTE DEI MINISTERI … LA BATTUTACCIA DELLA MELONI, CHE CAZZIA I COLLEGHI: “DOVEVATE FARE I COMPITI”
Prima dei sorrisi in conferenza stampa a favore di flash, nel chiuso del consiglio dei ministri
volano frecciate e accuse. Non tanto per la tassa sulle banche, che ha agitato il vertice pre-Cdm di giovedì notte e su cui i leader di maggioranza hanno siglato una faticosa tregua.
A irritare un pezzo di governo sono i tagli firmati dal ministero dell’Economia per far quadrare i conti. La famigerata spending review. Nel corso della riunione, mentre Giorgia Meloni prova a chiamare Sigfrido Ranucci (senza esito, perché il giornalista è impegnato a riferire a chi indaga i dettagli dell’attentato) e gli manda un sms di solidarietà promettendogli la doverosa protezione dello Stato, tra gli scranni dell’esecutivo gli animi si surriscaldano.
Il primo a esporsi è il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, nominato in quota Lega, così come il destinatario della sua insofferenza, Giancarlo Giorgetti. Al responsabile dell’Economia, Valditara imputa una disparità di trattamento tra i dipendenti della pubblica amministrazione in generale e quelli del comparto scuola.
Secondo il titolare di viale Trastevere, la detassazione dei premi accessori prevista in manovra produce maggiori benefici per gli impiegati della Pa rispetto agli insegnanti. Perché questi ultimi hanno premi ridotti rispetto agli altri statali (ma con uno stipendio base, il cosiddetto tabellare, più alto). Il mondo della scuola è in sofferenza da mesi, reclama il nuovo contratto del settore e Valditara ha il cruccio di ritrovarsi con meno risorse di quelle sperate.
Anche perché nel frattempo il collega della Pa, il forzista Paolo Zangrillo, gongola: aveva chiesto 150 milioni per chiudere il nuovo contratto dei dipendenti pubblici e ne porta a casa quasi 550, con una novità particolarmente attesa dagli statali vicini al pensionamento: l’incasso del Tfs non arriverà più dopo anni, i primi 50mila euro saranno liquidati tre mesi dopo il ritiro dal lavoro.
Valditara non è l’unico scontento. Diversi ministri lamentano la sforbiciata sulle spese dei dicasteri — 8 miliardi in tre anni, di cui 2,3 subito — per com’è stata formulata dal capo della ragioneria, Daria Perrotta. L’anno scorso era previsto un taglio lineare del 5%, che però i ministeri potevano spostare da una spesa all’altra, all’interno del proprio budget. Stavolta no: saltano tutti i fondi residui, cioè quelli sin qui non spesi. Finiscono tutti nella “rete” del Mef.
Protesta contro «il metodo» Francesco Lollobrigida, capo-delegazione di FdI. Si inalbera il ministro meloniano della Cultura, Alessandro Giuli. Giorgetti spiega che la tagliola ha riguardato poste non utilizzate.
Come dire: colpa vostra. Replica il successore di Sangiuliano: i ministeri senza portafoglio (come il suo, ndr) non spendono anche perché per farlo serve un’autorizzazione del Tesoro che spesso verrebbe firmata tardi. Meloni interviene con una battuta (ma significativa): «Dovevate fare i compiti».
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Ottobre 18th, 2025 Riccardo Fucile
LE SPESE DOVREBBERO AGGIRARSI ATTORNO A TRECENTOMILA EURO (SOLDI DELLA REGIONE LAZIO)… LA CENA DI GALA DELLA NIAF, L’ORGANIZZAZIONE ITALO-AMERICANA, CON BOCELLI, ELKANN, CATTANEO E LA REGIONE LAZIO CHE CUCINA
È iniziata oggi la missione istituzionale della Regione Lazio negli Stati Uniti, guidata dal presidente Francesco Rocca e in programma fino a domenica 19 ottobre. Della delegazione fanno parte anche il presidente del Consiglio regionale Antonello Aurigemma e l’assessore alle Pari opportunità, Politiche giovanili, Famiglia e Servizio civile Renata Baldassarre.
L’iniziativa si inserisce nel quadro delle relazioni strategiche tra Italia e Stati Uniti e mira a rafforzare i rapporti bilaterali nei
settori dell’innovazione tecnologica, delle scienze della vita, del turismo e della sostenibilità ambientale, attraverso una fitta agenda di incontri istituzionali, economici e accademici.
Il programma si è aperto con una visita alla Casa Bianca e la partecipazione del presidente Rocca alla Second Edition of the Italy-US Tech Business and Investment Matching, ospitata al The Investment Company Institute di Washington. Nel panel dedicato a Life Sciences, Biotech & Pharma, Rocca ha dialogato con rappresentanti del mondo accademico e imprenditoriale statunitense e italiano.
Tra gli interventi previsti anche quelli di Antonello Aurigemma, sul tema Space and the Blue Economy, e di Renata Baldassarre, nel panel Tourism & Place Branding, dedicato a innovazione, infrastrutture e investimenti.
Venerdì 17 ottobre la delegazione sarà ricevuta presso l’Ambasciata d’Italia a Washington per il Quarto TIC/THF US Stakeholders’ Meeting, dove Rocca interverrà nel panel Fostering local-to-local partnerships. Seguiranno incontri bilaterali con rappresentanti dei governi di Virginia, West Virginia e North Carolina, centrati sullo sviluppo di relazioni economiche e istituzionali.
Nel pomeriggio è previsto un confronto nella sede di Amazon Web Services, dedicato a digitale e intelligenza artificiale nella pubblica amministrazione, con la partecipazione di Carlo Battistelli (Head of Local Government AWS) e Thomas Storck (Senior Solutions Architect).
La giornata proseguirà con un ricevimento ufficiale in Ambasciata, offerto dall’ambasciatore d’Italia Marco Peronaci, e
con la cena di gala degli Italpress Awards.
Sabato 18 ottobre, Rocca riceverà il premio “Giovan Giacomo Giordano 2025” durante il simposio scientifico per il 50° anniversario della NIAF, e sarà insignito anche dell’Italpress Award 2025, riconoscimento riservato a personalità che promuovono il sistema Italia nel mondo
La missione si concluderà con la Cena di Gala per il 50° anniversario della NIAF, che riunirà rappresentanti delle comunità italo-americane attive in politica, economia e cultura.
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2025 Riccardo Fucile
PRESO DALL’ESIBIZIONE CANORA, IL MINISTRO CANTERINO SI SBAGLIA E AFFERMA CHE LA CITTA’ E’ STATA SCELTA COME CAPITALE PER L’ANNO 2007 (LEVATEJE ER FIASCO!)
È stato un annuncio insolito quello che ha dato il via alle celebrazioni per Alba Capitale italiana
dell’arte contemporanea 2027. Durante la cerimonia ufficiale nella sala Spadolini del MiC, il ministro della Cultura Alessandro Giuli ha sorpreso tutti intonando il celebre brano di Vasco Rossi Albachiara.
Dopo aver letto le motivazioni della giuria che hanno portato alla vittoria della città piemontese, il ministro si è fermato, ha sorriso e ha cantato: «Respiri piano per non far rumore, ti addormenti di sera e ti risvegli col sole, sei chiara come… un’Albaaa», incitando il pubblico a completare la frase
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2025 Riccardo Fucile
IL PSE NON CONSIDERA COMPATIBILI CON I SUOI VALORI LE POSIZIONI FILOPUTINIANE DI FICO CHE IN PATRIA CERCA DI RESTRINGERE I DIRITTI CIVILI E LO SPAZIO DELL’OPPOSIZIONE…FICO, COME IL PREMIER UNGHERESE ORBAN, METTE IN DUBBIO L’INVIO DI AIUTI MILITARI ALL’UCRAINA
Il Partito dei socialisti europei (Pse) ha espulso il partito del primo ministro slovacco Robert Fico dal suo gruppo politico al Parlamento europeo.
L’assemblea del gruppo socialista ha preso la decisione all’unanimità venerdì ed è stata annunciata dal segretario generale Giacomo Fillibeck durante il Congresso socialista di Amsterdam.
“Negli ultimi due anni Smer ha assunto una posizione politica che contraddice pesantemente e profondamente i valori e i principi che la nostra famiglia rappresenta”, ha dichiarato Fillibeck. “Il messaggio è chiaro: se appartieni alla famiglia del Pse, condividi gli stessi valori di tutti noi”.
La mossa era ampiamente prevista, dato che Smer è stata sospesa nell’ottobre 2023 dopo che il suo leader Robert Fico aveva formato un governo di coalizione con toni anti-ucraini ed euroscettici, insieme al partito di sinistra Hlas-SD e al Partito Nazionale Slovacco (Sns) ultranazionalista di estrema destra.
Il partito slovacco è stato poi temporaneamente escluso dalla famiglia socialista e i suoi membri al Parlamento europeo sono stati esclusi dal gruppo politico dei Socialisti e Democratici, finendo tra gli eurodeputati non iscritti. Da quando è tornato al potere, Robert Fico ha ulteriormente allontanato il suo partito dalla linea dei socialisti su diverse questioni, come l’immigrazione, i diritti Lgbtq+ e la guerra in Ucraina.
Fico ha spesso vanificato gli sforzi dell’Ue per sanzionare la Russia e ridurre la dipendenza dall’energia di Mosca, invocando il potere di veto della Slovacchia per bloccare nuovi cicli di misure, dato che le sanzioni dell’Ue sono soggette alla regola dell’unanimità per essere approvate.
La posizione di Fico è simile a quella del suo omologo ungherese Viktor Orbán, che mette in dubbio l’invio di aiuti militari all’Ucraina e chiede un maggiore dialogo con Mosca, anche alla luce della dipendenza della Slovacchia dal gas russo.
A maggio ha suscitato polemiche anche la sua visita a Mosca per incontrare il presidente russo Vladimir Putin e commemorare l’80esimo anniversario della vittoria sulla Germania nazista nella Seconda guerra mondiale.
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2025 Riccardo Fucile
LE MINACCE RICEVUTE DOPO L’INCHIESTA SUI CENTRI IN ALBANIA… “L’AMBIENTE DELLA EVERSIONE DI DESTRA È STATO UNO DEI PRIMI CONTESTI CHE ABBIAMO ANALIZZATO”
Ospite di Lilli Gruber a Otto e Mezzo, Sigfrido Ranucci racconta i retroscena dell’attentato
subito e ricostruisce una serie di episodi inquietanti avvenuti negli ultimi due anni. Il giornalista spiega che la sua scorta aveva già segnalato la presenza di persone sospette che lo seguivano e lo riprendevano durante incontri con fonti riservate.
Ospite di Lilli Gruber, Sigfrido Ranucci racconta le minacce ricevute dopo l’inchiesta sui centri in Albania, in risposta alle accuse di Giorgia Meloni, secondo cui “Il servizio pubblico italiano, Telemeloni, ha confezionato un servizio sui centri in Albania nel quale in buona sostanza si dipingeva l’intera Albania come un narco-stato”.
Ranucci spiega che i fatti raccontati dalla sua inchiesta sono stati confermati: i centri in Albania erano in fallimento, ma la denuncia ha generato minacce dirette. Secondo il giornalista, un avvocato incaricato da esponenti del cartello messicano avrebbe cercato di delegittimarlo con azioni di varia natura, arrivate fino a minacce personali.
(da agenzie)
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