Destra di Popolo.net

DIECI FAKE NEWS SULLA FLOTILLA SMONTATE UNA DOPO L’ALTRA A DUE SETTIMANE DAL RIENTRO IN ITALIA

Ottobre 19th, 2025 Riccardo Fucile

CROLLANO TUTTE LE BALLE RACCONTATE DALLA FOGNA SOVRANISTA

Sono passate due settimane dal ritorno in Italia degli equipaggi che componevano la Global Sumud Flotilla. E sono tornato anche io, con qualche ammaccatura dentro e fuori. Niente in confronto a quello che – nonostante un accordo chiamato “di pace” – sta continuando ad accadere nella Striscia di Gaza e soprattutto in Cisgiordania. Il focus, come sempre, è lì che deve stare.
Anche per questo, però, è arrivato il tempo e il momento di mettere in fila tutte le bugie lette e ascoltate negli ultimi mesi sulla Global Sumud Flotilla, e smontarle una dopo l’altra.
Partiamo dalla fake news numero uno, forse la più grande di tutte: “La Flotilla non serve a niente”. Falso. Lo dicono sempre, quando si accorgono che qualcosa sta funzionando. Lo dicono
quando ci vedono scendere in piazza, fare uno sciopero, partecipare a una manifestazione, impegnarci per giorni per realizzare un reportage che racconti le questioni oltre le superfici. E lo hanno ripetuto anche questa volta, lo hanno addirittura gridato.
Eppure, forse mai come questa volta, la Global Sumud Flotilla e tutte le manifestazioni in tutto il mondo, si sono rivelate efficaci. Donald Trump, il maggior sostenitore del Paese che stava compiendo un genocidio, e Benjamin Netanyahu, l’uomo che ha guidato Israele nella pulizia etnica, hanno trovato un accordo per fermare i bombardamenti pochissimi giorni dopo gli arresti della stessa Flotilla in Israele. Un caso? No, ovviamente.
Non avevano cambiato idea rispetto ai loro programmi degli ultimi anni, ma hanno temuto di rimanere schiacciati dalla marea umana che in tutto il mondo era scesa in piazza e stava chiedendo la fine dei massacri.
Così hanno trovato un accordo minimale, coloniale, i bombardamenti non li hanno fermati completamente e neanche ovunque, ma comunque un accordo lo hanno trovato e oggi stiamo assistendo a una specie di lunga tregua, e ai primi camion con gli aiuti umanitari che stanno entrando nella Striscia di Gaza. Mai, come questa volta, scendere in mare e in piazza, è stato efficace. Abbiamo fatto la differenza.
Punto due: “La flotilla non trasportava aiuti umanitari, anzi: non c’era nulla a bordo”. Falso. Gli aiuti umanitari erano presenti nella barca dove ho viaggiato io, e c’erano in tutte le altre barche. Li abbiamo aperti, ho aiutato a caricarli io stesso, ho presente il deposito all’aperto nel porto di Catania, dove stavano ammassati gli aiuti, chiusi in scatole e forniti dalla raccolta di Music for peace, prima di essere caricati in ogni singola imbarcazione.
Punto tre: “Non avete consegnato gli aiuti”. Non lo abbiamo fatto perché Israele ce lo ha impedito. È a Israele che dovete chiedere conto. Non a chi ha provato, anche a rischio della propria incolumità fisica, a farlo.
Sarebbe come accusare l’ONU di essersi fermata prima del valico di Rafah, e di avere ancora lì tutti i camion parcheggiati con gli aiuti umanitari dentro. Loro sono lì perché Israele ha chiuso il corridoio e li obbligava con la forza a rimanere lì. Il problema è la violenza di Israele, non l’ONU, o la Flotilla. È più chiara, spiegata così?
Punto quattro: “Vi ha finanziato Hamas”. No, ovviamente. L’ala militare di Hamas non ha mai visto di buon occhio le organizzazioni umanitarie, come anche Israele le ha sempre contrastate, e in entrambi i casi non è difficile capire perché. In altre parole: non solo non c’è alcuna prova di un’accusa così grave, ma il Governo israeliano, prima dell’imminente blocco illegale delle barche della Sumud Flotilla in acque internazionali, ha pubblicato un documento – una presunta prova! – poi rivelatosi infondato, come ha dimostrato la piattaforma di fact-checking Misbar, la rete Al Jazeera Arabic e infine Il Fatto Quotidiano.
Era un documento del 2021, già pubblico e in archivio, in cui non si citano né navi e né barche, tantomeno la Global Sumud Flotilla (era il 2021!) e tra l’altro in un tempo in cui ancora Hamas non era considerata organizzazione terroristica da tanti Paesi occidentali (esempio: Regno Unito, Nuova Zelanda, Australia).
L’uso di annunci su Google, come hanno dimostrato le inchieste di Fanpage.it, è invece una modalità usata da Israele per screditare persone e movimenti sgraditi diffondendo fake news e false accuse, come questa volta.
Punto cinque: “Sono in crociera”. Hanno creato immagini con l’Intelligenza artificiale di cocktail party, piscine, gare di tuffi, feste a prua, balli di gruppo, canne, alcool e amenità di ogni tipo. Le immagini sono così chiaramente false che queste si smontano da sole. E comunque: niente di tutto questo è accaduto. Io c’ero e ho visto. Certamente, e lo rivendico, ci sono stati momenti belli, alcuni anche bellissimi, anche di risate, relazioni, amicizie, abbracci e baci. Anche in carcere, quando in più lingue ho invitato tutti a cantare “Happy Birthday” a Maso Notarianni, mio compagno di viaggio sulla barca Karma. Compiva gli anni mentre eravamo in una gabbia, sotto il sole, in attesa di essere processati senza avvocato. E allora ho proposto a tutto il gruppo di cantargli Happy Birthday, e lo abbiamo fatto.
Del resto un viaggio di un mese, in barca, per una missione umanitaria, detenzione compresa, non è il momento per dare spazio alla tristezza, ma quello per liberare la vita. Eravamo lì proprio per quel motivo.
Punto sei: “Siete terroristi”. Questa dichiarazione sarebbe risibile, se non fosse così grave e portata avanti dal Ministro israeliano per la sicurezza Ben Gvir, che la prima sera della detenzione passò con telecamere a seguito di fronte alla nostra gabbia (non eravamo ancora in cella) e ci indicò dicendo: “They are terrorist”. E poi ha continuato a scriverlo e a rilanciarlo
pubblicamente in ogni occasione. Questa fake news, che in qualsiasi altro contesto avrebbe portato a una condanna per diffamazione dell’autore, è importante ricordarla soprattutto per un aspetto. Dobbiamo ricordarla perché la stessa accusa, identica, viene rivolta da Ben Gvir al popolo palestinese, bambini compresi.
Ebbene: non sono terroristi, sono come me e come voi che leggete questo pezzo: persone. Con una differenza rispetto a noi: loro sono vittime dei terroristi e del genocidio da parte di Israele, noi no. Ogni tanto è giusto ricordarlo.
Punto sette: “Era una missione politica”. Come ha detto il presidente della Repubblica Mattarella, sì. Era anche una missione politica. Non esiste una missione umanitaria che non sia anche politica, non è possibile una richiesta di apertura di corridoi umanitari che non si rivolga alla politica, dato che soltanto “la politica” può fermare davvero un genocidio o decidere di aprire un corridoio umanitario.
Punto otto: “Gli attacchi con i droni ve li siete fatti da soli”. Questo Israele non l’ha mai detto, anche per loro probabilmente questa fake news sarebbe stata troppo grande da gestire, e poi l’abbiamo visto quando siamo stati portati al porto di Ashdod.
La violenza dell’arresto illegale è stata fatta di fronte agli occhi di tutte le persone, di tutte le nazionalità e di tutte le flottiglie, non soltanto i militari non si nascondevano, ma rivendicavano le loro azioni. Volevano che fossero viste. Esattamente, in fondo, come hanno fatto con gli attacchi dei droni. Un silenzio di soddisfazione nell’aver messo fuori uso diverse barche.
Punto nove: “State compiendo un’azione illegale”. Chiariamo un
punto: io credo che ci sia differenza fra “giusto” e “legale” e che non sempre le due questioni coincidano. Esempio: denunciare Anna Frank, durante la Seconda guerra mondiale, è stata un’azione legale dal punto di vista giuridico dell’epoca. Addirittura economicamente premiata. Ma possiamo tranquillamente affermare, io penso, che fosse un’ingiustizia profondissima, allora come oggi.
Nel caso specifico della Flotilla, in ogni caso, noi eravamo completamente nel giusto, e anche nella legalità. Israele, invece, ha disobbedito a tutte le leggi marine e militari, portando avanti un abbordaggio e un sequestro di persone e di mezzi in acque internazionali, senza che costituissero un pericolo. E poi ancora con una detenzione arbitraria, senza processo e caratterizzata da violazioni continue dei diritti umani, come vessazioni psicologiche e fisiche.
Punto dieci: “Nella Striscia di Gaza non c’è una carestia”. Fra tutte le bugie è quella che racchiude più dramma all’interno, e quella che in fondo ha smosso la Global Sumud Flotilla e tutte le manifestazioni di piazza di questi mesi.
Partiamo dai fatti: l’Onu ha confermato la carestia a Gaza, affermando che ci sono 132mila bambini a rischio. Allargando lo sguardo, ha poi affermato che a Gaza “oltre mezzo milione di persone si trova ad affrontare condizioni catastrofiche caratterizzate da fame, miseria e morte”.
Lo ha affermato il Famine review committee, un organismo proprio delle Nazioni unite composto da studiosi ed esperti. Il rapporto ha applicato l’Ipc (un sistema ufficiale di classificazione della sicurezza alimentare), ed è la quinta volta che gli esperti si sono dedicati alla Striscia negli ultimi tre anni, ma la prima volta che la carestia è stata confermata ad agosto di quest’anno in modo ufficiale. In altre parole: si soffriva la fame anche prima, anche in modo drammatico, ma da alcuni mesi è stata certificata una carestia “causata interamente dall’uomo”. In altre parole: indotta, non soltanto come effetto del genocidio. Significa che anche quando verranno ripristinati livelli di alimentazione adeguati, la carestia continuerà a produrre i suoi effetti più drammatici, perché la carestia è un processo che non si ferma soltanto con un’alimentazione sufficiente, ma con medicine specifiche che in questo momento comunque non stanno entrando nella Striscia di Gaza. E gli effetti più drammatici (e irreversibili) della carestia continueranno a subirli i bambini, in quanto popolazione in età di sviluppo.
Hanno provato in tutte le maniere a infangare la missione umanitaria della Global Sumud Flotilla. Con i più distratti ce l’hanno fatta, li hanno convinti. Per chi ha ancora voglia di informarsi, leggere, provare a raddrizzare le storture del mondo mettendoci le scarpe e il cammino, no.
(da Fanpage)

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“AVEVA SOGNATO UNA GIOVENTU’ CHE SI ARRICCHISSE DELLE PROPRIE DIFFERENZE”

Ottobre 19th, 2025 Riccardo Fucile

MACRON RICORDA SOFIA CORRADI, L’IDEATRICE DELL’ERASMUS… UNA GRANDE ECCELLENZA ITALIANA CHE VIENE RICORDATA ALL’ESTERO E NON DAL GOVERNO SOVRANISTA ITALIANO

Professoressa ordinaria di Scienze dell’educazione all’Università Roma Tre, aveva ideato il programma che ha permesso – e continua a permettere – a migliaia di giovani studenti di viaggiare e studiare in tutta Europa
«Sofia Corradi ci ha lasciati. Aveva sognato una gioventù europea che si incontrasse e si arricchisse delle proprie differenze». Lo scrive il presidente francese Emmanuel Macron in un messaggio su X in italiano per ricordare l’ideatrice del programma Erasmus scomparsa la scorsa notte a Roma all’età di 91 anni. «Milioni di studenti le devono un pezzo di vita e un orizzonte. Omaggio alla Mamma Erasmus, il cui sogno continua a costruire la nostra Europa», conclude. Professoressa ordinaria di scienze dell’educazione all’università Roma Tre, Corradi era conosciuta anche come “mamma Erasmus” in quanto ideatrice del programma che ha portato e continua a portare in giro per l’Europa migliaia di giovani studenti.
Una sconfitta personale dietro la nascita del progetto europeo
L’idea che sta dietro al progetto Erasmus era paradossalmente nata da una sua personale sconfitta: nel 1957 vinse una borsa di studio Fulbright, che le aprì le porte della Columbia University. Al suo ritorno in Italia, presentandosi alla segreteria della sua università, per far convalidare gli esami, scoprì che i suoi sforzi all’estero non potevano essere riconosciuti e che gli esami non sarebbero stati validati dalla sua università. Invece di abbattersi decise che nessun altro studente avrebbe dovuto subire la stessa ingiustizia. Propose così il suo progetto nel 1969 e nel 1987 nacque ufficialmente il programma di scambi dedicato ad Erasmo da Rotterdam.
Il percorso professionale
Corradi ha studiato in Italia e all’estero. Nel suo curriculum c’è per esempio la Graduate School of Law della Columbia, dove ha conseguito il Master in “Comparative Law”. Laureata in Giurisprudenza, con lode, presso l’Università di Roma La Sapienza ha svolto attività di ricerca sul diritto allo studio come diritto umano fondamentale, presso la Commissione per i Diritti Umani dell’Onu, l’Accademia di Diritto Internazionale dell’Aja e la London School of Economics.
Ma quello che resta è la sua eredità: l’avere aperto con la sua intuizione a tutti gli studenti la possibilità di ampliare non solo le proprie competenze universitarie ma anche la formazione umana, perché i viaggi Erasmus oggi sono un’occasione anche per misurarsi con una cultura, una lingua, un modo di vivere
diverso dal proprio.
(da agenzie)

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UNA DELLE PISTE DELL’ATTENTATO A RANUCCI PORTA AGLI INTERESSI DELLA ‘NDRANGHETA SULL’EOLICO DEL NORD EST

Ottobre 19th, 2025 Riccardo Fucile

DAL COLLABORATORE TRASFERITO ALLA FRASE SUL GIORNALISTA “FINITO”

Dieci ore prima che le auto di Sigfrido Ranucci e di sua figlia saltassero in aria davanti all’abitazione del giornalista a Capo Ascolano un collaboratore di giustizia è stato trasferito in una località top secret. Non è un collaboratore qualsiasi, dalle sue parole Report ha realizzato uno dei servizi più delicati della nuova stagione, sugli interessi della ‘ndrangheta nell’eolico nel Nordest.
E questa, secondo quanto riportano oggi sia Il Messaggero che Il Fatto Quotidiano, può esser una pista, tra le tante, su cui lavorare per capire la matrice dell’attentato contro il giornalista Rai. Per ora il fascicolo su cui indaga la procura di Roma, gestito dal procuratore Francesco Lo Voi e affidato al pm Carlo Villani della direzione distrettuale antimafia, è aperto per danneggiamento aggravato dal metodo mafioso. Sul caso indagano i carabinieri di Roma e Frascati.
L’imprenditore trasferito, la terza puntata di Report e la frase su
«Ranucci finito»
Non è ben chiaro il perché di questo trasferimento improvviso. Secondo quanto avrebbe confermato venerdì lo stesso Ranucci a colloquio con i pm romani, la trasmissione era riuscita a mettere le mani sul verbale del collaboratore di giustizia, un imprenditore il cui anonimato è da proteggere, e ci ha costruito la terza puntata della nuova stagione. L’uomo è legato a un clan mafioso su cui aveva parlato anche un altro collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, ex boss ‘ndranghetista, che nel 2022 riferì ai pm romani di aver sentito appartenenti di quella cosca dichiarare «Ranucci è un uomo finito». La la ‘ndrangheta ha modalità diverse di azione, però. Ma potrebbe aver delegato ai “colleghi” dell’hinterland romano.
Le videocamere in zona e l’auto abbandonata
Intanto le indagini proseguono. Tra i testimoni sentiti dai carabinieri uno afferma di aver visto un uomo con il passamontagna allontanatosi poco prima dell’esplosione. Per questo si stanno acquisendo le immagini dei circuiti di video sorveglianza su un raggio più ampio rispetto all’abitazione di Ranucci. Inoltre continuano gli accertamenti sulla 500x rubata a Ostia e lasciata abbandonata a pochi metri dal luogo dell’esplosione.
/da agenzie)

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I CPR NON FUNZIONANO, IN ALBANIA SOLO 12 MIGRANTI

Ottobre 19th, 2025 Riccardo Fucile

PUR DI FARLO RIMANERE IN PIEDI IL GOVERNO HA CAMBIATO LEGGI E PORTATO ALLO STREMO DIRITTI E SPESA PUBBLICA … LA CORTE DEI CONTI FAREBBE BENE A IMPUTARE LE SPESE A CHI L’HA VOLUTO

Se non è riuscito ad affermarsi come modello, occorre almeno mantenerlo in vita. A tutti i costi, umani ed economici. Il protocollo Italia-Albania in materia di flussi migratori, a un anno dal primo giorno della sua messa a terra, e a quasi due anni dalla firma dell’intesa, ha come risultato quello di un enorme investimento pubblico che non è andato nella direzione sperata dal governo di Giorgia Meloni. «Funzioneranno», aveva detto la premier ad Atreju.
Ciò che sembra funzionare però è la capacità di rendere un sistema sempre più opaco, di mostrare come le norme possano essere adattate per l’obiettivo e di continuare a spendere risorse pubbliche.
Perché per dimostrare il suo funzionamento, il trattenimento di poco più di una decina di persone, c’è bisogno di una struttura retta da moltissimi soggetti: a partire dal personale dell’ente gestore Medihospes, alle forze dell’ordine, soprattutto della Polizia di Stato, agli agenti di Polizia penitenziaria, per alcune operazioni la Marina Militare e, ancor prima, il ministero della Difesa per la costruzione delle strutture. A coordinare presenze e
trasferimenti è invece il Viminale.
Due fasi
Il protocollo con l’Albania ha attraversato diverse fasi, ognuna segnata da un decreto legge che cercava di modellare le norme all’operazione, e non viceversa. La costante però è stata l’assenza di un contratto che regolasse le condizioni tra l’ente gestore e la prefettura.
Il progetto inizialmente prevedeva un centro di trattenimento per chi veniva soccorso dalle autorità italiane in acque internazionali, proveniente da paesi considerati sicuri e, quindi, soggetto alle procedure accelerate di frontiera.
La struttura di Shëngjin, a circa 60 chilometri a nord di Tirana, era stata ideata come centro di identificazione. Quella di Gjadër, nell’entroterra, a una ventina di minuti di distanza, prevedeva, invece, un centro per richiedenti asilo in frontiera, con una capienza di 880 posti. Un Cpr da 144 posti in attesa del rimpatrio per coloro a cui sarebbe stata negata la protezione internazionale. E, infine, un penitenziario da venti posti per coloro che avrebbero compiuto reati durante la detenzione.
Il complesso di Gjadër non è stato terminato ed è entrato in funzione in fretta e furia il 16 ottobre 2024 con poche decine di posti disponibili. A marzo 2025, i posti realizzati erano circa 400. La prima fase del protocollo ha visto entrare nei container grigi una ventina di persone circa, nel 2024, e 43 a gennaio 2025.
Di fronte alle decisioni dei giudici, che hanno riportato i richiedenti asilo in Italia, il governo ha trasformato Gjadër in Cpr il 28 marzo scorso. Così da inizio aprile è diventato l’undicesimo Cpr italiano, dove viene portato chi non ha un permesso di
soggiorno valido, a discrezione dell’amministrazione, come se la struttura non si trovasse su un territorio extra Ue. Ora sono presenti una dozzina di persone e, fanno sapere gli avvocati che hanno assistito alcuni trattenuti, quando richiedono asilo solitamente rientrano in Italia.
In tutto, secondo dati reperiti con un accesso agli atti da Altreconomia, da ottobre 2024 a fine luglio 2025, sono state recluse 111 persone. Numeri che mettono in dubbio la narrazione del governo, secondo cui questi centri sarebbero uno strumento di gestione dei flussi migratori. Che in Italia nel 2023 hanno raggiunto gli oltre 140mila ingressi via mare, nel 2024 oltre 54mila e nel 2025, finora, più di 55mila.
I costi
Nessun dato è pubblico, il Viminale – contattato da Domani – afferma di non averli e l’unico modo che rimane è fare accessi agli atti, che però forniscono un’istantanea, non un monitoraggio continuo. Così, non sono pubblici i dati sui costi effettivi dell’operazione. Nei tre mesi del 2024, i centri sono stati operativi cinque giorni: per 120 ore Medihospes – che si è aggiudicata un appalto da 133 milioni di euro – ha ricevuto dalla prefettura di Roma 570mila euro, secondo una ricerca di Action Aid e università di Bari.
A queste spese, si aggiungono non solo quelle delle giornate operative del 2025, ma anche quelle relative ai periodi di inattività. In altre parole, anche i giorni in cui non c’erano reclusi, racconta un ex operatore a Domani, il centro era popolato dal personale dell’ente e delle forze dell’ordine
Una persona interna a Medihospes spiega come all’inizio ai lavoratori italiani fosse stato offerto uno stipendio di circa 3mila euro al mese, cioè più del doppio di quanto percepiscono qui. Non è chiaro se gli stipendi siano rimasti tali, ciò che è chiaro però è il tentativo di ridurre le spese da parte della cooperativa – proprio per un costo inferiore del lavoro – assumendo personale direttamente in Albania. In una prima fase c’erano circa un centinaio di lavoratori assunti secondo il diritto albanese. Questo è stato possibile con la creazione di una filiale con sede a Tirana.
Alle spese vive per la gestione bisogna considerare quelle per la costruzione delle strutture, oltre 74 milioni di euro spesi con affidamenti diretti, e per la loro militarizzazione. Su questo punto si sa poco, perché «c’è una sorta di oscurantismo», dice Gennarino De Fazio, segretario del sindacato di polizia penitenziaria Uilpa, che ha inviato una nota al Dap. «Ci occultano qualsiasi tipo di informazione. A oltre un anno dall’apertura, l’unico rimpatrio effettivo è stato quello di un nostro collega perché si sospettava parlasse con i sindacati», aggiunge.
Ad oggi, il carcere di Gjadër non è mai entrato in funzione ma sono sempre rimasti 15 agenti a sorvegliare la struttura, con la possibilità di rientrare in Italia una volta al mese, vitto e alloggio, 130 euro lordi al giorno. Circa 4mila euro al mese che si aggiungono allo stipendio.
Opacità
Gli agenti penitenziari continuano a vivere nei container, al contrario delle forze di polizia – circa una sessantina – che alloggiano in un albergo con piscina. Gli unici dati certi, disponibili grazie alla ricerca di Action Aid e università di Bari,
sui costi relativi alle forze di polizia riguardano l’ospitalità e la ristorazione per i cinque giorni di operatività nel 2024: circa 528mila euro.
Se già il sistema dei Cpr in Italia è coperto da un velo di opacità, lo è ancora di più il centro in Albania: lontano dallo sguardo di giornalisti, ma anche di garanti e parlamentari, a cui il ministero dell’Interno ha ristretto i poteri ispettivi. «Hanno insabbiato tutto – racconta l’ex operatore – è tutto blindato».
Medihospes ha fatto firmare clausole di riservatezza stringenti. È blindato anche il criterio di selezione delle persone trasferite in Albania e la modalità di trasferimento. Non è più la Marina militare a occuparsene con i pattugliatori Cassiopea e Libra, quest’ultimo ceduto all’Albania ma ancora operativo come nave militare italiana.
Il Viminale, fa sapere, usa «il vettore disponibile a seconda delle necessità». Contattate, Guardia costiera e di finanza dicono di non poter fornire informazioni, perché è il ministero a gestire. Tradotto, nessuna trasparenza, ma un sistema di scatole cinesi che non permette di individuare chi ha la responsabilità di dare le informazioni.
Il governo, trasformandolo in Cpr, sembrerebbe essere corso ai ripari per scongiurare un intervento della Corte dei conti. Ma, se si osserva bene, è «del tutto illogico e irrazionale» – secondo Action Aid – trasferire in Albania persone trattenute già in Italia, dove nel 2024 c’erano 263 posti vuoti su 1.164. Per poi doverle comunque rimpatriare dall’Italia.
Il progetto Albania rimane un’apripista per quello che sarà il nuovo diritto europeo, con il Patto che entrerà in vigore da giugno 2026. L’esecutivo intanto prova a mantenerlo in vita, portando allo stremo il diritto e le casse dello stato.
(da EditorialeDomani)

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L’ATTACCO A RANUCCI E IL SENSO DI IMPUNITA’

Ottobre 19th, 2025 Riccardo Fucile

LA PRESA DEI POTERI CRIMINALI SU ROMA

L’attacco sotto casa di Sigfrido Ranucci è grave e inquietante, ma è anche sbalorditivo perché ci riporta ad altri tempi, a quando nel 1993, durante il periodo dello stragismo mafioso deciso da Totò Riina, una Fiat Panda carica di 100 chili di tritolo era stata
fatta esplodere in via Fauro lungo il percorso che abitualmente seguiva l’auto di Maurizio Costanzo e quella di sua moglie Maria De Filippi. Si salvarono solo per un pulsante premuto in ritardo.
Dietro l’attentato a Costanzo c’erano i corleonesi, dietro all’ordigno fatto esplodere per Ranucci chi c’è?
La procura di Roma e i carabinieri del nucleo investigativo di Roma e di Frascati stanno lavorando a varie ipotesi. L’ordigno esploso è del tipo denominato IED (Improvised Explosive Device), un dispositivo costruito artigianalmente con la polvere utilizzata per i fuochi d’artificio. Colpire un giornalista tanto esposto e da anni in prima linea come Ranucci è chiaramente un attacco alla libera informazione e dunque alla democrazia, ma per chi lo compie potenzialmente è anche un clamoroso autogol, come dimostra la doverosa attenzione e l’enorme clamore che questo caso ha suscitato. La famigerata testata di Roberto Spada al collega Daniele Piervincenzi ha accelerato il suo arresto e quello di quasi tutto il clan Spada di Ostia, di fatto decapitandolo.
Quello del pugile fu un gesto talmente sconcertante da attirare allora sul litorale romano giornalisti, telecamere e investigatori per settimane, tanto che Fabrizio Piscitelli, Diabolik, il capo ultrà della Lazio ucciso nel 2019, intercettato, commentava l’imprudenza di Robertino Spada che a suo dire avrebbe dovuto gonfiare di botte il giornalista chiudendolo però dentro alla sua palestra, invece di farlo a telecamere accese.Questo episodio viene citato per sottolineare che da allora i criminali romani sarebbero stati più cauti nel calcolare rischi e benefici delle loro
azioni. Chi ha fatto esplodere la bomba davanti al cancello e all’automobile di un giornalista tanto in vista come Sigfrido o è uno sprovveduto o si è sentito in qualche modo al riparo dalle conseguenze di un gesto tanto eclatante.
Tra le tante inchieste svolte da Report per esempio c’è anche quella sull’Albania, considerata un “narcostato”, in cui si sono analizzati i rapporti particolarmente opachi tra i vari clan mafiosi e le più alte sfere istituzionali. Il gruppo criminale degli albanesi è tra i più presenti e spietati della Capitale (e non solo), tra l’altro particolarmente attivo nella piazza di spaccio, situata proprio davanti casa del giornalista, a Campo Ascolano, in provincia di Pomezia.
Un ordine partito da lontano? O qualcuno che avrebbe agito di sua iniziativa per guadagnare punti con i suoi referenti?
Si auspica che le indagini arrivino presto ad una conclusione, trasformando le tante ipotesi in fatti, ma nulla – per la famiglia di Ranucci in primis – può cancellare il senso di impressione e turbamento suscitato da un modus operandi che sembrava superato, sostituito da altre pratiche meno rischiose come le querele temerarie, deterrente molto in voga presso alcuni studi penali che così facendo sperano di intimorire chi non può affrontare costosi processi o chi non ha alle spalle una solida testata giornalistica, circostanza molto frequente nelle piccole realtà locali.
Ma la forza intimidatrice dei poteri criminali non si rivolge solo contro i giornalisti, ma intossica il vivere quotidiano dei molti cittadini che per un motivo o per un altro sono costretti a vivere in una situazione di contiguità con certi contesti. A cominciare
proprio dalla malavita romana, talmente impastata con il mondo di sopra e con quello di mezzo, che spesso la società civile ne subisce l’influenza e la prepotenza con una sorta di rassegnazione.
Lo sanno bene i commercianti che in certe zone, come Ostia e Cinecittà, ancora sono costretti a pagare il pizzo, lo sa chi subisce il racket delle case popolari, lo sa chi non può rientrare in casa propria in certi orari perché le scale servono per spacciare. Basti fare un giro a Tor Bella Monaca per rendersene conto.
Il potere criminale del resto esercita la sua pressione non solo con la violenza, ma anche attraverso quel senso di impunità che fa sì che chiunque si arrenda davanti all’istinto di ribellarsi o di denunciare: tanto già si sa chi avrà la meglio. Vorrei segnalare a tal proposito un fatto che spiega meglio di tante parole quel senso di “impunità” che rafforza i criminali e indebolisce tutti gli altri. Matteo Costacurta, conosciuto a Roma con il soprannome di Principe, è stato arrestato per il tentato omicidio di Alessio Marzani (un pregiudicato) a luglio del 2022 e condannato a 18 anni.
Il Principe, amico fraterno di Diabolik, secondo un’ipotesi investigativa sarebbe anche l’autore del tentato omicidio di Giuseppe Molisso e di Leandro Bennato, due pezzi da novanta, indagati a loro volta come mandanti per l’uccisione di Diabolik, che Costacurta avrebbe in questo modo voluto vendicare.
L’allora titolare del fascicolo Mario Palazzi definì inquietante la figura di Costacurta: «Non ha bisogno di delinquere per motivi economici, ha soldi e buona famiglia, non è un disgraziato di
periferia, potrebbe fare una bella vita e invece delinque per piacere, per gusto personale. Indossa il maglioncino e spara».
Il Principe, arrestato come si diceva nell’estate del 2022 con la pesante accusa di tentato omicidio, è rimasto in carcere appena un paio d’anni, perché già da maggio del 2024 risulta ricoverato in una clinica romana, la Nomentana Hospital, per un’operazione tutto sommato di routine.
Costacurta sarebbe poi rimasto ricoverato lì in lungodegenza perché la sua terapia riabilitativa prevede il nuoto. Per di più, gli era stata anche offerta la possibilità di essere accompagnato in piscina tutti i giorni dalla polizia penitenziaria (!), ma lui ovviamente ha preferito restare in clinica, fuori dal carcere. E ci mancherebbe… Ovviamente Matteo Costacurta non è evaso, ma è stato autorizzato da chi si è piegato alle logiche di impunità.
Un altro carcerato con patologie ben più serie, ma con meno disponibilità economiche e senza la stessa rete di appoggi su cui può contare il Principe, avrebbe ricevuto lo stesso trattamento? No. E cosa dovrebbe pensare chi ha subito il reato per cui Costacurta è stato condannato a 18 anni? E cosa dovrebbero pensare i cittadini: che la legge è uguale per tutti? O quasi? L’influenza intimidatrice della criminalità si nutre anche di queste distorsioni, che trasmettono un senso di impunità, la stessa che forse ha accompagnato coloro che hanno pensato di poter piazzare una bomba sotto casa di un giornalista.
Francesca Fagnani
(da lastampa.it)

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LA NATURA COME SHOPPING

Ottobre 19th, 2025 Riccardo Fucile

SAREBBE BELLO CHE ANCHE IL GRANDE VIOLATORE DELLA NATURA PAGASSE PEGNO COME IL PICCOLO TURISTA INCOSCIENTE

Capita molto raramente di trovarsi in sintonia con un provvedimento di questo governo, e dunque cogliamo l’occasione al volo: la decisione di far pagare i soccorsi in montagna a chi si sia messo nei pasticci per manifesta imprudenza, con abbigliamento e calzature del tutto inadeguate, è da accogliere con entusiasmo.
E lo è non solamente nello specifico; anche come intenzione generale. L’idea che tutto sia alla portata di tutti, che tutto sia facile e disponibile, tutto compreso nel Catalogo Universale dei Consumi, è una delle massime sciagure dei nostri tempi.
La montagna (e il mare) sono luoghi magnifici e severi, non rispettarne la potenza e la mutevolezza, credere che bastino un
biglietto di funivia e un paio di ciabatte per andare in vetta, non è solamente stupido. È il segno di quella stessa tracotanza che l’umanità usa nei confronti della natura, che poi la ripaga con noncurante durezza, sbalzando l’uomo di sella come una tigre che non si fa cavalcare.
Il grande speculatore che spreme il pianeta come se fosse un limone ha ovviamente maggiori responsabilità e crea danni ben più vasti dell’incauto turista convinto che visitare il Cervino sia come andare a fare shopping. Ma la molla è la medesima: la natura è a mia disposizione e ne faccio quello che mi pare.
Sarebbe bello che anche il grande violatore pagasse pegno come il piccolo turista incosciente. Ma ci vorrebbe ben altra scala di giudizio, e di sanzione, e forse non solo questo governo, anche altri, non ne avrebbero la forza.
(da repubblica.it)

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INTERVISTA A MASSIMO CACCIARI: “STIAMO VIVENDO IN UNO STATO D’ECCEZIONE, LA STAMPA VIENE INTIMIDITA”

Ottobre 19th, 2025 Riccardo Fucile

LA STRATEGIA MEDIATICA DI PALAZZO CHIGI UGUALE A QUELLA DI TRUMP

Professor Massimo Cacciari, ha ragione Elly Schlein quando dice che la libertà è a rischio con la destra al governo?
«Mah, io penso che questa polemica vada inserita dentro un contesto più grande e più complesso, di cui però è in qualche modo figlia, e che riguarda il fatto che le democrazie occidentali sono sempre più in una condizione di debolezza rispetto alle grandi economie, ai grandi imperi nascenti, come la Cina o l’India».
Cosa c’entra la crisi della democrazia con la destra al potere in Italia?
«Perché anche Giorgia Meloni è debole e quindi ha questa continua necessità di avere un nemico, di dargli la caccia, dire che siamo attaccati, non ci lasciano governare, c’è il terrorismo, ci vogliono male…».
Ma può una premier arrivare a definire l’opposizione come Hamas?
«Contro la sinistra recita una commedia farsesca, come tutta la polemica di Meloni contro la sinistra. Ma lo fa perché così copre
la propria debolezza con l’immaginazione, la rappresentazione del nemico. E quindi può dire che il Pd è come Hamas senza perdere nemmeno un voto».
Elly Schlein però ha legato la sua denuncia all’attentato a Sigfrido Ranucci.
«E un legame c’è, perché è un’intimidazione alla libertà di stampa, che si colloca dentro questo clima di stato di eccezione, di continua emergenza».
Cosa intende esattamente con stato di eccezione?
«Leader sempre più deboli, che governano per decreto, con Parlamenti svuotati: e più c’è decretazione d’urgenza, più necessità di avere nemici».
È un circolo vizioso?
«Tutti i gesti non devono fare altro che confermare questo stato di eccezione, fare sì che permanga. Come succede a Trump».
Pure Trump in fondo è debole?
«Anche lui deve fare i conti con chi l’ha eletto, e solo in apparenza sono i cittadini».
Insomma, lei invita ad allargare lo sguardo?
«Sì, ma non vedo in giro nessuna diagnosi storica corretta della situazione. Non ci sono idee, non ci sono progetti per uscirne. Lei sa dirmi i nomi della classe dirigente del Pd? Io no».
Che idee suggerisce?
«Se non si creano dei grandi organismi sovranazionali, dotati di effettivo potere in grado di regolare i conflitti tra Stati, e mettere ordine, queste contraddizioni continueranno a sussistere e la democrazia così come l’abbiamo conosciuta andrà inesorabilmente a puttane»
Non c’è l’Europa?
«Ma ha fatto scelte sconsiderate. Tipo imbarcare Paesi ultranazionalisti, che trovano una loro convenienza soltanto nell’unità economica».
Includerli non è un modo per costituzionalizzarli?
«Si è visto con Orbàn, come lo abbiamo costituzionalizzato».
La sinistra italiana non è mai stata così debole?
«No, qualche anno fa era più debole di adesso».
Eppure si fa largo l’idea che Schlein non possa ambire a palazzo Chigi.
«Chi lo dice? Quelli che vogliono il ritorno di Renzi o di Letta, quelli che dicono bisogna allargare al centro, come Calenda, che infatti sta al due per cento».
Non bisogna allargarsi al centro?
“Il centro aveva un senso quando il ceto medio cresceva, ma da trent’anni non è più così, anzi crolla, l’astensione da cosa dipende, se non da questo crollo».
Quindi Schlein fa bene a stare così a sinistra?
«Sì, almeno si tiene il suo elettorato. Se non facesse così il Pd sparirebbe. In un certo senso Schlein l’ha salvato. Serve un riformismo radicale per battere il radicalismo di destra».
La destra ha capito meglio lo spirito del tempo?
«Certo, Meloni mica sta al centro, sta a destra. Come Trump, del resto: anche lui i voti li prende andando a destra».
C’è chi dice che il Pd debba puntare sulla sindaca di Genova, Silvia Salis.
«Non la conosco così bene per esprimere dei giudizi. Ma penso che il tempo degli amministratori locali che poi diventano risorse
nazionali nel centrosinistra sia finito con Renzi».
Insomma, difende Schlein.
«Farla fuori sarebbe pestifero».
Però disegna un quadro preoccupante.
«Siamo dentro a un vuoto. Ma a volte dentro i vuoi si celano grandi possibilità. Magari nasce qualcosa che non ti aspetti, un fermento che ora non vediamo».
I giovani scesi in piazza per Gaza?
«Ecco, lì ci sono energie inaspettate. E allora tutto è possibile, nel bene e nel male».
(da repubblica.it)

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GAZA, I MOLTI BUCHI DEL PIANO TRUMP

Ottobre 19th, 2025 Riccardo Fucile

OGNUNO CERCHERA’ DI TAPPARLI A MODO SUO

Il piano Trump è come il formaggio svizzero: pieno di buchi che ognuno cercherà di tappare o ignorare a modo suo. Nell’infinita e forse infinibile contesa israelo-palestinese è sempre stato così. Perché né gli israeliani né i palestinesi rinunciano all’idea che lo spazio conteso fra Mediterraneo e Giordano sia casa loro. Tutto.
Per entrambi qualsiasi concessione è provvisoria.
La catastrofe in corso è l’effetto imprevisto e indesiderato della rinuncia di Israele a considerare il fattore umano nell’equazione di Gaza. La ferocia esplosa il 7 ottobre, che ha sorpreso lo stesso Hamas, era anche figlia di decenni di vessazioni subite dai gaziani costretti in gabbia quali “bestie umane”. Molto di più: esprimeva la rivolta delle masse palestinesi che non ragionano secondo i parametri della diplomazia internazionale ma della propria storia e dei propri sentimenti.
Sull’altro fronte, altro che guerra di Netanyahu. Fino agli ultimi mesi, quando l’evidenza del genocidio è parsa innegabile anche a buona parte degli ebrei in patria e in diaspora, la grande maggioranza degli ebrei di Israele ha appoggiato la campagna militare voluta da Bibi anche contro l’opinione di capi dell’Idf e del Mossad. Per i quali una vendetta non è una strategia e può vendicarsi di chi l’azzarda.
Decine di migliaia di terroristi, tra cui donne, vecchi e bambini, sono stati uccisi dall’Idf a Gaza, mentre i coloni, protetti dai militari che dovrebbero controllarli, ne hanno profittato per accelerare l’espansione degli insediamenti cisgiordani. Caso mai qualcuno ancora pensasse a uno Stato palestinese.
Un sobrio bilancio evidenzia che a oggi Israele ha perso. Ha voluto perdersi. Perché ha accettato la guerra di Hamas, così elevato a marchio globale. Nel sentiero stretto che divide il genocidio dal suicidio, ovvero la guerra esterna contro i civili a Gaza dalla guerra civile fra tribù e poteri israeliani. Non si torna al pre-7 ottobre. La questione palestinese è diventata mondiale in odio a Israele. Trump lo ha detto a Netanyahu: «Bibi, Israele non
può combattere il mondo». E il premier israeliano: «Sì, lo capisco». Non ci scommetteremmo.
Tre punti sembrano acquisiti. Primo. Hamas, che Bibi prometteva di liquidare sapendo di non poterlo fare, esiste e resiste a Gaza. Né intende disarmare. Perfino Trump ha invitato gli orfani di Sinwar a fungere da provvisori poliziotti nella Striscia. Prossimamente affiancati dai turchi, protettori di Hamas e “alleati” degli americani (ovvero di sé stessi), che dovrebbero avere il privilegio di muoversi nei tunnel tuttora in mano ai miliziani islamisti.
Secondo. Israele ha seriamente indebolito “l’asse della resistenza” gestito da Teheran per ritrovarsi alle porte di casa un avversario ben più potente. Altro che il “caro nemico” persiano. I turchi sono a distanza di cannone dalle avanguardie israeliane penetrate in Siria. Dalla moschea damascena degli Omayyadi a Damasco i più disinibiti fra gli artefici del nuovo impero turco guardano alla gerosolimitana al-Aqsa (parola di Bilal Erdogan, figlio del reis).
Terzo e decisivo. Israele sta cominciando a pagare il prezzo dell’errore compiuto elevando Hamas a minaccia strategica. Contro ogni logica, Netanyahu ha imposto a sé stesso e alle sue Forze armate di rispondere al 7 ottobre come se fosse un super-Kippur, l’ultima volta che Israele ha davvero rischiato la pelle. Quasi Sinwar potesse conquistare lui al-Aqsa. Quindi mano libera per trucidare tutti i gaziani che capitino a tiro. Così non solo ha compromesso la sua reputazione (sopportabile), ma il vitale sostegno americano (insopportabile). E lo sta pagando caro.
(da repubblica.it)

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NON CI SONO PIU’ PRETI A CANTARE MESSA

Ottobre 19th, 2025 Riccardo Fucile

AUMENTANO I CATTOLICI NEL MONDO, CALANO I SACERDOTI

Sono 1,4 miliardi i cattolici nel mondo. Prosegue il calo delle vocazioni, con la diminuzione di sacerdoti e suore. E’ quanto emerge dalle statistiche diffuse dall’agenzia Fides in occasione della 99.ma Giornata Missionaria Mondiale, che si celebrerà domenica 19 ottobre. I dati, che sono gli ultimi a disposizione, sono aggiornati al 2023.
Alla data del 30 giugno 2023, il numero dei cattolici era pari a 1.405.454.000 persone, con un aumento complessivo di
15.881.000 cattolici rispetto all’anno precedente.
L’aumento dei cattolici interessa tutti e cinque i continenti, compresa l’Europa. L’aumento di cattolici è più marcato in Africa (+8.309.000) e in America (+5.668.000). Seguono l’Asia (+954.000), l’Europa (+740.000) e l’Oceania (+210.000). La percentuale dei cattolici in seno alla popolazione mondiale è leggermente aumentata (+0,1) rispetto all’anno precedente, ed è pari al 17,8%.
Il numero totale dei vescovi nel mondo è aumentato di 77 unità, raggiungendo quota 5.430. Il numero totale dei sacerdoti nel mondo continua a diminuire: 406.996 (-734 rispetto alla rilevazione precedente).
A segnare una diminuzione consistente, ancora una volta, è l’Europa (-2.486), seguita dall’America (-800) e dall’Oceania (-44). Come nella rilevazione dell’anno precedente, aumenti significativi si registrano in Africa (+1.451) e in Asia (+1.145). I diaconi permanenti nel mondo continuano ad aumentare (+1234), raggiungendo quota 51.433. I religiosi non sacerdoti sono diminuiti di 666 unità rispetto alla rilevazione dell’anno precedente, arrivando al numero totale di 48.748.
Anche nella rilevazione più aggiornata si conferma la tendenza in diminuzione globale del numero delle religiose in atto da tempo: sono 589.423 (-9.730). Gli aumenti sono, ancora una volta, in Africa (+1.804) e in Asia (+46), mentre continuano a diminuire in Europa (-7.338), America (-4.066) e Oceania (-251).
Il numero dei seminaristi ancora in calo. Per quanto riguarda in particolare i seminaristi minori, diocesani e religiosi, si ribalta la
tendenza in Africa, passando dall’aumento registrato nella precedente rilevazione annuale (+1065) al calo registrato nell’ultima rilevazione (-90).
Nel campo dell’istruzione e dell’educazione, la Chiesa sostiene nel mondo 74.550 scuole materne frequentate da 7.639.051 alunni; 102.455 scuole primarie per 36.199.844 alunni; 52.085 scuole medie inferiori e superiori per 20.724.361 alunni. Inoltre, 2.688.625 studenti frequentano istituti superiori, e 4.468.875 studenti frequentano Università afferenti alla Chiesa cattolica.
Gli istituti sanitari, di beneficenza e assistenza connessi alla Chiesa cattolica sono in totale 103.951 e comprendono: 5.377 ospedali e 13.895 dispensari; 504 lebbrosari; 15.566 case per anziani, malati cronici e disabili; 10.858 nurseries; 10.827 consultori matrimoniali; 3.147 centri di educazione o rieducazione sociale e 35.184 istituzioni di altro tipo.
(da agenzie)

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