Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
LA ROCCAFORTE NASCE COME SOTTO-GRUPPO CONTIGUO ALLA PIÙ LONGEVA “AREA RIETI”, GUIDATA DA FELICE COSTINI, EX PRESIDENTE PROVINCIALE DI AN, ORA VICE SEGRETARIO DEL MOVIMENTO INDIPENDENZA DI GIANNI ALEMANNO … “GRAN PARTE DELL’ATTUALE CLASSE DIRIGENTE DELLA DESTRA REATINA SI È FORMATA CON LUI COMPRESO L’ATTUALE SINDACO DANIELE SINIBALDI”
Per capire quanto sia radicata l’estrema destra a Rieti bisogna partire da lontano e salire sul
monte Giano dove la pineta accuratamente potata dal 1939 forma la gigantesca scritta “Dux”.
Quando, nell’estate del 2017, un incendiò la devastò, duecento militanti di CasaPound fecero una colletta, marciarono fino in vetta caricandosi mille pini austriaci e li ripiantumarono dove il fuoco aveva abbrustolito l’omaggio al Duce.
D’altronde Mussolini amava questa terra e il Terminillo e con Claretta Petacci soggiornava proprio qui, a Villa Chigi. Qualcuno se lo ricorda bene. E ne ha ancora nostalgia.
Non tanto l’organizzazione dei “fascisti del terzo millennio” che qui nel reatino ha ufficialmente lasciato ben poco, qualche gruppetto giovanile di Blocco studentesco nelle scuole, una serranda spoglia nella piccola sede in centro.
L’associazione nera che Manuel Fortuna e Alessandro Barberini, due degli arrestati per l’assalto omicida al bus dei tifosi del Pistoia, si chiama “la Roccaforte di Rieti”.
«Una CasaPound nostrana», dicono da queste parti. Simboli, radici, pratiche e fascinazioni sono simili: lo sfondo nero della bandiera, il tricolore, la musica fascio-rock degli ZetaZeroAlfa e dei Bronson, la raccolta di pacchi alimentari ma solo «per i cittadini italiani», il grido “Presente!” per ricordare i camerati, il rifiuto del 25 aprile, l’esaltazione dell’ultranazionalista e antisemita romeno Codreanu, l’apologia dei colori del vessillo del Reich, la remigrazione.
Tra i post dei fermati ci sono i volti del Duce, i tatuaggi degli stemmi delle Ss.
La Roccaforte esiste da poco meno di un anno. E, racconta Gabriele Bizzoca, consigliere comunale e provinciale di minoranza, «nasce come sotto-gruppo contiguo alla più longeva Area Rieti, “comunità militante identitaria e sovranista”». Il cap di Area è Felice Costini, detto Chicco, medico, sui social si definisce «militante nazional rivoluzionario identitario antiglobalista sovranista».
Se c’è un personaggio che a Rieti coagula la destra e conosce anche quella estrema è lui. I “bravi ragazzi” (così si chiamavano sugli striscioni sportivi) della Roccaforte sono «amici miei», racconta, senza nascondersi, sui social. Ma dopo l’omicidio dell’autista aggiunge: «Non ci sono parole. Rimane solo sgomento e disperazione. E la rabbia per non essere riusciti a far comprendere a tanti ragazzi, uomini, quali siano le vere battaglie da combattere».
Ex presidente provinciale di An, ex assessore, Costini ora è vice segretario del Movimento indipendenza di Gianni Alemanno.
«Gran parte dell’attuale classe dirigente della destra reatina — prosegue Bizzoca — si è formata sotto la sua guida, compreso l’attuale sindaco Daniele Sinibaldi». Iscritto a Fratelli d’Italia, il predecessore gli lasciò il mandato gridando “Boia chi molla”. Finché non è divenuto, nel 2017, vicesindaco, sui social rilanciava motti come “Marciare e non marcire” e quadri come Isola dei morti, quello che stregò Hitler.
Sotto al post in cui condanna con forza «l’atto criminale avvenuto domenica sera» e promette di «ricostruire un tessuto che elimini ogni devianza», decine di commenti chiedono di prendere le distanze anche dal sottobosco neofascista. «Rieti d’altronde è sempre stata una città di ultradestra. L’elezione a
sindaco di Simone Petrangeli nel 2012 fu un errore», ironizzano da Avs.
Tra sovranismo ed entusiasmi vannacciani, durante il Pride di settembre sotto al ponte romano è comparso pure uno striscione per Charlie Kirk: «Avete ucciso un padre, avete creato una bandiera». Lo aveva scritto Costini che nel 2018 voleva portare l’ex Nar Luigi Ciavardini, condannato in via definitiva per la strage di Bologna, a parlare di quell’attentato al Fosso di Helm, altra «trincea identitaria» di Rieti, frequentata assieme a una rete di locali, bar, piccole aziende pure da Barberini e Fortuna. Il fermato che un sole nero, simbolo nazista, se l’è tatuato in mezzo al petto.
Eppure, al di là di ogni humus politico, un agguato come quello al bus del Pistoia da queste parti non s’era mai visto
(da Repubblica)
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Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
SECONDO LE ULTIME RILEVAZIONI, SOLO IL 37% DEGLI AMERICANI APPROVA IL SUO OPERATO, MENTRE IL 60% HA UN GIUDIZIO NEGATIVO… IL DATO PEGGIORA QUANDO SI TRATTA DI ECONOMIA: IL 63% DEI CITTADINI BOCCIA SENZA APPELLO LA GESTIONE DEL TYCOON, E IL 69% DEGLI AMERICANI RITIENE CHE LA SITUAZIONE STIA PEGGIORANDO
Secondo l’ultimo sondaggio dell’American Research Group, realizzato tra il 17 e il 20 ottobre 2025 su un campione nazionale di 1.100 adulti, il presidente Donald Trump deve fare i conti con un consenso in stallo e un crescente pessimismo dei cittadini sull’economia.
Come riporta l’istituto, solo il 37% degli americani approva il modo in cui sta gestendo la presidenza, mentre il 60% esprime disapprovazione. I giudizi sono ancora più severi sull’economia: il 63% boccia la sua conduzione, con appena un terzo del Paese che ne approva la gestione delle casse pubbliche.
Rispetto al mese di settembre, i numeri restano invariati e richiamano quelli registrati nell’ottobre 2017, quando, sempre secondo l’American Research Group, il 34% approvava la presidenza Trump e il 61% la disapprovava. Tra gli elettori registrati, la tendenza è identica: 37% di approvazione complessiva, 34% sulla politica economica.
Le divisioni politiche restano profonde. Tra i repubblicani, il 79% promuove l’operato di Trump e il 70% ne approva la gestione economica; tra i democratici, invece, solo l’1% esprime un giudizio positivo, mentre gli indipendenti si attestano su un 64% di disapprovazione.
Il malcontento, come rileva ancora il sondaggio, si riflette nella percezione dell’andamento economico: il 69% degli americani
ritiene che l’economia stia peggiorando, contro appena il 10% che vede segnali di miglioramento. Più della metà degli intervistati (56%) è convinta che il Paese sia già in recessione, un dato che sale al 68% tra chi disapprova il presidente.
Le aspettative future non migliorano l’umore generale. Solo il 12% crede che l’economia sarà migliore tra un anno, mentre il 63% prevede un peggioramento. Anche la percezione del benessere familiare è negativa: il 57% giudica “cattiva” o “molto cattiva” la propria condizione economica, e due terzi temono un ulteriore peggioramento entro dodici mesi.
Tra i sostenitori di Trump, il 14% si attende un miglioramento della propria situazione domestica, ma il 45% prevede che andrà peggio. Tra gli oppositori, la sfiducia è quasi totale: il 63% ritiene che la propria condizione economica peggiorerà.
Il sondaggio, che considera un margine d’errore di ±3 punti percentuali, arriva in un momento delicato anche per lo stesso istituto. Come segnala l’American Research Group, la piattaforma di monitoraggio mensile ha perso abbonati “per timore che risultati sfavorevoli possano urtare l’attuale amministrazione”.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
JOHN ELKANN CHE HA TRASFORMATO IL GIARDINO DELL’AMBASCIATA IN UN AUTOSALONE FINANZIERI VARI E DE LAURENTIIS, IL GOVERNATORE ROCCA E SANTANCHÉ … DELUSI COLORO CHE SOGNAVANO, DI BANCHETTARE CON SUA MAESTÀ “THE DONALD” E LA SUA “RAGAZZA PONPON” GIORGIA MELONI, MA C’ERA ARIANNA … LA PASTA SCOTTA E L’ESIBIZIONE DEL PREZZEMOLONE BOCELLI
Cacio, pepe e…il Guitto Potere è servito. Venerdì scorso, sembrava davvero di essere finiti in un
film comicarolo dei fratelli Vanzina, sbirciando l’ammucchiata che si aggirava tra i giardini dell’Ambasciata d’Italia a Washington per l’annuale convivio del NIAF, la fondazione italo-americana diventata con
l’arrivo alla vicepresidenza del vispo e ubiquo Paolo Messa, la cinghia di trasmissione tra i capoccioni del Belpaese dei Meloni e l’amministrazione Trump.
Purtroppo il solito destino cinico e baro ha voluto che, causa shutdown del governo, non fosse presente alcun tirapiedi del Caligola della Casa Bianca. Un vuoto che ha lasciato delusi molti di coloro che accarezzavano il sogno, attraversando l’Atlantico, di banchettare con Sua Maestà Trump e la sua “ragazza ponpon” Giorgia Meloni.
Quelli del Niaf non si sono persi d’animo e hanno in qualche modo “coperto” il buco delle auguste presenze invitando nientemeno che il Numero 2 delle Sorelle d’Italia, Arianna Meloni, unico segretario politico presente, che ha così ricevuto – fiato alle trombette! – il suo battesimo nell’agone internazionale.
Smaltito l’aperitivo rinforzato del venerdì, il giorno dopo i duemila e 180 invitati sfaccendati in viaggio-premio dal Belpaese, si sono tirati a lucido per il Gran Galà del cinquantesimo anniversario del NIAF (National Italian American Foundation), in versione extralarge.
All’ingresso dell’ambasciata, a fare da anfitrione, il neo ambasciatore negli Usa Marco Peronaci, il presidente del Niaf Robert Allegrini, fiancheggiato dal suo vice Paolino Messa.
Il primo colpo di scena è scoccato all’ingresso dell’ambasciata, circondata da un giardinetto magicamente trasformato in un autosalone Stellantis dall'”amerikano” John Elkann, presente tra i
premiati Niaf: tra una Maserati gialla quattro porte e la nuovissima Ferrari 849 Testarossa, troneggiava un trattore CNH, minaccioso come un carrarmato, che sembrava piazzato come un involontario e tragicomico “readymade” di Duchamp.
All’ex signora Lollobrigida, ben abituata al fantasy del “Signore degli Anelli”, l’installazione pop del concessionario d’auto italo-americano non deve aver fatto né caldo né freddo, e ha tirato dritto seguita dalla sua corte di fedelissimi alla Fiamma: alla sua destra il “Fazzolari nascente”, Francesco Filini, a sinistra le deputate Ilenja Lucaselli (cara a Bisignani) e Marta Schifone.
A renderle ritardato omaggio, causa gita diplomatica alla Casa Bianca, al suo tavolo si è appalesato con la sua silhouette perfetta per il sequel de “Il Padrino”, il mitologico Paolo Zampolli, inviato speciale di Trump per le “global partnership” (o qualunque cosa voglia dire per l’ex bancarottiere col ciuffo trapiantato, uno a cui la demenziale democrazia americana ha permesso per due volte di occupare lo Studio Ovale).
In assenza della Sora Giorgia, tutti gli occhi erano rivolti ad Arianna, capo segreteria di Fratelli d’Italia, tesseramento compreso. Oltre ai convenevoli con alcuni grandi manager delle aziende partecipate dallo Stato (ma sarebbe più opportuno dire: partecipate di ”Pa-Fazzo Chigi”), grazie alla dinamica presenza dell’eurodeputato Carlo Fidanza (scortato da qualche provvidenziale interprete), la cinquantenne primogenita della dinastia Meloni avrebbe pure incontrato alcuni esponenti
dell’oligarchia trumpiana di Washington, dicono.
E’ stata dura per l’ambasciatore Peronaci dare il “welcome” a ‘sta marea di ospiti, ma il compito più arduo per l’ex consigliere diplomatico di Matteo Piantedosi si è poi rivelato nella persona della curvacea Claudia Conte, giornalista-scrittrice-produttrice di eventi ma soprattutto produttrice di selfie da postare su Instagram (non si sa a che titolo era presente alla Festa de’ Noantri a stelle e strisce).
Prima di aprire le danze, e mettere in moto le mascelle, i compassionevoli invitati hanno dedicato un minuto di silenzio ai carabinieri caduti pochi giorni prima nella strage di Castel d’Azzano.
Dress code rispettato con rigore da Oscar: smoking nero, papillon e molti abiti lunghi. Alle 19 il via al cocktail, poi la cena. Il menu è stato ovviamente declinato in salsa tricolore per solleticare il palato dei Patrioti da esportazione: il primo piatto (pasta al pomodoro scotta) fa rimpiangere la mensa della Caritas, ma ci si rifà con il saltimbocca alla romana servito mentre sul maxischermo scorrono i volti dei premiati. In video, arriva anche il messaggio della premier Giorgia Meloni.
E’ seguito il fervorino della svolazzante, da un processo all’altro, ministra del Turismo Daniela Santanchè che sfoggiava un collarino tricolore (il guinzaglio sarà rimasto nelle mani di Ignazio La Russa?) e infine è piombato, come una lapide, il sermone del vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè.
Per occupare uno dei 218 tavoli apparecchiati per dieci sederini, secondo gli “addetti ai livori”, occorreva sborsare la sommetta di 150 mila dollari.
Ed ecco l’elenco, parziale, dei boss presenti: per Ferrovie dello Stato, Stefano Donnarumma; per Enel, Flavio Cattaneo, fresco di missione in Brasile dove ha chiuso un maxi-deal sull’idroelettrico, si è poi intrattenuto in un ”bilaterale” con la Santadeché.
Per Exor, il già citato Elkann, che si è fatto immortalare in posa plastica con i piloti delle Frecce Tricolori, con il Ceo di Stellantis, Antonio Filosa. Leonardo cala il tris: l’ad Roberto Cingolani, il vicedirettore Filippo Maria Grasso e il capo del personale, Antonio Liotti.
Non erano presenti né Del Fante di Poste Italiane, né Descalzi di Eni, ma hanno timbrato il cartellino l’amministratore delegato di Ita Joerg Eberhart e quello di Enav Pasqualino Monti. Presente anche Agostino Scornajenchi, ad di Snam, e quello di Fincantieri, Pierroberto Folgiero, con signora al seguito.
Avvistati tra i tavoli Carlo Cimbri (Unipol), Alberto Tripi (Almaviva), Aurelio De Laurentiis (sic!), Kamel Ghribi (Gruppo San Donato), Marco Troncone (ADR) e Salvatore Palella, l’editore del quotidiano “La Sicilia”, Renzo Lusetti e Alessandro Ermolli con la moglie.
In quota “Polvere di stellette”, il capo di Stato maggiore dell’Esercito Carmine Masiello e il capo di Stato maggiore
dell’Aeronautica Antonio Conserva, accompagnato da un gruppo di piloti delle Frecce Tricolori.
Colpo di grazia finale: l’esibizione del prezzemolone Andrea Bocelli che si esibisce ovunque ci sia un bel cachet da intascare.
Regione d’onore di quest’anno è il Lazio, presente con il governatore melonissimo Francesco Rocca e una delegazione al seguito che ha scatenato la polemica sui ricorrenti viaggi di gruppo del governatore…
Al prossimo Niaf, sperando che nessun shutdown privi Lor Signori di essere “consacrati” da Donald Trump…
(da Dagoreport)
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Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
UNA MOSSA PER NON RESTARE “MARGINALIZZATI” RISPETTO AD ALTRI ALLEATI NEL RAPPORTO CON LA CASA BIANCA – MELONI, PRESSATA DA SALVINI, FRENA SUL PIANO DELLA COMMISSIONE UE PER UTILIZZARE GLI ASSET RUSSI CONFISCATI PER LA RICOSTRUZIONE DELL’UCRAINA
La priorità d Giorgia Meloni è tenere agganciati gli Stati Uniti, a ogni negoziato. Questo significa aprire all’acquisto, in pacchetti europei, di armi americane – verosimilmente i Patriot e sistemi difensivi – da girare alla resistenza ucraina, ma significa anche lavorare con il cesello diplomatico sulle dichiarazioni ufficiali, come il comunicato dei leader a sostegno di Kiev pubblicato ieri poco dopo l’alba
Il congelamento del vertice di Budapest tra il presidente americano e Vladimir Putin offre a Meloni l’opportunità di calibrare meglio le proprie decisioni. Oggi la premier passerà la giornata in Parlamento dove è attesa per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo e dove sarà votata una risoluzione.
Gli Stati Uniti sono un punto fermo in molti passaggi del testo, frutto di un compromesso tra le tre forze della maggioranza di centrodestra. Soprattutto con la Lega che aveva chiesto di annacquare o di eliminare interi passaggi. È il caso degli asset russi, confiscati, che la Commissione europea vorrebbe scongelare e dirottare in forma di aiuti per la ricostruzione
dell’Ucraina. Il partito di Matteo Salvini è contrario, ma in realtà nutrono forti dubbi tutti, compresa Meloni.
Si chiede al governo di impegnarsi a mantenere «uno stretto raccordo in ambito G7» in generale sulle sanzioni (diciannovesimo pacchetto dell’Ue che attende il via libera), ma soprattutto sull’«eventuale utilizzo dei beni russi immobilizzati» che, recita la risoluzione, deve «restare subordinato alla compatibilità con il diritto internazionale».
Servono «solide basi giuridiche e finanziarie», dichiarerà Meloni oggi in Aula, per evitare complicazioni di tipo legale e difendere i futuri investimenti in Europa.
Sono criticità su cui si stanno concentrando gli ambasciatori dei singoli Stati a Bruxelles prima di formalizzare un mandato alla Commissione che faccia sintesi tra posizioni che ancora restano distanti: tra chi punta a liberare subito quelle risorse e chi invece frena, come Slovacchia e Ungheria, contrarie però per motivi politici, e come il Belgio e ora l’Italia, diventata con il passare dei mesi più cauta su una proposta nata nell’ambito del G7 del 2024 in Puglia.
Meloni ribadirà oggi di ritenere importante che l’esecutivo europeo abbia riconosciuto «la sicurezza nazionale» come «competenza sovrana degli Stati membri», ognuno dei quali contribuirà «a una politica della difesa, in linea» con il progetto «del pilastro europeo all’interno dell’Alleanza Atlantica».
Negli scorsi giorni erano filtrate le altre perplessità del governo italiano sull’impianto del piano Von der Leyen (quello inizialmente battezzato un po’ infelicemente Rearm Eu). Soprattutto sui vincoli che imporrebbero una maggiore convergenza su acquisti di prodotti militari europei.
Meloni ha l’esigenza di non scontentare Trump che chiede insistentemente ai partner dell’Ue di ordinare armi made in Usa. Ed è in questa cornice politica che va inserita la notizia pubblicata da Bloomberg e confermata a La Stampa dell’adesione dell’Italia al programma Purl (Prioritized Ukraine Requirements List).
È il meccanismo di approvvigionamento per Kiev sollecitato con una certa furia dal segretario americano alla Guerra Pete Hegseth una settimana fa, alla riunione dei ministri della Difesa della Nato. Ha ribadito – letterale – «basta scrocconi», e invitato a comprare americano attraverso Purl.
Guido Crosetto avrebbe dato la sua disponibilità. Il meccanismo funziona così: i Paesi partecipano a pacchetti di aiuti da 500 milioni di dollari. Così si riarma l’Ucraina come da volontà di Trump: a spese degli europei e non più con armi inviate gratis dagli Usa.
L’Italia ha cambiato idea e dopo la contrarietà iniziale, contribuirà all’acquisto. Secondo l’agenzia di stampa, per non restare marginalizzata rispetto ad altri alleati, nel rapporto con la Casa Bianca. In cima alla lista ci sono i sistemi anti-missile
Patriot. Dal governo non è arrivata alcuna smentita.
(da La Stampa)
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Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
L’INDAGINE DELLA PROCURA DI NAPOLI RIGUARDA I RAPPORTI TRA LA POLITICA LOCALE E IL CLAN MASSARO E HA PORTATO A SEI ARRESTI IN TOTALE
Ci sono anche Andrea Pirozzi, sindaco di Santa Maria a Vico, e la sua vice, Veronica Biondo,
candidata alle prossime Regionali per Forza Italia, tra gli arrestati nell’inchiesta su appalti e camorra nel comune del Casertano; l’ordinanza è stata eseguita questa mattina dalla Guardia di Finanza, tra i destinatari ci sono altri due amministratori locali (il consigliere di maggioranza Giuseppe Nuzzo e l’ex assessore Marcantonio Ferrara), anche loro sottoposti ai domiciliari. Carcere, invece, per Raffaele Piscitelli e Domenico Nuzzo, considerati elementi di spicco del clan Massaro.
Andrea Pirozzi, 65 anni, di Santa Maria a Vico, è stato eletto il 20 settembre 2020 con il partito “Città Domani 2.0” e col 71,26% dei voti (6.065 preferenze); il restante 30% circa è andato agli altri tre candidati. Veronica Biondo, 37 anni, di
Caserta, era fino a ieri tra i candidati di punta per Forza Italia per le imminenti elezioni Regionali in Campania.
La candidatura non era stata ancora firmata ma lo scorso 10 ottobre, come si vede sui suoi profili social, era stata presentata ufficialmente il 10 ottobre, durante un evento a cui aveva preso parte anche Pirozzi.
Il 13 ottobre c’era stata l’apertura ufficiale della sua campagna elettorale (con ringraziamento a Fulvio Martusciello, europarlamentare e segretario regionale di Forza Italia) e, soltanto ieri mattina, con un nuovo post, Veronica Biondo ha mostrato le immagini di sabato 19 ottobre, quando la lista messa in campo a Caserta è stata presentata da Martusciello, dai senatori Maurizio Gasparri e Franco Silvestro e dagli onorevoli Stefano Benigni e Tullio Ferrante.
Le accuse per gli indagati, a vario titolo, sono di voto di scambio politico-mafioso, induzione indebita a dare ed avere utilità, rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e favoreggiamento personale. In sostanza, secondo l’ipotesi accusatoria, ci sarebbe stato uno scambio di favori relativi alle amministrative di Santa Maria a Vico del settembre 2020: i politici sarebbero stati supportati dal gruppo di camorra e, dopo le elezioni, avrebbero emesso atti per favorirli.
Le indagini, condotte dalla Guardia di Finanza di Caserta (guidata dal colonnello Nicola Sportelli) sono partite nel 2020, poco prima delle elezioni, ed era subito emerso l’interessamento
del clan Massaro per i lavori di ampliamento del cimitero comunale.
Successivamente lo sviluppo dell’attività ha portato a ricostruire sia i rapporti tra affiliati di spicco del gruppo di camorra e amministratori locali sia l’influenza del clan Massaro, che sarebbe stato in grado di veicolare un numero di voti così alto da sostenere più di un candidato.
Oltre alla lista di Pirozzi, le preferenze sarebbero andate anche al candidato di una lista avversaria, da eleggere al Consiglio comunale per fargli mantenere il ruolo di consigliere provinciale.
E i due camorristi, emerge da alcune intercettazioni, avrebbero saputo in anticipo l’esito delle elezioni comunali, tanto da preannunciare ai vari candidati anche quale ruolo avrebbero avuto nell’amministrazione una volta eletti.
In cambio del supporto elettorale, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, i camorristi avevano preteso una serie di lavori, appalti e assunzioni. In particolare, volevano realizzare un impianto di cremazione attiguo al cimitero, la cui gestione sarebbe stata poi affidata ad una società di cui uno degli affiliati era socio occulto.
Sono invece riusciti ad ottenere dal Comune la concessione comunale di un chiosco-bar nella frazione San Marco, che tra l’altro andava abbattuto per gravi abusi edilizi, senza versare alcun canone.
Dalle indagini sono anche emersi le pressioni fatte sul
rappresentante legale di una società che si era aggiudicata un appalto comunale affinché assumesse una persona vicina a uno degli affiliati e gli interessi del gruppo di camorra per la gestione di un’area fieristica che avrebbe dovuto essere realizzata con l’emanazione di un apposito regolamento comunale per il quale si sarebbero attivati alcuni consiglieri comunali di Santa Maria a Vico.
Nell’inchiesta risulta indagato anche un carabiniere, Adolfo Molaro, per rivelazione di segreti di ufficio: secondo quanto ricostruito dalla Dda di Napoli, e condiviso dal gip che ha firmato l’ordinanza, avrebbe rivelato a Pirozzi l’esistenza di indagini sulla compravendita di voti che coinvolgeva Veronica Biondo e su Domenico Nuzzo, ritenuto esponente del clan Massaro.
(da Fanpage)
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Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
MOLTI SONO COSTRETTI A COMPRARE ALIMENTI A PIÙ LUNGA CONSERVAZIONE, CHE SONO MENO COSTOSI DELLE ALTERNATIVE “FRESCHE”, MA ANCHE DI QUALITÀ PIÙ BASSA
Cresce la domanda di prodotti locali e tracciabili (+73%), ma quasi quattro famiglie su dieci riducono gli acquisti di frutta e
verdura a causa dell’aumento dei prezzi e quasi una su tre dichiara di aver modificato la dieta privilegiando alimenti a più lunga conservazione. E’ quanto emerge dal Rapporto Italmercati-Ismea 2025, curata dal Censis, presentato al Cnel, seconda edizione dello studio dedicato all’evoluzione del sistema dei mercati all’ingrosso italiani e al loro ruolo nella filiera agroalimentare.
Si tratta di una trasformazione profonda nei comportamenti di consumo degli italiani: negli ultimi tre anni, il 73% dei cittadini dichiara di prestare maggiore attenzione all’origine e alla tracciabilità dei prodotti, mentre il 68% afferma di privilegiare alimenti locali e di stagione. Il 56% sceglie con più frequenza mercati rionali e punti vendita specializzati, spinto dal desiderio di sicurezza e fiducia e il 49% considera il prezzo un fattore decisivo nella scelta dei prodotti freschi.
Eppure, precisa lo studio, il 39% delle famiglie ha ridotto gli acquisti di frutta e verdura nell’ultimo anno, una ‘frattura alimentare’, indicatore crescente di disuguaglianza sociale, che separa chi può permettersi una dieta sana e bilanciata da chi, pur volendola, non riesce più a sostenerne i costi.
(da agenzie)
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Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
“PER FAR SENTIRE LA PROPRIA VOCE, I LEADER POSSONO FARE UNA COSA: USARE I SOLDI RUSSI CONGELATI, O MEGLIO GLI INTERESSI FRUTTATI, PER DARE UN SOSTEGNO FINANZIARIO A KIEV. E PER RISPONDERE ALLO SCHIAFFO DI SERGEI LAVROV, CHE HA LIQUIDATO IL PIANO DI PACE UE-KIEV CON UN ‘NON SE PARLA NEANCHE’”
L’Europa sta cercando di far sentire la sua voce sull’Ucraina. Purtroppo, per non smentirsi, lo
sta facendo in ordine sparso. Con un asciutto comunicato congiunto mattutino i principali leader ribadiscono la classica posizione pro cessate il fuoco senza precondizioni o complicazioni.
Nel tardo pomeriggio, via Bloomberg, arriva la notizia di un tanto ben intenzionato quanto complesso piano di pace Ue-Kiev che punta al coinvolgimento dello stesso Donald Trump. A tarda serata sul piano gravitava ancora il silenzio di Washington e delle capitali europee. Alla vigilia del Consiglio europeo che ha l’Ucraina al centro dell’agenda.
Forse Bruxelles voleva sorprendere Mosca. Che ha messo subito le mani avanti. Sergei Lavrov non aveva perso tempo. A
comunicato congiunto dei leader europei e di Volodymir Zelensky fresco di stampa, aveva fatto immediatamente sapere «non se ne parla neanche». Di armistizio con congelamento della linea del fronte.
Tradotto: la Russia vuole più territorio oltre quello strappato con le armi (e qualche centinaio di migliaia di vite umane). Più le «cause alla radice» del conflitto, sinonimo di “Zelensky deve andarsene”. Più chiaro di così non poteva essere.
Anche sul piano, ove mai l’intelligence di Mosca ne avesse già avuto sentore, prima di Bloomberg. Il “nyet” esclude pure il contenuto nel piano.
Non c’è nulla di nuovo né nella posizione russa né in quelle europee. Lavrov si è guadagnato i galloni di longevità alla guida della politica estera di Mosca per coerenza nel sostenerla, difendibile o meno. Da mesi europei e ucraini puntano a un cessate il fuoco che metta fine alla guerra lasciando le cose come stanno sul terreno: chi ha preso (Russia) ha preso, chi ha difeso (Ucraina) ha difeso. La soluzione “coreana”: niente pace ma niente più sangue. Pensavano di aver convinto anche un ondivago Donald Trump.
Adesso però si sentono dire da Lavrov che sulla posizione russa Trump e Putin «avevano raggiunto un’intesa in Alaska». Beninteso l’unico che potrebbe smentire, il presidente americano, se ne guarda bene.
Sulla guerra russo-ucraina Trump ha detto di tutto e il contrario
di tutto. Ha fatto niente o quasi, salvo un tourbillon diplomatico affidato all’indispensabile Steve Witkoff ma con diretto e ripetuto impegno personale, sia con Putin, lunghe telefonate e Anchorage, che con Zelensky incontrato varie volte, persino nella navata di San Pietro.
Ma l’ultima visita del presidente ucraino alla Casa Bianca, pur non disastrosa come la prima, non è andata bene. Più ne filtrano notizie, più si rafforza l’impressione che Trump, reduce dai fasti mediorientali e da due ore di conversazione telefonica con Putin, abbia prospettato (raccomandato?) la cessione di (altro) territorio alla Russia – l’intero Donetsk? – in cambio di pace per l’Ucraina. “Land for peace”. Così raccontano le fonti americane più vicine al colloquio.
L’affrettata consultazione dei principali leader europei – Frederiksen, Macron, Meloni, Merz, Starmer, Støre, Stubb, Tusk, più Costa e von der Leyen per l’Ue – con Zelensky correva ai ripari. Le brevi conclusioni sono tanto sacrosante quanto in predicato. Un’incognita riguarda le “misure per l’utilizzo dei fondi russi congelati”.
Darebbe una bella boccata d’ossigeno finanziaria all’Ucraina, specie adesso che le forniture militari americane si pagano in contanti, ma l’Ue ne parla da più di un anno. Riuscirà il Consiglio europeo di domani a superare il veto ungherese, nonché altre perplessità?
Ma il vero interrogativo sta nelle tre frasi che dicono
testualmente: sì alla posizione di Trump per mettere immediatamente fine alla guerra; il fronte (“linea di contatto”) come punto di partenza dei negoziati; i confini internazionali non si cambiano con la forza.
Sorvolando sull’ultimo punto, bello per quanto antistorico – apriamo l’atlante: quale confine europeo non è stato tracciato con la forza? Si può giocare con le parole ma la partenza dei negoziati dalla linea di contatto è proprio quanto Lavrov ha prontamente rigettato.
A meno di non negoziare continuando a combattere, ma allora dove va a finire l’«immediatamente» della posizione di Trump? Si torna all’incognita principale: non si sa quale sia la posizione di Trump. Dalla parte della pace per definizione, al punto di farla anche fra chi non era in guerra (Etiopia-Egitto, Serbia-Kosovo, tutto fa Nobel), ma della pace che vogliono gli europei e l’Ucraina o di quella che vuole la Russia? Con chi sta Donald?
Pertanto, gli europei e Zelensky fanno l’unica cosa possibile: fare finta che Trump sia con loro e che la sua posizione, che appoggiano, ormai formula standard quando si parla del presidente americano, sia di un cessate il fuoco senza ulteriori cessioni territoriali ucraine. Poi si negozierà. Questo è quanto dicono col comunicato di ieri. Lo pensano? Lo credono?
Soprattutto, si sono domandati il “cosa fare”, se dopo l’incontro con Putin, Trump chiedesse a Zelensky di mollare più territorio? A quel punto chi e cosa appoggerà l’Europa? Forse in privato,
forse alcuni dei leader ne hanno parlato.
Intanto però i leader dell’Ue possono fare una cosa. Oltre il piano per dimostrare di esserci. Usare i soldi russi congelati, o meglio gli interessi fruttati, non il capitale che resta proprietà di Mosca, per dare un sostegno finanziario a Kiev. E per rispondere non passivamente allo schiaffo di Sergei Lavrov. Che non si cura dei piani, ma i soldi sono un’altra cosa.
Stefano Stefanini
per “la Stampa”
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Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
MA I RAPPRESENTANTI SINDACALI REPLICANO, SMONTANDO PUNTO PER PUNTO LE ACCUSE STRAMPALATE. TANTO CHE STINCHELLI È COSTRETTO A BALBETTARE DELLE SCUSE: “COMPRENDO LA VOSTRA RICHIESTA DI ACCURATEZZA”
Relativamente all’articolo apparso su Libero Quotidiano dal titolo “Quanti privilegi per gli orchestrali”, a firma Enrico Stinchelli, le lavoratrici e i lavoratori del Teatro La Fenice, rappresentati dalla RSU, ritengono doveroso ristabilire la verità dei fatti, per rispetto di chi legge e di chi lavora ogni giorno per mantenere vivo uno dei più importanti simboli culturali italiani.
Il signor Stinchelli scrive: “Peccato che il sindaco di Venezia li abbia invitati al dialogo fin dal primo giorno, e loro abbiano persino rifiutato di incontrare la nuova direttrice.”
Ebbene, i fatti sono ben diversi. Nonostante le rassicurazioni del Sovrintendente Colabianchi — espresse anche a mezzo stampa — sull’intenzione di consultare i lavoratori prima della nomina, il 22 settembre abbiamo appreso dai social la nomina della maestra Beatrice Venezi a Direttore Musicale.
Solo successivamente, l’8 ottobre, il Sindaco ha voluto incontrare i rappresentanti dei lavoratori. Durante l’incontro, la
RSU ha ribadito la richiesta di revoca della nomina, evidenziando al contempo la piena disponibilità ad avviare un autentico percorso di conoscenza reciproca, che, per logica e rispetto, dovrebbe necessariamente precedere qualsiasi nomina.
Nessun rappresentante né alcun dipendente si è mai espresso in senso contrario rispetto a tale modalità.
La risposta del Sindaco e del Sovrintendente è stata chiara: la nomina era confermata a prescindere, rendendo quindi il “dialogo” una semplice formalità postuma. È quindi falso affermare che i lavoratori abbiano rifiutato il confronto.
Il confronto preventivo, promesso dal Sovrintendente il 17 settembre, non è mai avvenuto. Lo stesso Sindaco ha condiviso un metodo che, nei fatti, ha escluso chi ogni giorno costruisce con il proprio lavoro la vita musicale della Fenice. La conoscenza tra un direttore d’orchestra e l’orchestra non può avvenire dopo una nomina: deve precederla, se davvero si crede nel rispetto e nella collaborazione artistica.
Altrettanto gravi sono le inesattezze sulle retribuzioni dei professori d’orchestra delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche.
Consigliamo al signor Stinchelli di documentarsi prima di scrivere, e lo informiamo che siamo perfettamente disponibili a fornire dati reali — pubblici e facilmente verificabili — che smentiscono la sua rappresentazione caricaturale di “privilegiati”.
Non si comprende, infine, quale sia il legame tra stipendi, diritti contrattuali e la valutazione artistica di un direttore musicale.
Appare evidente che l’autore, in mancanza di argomenti nel merito, abbia preferito gettare la discussione nel fango della polemica politica.
Per quanto ci riguarda, la nostra non è una battaglia ideologica ma una questione di metodo, trasparenza e rispetto. Difendere la dignità del lavoro artistico non è ribellione: è responsabilità verso la musica, il pubblico e la storia della Fenice.
Per questo non accetteremo più che la nostra professionalità venga infangata con falsità o insinuazioni: noi non abbiamo paura del confronto, ma solo del pressapochismo travestito da competenza.
La RSU del Gran Teatro La Fenice di Venezia
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Ottobre 22nd, 2025 Riccardo Fucile
IERI IL LEADER DEL CARROCCIO AVEVA FRENATO L’EX PARÀ: “LE REALTÀ CHE POSSONO AFFIANCARE LA LEGA SONO BENVENUTE, A PATTO CHE NON SIANO UNA REALTÀ POLITICA ALTERNATIVA”
Getta acqua sul fuoco il generale Roberto Vannacci, dopo il federale di ieri in cui qualcuno ha
posto dubbi sull’azione politica dei suoi ‘Team Vannacci’, legati all’associazione Mondo al Contrario.
“Da tempo diffido delle affermazioni di una certa stampa -dice il vicesegretario della Lega all’AdnKronos- . L’Associazione Movimento ‘Il Mondo al Contrario’ è, per statuto, un gruppo di persone che, senza finalità di lucro, si è riunito per raggiungere uno scopo comune che è quello di promuovere e diffondere in tutta Italia e in Europa, i punti delineati dal Generale Roberto Vannacci nel suo libro ‘Il Mondo al Contrario'”.
“L’associazione, in continua espansione, opera attraverso i suoi Team che oggi hanno raggiunto il numero di 170 e che sono protagonisti di iniziative e eventi sui territori -spiega l’eurodeputato leghista- . Contiamo che i team possano raggiungere il numero di 200 entro fine anno”.
Per Vannacci quindi “l’azione e l’impegno dei team va avanti senza esitazione, come prima e più di prima. Se membri dell’Associazione vorranno presentarsi come candidati ad elezioni future lo potranno fare così come lo può fare ogni cittadino italiano”
Ultimatum della Lega a Vannacci “I suoi team non facciano politica”
«Il consiglio federale ha ribadito che sono benvenute tutte le realtà e le associazioni che possono affiancare la Lega, a patto che non siano una realtà politica alternativa» si legge. Tradotto: i team dell’associazione Il mondo al contrario vadano pure avanti con le loro attività culturali, ma non si immischino in tutto ciò che riguarda liste elettorali, candidature e affini.
(da agenzie)
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