Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA SALA DA BALLO DELLA CASA BIANCA COSTERA’ 300 MILIONI DI DOLLARI
TRUMP AMMETTE UN AUMENTO DEL 50% RISPETTO AL PREVENTIVO INIZIALE… PER GLI ESPERTI SI TRATTA DI UNA PROFANAZIONE
Prima 200 milioni di dollari, poi 250. Adesso il prezzo dovrebbe essere giusto: la sala da ballo
voluta da Donald Trump alla Casa Bianca costerà 300 milioni di dollari. Cento in più rispetto alle prime stime, fa sapere oggi il New York Times. Mentre l’ala est, una zona storica della residenza presidenziale destinata alle first lady, verrà demolita completamente. Al contrario di quello che aveva promesso il presidente. Proprio Trump aveva criticato i costi per la realizzazione di una biblioteca intitolata all’ex presidente Barack Obama. Sostenendo che il budget era stato superato perché Obama aveva voluto «solo donne e categorie protette per costruirla».
Lunedì 20 ottobre gli operai addetti alla demolizione hanno
iniziato a distruggere la sezione della Casa Bianca che ospita gli uffici della first lady e del personale. Trump ha annunciato l’inizio dei lavori dopo che le immagini della demolizione sono circolate sui notiziari, sebbene la reale portata della demolizione sia diventata chiara solo due giorni dopo. «Per farlo correttamente, abbiamo dovuto demolire la struttura esistente», ha detto ai giornalisti nello Studio Ovale. Un funzionario dell’amministrazione ha affermato che il processo di demolizione terminerà entro due settimane. «Possiamo confermare che l’intera Ala Est sarà modernizzata e ristrutturata per, immagino, supportare il… progetto della sala da ballo».
La demolizione di parte di uno degli edifici più storici degli Stati Uniti ha scatenato un’indignazione da parte di molti democratici. E ha sollevato dubbi sul rispetto dei protocolli da parte dell’amministrazione Trump. La Casa Bianca ha liquidato le critiche definendole «indignazione costruita ad arte». L’ultima versione dell’Ala Est risale al 1942, quando Franklin Delano Roosevelt era presidente. L’agenzia di stampa Reuters ricorda che i presidenti degli Stati Uniti hanno ristrutturato e ampliato la Casa Bianca e i suoi spazi esterni nel corso della storia. Ma i cambiamenti apportati da Trump sono i più significativi degli ultimi decenni.
(da agenzie)
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Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA MELONI CITA I DATI SULLA LIBERTA’ DI STAMPA MA NON DICE CHE DA QUANDO GOVERNA L’ITALIA HA PERSO OTTO POSIZIONI IN CLASSIFICA
Pensavamo di averle sentite tutte. Dal contributo “silenzioso” – talmente tanto che nessuno se n’è accorto – dato dall’Italia al Piano di pace Usa per Gaza alla lunga sequela di promesse infrante, ma decantate come successi dalla propaganda di Stato. Ma sentire la premier Giorgia Meloni, all’indomani della manifestazione di solidarietà a Sigfrido Ranucci per l’attentato subito, citare la classifica della libertà di stampa per celebrare i progressi fatti dal Paese durante il suo governo va decisamente oltre ogni limite di tolleranza.
Superato ieri, durante il dibattito parlamentare sull’informativa in vista del Consiglio Ue di oggi e domani, quando la presidente del Consiglio, replicando agli attacchi dell’opposizione, ha detto testualmente: “Se vogliamo attenerci ai fatti sulla libertà di stampa, secondo la Ong Reporter senza frontiere, nel 2022 –l’ultimo anno in cui eravate al governo (riferito alle opposizioni, ndr) – l’Italia era al cinquantottesimo posto della classifica mondiale per la libertà di stampa. Sono passati tre anni, oggi siamo al quarantanovesimo: abbiamo risalito nove posizioni”. Ovviamente, le cose stanno diversamente. Come ha spiegato nel dettaglio Pagella Politica, infatti, negli ultimi anni la posizione dell’Italia è cambiata più volte.
Nel 2022, il nostro Paese era effettivamente al 58esimo posto, come detto da Meloni, con il punteggio di 68,16 relativo al 2021. Nel 2023, invece, l’Italia è risalita al 41esimo posto con 72,05 punti relativi al 2022, anno in cui però il governo Meloni si era insediato solo alla fine di ottobre. La premier si è quindi appropriata di un risultato che per i dieci dodicesimi non le appartiene. Ma non finisce qui.
L’indice 2024, riferito al 2023, cioè il primo anno interamente ascrivibile all’esecutivo Meloni, è invece sceso a 69,8 punti e l’Italia è scivolata dalla 41esima alla 46esima posizione. Per poi finire nella classifica 2025, relativa al 2024, al 49esimo posto con 68,01 punti.
Ricapitolando: escludendo il 2022, in cui ha governato solo per due mesi, nei primi due anni pieni (2023-2024) di governo Meloni, l’Italia ha perso sia punti che posizioni. Insomma, un autogol. Cose che capitano quando si scambia la libertà di stampa per libertà di balla.
(da lanotiziagiornale.it)
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Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
A VOLTE RITORNANO
Ma chi glielo fa fare? All’ex ministro bocciofilo Gennaro Sangiuliano, dico. Le burrasche della
vita lo avevano spiaggiato a Parigi, trasformandolo in Saint-Julien: corrispondente Rai, che è quasi meglio di ambasciatore. Un ruolo di immenso prestigio e di tutto riposo, dove il peggio che può capitarti è un’unghiata in fronte da Carla Bruni. Invece il nostro eroe rinuncia al paradiso del giornalista per tornare nel wrestling della politica, stavolta come capolista dei Fratelli di Campania. Oltretutto contro la sua nemesi, quella Maria Rosaria Boccia che per qualche tempo, in un afflato di follia, pezzi di sinistra elevarono a martire del femminismo e dell’antifascismo, e che infatti ora si candida nelle liste del destrorso maschilista Bandecchi, uno al cui confronto Vannacci pare il Mahatma Ghandi.
Ma allora perché Saint-Julien è voluto ridiventare Sangiuliano? Non è certo il primo giornalista a usare la Rai come un taxi per andare a Palazzo. Lo hanno fatto in tanti, di destra e di sinistra. Solo che quasi tutti sono tornati indietro appena possibile, e raramente ci hanno riprovato. Lui invece vuole dimostrare, forse a sé stesso, di essere bravo in un mestiere che chiaramente non è il suo, perché richiede cinismo e cattiveria: due dei pochi o tanti difetti che Sangiuliano non ha. Comunque, bentornato. Aspettiamo con trepidazione la prima conferenza stampa, nella quale ci parlerà del celebre vulcano che sovrasta Napoli: l’Etna.
(da corriere.it)
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Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
CI VOLEVA IL GIORNALE BRITANNICO, VISTO IL SILENZIO COMPIACENTE DI MOLTA STAMPA ITALIANA, PER RICORDARE ALLA DUCETTA CHE IL VERO OBIETTIVO DI CHI GOVERNA NON IL PRESENZIALISMO PREZZEMOLINO: “LE APPARIZIONI AI VERTICI INTERNAZIONALI NON BASTERANNO A GARANTIRLE LA PROSSIMA VITTORIA ELETTORALE: LA PREMIER ITALIANA DEVE AUMENTARE SALARI E OCCUPAZIONE PER CONQUISTARE GLI ELETTORI” …“LA CRESCITA DEL PIL RESTA ANEMICA E I SALARI. SONO CALATI DEL 4,4% TRA IL 2019 E LO SCORSO ANNO”
Il vertice sulla crisi di Gaza tenutosi la scorsa settimana in Egitto ha riunito una galassia di leader mondiali, mediato la pace a Gaza e, quasi inevitabilmente, regalato un momento “Giorgia Meloni”.
«Non mi è permesso dirlo — perché di solito è la fine della carriera politica se lo dici — ma è una giovane donna bellissima», ha dichiarato il presidente Trump mentre cercava la premier nella fila dei partecipanti. «Ma rischio lo stesso. Dov’è? Eccola. Non ti dispiace essere chiamata bella, vero? Perché lo sei».
Con un notevole sforzo di diplomazia, Meloni riuscì a sorridere ampiamente mentre Trump si voltava verso di lei, senza però annuire in segno d’assenso, per poi tornare alla sua più feroce “sguardo di potere” nove secondi dopo, quando lui si girò dall’altra parte.
Meloni gestì con destrezza il commento imbarazzante, mostrando la sua esperienza nei vertici internazionali mentre si avvicinava al traguardo dei tre anni di governo, il 22 ottobre, equivalenti a decenni in anni politici.
La data coincide con forti consensi nei sondaggi interni e con il pollice alzato per l’economia italiana da parte delle agenzie di rating, mentre la vicina Francia è diventata “pienamente italiana”, con governi che crollano quasi quotidianamente.
«L’Italia è un Paese capace di stupire in modo straordinario», ha detto Meloni questo mese, mentre cominciava a concentrarsi sull’obiettivo di ottenere un secondo mandato alle prossime elezioni generali, che dovranno tenersi entro il 2027.
Il 4 settembre del prossimo anno segnerà il momento in cui la prima donna premier d’Italia avrà guidato il governo più longevo della Repubblica, superando il record stabilito dall’ultimo esecutivo di Silvio Berlusconi (2001-2005).
«È un’ispirazione per tutti», ha scritto Trump sul suo social Truth promuovendo l’autobiografia di Meloni, che vanta una prefazione del figlio Donald Trump Jr. Un grande elogio per una leader la cui elezione, nel 2022, da semi-sconosciuta, suscitò ansie per le radici fasciste del suo partito, Fratelli d’Italia, e puntò i riflettori sulla nostalgia mussoliniana di alcuni suoi deputati.
Da allora, Meloni ha lasciato gran parte della demagogia destra al suo alleato di coalizione Matteo Salvini e al suo luogotenente Roberto Vannacci, ex generale delle forze speciali che sostiene che gli omosessuali «non sono normali» e che le persone nere non possono essere veramente italiane. Ma Meloni non sarebbe
Meloni senza un po’di urla, ha commentato il giornalista Beppe Severgnini. «Ci sono due Giorgia Meloni», ha detto
«C’è la prima, la dura arruffapopolo che urla, che attacca l’immigrazione e definisce i manifestanti pro-Palestina come Hamas. Quella le porta il 25-28 per cento dei voti. Poi c’è la seconda Meloni, che accanto a Netanyahu, Erdogan e Trump in Egitto appare moderata — figuriamoci accanto a Salvini e Vannacci, che cercano di imitare Orban. Quella le aggiunge un altro 10 per cento».
In Europa la reputazione di Meloni come politica di estrema destra “con cui si può fare affari” si fonda sulla sua decisione iniziale di sostenere senza riserve l’Ucraina, a differenza degli Orban e delle Le Pen, che trasudano simpatia per Mosca.
In Italia, dove i politici vengono giudicati tanto per ciò che sono quanto per ciò che fanno, il fascino di Meloni si radica nel suo carattere diretto.
L’appeal di Meloni continua anche grazie alle infinite liti tra i suoi due rivali dell’opposizione, la segretaria del Partito democratico Elly Schlein e il leader del Movimento 5 Stelle ed
x premier Giuseppe Conte. «La destra italiana è spesso divisa ma si ricompatta nei momenti cruciali, mentre i politici di sinistra hanno molto in comune ma tendono a dividersi nei momenti decisivi», ha osservato Severgnini.
Meloni trae vantaggio anche dalla copertura favorevole della rete televisiva di Stato politicizzata, un vero aiuto in un Paese in cui molti elettori anziani tengono la TV accesa tutto il giorno.
Durante una lunga intervista televisiva questo mese, Meloni è però inciampata quando le è stato chiesto perché gli italiani non si sentano benestanti nonostante i suoi discorsi sui migliaia di posti di lavoro creati sotto il suo governo. Ha dapprima incolpato i governi precedenti e poi l’Unione europea, per poi assicurare che i salari stanno crescendo — poco conforto per i consumatori che hanno visto la frutta raddoppiare da due a quattro euro al chilo nei mercati rionali e i piatti di pasta nelle trattorie romane passare da 10 a circa 13 euro.
Il prossimo anno Meloni dovrà fornire risposte migliori, quando l’attenzione si sposterà dall’attualità internazionale all’economia in vista delle elezioni. L’occupazione è in crescita e una gestione prudente della spesa ha contenuto il deficit, ma la crescita del PIL resta anemica e i salari sono calati del 4,4 per cento tra il 2019 e lo scorso anno.
«L’Italia è l’unico Paese UE in cui i salari reali non si sono ripresi dopo il Covid e lo shock energetico ucraino», ha spiegato Carlo Altomonte, professore di economia all’Università Bocconi
di Milano. «I bassi salari sono il motivo per cui le imprese assumono, sostituendo le macchine con lavoratori, ma non investono in tecnologia: così rischiano di non reggere la competizione globale».
Luciano Monti, della Luiss di Roma, ha avvertito che le legioni di piccole imprese italiane non finanziano abbastanza ricerca e sviluppo, indebolendo ulteriormente la loro capacità di competere. «Questo problema è precedente a Meloni, ma spetta a lei affrontarlo», ha detto.
Nel frattempo, l’economia beneficia di un bonus dello 0,8 per cento di crescita del PIL grazie all’iniezione di 194 miliardi di euro in sovvenzioni e prestiti post-Covid provenienti dall’UE, ha aggiunto Altomonte. «Non ci sarebbe alcuna crescita del PIL senza quel denaro».
Meloni non ha enfatizzato molto questi fondi, forse perché sono un’iniziativa UE che mal si adatta alla sua narrativa nazionalista. Nella sua recente intervista televisiva non li ha nemmeno menzionati. L’economia, tuttavia, sentirà il colpo quando i fondi si esauriranno l’anno prossimo.
Altomonte ha offerto a Meloni due consigli: «Il proiettile d’argento per l’economia italiana sarà la formazione della forza lavoro», ha detto. «Le aziende italiane formano solo il 9 per cento dei propri dipendenti sul posto di lavoro, contro una media UE del 30 per cento». E ha aggiunto: «L’altra cosa da fare è tagliare i costi energetici. Meloni deve imporre alle aziende
italiane il sistema di tetto e pavimento dei prezzi già concordato dall’UE. Queste aziende si opporranno, ma almeno potrà dare la colpa a Bruxelles».
Tom Kington
per thetimes.com
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Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
QUANDO CI SONO DI MEZZO DEI MONILI RUBATI IN FRANCIA NON SUCCEDE MAI NIENTE DI BUONO: IL FAMOSO INTRIGO DELLA COLLANA DI MARIA ANTONIETTA FU LA SPINTA CHE POI DIVENNE RIVOLUZIONE, TAGLIANDO I COLLI SU CUI POGGIAVANO I DIAMANTI
Durante un concorso di bellezza venne fatta una domanda ad un’aspirante miss: «Un museo è
in fiamme e hai la possibilità di entrare una sola volta. Davanti a te ci sono quadri famosi del museo e il cane del guardiano. Chi salveresti?». Non vi dico la risposta, quello che posso dirvi è che dopo pochi minuti l’aspirante miss vinse il concorso.
Una domanda simile devono essersela fatta pure i ladri del Louvre: se scatta l’allarme, molliamo per strada la corona dell’imperatrice Eugenia o uno di noi? Saggiamente, hanno scelto la corona. Sono bastati sette minuti, la scala di un montacarichi e un gilet giallo per svaligiare il museo più famoso del mondo, un po’ promozione aggressiva dei libri di Dan Brown e un po’ il Lupin di Netflix.
Se sulla rive droite viene svaligiato il Louvre, dalla rive gauche arrivano le immagini dell’ingresso nella prigione de la Santé di Nicolas Sarkozy che in una mano tiene una copia del Conte di Montecristo e nell’altra Carla Bruni.
Alcune indiscrezioni dicono che il Louvre si sia rivolto a una società israeliana per indagare sul furto, perché non importa che sia gauche o droite, sempre di riva del fiume parliamo. Insomma, il governo francese che cade un giorno sì e l’altro pure, un ex presidente in carcere, i gioielli di Napoleone rubati, mi auguro
che qualcuno abbia transennato la Bastiglia.
La prima cosa che a molti è venuta in mente leggendo del furto al Louvre è stata una specie didéjà-vu, perché quando ci sono di mezzo dei gioielli rubati in Francia non succede mai niente di buono. Il famoso intrigo della collana di Maria Antonietta fu la spinta che poi divenne rivoluzione, tagliando i colli su cui poggiavano i diamanti.
Le rapine sono da sempre un oggetto affascinante di osservazione perché in qualche modo si tende a tifare per il rapinatore, un po’ per il talento, un po’ per odio verso banche e gioielli non nostri.
Da Cary Grant in Caccia al ladro a Catherine Zeta Jones in Entrapment, dallo strepitoso Inside Man di Spike Lee alle serie tv come Lupin o La casa di carta, questo mondo di ladri non conosce battute d’arresto, dentro e fuori le prigioni e i cinema. Nel 2009 Gergely Barki, esperto d’arte e consulente per il Museo nazionale ungherese di Budapest, mentre stava guardando il film Stuart Little insieme alla figlia di tre anni, si accorge che nel salotto del topo c’è appeso il quadro di Robert Bereny Bella addormentata con vaso nero, opera comprata dalla scenografa in un mercatino di Pasadena per pochi dollari e in seguito battuto all’asta per 230.000 euro.
Il quadro risultava perduto fin dagli anni Venti per poi comparire nella casa di un topo parlante. Ieri Leonardo Notarbartolo, autore della rapina del secolo al caveau del World Diamond Center di
Anversa, in un’intervista a Giuseppe Legato sulle pagine di questo giornale si è chiesto «quanti vedendo entrare degli operai avranno pensato all’organizzazione di un furto per rubare i gioielli di Napoleone? Nessuno».
Questo metodo non mi suonava nuovo perché ho visto fare la stessa cosa durante un altro colpo, questa volta a Manchester, dove chi non è riuscito a prendere il biglietto per il concerto degli Oasis si è messo un gilet giallo e si è finto uomo delle pulizie senza destare sospetti, assistendo alla reunion da sotto il palco.
Nel mio immaginario chi ha rubato i gioielli di Napoleone fa la stessa cosa: se li tiene in casa e se li mette per fare le pulizie. Speriamo che qualcuno con questa storia ci faccia almeno un bel film.
(da “la Stampa”)
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Ottobre 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA SUA COLPA? AVERE CURATO LA NUOVA EDIZIONE DI UN SAGGIO DI GUIDO BAGLIONI, “LA LUNGA MARCIA DELLA CISL”, IN CUI ERANO CONTENUTE ALCUNE CRITICHE AL GOVERNO MELONI (POI ELIMINATE DAL TESTO PRIMA DELLA PUBBLICAZIONE) – IN DIFESA DI LAURIA SI SONO ESPRESSI ROMANO PRODI E TIZIANO TREU. MA LA SEGRETARIA DELLA CISL DANIELA FUMAROLA, TIRA DRITTO
La perorazione e lo sconcerto di Romano Prodi e Tiziano Treu non hanno smosso di un millimetro la neo segretaria Cisl Daniela Fumarola. Né l’appello accorato di due “padri” del sindacato come Giorgio Benvenuto e Savino Pezzotta, ex segretari Uil e Cisl.
Nemmeno la lunga serie di docenti degli atenei di mezza Italia che si sono dichiarati «esterrefatti», e poi formatori e direttori di istituti di ricerca di tutta Europa. Niente da fare, lei tira dritto: lo studioso Francesco Lauria, pezzo pregiato del Centro studi nazionale Cisl di Firenze, saggista esperto di mercato del lavoro, resta sotto provvedimento disciplinare, e procede dritto verso il licenziamento.
Lauria ha fatto una cosa che in Cisl non si può più fare: criticare il governo di Giorgia Meloni. Tanto meno ora che è il sindacato di rifermento di palazzo Chigi. Ora che la premier conta su Fumarola per ricevere complimenti sulla finanziaria e per fare il
controcanto alla Cgil di Maurizio Landini. E poi c’è l’ex segretario Luigi Sbarra: il sottosegretario alle Politiche per il Sud, a palazzo Chigi è di casa.
Mercoledì 22 ottobre a Roma, nella sede nazionale di via Po, si terrà l’incontro fra l’accusato, il direttore della sede Confederale, Danilo Battista, e il responsabile del personale, Alessandro Spaggiari, dopo due procedimenti disciplinari imbottiti di episodi stupefacenti, come la registrazione di conversazioni private che diventano oggetto di altre contestazioni
Il casus belli è la nuova edizione di un vecchio libro, La lunga marcia della Cisl 1950-2010, di Guido Baglioni, professore alla Bicocca di Milano e grande esperto di relazioni industriali. La casa editrice della Cisl, Edizioni Lavoro, decide di ripubblicarlo. Lauria riceve l’incarico di affiancare il professore nell’aggiornamento.
Solo che «alla consegna della bozza», racconta, «alcune minime critiche al governo Meloni, peraltro nella parte del libro scritta da Baglioni e non da me, hanno fatto sì che la pubblicazione non venisse stampata». I due “bonificano” il testo. Ma finisce a carte bollate fra Lauria e Ignazio Ganga, segretario confederale, che gli annuncia la richiesta di pignoramento della casa per danni d’immagine.
Al ricercatore arriva un procedimento disciplinare, il 15 settembre, corredato di 25 contestazioni. Segue chiarimento con i vertici Cisl. Arriva un altro procedimento – il 7 ottobre – con
«sospensione cautelativa» dal lavoro e divieto di accesso alle sedi sindacali, e 21 nuove contestazioni, ricavate in gran parte da articoli e riflessioni. C’è anche l’annuncio di una denuncia per molestia di una dirigente, a cui avrebbe detto privatamente che un amico comune la riteneva una «bella ragazza».
A questo punto è Lauria che fa 28 ricorsi ai probiviri, di cui molti destinati a Fumarola. Il primo verrà discusso il 30 ottobre. Nel frattempo lui ha dato la disponibilità a dimettersi, con qualche condizione: fra cui il ritiro delle accuse e la pubblicazione del volume di Baglioni.
Lauria è un dipendente della Cisl, quello che ogni azienda “normale” definirebbe il classico sindacalista scomodo: rappresentante del personale, difende i lavoratori di via Po in odore di epurazione. Da tempo l’aria si è fatta pesante. «C’è un clima da Germania Est», viene riferito dalle voci di dentro. La Cisl è diventata «il sindacato di Fratelli d’Italia» (copy Walter Rizzetto, presidente della commissione Lavoro della Camera, FdI).
La procura di Torino accusa un ex dirigente Filca-Cisl, Domenico Ceravolo, di essere il «braccio operativo» di un boss della ‘ndrangheta. Il pm, nella requisitoria, parla di «consapevolezza disarmante da parte dei vertici Filca-Cisl». Accuse da provare, sia chiaro. Ma che consiglierebbero i vertici del sindacato di occuparsi di cose serissime, piuttosto che di obiezioni alla destra ex missina.
Abbiamo chiesto a Fumarola se davvero la Cisl licenzia un funzionario per questioni politiche. Ci ha risposto Battista: «Nessuna ragione politica dell’azione disciplinare, ma un procedimento dovuto, normato da legge, statuto e regolamento della Confederazione, a tutela dell’immagine della Cisl e delle tante persone contro cui Lauria in questi mesi ha posto in essere condotte e rivolto attacchi potenzialmente incompatibili con il proprio, esclusivo, status di lavoratore subordinato.
Le ragioni di merito dell’istruttoria sono indicate nei punti dettagliati nelle due lettere di contestazione, ma anche nelle numerose azioni legali che tanti colleghi hanno promosso sentendosi da lui dileggiati, diffamati e persino minacciati».
Benvenuto, Pezzotta e Giuliano Cazzola, nella loro lettera a Fumarola, hanno parlato di «un deplorevole deterioramento dei rapporti che nuoce alle tradizioni democratiche e pluraliste di una grande organizzazione sindacale». Cazzola però poi ci ha ripensato.
«Le cose cambiano se è lo stesso Lauria a voler rendere incompatibile, con iniziative polemiche ripetute, la sua permanenza nell’organizzazione», scrive in una lettera pubblica, ribadendo il suo apprezzamento «per l’attuale gruppo dirigente della Cisl e di condividerne la linea politica, in una fase in cui è in atto, in altre confederazioni, un processo trasformazione genetica del ruolo del sindacato».
In effetti Lauria non le manda a dire, e gli risponde: «Non ho alcun dubbio che condivida la linea politica, spesso di estrema destra, della Cisl attuale». Il suo non è un caso isolato, insiste, è «il caso Cisl», un sindacato che compie «atti sempre più gravi» verso «decine, centinaia di militanti e dirigenti non allineati».
Ma poi, chi davvero sta compiendo la trasformazione genetica di cui parla Cazzola, alludendo alla Cgil di Landini? «Dove ci sono gli eredi del Msi, io non ci sarò», diceva il compianto Franco Marini all’indirizzo di Rocco Buttiglione quando, nel 1995, stava portando il Ppi fra le braccia di Silvio Berlusconi. Oggi Sbarra lavora con l’erede del Msi.
(da agenzie)
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