Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile
ACCUSE ALLA POLIZIA INTERVENUTA DOPO UN’ORA E MEZZA DALL’ALLARME.. LA CONDANNA DELLA SINDACA SALIS… MOBILITAZIONE ANTIFASCISTA IN CITTA’, DANNI PER MIGLIAIA DI EURO
Gli studenti del liceo Leonardo da Vinci del capoluogo ligure hanno riferito questa
mattina che nella serata di sabato, “durante l’occupazione pacifica della scuola, approvata dall’assemblea d’istituto e organizzata con finalità culturali, sociali e formative, abbiamo subìto un episodio gravissimo e inaccettabile”.
Secondo quanto riferito, “un gruppo composto da decine di individui estranei alla scuola” avrebbe “sfondato con violenza l’ingresso dell’edificio, aggredendo verbalmente e fisicamente gli studenti presenti, vandalizzando locali e arredi e generando una situazione di forte pericolo e terrore”.
Non solo: “Nonostante le nostre ripetute e immediate chiamate al 112, le forze dell’ordine sono intervenute solo dopo oltre un’ora e mezza, lasciando per lungo tempo gli studenti alla mercé” degli aggressori.
Svastiche e “viva il duce”
Il raid vandalico sarebbe andato in scena intorno alla mezzanotte nella sede di via Arecco, nella zona di piazza Manin: mentre la scuola era occupata e si stavano svolgendo alcuni laboratori, una decina di teppisti ha fatto irruzione nell’istituto. Secondo quanto ricostruito ci sono stati danni alle porte, alle vetrate e ad alcuni arredi con l’utilizzo di spranghe e bastoni.
All’interno della scuola sono state trovate e fotografate svastiche su alcuni muri, circostanza per cui si ipotizza che dietro al raid ci sia una matrice politica di estrema destra. In una nota diffusa su Instagram, il collettivo studentesco del Leonardo Da Vinci, creato appositamente per l’occupazione, racconta di come i teppisti che hanno fatto irruzione all’interno dell’istituto scolastico urlassero “viva il duce”.
Le spranghe prese in un cantiere
Sul posto, dopo la segnalazione degli stessi studenti, è intervenuta la polizia con Digos e Scientifica: all’arrivo degli agenti i teppisti si erano già allontanati. S’indaga sulla matrice del gesto: al momento non risulta che ci sia stata un colluttazione
tra le due fazioni e non ci sono feriti medicati in ospedale. La questura ha riferito che i teppisti avrebbero prelevato alcune aste metalliche da un vicino cantiere edile e dopo aver danneggiato arredi e altro avrebbero scaricato gli estintori.
La Digos ha sequestrato le immagini delle telecamere della zona per risalire agli autori del raid. La scuola è al momento chiusa: ci sono due collaboratrici scolastiche che non permettono l’ingresso in attesa di alcuni accertamenti della forze dell’ordine.
Gli studenti del Leonardo hanno aggiunto che “condanniamo fermamente questo attacco vile e vigliacco che ha colpito una mobilitazione democratica e costruttiva, pensata per aprire la scuola alla città e offrire momenti di confronto e partecipazione” e che “chiediamo che venga fatta luce sull’accaduto, che siano individuati i responsabili e che si garantisca la sicurezza degli studenti e il rispetto delle forme di partecipazione democratica”.
Salis: “Schiaffo ai valori della democrazia”
La sindaca di Genova, Silvia Salis, ha riferito che “da questa mattina sono in costante contatto con le forze dell’ordine per chiarire quanto accaduto nella notte al liceo Leonardo da Vinci”, parlando di “un episodio di estrema gravità sul quale occorre far luce e per il quale esprimo la più ferma condanna da parte mia e dell’amministrazione”.
Salis ha ricordato che “la violenza non è tollerabile in alcuna sua forma” e che “vedere una svastica sul muro di una scuola è uno schiaffo ai valori fondanti della nostra democrazia: auspichiamo che si possa fare chiarezza in tempi rapidi sull’accaduto e che siano al più presto identificati gli autori”.
(da agenzie)
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Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile
LE APERTURE SU CONVIVENTI E DIVORZIATI
Con 781 voti favorevoli su 809, l’assemblea approva il testo “Lievito di pace e di
speranza”. Il documento indica un rinnovamento della pastorale, più inclusione e attenzione ai temi della pace e del disarmo. Il cardinale Zuppi: «Liberi dal “si è sempre fatto così”»
Il pomeriggio di venerdì 24 ottobre ha visto la conclusione della Terza Assemblea sinodale italiana. Una maggioranza
schiacciante. 781 sì su 809 votanti hanno sancito l’approvazione del Documento di sintesi del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, che prevedrebbe un approccio più inclusivo nei confronti delle donne e della comunità omosessuale da parte della Chiesa. La relazione ha il titolo “Lievito di pace e di speranza”. Per il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, è stato «un successo e un segno di maturità ecclesiale». Al centro, l’approccio pastorale dei prossimi anni, che è frutto di un lungo lavoro collettivo iniziato tre anni fa e voluto da Papa Francesco per una Chiesa più partecipata e aperta. Hanno votato vescovi, delegati diocesani e invitati che hanno preso parte alle varie tappe del percorso. Le 75 proposte contenute nel testo rappresentano una sintesi del cammino fatto nelle diocesi, con l’obiettivo di tradurre in pratica le intuizioni emerse dal basso.
Una Chiesa più aperta a donne, laici e comunità LGBTQIA+
Tra le novità più significative, il documento indica la necessità di un maggiore coinvolgimento delle donne nei processi decisionali e negli organismi pastorali, superando resistenze ancora presenti in diverse diocesi. Il testo parla anche di una Chiesa «attenta al variegato mondo Lgbtq+». Vengono citate espressamente le persone transgender e invitando comunità e parrocchie a non discriminare nessuno. Le aperture verso le persone in situazioni affettive considerate “irregolari” — come divorziati risposati, conviventi e coppie unite civilmente — segnano un ulteriore passo avanti nella linea di inclusione tracciata da Bergoglio. Nel documento si chiede alla Cei di sostenere, «con la preghiera e la riflessione», le giornate promosse dalla società civile contro ogni forma di violenza e discriminazione. Dalla violenza di genere all’omofobia, dalla pedofilia al bullismo.
Formazione, pace e disarmo
Accanto al tema della corresponsabilità ecclesiale, il documento approvato all’unanimità dal Comitato nazionale del Cammino
sinodale, guidato da monsignor Erio Castellucci. Pone l’accento su due priorità: formazione e pace. La formazione viene indicata come condizione necessaria per una Chiesa matura e partecipativa. La pace invece — emersa come terza priorità nell’ultimo anno — diventa un campo d’impegno concreto. Il testo richiama infatti la responsabilità dei credenti di fronte ai conflitti in corso. Propone anche un ripensamento del ruolo dei cappellani militari, in coerenza con la scelta nonviolenta del Vangelo.
(da agenzie)
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Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile
LE SEGNALAZIONI CONTINUANO A MOLTIPLICARSI
Da oltre due mesi sono tornati in classe, correggono compiti, preparano lezioni, sostengono gli studenti. Ma sul conto corrente, il saldo è sempre lo stesso: zero. Per tanti supplenti brevi, che ogni giorno garantiscono continuità didattica coprendo malattie, permessi e congedi, lo stipendio che dovevano ricevere a settembre e a ottobre è ancora un mistero. C’è chi si appoggia al coniuge, chi chiede aiuto ai genitori o piccoli prestiti agli amici per pagare affitto e bollette. Così le segnalazioni ai sindacati si moltiplicano.
Le storie dei docenti
«Non so ancora quando riceverò lo stipendio», racconta a Open Ilaria, professoressa in un istituto superiore della provincia di Udine. È madre di due bambini piccoli, uno di due anni e mezzo e l’altro di sei mesi. «Abbiamo fatto tutto come previsto, ma i ritardi dello Stato ci lasciano senza un euro. E intanto, io e i miei figli non possiamo basare la nostra vita solo sullo stipendio di mio marito», spiega. La docente insegna da sette anni, ma non le era mai capitato di restare senza stipendio per mesi. Nel frattempo, le spese non aspettano: «Tra affitto, nido e bollette diventa insostenibile. Lavoro, ma non vedo i frutti». Come lei, ci sono molti altri docenti in tutta Italia, anche se il numero esatto è difficile delineare.
Sopravvivere con prestiti e favori
Mirko, insegnante di italiano, storia e geografia in una scuola media di Firenze, si trova nella stessa situazione. Da settembre non ha percepito lo stipendio e, se Ilaria si sente spiazzata, lui teme di rivivere l’incubo dello scorso anno. «Sono terrorizzato. L’anno scorso, il primo pagamento mi è arrivato dopo tre mesi, poi altri due mesi di attesa, e così per tutto l’anno. Ora sta succedendo di nuovo». Nei giorni scorsi, la scuola gli ha chiesto se voleva rinnovare il contratto per altri due mesi, nonostante non avesse ancora ricevuto lo stipendio precedente. «Ho risposto “sì in teoria, ma non ho ancora ricevuto alcuno stipendio”». Quando ha chiesto chiarimenti, la risposta (scritta) della segreteria è stata: «Lo Stato sta verificando la disponibilità dei fondi. Purtroppo i tempi non dipendono da noi, ma dal ministero». Per far fronte ai pagamenti urgenti, Mirko ha dovuto chiedere un prestito a una persona vicina: «L’anno scorso ce l’ho fatta solo grazie a questo aiuto, altrimenti non ce l’avrei fatta. Le bollette e i mutui non aspettano nessuno». Nonostante tutto, continua a lavorare ogni giorno in classe: «Quando sono con i ragazzi sto bene, ma appena esco mi assale la rabbia. È assurdo che chi lavora per lo Stato debba sopravvivere con prestiti o favori. Mi chiedo sempre come sia stato possibile arrivare a una situazione del genere».
(da Open)
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Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile
LE ULTIME SCOPERTE NELL’INDAGINE SU GARLASCO: L’OMICIDIO SI SAREBBE SVOLTO IN PIU’ FASI E NON IN UNA
La nuova indagine della Procura di Pavia avrebbe raggiunto una certezza: Alberto Stasi
non può aver ucciso la sua fidanzata Chiara Poggi. Sarà per questo, spiega Luca Fazzo sul Giornale, che gli inquirenti stanno procedendo con una certa determinazione sul fronte della sospetta tangente incassata dall’ex procuratore Mario Venditti per insabbiare le accuse contro Andrea Sempio.
Le sentenze che hanno mandato in carcere Stasi rischiano di finire nel calderone dei più clamorosi errori giudiziari. La nuova inchiesta non abbia ancora individuato elementi definitivi sulla colpevolezza di Sempio, amico del fratello della vittima, già indagato e uscito negli anni passati dalle indagini, fino a tornare come unico indagato nella nuova inchiesta. Dalla rilettura dell’intero fascicolo di inchiesta fatta dai nuovi inquirenti a capo della procura di Pavia, aggiunge Fazzo, stanno emergendo dettagli decisivi per poter scagionare del tutto Alberto Stasi, in carcere dal dicembre 2015.
La dinamica dell’omicidio completamente riscritta
È una svolta importante, che ruota soprattutto intorno alla riscrittura della dinamica dell’aggressione avvenuta nella villa dei Poggi a Garlasco, la mattina del 13 agosto 2007. Se la dinamica è quella che sta prendendo forma in queste settimane, allora Stasi non può essere il colpevole, perché il suo alibi lo colloca lontano da via Pascoli nei momenti in cui si consumava il delitto. La rilettura è proseguita per step successivi, culminati nell’invito a comparire notificato a Sempio nei giorni scorsi e nelle analisi antropometriche effettuate su di lui nell’Istituto di Medicina legale di Milano venerdì scorso dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo.
L’incrocio dei dati e l’analisi Bpa
L’incrocio dei dati forniti dalla accurata controanalisi dell’autopsia di Chiara effettuata dalla Cattaneo e dalla Bpa, come lo studio delle numerose tracce di sangue (macchie, schizzi, pozze) effettuata dai Ris di Cagliari e tutt’ora segretata, ha permesso a Cattaneo di ricostruire i movimenti dell’assassino in buona parte delle fasi dell’aggressione e la sua posizione in occasione dei colpi inferti a Chiara. La conclusione sarebbe stata che Chiara ha avuto tempo di provare a difendersi e che il delitto non è avvenuto in una sola fase ma in più momenti distinti. È un dettaglio cruciale, perché sposta inevitabilmente di diversi minuti in avanti l’ora del delitto.
L’alibi di Stasi diventa più solido
Le sentenze che hanno condannato Stasi hanno indicato come finestra temporale quella tra le 9,12, quando Chiara disattiva l’allarme probabilmente per aprire la porta all’assassino, e le 9,35 quando Stasi riaccende il computer di casa. Nulla, negli esami patologici, conferma le 9,35: anzi le prime analisi indicavano come probabile ora del decesso le 11 del mattino. Di fatto, l’ora del delitto è stata fissata entro le 9,35 per poter condannare Stasi, e non su elementi scientifici. Secondo le sentenze definitive, Stasi nei 23 minuti a partire dalle 9,12 avrebbe avuto il tempo di uccidere Chiara, lavarsi le mani, prendere la bici, tornare a casa, riaccendere il computer. Difficile, ma possibile. Ora, allungando la durata dell’aggressione, l’alibi di Stasi diventerebbe assai più solido.
L’inchiesta sulla presunta tangente
Se confermata, la svolta nelle indagini spiegherebbe la determinazione con cui la Procura di Pavia sta conducendo anche gli accertamenti sulla presunta tangente che i Sempio avrebbero fatto pervenire all’ex procuratore Mario Venditti, che nel 2017 e 2020 archiviò per due volte le ipotesi “alternative” alla colpevolezza di Stasi. I suoi computer, sequestrati il 26 settembre e restituiti dal Tribunale del Riesame, sono nuovamente sotto sequestro e analizzati dalla Guardia di finanza.
(da Open)
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Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile
COSI’ E’ STATO ORGANIZZATO L’ASSALTO AL PULLMAN DEI TIFOSI
Una testimonianza chiave per ricostruire la notte dell’assalto al pullman dei tifosi del Pistoia Basket, in cui è morto l’autista Raffaele Marianella. È quella di un minorenne che, nelle mani della polizia, ha consegnato un racconto dettagliato di quanto accaduto il 19 ottobre scorso dopo la partita tra Real Sebastiani Rieti e Pistoia, al PalaSojourner. Il ragazzo, che quella sera doveva essere riaccompagnato a casa da un conoscente, si è ritrovato invece coinvolto nel raid degli ultrà. Secondo la sua deposizione, oggi agli atti dell’inchiesta, a organizzare l’agguato sarebbero stati Manuel Fortuna, Alessandro Barberini e
Giuseppe Aguzzi, rispettivamente vicecapo e capo del gruppo ultrà Bulldog, tutti ora sotto indagine o colpiti da Daspo. A riportare la notizia è Repubblica.
Il racconto del minorenne: «Io dovevo solo tornare a casa»
Il minorenne ha raccontato che la madre lo aveva accompagnato al palazzetto nel pomeriggio. Dopo la partita era salito in auto con S.M., l’uomo che di solito lo riaccompagnava a casa. Ma quella sera, ha spiegato, «con noi sono saliti anche Manuel Fortuna e Aba (Alessandro Barberini)». L’obiettivo iniziale, secondo la sua versione, era «vedere dove si trovavano i tifosi ospiti», dopo che fuori dal palazzetto gli animi si erano surriscaldati. «Fortuna era il più agitato – ha raccontato – voleva avvicinarsi al pullman e lanciare qualcosa. Insisteva per cercare lo scontro».
Il piano e l’agguato
Quando il confronto diretto davanti al palazzetto non si concretizza, i quattro tornano in auto. È lì che, secondo il verbale, nasce il piano per anticipare il pullman del Pistoia lungo la statale. «Dicevano di aspettarlo all’uscita di Contigliano – spiega il ragazzo – insieme ai ragazzi dell’auto di Aguzzi». Il gruppo raggiunge una piazzola dove si trovano altre due auto con 7 o 8 persone. Il testimone riferisce che «alcuni hanno raccolto dei sassi da terra» e che solo lui, S.M. e un altro ragazzo «non hanno toccato nulla». Poco dopo vede il pullman arrivare sulla superstrada. «Ho sentito colpi forti, ma non ho voluto guardare. Tutto è durato pochi secondi». In quei pochi secondi, una pietra colpisce Marianella tra bocca e collo, uccidendolo sul colpo.
Cosa è successo dopo l’agguato
Dentro il bus scoppia il panico, fuori gli ultrà fuggono tra i campi. «Con S.M. siamo tornati in auto – racconta il minorenne – e ci siamo allontanati. Poco dopo è arrivata una pattuglia della polizia. Il ragazzo è l’unico del gruppo non colpito da Daspo. Ma la sua collaborazione lo ha esposto a un clima di tensione: ieri, sul cancello del PalaSojourner, è apparso uno striscione con la scritta «Nascondetevi infami, sappiamo chi siete».
(da Open)
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Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile
DOPO LA STRAGE DI CAPACI QUALCUNO CERCO’ FILES SULL’OMICIDIO DEL PRESIDENTE SICILIANO
Le indagini sull’omicidio di Piersanti Mattarella segnarono una drammatica svolta nella
vita di Giovanni Falcone. Indagando su quel delitto e sugli altri omicidi politico-mafiosi che lo avevano preceduto e seguito, si era reso conto, come accennò in una seduta della Commissione Antimafia del 3 novembre 1989, che mentre al Nord i registri della strategia della tensione si erano avvalsi dell’estremismo di destra come braccio armato per eseguire stragi e omicidi, in Sicilia si erano avvalsi della mafia.
La causale mafiosa offriva una ottima copertura di causali politiche che dovevano restare occulte. Per questo motivo, come denunciò in altra seduta del 22 giugno 1990, si era verificato un grave tentativo di depistaggio istituzionale delle sue indagini sull’omicidio Mattarella per dirottarle dalla pista nera a quella mafiosa. Nei mesi che precedettero la sua richiesta nell’ottobre 1989 di un mandato di cattura per Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, erano entrate in campo “le menti raffinatissime”, con l’anonimo del Corvo e l’attentato contro di lui all’Addaura.
Da allora era stato segretamente monitorato da alcuni vertici delle Forze di Polizia che redigevano note riservate su suoi atti di indagine coperti da segreto, come l’interrogatorio di Licio Gelli. Aveva capito troppo e non era disposto a fermarsi. Le indagini sui delitti politico-mafiosi era rimasti al centro della sua attenzione ed erano stati la causa del suo conflitto con il procuratore capo Giammanco, come è attestato dai brani del suo diario pubblicati nel giugno 1992, e come dichiarai al Csm il 29 luglio 1992, per essere stato diretto testimone di un acceso scontro proprio su questa materia incandescente durante il quale Falcone era arrivato al punto di minacciare le dimissioni da coordinatore delle indagini.
Pochi mesi prima di essere assassinato, in un incontro riservato a Roma mi aveva confidato che era quasi certo di essere nominato Procuratore nazionale antimafia, e mi chiese di presentare domanda per quell’ufficio perché “avremmo potuto finalmente svolgere le indagini che sino ad allora ci avevano impedito”.
Poco tempo prima – ha dichiarato il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, boss in contatto sin dagli anni Ottanta con alcuni vertici dei servizi segreti – alcuni esponenti dei servizi avevano chiesto la collaborazione della mafia per neutralizzare Falcone perché era divenuto troppo pericoloso.
Dalle dichiarazioni convergenti di vari collaboratori risulta che Riina cambiò il programma di uccidere Falcone a Roma con armi da fuoco, come era stato deciso dalla Commissione regionale di Cosa Nostra per depistare le indagini e fare ricadere la responsabilità sui servizi, e di ucciderlo invece a Palermo in modo eclatante, dopo avere avuto nel febbraio-marzo 1992 un incontro con un personaggio talmente autorevole da indurlo a
richiedere una nuova convocazione urgente di una ristrettissima cerchia di super capi regionali per ottenere il loro consenso a cambiare programma, superando la loro riluttanza.
Quarantotto ore prima della strage di Capaci una agenzia di stampa, facente capo a soggetti già coinvolti nelle indagini per la strage di Bologna, annunciò che di lì a poco vi sarebbe stato un grande botto per interferire sulle elezioni in corso del nuovo presidente della Repubblica.
Dopo la strage ignoti si introdussero nella stanza di Falcone al ministero della Giustizia, posta sotto sequestro dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta e, acceso il suo computer, esaminarono solo alcuni files: quelli sull’omicidio Mattarella e su Gladio, struttura sulla quale Falcone aveva acceso la sua attenzione ritenendo possibile un coinvolgimento della sua componente deviata e occulta nei delitti Mattarella e di Pio La Torre.
Dopo la morte di Falcone nel processo per l’omicidio di Mauro Rostagno è stato acquisito un dispaccio segretissimo alla cellula Gladio di Trapani, destinato a essere distrutto ma di cui il destinatario salvò una copia, che riguardava una operazione da eseguirsi nei giorni dell’attentato all’Addaura a circa 500 metri dalla villa di Falcone.
La Corte di Assise di Bologna che ha condannato per la strage di Bologna del 2 agosto 1980 Gilberto Cavallini quale esecutore, unitamente a Fioravanti, Mambro e Ciavardini, ha dedicato quasi cento pagine della motivazione per rivisitare la pista nera dell’omicidio Mattarella seguita da Falcone, ritenendola fondata anche alla luce di nuove prove sopravvenute, e ha ribadito
l’esistenza di una connessione tra le causali politiche di quell’omicidio e quelle della strage.
Un ulteriore passo avanti in questa direzione è stato compiuto con un’altra sentenza divenuta definitiva nel luglio 2025, che ha ritenuto che quella strage fu eseguita su mandato di Gelli con la collaborazione di Umberto Federico D’Amato, capo dell’Ufficio affari riservati del ministero degli Interni, e di Mario Tedeschi ex repubblichino ed esponente di spicco del neofascismo, condannando come ulteriore esecutore Paolo Bellini, esponente di Avanguardia Nazionale e uomo collegato ai servizi.
Si tratta dello stesso Paolo Bellini nel 1991 e nel 1992 si recò in missione a Palermo e, come dichiarato dai vari collaboratori di Giustizia esecutori della strage di Capaci, suggerì ai mafiosi di alzare la posta eseguendo attentati ai beni artistici nazionali per destabilizzare lo Stato.
Sebbene i suoi contatti con i mafiosi fossero stati portati a conoscenza già nel 1992 di autorevoli vertici delle Forze di Polizia, nessuno informò la magistratura né dispose alcuna indagine. Anzi un documento molto rilevante che costituiva corpo di reato fu distrutto.
Tutto ciò e molto altro non interessa minimamente la maggioranza politica della Commissione antimafia che si rifiuta ostinatamente da quanto si è insediata di svolgere qualsiasi indagine conoscitiva su tutte le piste che potrebbero condurre a ricostruire le causali politiche occulte delle stragi del 1992 e del 1993, spiegare i depistaggi e la partecipazione di soggetti esterni.
Un disinteresse che si abbina al fortissimo ostracismo dei palazzi del potere nei confronti di tutti coloro – magistrati, giornalisti
d’inchiesta, parlamentari – che in questi anni nella diversità dei loro ruoli hanno tentato di dare un contributo per portare alla luce i segreti inconfessabili che si celano dietro quelle stragi e di riannodare i fili che sembrano collegarle a quelle precedenti e ai delitti politici, come parti di un’unica storia, seguendo la traccia lasciata da Falcone.
Roberto Scarpinato
(da ilfattoquotidiano.it)
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Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile
VIETATO RICORDARE QUANDO REAGAN BOCCIO’ LA POLITICA DEI DAZI
Irritato da uno spot dello Stato dell’Ontario nel quale si rivede e si risente Ronald Reagan che boccia la politica dei dazi, Trump in persona ha interrotto le trattative economiche con il Canada. Per poterle riaprire, il governo canadese ha dovuto ritirare quello spot. Nel caso Trump legga i giornali canadesi, che in prevalenza pullulano di ostilità nei suoi confronti, chiederebbe al governo di Ottawa di chiuderli o si accontenterebbe di comperarli o chiuderli lui?
L’episodio — assieme a tanti altri — non può essere liquidato come il capriccio di un prepotente. È — assieme a tanti altri — molto peggio. È l’arbitrio di un despota, che di libertà di critica non vuole sentire parlare. Trump ignora l’abc della tolleranza — o, se non lo ignora, lo calpesta. Riserva a se stesso il diritto di buttare merda (non metaforicamente) sugli americani che manifestano contro di lui, come nello spregevole video (violento, carico di odio) che ha diffuso sui suoi social. Ma non tollera alcuna forma di critica o di discussione, strozza le università non allineate, minaccia giornali e giornalisti non ossequiosi, spedisce l’esercito nelle città che non hanno votato per lui. Riserva a se stesso il diritto di insulto, e taccia di insulto nei suoi confronti ogni forma di opposizione. Che cos’è, se non la mentalità di un tiranno?
La domanda se la democrazia in America corra dei rischi è abbastanza bizzarra. Non è il futuro istituzionale a essere a rischio; è il presente di una nazione, della sua scena pubblica, del suo linguaggio politico, a essere scempiato. Non è quanto potrebbe accadere, è quanto è già accaduto, a partire dall’assalto al Parlamento e alla grazia concessa agli assalitori, a coprire di nero gli Stati Uniti.
(da repubblica.it)
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Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile
VERSO LA LEGGE DEL PIU’ FORTE
Il lascito più profondo che la rivoluzione americana incarnata da Trump minaccia di
lasciare a noi europei è la ridefinizione dell’Occidente in termini di razza e religione. La tesi: esiste un solo Occidente, quello delle nazioni bianche e cristiane. Ovvero dell’America originaria, che dopo aver sterminato gli indigeni afferma in quella terra intonsa — il sangue altrui non ha colore — il proprio canone anglo (germanico) — bianco- protestante. Insomma, l’Occidente è il Far West. Inversione dello storico Occidente europeo, in ripida decadenza. Nel discorso pronunciato otto anni fa a Varsavia Trump pronuncia dieci volte la parola “West”, sinonimo di “civiltà” (cinque richiami). Sullo slancio chiama la crociata occidentale contro gli immigrati e se ne intesta il comando “a difesa della civiltà stessa”. Ovvero “individuo e sovranità”. Tradotto: legge del più forte, dominio della violenza. Anarco-autoritarismo. Ognuno è sovrano di sé stesso, ma sotto la stessa bandiera e la medesima guida. Eco del dogma di Margaret Thatcher, per cui “non esiste qualcosa come la società”. Conclusione: “La fondamentale questione del nostro tempo è se l’Occidente vuole sopravvivere”. Tradotto: sbarriamo la porta di casa a chi non corrisponde al carattere bianco e cristiano della nostra civiltà. All’epoca un fine analista americano, Michael Kimmage, bollò Trump 1 “primo presidente non-occidentale degli Stati Uniti”. Trump 2, sopravvissuto a un fallito colpo di Stato, rieletto un anno fa con ampio mandato,
rimane fedele a sé stesso. Anzi raddoppia. Dichiara guerra al “nemico di dentro”. E per questo fa convocare dal suo ministro della Guerra (ex Difesa), l’improbabile Pete Hegseth, ottocento fra generali e ammiragli. Trump si scatena contro gli immigrati, alias terroristi, che hanno invaso la patria bianca grazie al lassismo dei democratici. In chiaro: “Questa è una guerra. Una guerra da dentro”.
Il cambio di regime in corso Oltreatlantico tende a una plutocrazia bianca guidata da un presidente monarca, sicuro di guadagnarsi il terzo mandato grazie alla reinterpretazione evolutiva della costituzione. Per magari installarvi la sua dinastia. Il primo ordine esecutivo di Re Donald lo abiliterà a definire il biancore dei sudditi secondo necessità.
L’Occidente che Trump ci propone in quanto bianchi d’Europa implica una guerra (in)civile permanente fra titolari del marchio “West”, perciò individui sovrani, e invasori colorati, infedeli da respingere. I primi invitati a proliferare, altrimenti la partita è persa in partenza via demografia. E a barricarsi entro frontiere militarizzate per respingere i nuovi barbari. L’Internazionale bianca sognata dalla tribù Maga non ha nulla a che fare con il messaggio del Cristo ma intende mobilitare le frange tradizional-reazionarie dei suoi asseriti fedeli che vedono nelle rispettive Chiese, specialmente ma non solo evangelicali, il fine da proteggere, non il mezzo per propagandare la fede. Sarebbe interessante ascoltare al riguardo la voce del papa americano — cui forse i guardiani delle frontiere a stelle e strisce potrebbero imputare la co-cittadinanza peruviana — su questioni di così decisivo, universale momento, con grazia sollevate dal capo del suo Paese di nascita.
Perché la ridefinizione dell’Occidente parte ma non finisce in America, Canada e Groenlandia inclusi (agli inuit si può fare uno sconto, visto che sono l’89% dei circa 56 mila abitanti di quella terra tanto preziosa). La strategia trumpiana vuole i nuovi vecchi Stati Uniti centro dell’Internazionale bianca estesa a diversi paesi europei, fors’anche asiatici (Israele, Corea del Sud, Giappone?). Nel Vecchio Continente si conta su Polonia, Ungheria, domani persino su Francia, Germania e Regno Unito se finissero in mano a lepenisti, neonazionalisti tedeschi e anglodestre radicali. Sull’Italia di Giorgia Meloni, pur apprezzata, resta qualche dubbio — non tanto di fede quanto di traduzione in atti.
Ma il grande slam della Casa Bianca (nomen omen) sarebbe riportare la Russia nella bianca casa delle origini, insieme a Ucraina, Bielorussia e altre repubbliche ex sovietiche. Dalla difesa della razza all’attacco alla Cina?
(da Repubblica)
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Ottobre 26th, 2025 Riccardo Fucile
SECONDO LA RICOSTRUZIONE, GHIGLIA AVEVA SOSTENUTO L’IPOTESI DELL’AMMONIMENTO ALLA TRASMISSIONE, MA DOPO AVER INCONTRATO “LA SORELLA D’ITALIA”, HA VOTATO A FAVORE DELLA MAZZATA… DEI QUATTRO MEMBRI DEL COLLEGIO, DUE ERANO GIÀ FAVOREVOLI: PASQUALE STANZIONE E GINEVRA CERRINA FERONI, LEGATI A “GENNY” DA RAPPORTI ACCADEMICI E PERSONALI
Via della Scrofa 39, mercoledì sera, quasi buio. Un’auto scura si ferma con le quattro frecce accese davanti alla sede nazionale di Fratelli d’Italia. Scende un uomo con cappotto grigio e borsone nero, inforca l’ingresso. Il giorno dopo voterà a favore della multa record a Sigfrido Ranucci e a Report.
Perché quell’uomo è Agostino Ghiglia, componente del Collegio del Garante della Privacy, che anziché solidarietà al conduttore – a tre giorni dall’attentato sotto casa – gli ha comminato una sanzione da 150 mila euro per aver diffuso l’audio Boccia-Sangiuliano, già pubblicato dai giornali, deferiti al Garante ma mai sanzionati. È
la “prova regina”, che fotografa un’Autorità “indipendente” ormai sotto osservazione: un suo membro entra nella sede del partito di governo poche ore prima di un voto cruciale. Chi doveva incontrare? La numero due del partito, Arianna Meloni, sorella della premier e regista delle nomine e di tutto quello che accade nel partito.
E questa scena finirà stasera su Rai3, nella puntata che apre la nuova stagione di Report. Oltre alle inchieste sull’offensiva sovranista Meloni-Trump contro l’Europa con fondi che transitano via fondazioni ultraconservatrici e le nomine imposte dal governo al mondo della cultura, Sigfrido Ranucci infatti anticiperà il tema di un’inchiesta già in corso sull’indipendenza delle authority.
Perché proprio la vicenda della sanzione contro Report ha fornito elementi – e ora anche la prova video – che confermano il sospetto asservimento politico di un’autorità chiamata a tutelare i diritti di tutti i cittadini e a garantire trasparenza e indipendenza nel trattamento dei dati personali.
Quel video, racconta Ranucci, è stato raccolto per caso da un inviato che stava aspettando Arianna Meloni davanti alla sede del partito e ha ripreso invece Agostino Ghiglia mentre entrava nell’edificio, alla vigilia del voto sulla multa.
“E ora ci spieghino cosa ci faceva Ghiglia, membro dell’Ufficio del Garante, negli uffici di via della Scrofa poche ore prima del voto. Ha parlato con Arianna Meloni? E di cosa? Della sanzione verso Report? Se è tutto regolare, il Garante ci metta la faccia”, dirà Ranucci in apertura.
Il “Fatto” aveva registrato l’imbarazzo di Agostino Ghiglia e del presidente del Garante Pasquale Stanzione. Nessuno dei due ha smentito l’incontro. Stanzione si era trincerato dietro una decisione “dell’authority nella sua totalità”, quando invece la sanzione a Report è stata votata a maggioranza, non all’unanimità.
Tra il 22 e il 23 ottobre Gennaro Sangiuliano, cioè colui che ha azionato il giudizio del Garante su Report, ufficializza la sua candidatura in Campania “dopo aver parlato con Arianna Meloni”. Il 23 il Garante vota la sanzione. Dei quattro membri, due erano già favorevoli: Pasquale Stanzione e la sua vice Ginevra Cerrina Feroni, legati a Sangiuliano da rapporti accademici e personali.
A gennaio, Feroni aveva presentato a Firenze il libro di Sangiuliano “Trump. La rivincita”, mentre era candidata alla Corte Costituzionale in quota Fratelli d’Italia.
“Si sbracciava per lui, anche presentandogli il libro, mentre cercava l’appoggio politico per la Consulta”, racconta una fonte.
Il Garante Pasquale Stanzione, nominato dal Pd nel 2020, è anche il fondatore della cosiddetta “scuola della privacy” dell’Università di Salerno: da lì si irradia una rete di accademici e consulenti oggi in posizioni chiave nell’Autorità Garante. Tra questi Salvatore Sica, docente di diritto privato e fratello dell’avvocato Silverio Sica, difensore di Sangiuliano anche nel procedimento che ha portato alla multa contro Report. Un microsistema accademico e familiare che dal campus di Salerno è arrivato a Roma sul Frecciarossa della politica, fino a decidere chi può o non può raccontare il potere.
A quel punto due voti su quattro erano certi. Ma per infliggere sicuramente la sanzione a Report serviva un terzo voto certo. Lo conferma un dettaglio mai emerso finora che collega la “visita” di Agostino Ghiglia in via della Scrofa all’esito stesso della votazione. Fino all’ultimo, l’ex missino, ex An, già coordinatore piemontese di Fratelli d’Italia non era favorevole alla sanzione. Nelle ore precedenti sosteneva anzi di voler limitare il provvedimento a un ammonimento. Dopo la “visita” in via dellaScrofa, guarda caso, Ghiglia cambia idea. Non sarà certo un caso.
La sequenza è ormai chiara: 16 ottobre, la bomba di Pomezia distrugge l’auto di Ranucci e quella di sua figlia; 21 ottobre, in piazza Santi Apostoli, cittadini e giornalisti manifestano per la libertà di stampa; 22 ottobre, Ghiglia entra nella sede di FdI ancora indeciso sul voto; 23 ottobre, il Garante approva la multa con tre voti favorevoli e uno contrario. In meno di una settimana, la solidarietà si è trasformata in censura del Garante. Una nuvola nera che segue Report e che racconta meglio di ogni inchiesta lo stato della libertà d’informazione in Italia.
(da Il Fatto Quotidiano)
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