Ottobre 28th, 2025 Riccardo Fucile
GLI EQUILIBRISMI DI GIORGIA DI FRONTE ALLA QUINTA COLONNA DI PUTIN
La passeggiata romana di Viktor Orbán è stata illuminante. Non tanto per le arcinote
posizioni del primo ministro ungherese, leader di una nazione dove lo Stato di diritto scricchiola e sempre più critico con l’Unione europea, nella quale il suo Paese non avrebbe mai dovuto entrare.
Quanto piuttosto per aver acceso l’ennesimo faro sulle camaleontiche acrobazie di Giorgia Meloni, abilissima a vestire una mise per ogni occasione: orbaniana con Orbán, europeista con von der Leyen, atlantista con Trump.
Anche quando il suo ospite d’onore spara l’ennesima bordata contro Bruxelles e Washington. “L’Ue non conta nulla”, taglia
corto l’alleato di Giorgia, aggiungendo: “Trump sbaglia sulle sanzioni, vado da lui per fargli togliere le sanzioni”. Una scudisciata, senza citare la padrona di casa, alla politica estera italiana.
Eppure, nella nota ufficiale di Palazzo Chigi, Giorgia non ha avuto nulla da eccepire. Tanto, tra TeleMeloni, Mediaset e il lungo elenco di giornali amici, nessuno le chiederà conto del doppio, anzi del triplo gioco che sta conducendo sui tavoli nazionale e internazionale. Poi non c’è da stupirsi se trasmissioni come Report, contro cui ieri si è scagliata perfino l’Ungheria proprio mentre Orban era in Italia, diano tanto fastidio al potere. Del resto un’Authority indipendente si può limitare con le nomine politiche. La stampa libera alla Ranucci, invece, non la fermano neppure le bombe.
(da lanotiziagiornale.it)
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Ottobre 28th, 2025 Riccardo Fucile
BOCCHINO: “DA ME C’E’ STATO SOLO 20 MINUTI”
Nell’affaire Garante-Report c’è un buco nero di 50 minuti. E tocca capire se sono pieni di chiacchiere o di balle. Italo Bocchino, sentito dal Fatto, conferma di aver incontrato nel pomeriggio del 22 ottobre Agostino Ghiglia, il componente del Collegio del Garante immortalato da Report mentre entra in via della Scrofa 39, sede di Fratelli d’Italia, alla vigilia del voto che avrebbe inflitto al programma di Rai3 una multa da 150 mila euro.
Dopo giorni di silenzio, ieri sera in un’intervista rilasciata al Corriere, Ghiglia ha spiegato che “tutto si è svolto nella massima trasparenza”: “Ho incrociato Arianna Meloni, ci siamo salutati e scambiati due convenevoli”. Ma la versione non convince. I filmati mostrano Ghiglia entrare alle 15.35 e uscire alle 16.45: un’ora e dieci minuti dentro la sede del partito. Bocchino però al Fatto dice che l’incontro “è durato pochissimo, venti minuti al massimo”. Tanto che non si ricorda neanche il titolo del libro di Ghiglia che dovrebbe presentare. E allora dove è stato Ghiglia
per gli altri 50 minuti?
L’ufficio di Bocchino, direttore del Secolo d’Italia, è sullo stesso pianerottolo di quello di Arianna Meloni al secondo piano di via della Scrofa 39. “Dell’incontro di Ghiglia con Arianna io l’ho letto sui giornali di stamattina, io non li ho visti. Il mio è il penultimo ufficio in fondo a un lungo corridoio – racconta – sul lato sinistro del piano. Per andare da Arianna, Ghiglia deve attraversare tutto il palazzo e uscire sul pianerottolo”.
Un dettaglio non irrilevante, visto che i due piani sono divisi a metà: una parte ospita la Fondazione, l’altra è affittata a Fratelli d’Italia.
Bocchino conosce Ghiglia da quarant’anni, dai tempi del Fuan: “Eravamo dirigenti nazionali assieme – io a Perugia, lui a Torino. Lo conosco dal 1985”. Ne parla con la franchezza di chi lo ha frequentato a lungo: “Non è uno che si fa dettare la linea. Se provi a dirgli cosa deve pensare, ti tiene un’ora per spiegarti l’esatto contrario”. Conferma che l’incontro del 22 ottobre non fu casuale: “Era fissato in agenda per le 16. Dovevamo concordare la presentazione dei nostri libri”. Esclude però che si sia parlato di Report: “Assolutamente no. Anche perché io sono noto nel nostro ambiente come l’unico amico di Ranucci”.
Ma Bocchino dice anche di più, mostrando quanto la vicenda resti oscura anche in casa FdI. “Non so se la multa sia giusta o sbagliata, non mi intrometto, ma un docile ammonimento sarebbe bastato. Lo scontro non era la strada giusta e se poi c’è stata una discriminazione ai danni di Ranucci, me ne dolgo e la ritengo ingiusta. Sarebbe inaccettabile”. Un giudizio che – a quanto risulta al Fatto – coincideva con quanto Ghiglia aveva in mente prima di varcare quel portone. Il giorno dopo, però, voterà per la multa. E ora getta altra benzina sul fuoco: “Sono pronto a denunciare chi mi ha pedinato”. A un membro del Garante che non risponde ai giornalisti ma li minaccia, tocca anche ricordare che “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni preventive né a censure” (art. 21 Cost.).
(da ilfattoquotidiano.it)
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Ottobre 28th, 2025 Riccardo Fucile
PERCHE’ UN GARANTE DELLA PRIVACY ENTRA NELLA SEDE DI FDI
Quindi, ricapitolando. Il 16 ottobre una bomba a Pomezia distrugge l’auto di Sigfrido Ranucci
e quella di sua figlia. Il 21 ottobre, in piazza Santi Apostoli, cittadini e giornalisti manifestano per la libertà di stampa. Il 22 ottobre, il meloniano Agostino Ghiglia, membro del Collegio del Garante per la Privacy, entra nella sede romana di Fratelli d’Italia ancora indeciso sul voto su Report (in quel momento era più per il no che per il sì alla maxi-sanzione); il 23 ottobre, il Garante approva la multa con tre voti favorevoli e uno contrario (dunque il voto di Ghiglia è stato decisivo). Report prima e il Fatto poi svelano la visita di Ghiglia alla sede di FdI. Perché c’è andato? Ha incontrato Arianna Meloni? Qualcuno/a gli ha fatto cambiare idea, dicendogli di votare contro Ranucci e dimostrando che la solidarietà della destra era finta e che il Garante è un’authority “indipendente” quanto può esserlo Molinari su Israele? Non si sa. Si sa però che, dopo una giornata di silenzi e imbarazzi, il mitologico Ghiglia dà la sua versione. Ed è ovviamente una versione credibilissima: “Mi sono recato in via della Scrofa, ma per incontrare il direttore del Secolo d’Italia, Italo Bocchino, in merito a una presentazione a Torino e a Roma dei nostri due nuovi libri”. Già che era lì, aggiunge, ha “incrociato Arianna Meloni, ci siamo salutati e scambiati due convenevoli perché era molto impegnata”.
Una ricostruzione granitica, che sgombra il campo da qualsivoglia dubbio e dimostra inequivocabilmente che il Garante non prende ordini da Fratelli d’Italia, che Lollobrigida è Adenuaer e che Gasparri è più figo di Brad Pitt. Ciò nonostante, circolano altre ricostruzioni. Le riporto di seguito, solo per amore di verità.
Reunion dei Nirvana con Donzelli.
Ghiglia è andato nella sede di Fratelli d’Italia per riunire i Nirvana, la storica band grunge di Kurt Cobain. Per l’occasione, Ghiglia suonerà il basso, Crosetto la batteria e Foti la chitarra, mentre il ruolo – non facile – di erede di Cobain sarà affidato a Donzelli, la cui resa vocale nella cover di Smells Like Teen Spirit è già stata paragonata da Mario Sechi a quella di Freddie Mercury al Live Aid del 1985.
Giocare a canasta con la Montaruli.
Non tutti sanno (ed è un peccato) che Ghiglia è un grande appassionato di canasta. Ci gioca di continuo. Il 22 ottobre, nella sede di FdI c’era anche Augusta “Bau Bau” Montaruli, altra virtuosa di canasta. Ghiglia si è quindi recato lì per sfidarla. All’incontro ha partecipato anche Bignami, che di fronte a una tale esibizione di agonismo di classe e rispetto si è virilmente commosso.
La gara a chi ce l’ha più lungo (il busto).
Versioni contrastanti e non verificate, sostengono invece che Ghiglia fosse lì per giocare con Ignazio La Russa alla gara su chi ha il busto (del Duce) più lungo e più grosso. Sempre secondo questa versione, Ghiglia avrebbe perso malamente la sfida, ammettendo dopo la sconfitta che in queste cose Ignazio è imbattibile.
Sfida di cervelli con Lollobrigida e Sangiuliano. No, questa è troppo grossa anche per loro, dài.
Per amore del Gozzano. Ghiglia è un fine letterato e ama molto la corrente letteraria post-decadente del crepuscolarismo. Per questo ha un debole smodato per il Gozzano. Quella sera si è recato in via della Scrofa perché è lì che viene conservata una versione rarissima in pelle di struzzo strabico della raccolta di poesie I colloqui, anno 1911. Il Ghiglia aveva urgente bisogno di leggerla, proprio quella sera, e già che c’era ha recitato all’impronta – di fronte ai non pochi astanti – il componimento Cocotte. Quando il Ghiglia ha recitato il verso “Non amo che le rose che non colsi”, Arianna Meloni ha sospirato rapita. Per poi applaudire sei ore di fila. Le versioni più accreditate sono queste. A voi trarre le conclusioni. Resta, da parte mia, un’unica riflessione finale: ma credono davvero che siamo tutti scemi e ci beviamo qualsiasi cosa?
(da ilfattoquotidiano.it )
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Ottobre 28th, 2025 Riccardo Fucile
LO HA STABILITO IL GIP DI BOLZANO CHE HA DISPOSTO ANCHE IL DIVIETO DI AVVICINAMENTO E QUELLO DI COMUNICARE CON I FIGLI DELLA COPPIA
Braccialetto elettronico per il presidente del consiglio comunale di Bolzano, Carlo Vettori: lo ha stabilito il gip di Bolzano.
Le indagini, per ora allo stato preliminare, coinvolgono il membro di Fratelli d’Italia per maltrattamenti ai danni della compagna, aggravati dall’aver commesso il fatto in presenza dei figli minorenni.
Si procede inoltre per lesioni aggravate per aver commesso il fatto contro la compagna convivente e danneggiamento.
Il gip ha confermato il braccialetto elettronico convalidando nell’udienza dello scorso 22 ottobre il provvedimento dell’allontanamento d’urgenza dalla sua casa familiare disposto dalla questura. Il giudice ha accolto la richiesta della Procura di applicazione nei suoi confronti anche del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalle persone offese, con il divieto di comunicare con qualsiasi mezzo con i figli e la compagna, con applicazione del dispositivo elettronico.
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2025 Riccardo Fucile
IL TESORO TOTALE DI “PATRIMONI TRASFERITI” SI STIMA ABBIA UN VALORE DI 250 MILIARDI DI EURO, PARI AL 15% DEL PIL
Un tesoro stimato 250 miliardi di euro, pari ad almeno il 15% del Pil. È questo il valore totale
dei patrimoni trasferiti in Italia, fra eredità e donazioni, calcolato in base al valore reale.
La “ricchezza ereditata” cresce. Gli ultimi dati agli atti di registro e successione, per l’anno d’imposta 2023, quantificano in quasi 80 miliardi di euro i beni “trasferiti” fra immobili e diritti reali immobiliari, aziende, azioni e obbligazioni, altri cespiti. «Salgono le donazioni» prosegue il professor Morelli. «Rappresentano ormai il 40% del totale: di sicuro, per gli incentivi fiscali ma anche per un cambio strutturale nella società».
Del resto, la propensione a fare testamento resta bassa.
Secondo le rilevazioni del ministero della Giustizia, in media, non più del 13% degli italiani lascia scritte le volontà per la sua successione.
Stando ai dati del Notariato, nel 2024 sono stati registrati 47.085 atti per trasferire beni mobili (in aumento dell’1,7% rispetto all’anno precedente) e ben 217.749 per beni immobili. Un balzo del 6,8%, prossimo al record toccato nel 2021.
Più fattori contribuiscono a questo trend. Coppie separate, famiglie allargate, centri affettivi di unioni non formalizzate creano i presupposti per un lascito ereditario più articolato di un tempo. Si procede a pianificare anche per evitare liti, in famiglia o in azienda.
Ma, alla base, c’è anche l’aspettativa di vita più lunga. I “baby boomer”, over 60, sono più longevi e hanno potuto accumulare più risorse.
«A dispetto della narrazione, siamo ancora un paese di formiche e la propensione al risparmio resta alta» sottolinea Pietro Ciarletta, consigliere nazionale del Notariato. «Ma oggi si tende a porzionare più facilmente i propri beni per aiutare i figli, che spesso scontano un minore reddito disponibile. E molti fondatori di piccole e medie imprese, ossatura della nostra economia, si
preoccupano di assicurare una successione alla propria attività».
Che cosa si dona? Per la prima categoria di beni (contanti, polizze vita, investimenti e titoli, obbligazioni, auto, diritti o brevetti, opere d’arte, preziosi, aziende e quote societarie, beni futuri), si tratta, per lo più, di quote e azioni (il 42,39% del totale) o di denaro (un altro 40,64%). Per la seconda, i beni più “donati” sono abitazioni e fabbricati (negozi, capannoni, magazzini).
Insieme a nuda proprietà e usufrutto, gli immobili rappresentano quasi l’80% delle donazioni effettuate mentre i terreni agricoli restano invariati.
L’identikit del donante vede in testa le donne (più generose), l’area del Nord-Ovest e l’Emilia-Romagna per le donazioni di beni mobili (se ne fanno più della media italiana), il Sud e le isole per i beni immobiliari, con la Campania sul podio (28.452 atti nell’ultimo anno). Quanto all’età, in genere chi dona ha dai 56 anni in su.
Mentre chi riceve ha fra i 18 e i 55 anni ma più di un quarto è nella fascia di età over 46.
Per beneficiari in linea retta come coniuge e figli, per esempio, si applica una franchigia individuale fino a un milione di euro per ogni erede. Tradotto: immobili o altri beni sono esentasse, se la quota di ciascuno non supera questo limite.
Oltre, scatta il 4% di tassazione sulla parte eccedente.
Fra le novità introdotte dall’attuale governo, dal 1° gennaio 2025, c’è la definitiva fine del cosiddetto “coacervo donativo”: se prima il calcolo dell’imposta di successione doveva tenere conto delle
donazioni in vita, ora vige la separazione con doppia franchigia: un milione di euro in donazione più uno in successione. Per coniuge e figli, quindi, la “franchigia cumulabile” sale a due milioni di euro. Un beneficio che consente di godere di un risparmio fino a 40 mila euro (4% sul milione in più esente).
Per agevolare il passaggio generazionale nelle imprese familiari, inoltre, l’esenzione è stata estesa ad aziende o rami di aziende e partecipazioni societarie trasferite a coniuge o figli, a patto che il beneficiario prosegua l’attività per almeno cinque anni o acquisisca (conservi) il controllo della società per lo stesso periodo.
A fronte degli incentivi, l’incasso da successione per l’erario resta modesto ovvero meno di un miliardo all’anno. C’è, infine, un altro fenomeno: i patrimoni senza eredi.
La Fondazione Cariplo stima che, nel 2030, questi averi sfioreranno i 21 miliardi di euro ma, a causa del calo delle nascite, nell’arco dei successivi dieci anni potrebbero arrivare a 90 miliardi di euro.
I potenziali lasciti senza un legittimo beneficiario andrebbero da 8,4 miliardi nel 2023 a 35,7 nel 2040. Uno spazio, forse, per aiutare una buona causa o redistribuire la ricchezza ereditata.
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2025 Riccardo Fucile
“GLI INVESTIGATORI E GLI OSSERVATORI CERCANO ANCORA DI DETERMINARE L’ESTENSIONE COMPLETA DEI LEGAMI DI EQUALIZE CON I SERVIZI SEGRETI ITALIANI E SE ALCUNI CLIENTI FOSSERO CONSAPEVOLI O COMPLICI. I DOCUMENTI DI POLIZIA SONO AMPIAMENTE CENSURATI, LASCIANDO IGNOTE LE IDENTITÀ DI FIGURE CHIAVE E LA PIENA PORTATA DELL’OPERAZIONE”
Nulla nella facciata color sabbia del palazzo nascosto dietro il Duomo di Milano lasciava intendere che al suo interno un
gruppo di ingegneri informatici stesse costruendo un database per raccogliere informazioni private e compromettenti sull’élite politica italiana — e usarle per tentare di controllarla.
La piattaforma, chiamata Beyond, aggregava centinaia di migliaia di registrazioni provenienti da banche dati statali — inclusi movimenti finanziari segnalati e indagini penali — per creare profili dettagliati di politici, leader economici e altre figure di rilievo.
Le intercettazioni della polizia registrarono una persona identificata come Samuele Calamucci, presunto cervello tecnico del gruppo, vantarsi che quei dossier davano loro il potere di “fregare tutta l’Italia”.
L’operazione crollò nell’autunno del 2024, quando un’indagine durata due anni culminò con l’arresto di quattro persone e l’interrogatorio di altre sessanta. I presunti capi hanno negato di aver mai avuto accesso diretto alle banche dati statali, mentre gli operatori di livello inferiore sostengono di aver condotto solo ricerche open-source, convinti che le loro azioni fossero legali.
POLITICO ha ottenuto migliaia di pagine di trascrizioni di intercettazioni e mandati di arresto, e ha parlato con presunti autori, vittime e funzionari impegnati nelle indagini. Insieme, i documenti e le interviste rivelano un intricato complotto per costruire un database pieno di dati riservati e compromettenti — e un piano d’affari per sfruttarlo sia con mezzi legali sia illegali.
In apparenza, il gruppo si presentava come una società di intelligence aziendale, che cercava clienti di alto profilo vantando competenze nella risoluzione di complessi problemi di
gestione del rischio come frodi commerciali, corruzione e infiltrazioni della criminalità organizzata.
I pubblici ministeri accusano la banda di aver compilato dossier dannosi accedendo illegalmente a telefoni, computer e banche dati statali contenenti informazioni che andavano dai registri fiscali alle condanne penali. I dati potevano essere utilizzati per fare pressioni o minacce alle vittime, oppure passati ai giornalisti per screditarle.
Tra i presunti autori figurano un ex investigatore di punta della polizia, il dirigente ai vertici del complesso fieristico di Milano e diversi esperti di cybersicurezza noti nel panorama tecnologico italiano. Tutti hanno negato ogni illecito.
Quando la banda attirò per la prima volta l’attenzione degli investigatori nell’estate del 2022, fu quasi per caso.
La polizia stava seguendo un gangster del Nord Italia che aveva organizzato un incontro con l’ex ispettore di polizia Carmine Gallo in un bar del centro di Milano. Gallo, veterano della lotta contro la criminalità organizzata, era una figura nota negli ambienti delle forze dell’ordine italiane. L’incontro suscitò sospetti, e le autorità misero Gallo sotto sorveglianza — scoprendo così, in modo accidentale, le operazioni più ampie della banda.
Gallo, morto nel marzo 2025, era una figura imponente nelle forze dell’ordine italiane. Aiutò a risolvere casi di alto profilo come l’omicidio nel 1995 di Maurizio Gucci — eseguito dall’ex moglie del magnate della moda, Patrizia Reggiani, e dalla sua veggente — e il rapimento nel 1997 dell’imprenditrice milanese
Alessandra Sgarella da parte della ‘ndrangheta.
Eppure la carriera di Gallo non fu priva di controversie. In quattro decenni, coltivò legami con reti della criminalità organizzata e fu più volte indagato per aver oltrepassato i limiti della legge. Alla fine ricevette una condanna sospesa di due anni per aver divulgato segreti d’ufficio e per favoreggiamento.
Quando si ritirò dalla polizia nel 2018, Gallo portò illegalmente con sé materiale investigativo, come trascrizioni di interrogatori con informatori, alberi genealogici di famiglie mafiose e identikit, secondo i documenti dei pubblici ministeri. Il suo modus operandi, vantava nelle intercettazioni, era dire ai dipendenti comunali di “andare a prendere un caffè e tornare tra mezz’ora” mentre lui fotografava i documenti.
Eppure la sua etica del lavoro restava implacabile. Nel 2019 cofondò Equalize — la società informatica che ospitava il database Beyond — insieme al suo socio in affari Enrico Pazzali, presentando l’azienda come una società di intelligence per la gestione del rischio aziendale.
Gli anni di Gallo come poliziotto gli diedero un vantaggio unico: poteva sfruttare le relazioni con ex colleghi nelle forze dell’ordine e nei servizi segreti per convincerli a condurre ricerche illegali per suo conto. Alcune delle informazioni ottenute venivano poi rielaborate come dossier reputazionali per i clienti, con tariffe fino a 15.000 euro.
Gallo monetizzava anche la sua influenza per ottenere favori, come il procacciamento di passaporti per amici e conoscenti. Gli investigatori registrarono conversazioni in cui si vantava di aver procurato un passaporto a un mafioso condannato, sotto inchiesta per rapimento, che pianificava la fuga negli Emirati Arabi Uniti.Il superpoliziotto diventato supercriminale affermava che Equalize avesse una visione completa delle operazioni criminali italiane, estesa persino a paesi come Australia e Vietnam.
Quando gli investigatori fecero irruzione nella sede del gruppo, trovarono migliaia di fascicoli e dossier che coprivano decenni di storia criminale e politica italiana. Gli hacker sostenevano perfino di possedere — come parte di quello che chiamavano il loro “archivio infinito” — prove video dei celebri festini “bunga bunga” dell’ex primo ministro Silvio Berlusconi, che gli investigatori definirono “uno strumento di ricatto di altissimo valore”.
La morte improvvisa di Gallo per infarto, sei mesi dopo l’inizio dell’indagine, suscitò inquietudine tra i pubblici ministeri. Osservarono che, sebbene un’autopsia iniziale non avesse rilevato segni di trauma o iniezione, l’assenza di tali prove non esclude necessariamente un intervento esterno. Gli investigatori hanno ordinato esami tossicologici.
“Zio Bello”
Il collaboratore di Gallo, Enrico Pazzali, un noto uomo d’affari che dirigeva la prestigiosa Fondazione Fiera Milano, il più grande centro espositivo del Paese, era il presunto frontman di Equalize.
Attraverso il suo avvocato, Pazzali ha rifiutato di commentare con POLITICO le accuse.
La Fiera, calamita di denaro e potere, rese Pazzali un
personaggio influente negli ambienti milanesi. Dopo aver costruito una carriera di successo nei settori dell’informatica, dell’energia e in altri ambiti, e sfoggiando una folta chioma grigia d’acciaio, era noto a molti con il soprannome di “Zio Bello”.
Pazzali coltivava stretti legami con politici di destra, tra cui Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, e manteneva relazioni con alti funzionari dei servizi segreti. Riceveva i clienti a bordo di una Tesla X nera con autista, completa di lampeggiante blu sul tetto — del tipo solitamente riservato agli alti funzionari.
Dal 2019, Pazzali deteneva il 95% delle quote di Equalize. Se il ruolo di Gallo era quello di reperire informazioni riservate, quello di Pazzali, secondo i pubblici ministeri, era di assicurarsi clienti di alto profilo. Sfruttando la propria reputazione e le connessioni politiche, ottenne commesse da banche, conglomerati industriali, multinazionali e studi legali internazionali,
“Il professore” e i ragazzi
Entra in scena Samuele Calamucci, il cervello informatico dell’operazione.
Calamucci proveniva da un piccolo paese nei dintorni di Milano e, prima di intraprendere la carriera nella cybersicurezza, aveva lavorato nella lavorazione della pietra.
A differenza dei suoi soci Gallo e Pazzali, Calamucci non era una figura nota in città — e aveva lavorato duramente per rimanere nell’ombra. Gestiva una propria società di
investigazioni private, Mercury Advisor, dagli stessi uffici di Equalize, occupandosi delle operazioni informatiche come consulente esterno.
Calamucci conosceva bene i sistemi informatici governativi italiani. In conversazioni intercettate, affermava di aver contribuito alla costruzione dell’infrastruttura digitale per l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale e di aver lavorato per il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza dei servizi segreti.
Conosciuto all’interno della banda come “il professore”, Calamucci aveva il compito di reclutare e gestire un team di 30-40 programmatori, che chiamava “i ragazzi”.
Con i migliori tra loro, iniziò a costruire Beyon nel 2022, la piattaforma concepita come l’equivalente digitale di un occhio onniveggente.
Per alimentarla, Calamucci e il suo team acquistavano dati dal dark web, sfruttavano gli accessi derivanti da contratti di manutenzione IT governativi e prelevavano intelligence da banche dati statali ogni volta che ne avevano la possibilità, secondo i pubblici ministeri.
In una conversazione registrata, Calamucci si vantava di possedere un hard disk contenente 800.000 dossier. Attraverso il suo avvocato, ha rifiutato di commentare.
“Pensavamo tutti che i rapporti richiesti servissero al bene del Paese”, ha dichiarato uno degli hacker, protetto dall’anonimato per poter parlare liberamente. “Il 90% dei rapporti riguardava progetti energetici, che richiedevano controlli su precedentpenali
o appartenenze a organizzazioni mafiose, dato che una larga parte interessava il Sud.” Solo il 5% dei lavori, ha aggiunto, riguardava individui che volevano analizzare nemici o concorrenti.
Gli hacker “non dovevano sapere” chi entrasse negli uffici di Equalize dall’esterno. Le riunioni si tenevano a porte chiuse nell’ufficio di Gallo o nelle sale conferenze, ha raccontato l’hacker a POLITICO, spiegando che gli analisti ignoravano le dinamiche interne e le persone con cui l’azienda si relazionava.
Beyond diede a Pazzali, Gallo e alla loro banda un tesoro di informazioni compromettenti su figure politiche e imprenditoriali, in una piattaforma consultabile. Le intercettazioni indicarono che il piano era vendere l’accesso tramite abbonamento a clienti selezionati, tra cui lo studio legale internazionale Dentons e alcune delle “Big Four” come Deloitte, KPMG ed EY.
Dentons ha rifiutato di commentare. Deloitte ed EY non hanno risposto alle richieste. Audee Van Winkel, responsabile comunicazione di KPMG Belgio, dove lavorava uno dei presunti membri della banda, ha dichiarato che la società “non aveva alcuna conoscenza né registrazione di rapporti con la piattaforma.”
Equalize è stata liquidata nel marzo 2025, e alcuni degli hacker presunti hanno nel frattempo assunto ruoli legittimi nel settore della cybersicurezza.
Rimangono però molte domande irrisolte. Gli investigatori e gli osservatori cercano ancora di determinare l’estensione completa
dei legami di Equalize con i servizi segreti italiani e se alcuni clienti fossero consapevoli o complici dei metodi usati per compilare i dossier sensibili. Le interviste con funzionari dell’intelligence condotte durante l’indagine non sono mai state trascritte, e le testimonianze rese davanti alla commissione parlamentare restano classificate. I documenti di polizia sono ampiamente censurati, lasciando ignote le identità di figure chiave e la piena portata dell’operazione.
Sebbene Equalize sia senza precedenti per scala, gli sforzi per raccogliere informazioni sugli avversari politici sono “diventati una tradizione italiana”, ha detto lo storico politico Giovanni Orsina. Lo spionaggio e i giochi di potere, durante e dopo la Guerra Fredda, hanno danneggiato la democrazia e minato la fiducia nelle istituzioni pubbliche, aggravati da un sistema giudiziario lento che può impiegare anni, se non decenni, per fare giustizia.
“Contribuisce alla percezione che l’Italia sia un Paese in cui non si riesce mai a scoprire la verità,” ha detto Orsina.
Franco Gabrielli, ex direttore dei servizi segreti civili italiani, ha avvertito che anche la più severa delle condanne difficilmente metterà fine alla pratica. “Aumenta solo i costi, perché se rischio di più, chiedo di più,” ha detto.
“Dobbiamo limitare i danni, mettere in atto procedure e meccanismi,” ha aggiunto. “Ma, purtroppo, in tutto il mondo, anche dove si guadagna di più, ci sono sempre le pecore nere, persone che si lasciano corrompere. È nella natura umana.”
(da politico.eu)
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Ottobre 28th, 2025 Riccardo Fucile
È CACCIA AGLI ESPERTI DI INTELLIGENZA ARTIFICIALE, CLOUD COMPUTING, ANALISTI DEI DATI, REALTÀ VIRTUALE E AUMENTATA E BLOCKCHAIN
«Alle imprese servono 686 mila lavoratori con «elevate competenze digitali avanzate». Ma
più della metà dei profili richiesti è difficile da trovare. In particolare in alcune Regioni: il Trentino-Alto Adige, il Friuli-Venezia Giulia, l’Umbria e la Toscana. Uno scenario che emerge dai risultati della ricerca “I pionieri dell’Ai” condotta dall’Ufficio studi di Confartigianato
che ha analizzato i dati di UnionCamere, Ministero del Lavoro, Sistema Excelsior e Istat.
Il quadro generale è che due imprenditori su tre hanno un’opinione positiva sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dei robot nei luoghi di lavoro. Allo stesso tempo, però, in Italia solo l’11,4% delle aziende con dipendenti lo ha fatto. E sono soprattutto in Lombardia (quasi il 18%), in Lazio, in Campania, in Veneto e in Emilia-Romagna. Un po’ diverso per le piccole medie imprese, che usano l’Ai soprattutto nelle Marche, in Veneto, in Sardegna, in Emilia-Romagna e in Toscana.
Ma se le nuove tecnologie interessano così tanto perché vengono impiegate così poco? Sette aziende su 10 non sanno come farlo. Da qui, la necessità di esperti. […] Il 13% delle imprese ha già assunto figure professionali specializzate in Ai, o intende farlo entro la fine dell’anno.
Ma il 53,5% dei profili è difficile da reperire. È caccia agli esperti di intelligenza artificiale, cloud computing, analisti dei dati, realtà virtuale e aumentata e blockchain. Ecco perché entrano in gioco le università. Che si stanno attrezzando con nuovi corsi di laurea ad hoc mentre intanto inseriscono questa materia all’interno degli insegnamenti che esistono già, “contaminando” i corsi di ingegneria meccanica, biomedica, civile o design.
Il Politecnico di Torino ad esempio quest’anno ha aperto un master di II livello in “Ai: tecnologie, modelli e applicazioni” rivolto proprio a neo-laureati e professionisti che vogliono approfondire le tecnologie più avanzate. Che si aggiunge a un
master dedicato alle “innovazioni e strategie per la trasformazione digitale nelle scelte manageriali” e ad altre tre lauree magistrali.
«Si tratta soprattutto di trasferire alla didattica quello che i nostri docenti fanno già nei gruppi di ricerca – spiega il vice rettore del Politecnico Fulvio Corno – Facciamo vedere che queste applicazioni danno dei risultati concreti».
Eppure, questa transizione resta difficile. Secondo le analisi del Politecnico il problema è che «riescono a beneficiare dell’Ai solo le aziende che negli ultimi dieci anni hanno digitalizzato i propri processi». Prendiamo come esempio l’utilizzo dell’Ai per selezionare il personale. «Si può fare solo se l’impresa ha già trasferito a livello digitale tutti i curricula e le necessità di assunzione di cui ha bisogno» spiega Corno.
Ecco perché in un Paese in cui la transizione digitale non è ancora completa è difficile pensare di utilizzare l’intelligenza artificiale in tutti gli ambiti. A oggi le imprese che usano queste tecnologie lo fanno soprattutto per la gestione economica e per il marketing, la promozione digitale, l’e-commerce. Pochissimi invece le sfruttano per organizzare e gestire le risorse umane o nella logistica. Ma gli ambiti di applicazione sono tantissimi.
All’Università di Torino, per esempio, esiste una laurea magistrale sull’Ai applicata agli aspetti medici, mentre l’anno prossimo ne partirà un’altra che punterà sulle tecniche di prossima generazione. Anche qui, però, parte tutto dai dati. «Ecco perché dobbiamo lavorare su dati nuovi creando problemi nuovi, in collaborazione con le aziende del territorio – spiega
Marco Aldinucci, delegato per l’intelligenza artificiale dell’Università – Come ateneo vorremmo aiutare le aziende a pensare a un piano per futuro, per guardare l’Ai per come sarà, e non solo per com’è oggi».
Non semplice, siccome appunto il 70% delle imprese non sa come affrontare questo cambiamento nell’immediato. «Perché l’Ai sta crescendo e diventando un oggetto sempre più complesso e costoso – continua Aldinucci – se usato bene migliora la produttività, se usato male peggiora la qualità dei servizi. Servono grandi investimenti e persone dedicate, con grosse competenze». I giovani questo lo capiscono molto bene. Tant’è che il settore sta raccogliendo sempre un maggiore interesse.
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2025 Riccardo Fucile
IL CASO DELLA GUERRA CIVILE LIBICA CON MIGLIAIA DI RUSSI, TURCHI, FRANCESI E AMERICANI SCHIERATI … CON IL RIDIMENSIONAMENTO REGIONALE DEL RUOLO DEL PENTAGONO DECISO DA TRUMP, ANCHE L’AMMINISTRAZIONE USA SCEGLIE LA STRADA DELL’APPALTO AI MERCENARI
Sono un “boomerang senza legge”, purtroppo dilagante nella volatilità sicuritaria del continente africano: una miniera d’oro per le compagnie militari e di sicurezza private, rimedio ingannevole di governi locali fragili, spesso in affanno nel controterrorismo e nel presidio di risorse e confini.
Mercenari e contractor d’ogni dove, molti dei quali ex incursori, ex militari di professione ed ex agenti di forze di polizia a ordinamento militare, combattono e fanno intelligence; proteggono infrastrutture economiche e aziende, sedi istituzionali e personale; inquadrano e preparano forze militari e di polizia. Tradiscono un vulnus nel controllo statale dell’uso legittimo della forza armata, espressione di Stati falliti e longa manus, non troppo arcana, dell’imperialismo neocoloniale cinese, russo, turco e occidentale.
Nel caos della guerra civile libica hanno sguazzato migliaia di contractors e mercenari, russi, turchi, francesi e americani su tutti. Erik Prince, fondatore della famigerata Blackwater, sta
rientrando in loco con il nuovo marchio della Freedom First, interessata alla valorizzazione energetica, almeno per ora.
Raccontano le fonti che intorno al 2017 operavano in Africa ventuno compagnie militar-sicuritarie private di diritto americano, alcune delle quali assoldate anche dalle missioni di pace delle Nazioni Unite, altre affini al Comando statunitense per l’Africa.
In uno scenario che vedrà un probabile ridimensionamento regionale del ruolo del Pentagono, l’agenda africana dell’amministrazione statunitense sarà in parte appaltata al privato e si annuncia un nuovo afflusso di contractor statunitensi, che si aggiungeranno a quelli di Constellis e Caci, presenti ovunque. Amentum è la prossima, attesa in Tripolitania.
La guerra in Congo è uno spaccato di un cosmopolitismo di mercenari: vi è stata attivissima la società di sicurezza privata Agemira RDC, filiale congolese dell’Agemira franco- bulgara che, ingaggiata inizialmente a Goma per la manutenzione dei cacciabombardieri Su-25 e degli elicotteri d’attacco Mi-24, è cresciuta nel portafogli, fornendo consulenza allo stato maggiore delle forze armate congolesi e addestrandone alcune unità nel Kivu Settentrionale, terra di affari non meno che di guerra anche per Congo Protection, le cui azioni sono state dirette dal rumeno Horatiu Potra, ex soldato della Legione Straniera francese
Nella cabina di regia fra Parigi e Kinshasa siederebbe la società privata Themiis, specializzata nella formazione in ambito sicurezza e difesa e coinvolta dal 2016 nella gestione del Collège des Haute Etudes de Stratégie et de Défense della capitale
congolese.
La corporation britannica G4S si picca di avere suoi uomini in 29 Paesi africani, compreso il Sudafrica, dove protegge aeroporti e 38 miniere, integrando pure le operazioni di law enforcement. Una multinazionale con più linee di business, macchiatasi in passato di abusi sui detenuti.
Non è andata per il sottile nemmeno la Wagner russa, fagocitata oggi dall’Africa Corps ministeriale ma sopravvissuta nel marchio, nelle trame fosche, nei rovesci militari e nelle stragi impunite.
Andrei Averyanov, attuale capo, veterano dell’unità per le operazioni clandestine dell’intelligence militare, avrebbe intrallazzi con giunte golpiste, signori della guerra e mi-litari, alfiere di un do ut des sicuritario- affaristico: offre puntelli draconiani e controllo centralizzato al prezzo di concessioni minerarie.
Allevate dalla Frontier Service di Prince, sono di casa in Africa anche le aziende di contractor cinesi, parte del grande gioco multilaterale, cui non sono immuni nemmeno la turca Sadat, la francese Secopex, la tedesca Asgaard e realtà emiratine e ucraine, espressione di interessi poliedrici.
Il vuoto normativo ha allarmato il Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana che sta sollecitando un irrobustimento della Convenzione del 1977 sul bando del mercenariato in Africa, fenomeno antico, riemerso come fiume carsico mai in secca.
(da agenzie)
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Ottobre 28th, 2025 Riccardo Fucile
RISPETTANDO I DIVIETI SUL GREGGIO RUSSO, PUÒ FORZARE PUTIN A FERMARE L’AGGRESSIONE. MA LO FARÀ? CON L’IRAN LA CINA SI È GIÀ DIMOSTRATA PRONTA A IGNORARE I VINCOLI OCCIDENTALI (COMPRA IL 90% DEI BARILI DI TEHERAN)”
Non importano la disoccupazione giovanile della Cina o i ventenni che non vogliono più
lavorare dodici ore al giorno, sei giorni su sette, come i loro padri.
Né importano il crac immobiliare e la paralisi dei consumi. Non questa settimana. Xi Jinping deve avvicinarsi al vertice con Donald Trump pieno di fiducia nei propri mezzi.
In un sistema internazionale segnato dalle guerre commerciali più dure da un secolo, quest’anno a tutto settembre l’export cinese ha continuato a crescere: più 6% sugli stessi mesi del 2024, le dogane di Pechino.
Sotto il peso dei dazi e delle tensioni politiche con la Casa Bianca, le vendite negli Stati Uniti sono sì crollate del 17%. Ma per la Cina compensa l’aver dirottato i propri prodotti verso l’Unione europea (più 8,2% di export, con Italia e Germania investite in pieno). E compensa anche il boom di export verso l’Asia stessa, Filippine e Vietnam per primi.
Su tutto il resto del mondo Pechino ha poi continuato a praticare un protezionismo diverso da quello di Trump solo perché non è dichiarato, ma palese nei numeri: meno 4% di acquisti dall’Unione europea, meno 8% solo dall’Italia.
In confronto sono gli Stati Uniti a non aver ancora trovati equilibrio, dopo la grande scossa dei dazi impressa da Trump. A tutto luglio l’export americano è sostanzialmente fermo nel 2025 — al netto dell’inflazione — mentre l’import è persino salito di duecento miliardi di dollari perché le imprese hanno riempito i magazzini proprio per paura dei rincari doganali.
Dietro i numeri ciò che agisce È la politica, intesa come puri e semplici rapporti di forza. Ha scritto il Wall Street Journal giorni fa che Xi, di fronte al ritorno di Trump, ha incaricato una task force di sviluppare un concetto nuovo su come negoziare con la Casa Bianca.
Ne facevano parte il suo capo di gabinetto Cai Qi, il responsabile economico He Lifeng e l’ideologo di partito Wang Huning. Il loro avviso: non limitarsi a reagire a Trump, ma offrire concessioni su ciò che a Pechino interessa di meno e presentare le minacce più pesanti di quelle di Trump stesso su ciò che per Xi conta di più.
Così il leader cinese ha assecondato la cessione ad azionisti americani delle attività della cinese TikTok negli Stati Uniti e importerà di nuovo soia dal Mid-West. Ma quando la Casa Bianca ha ripreso a parlare di controlli sulle forniture di semiconduttori, ha reagito con durezza anche maggiore: il 9 ottobre ha fatto annunciare al suo ministero del Commercio una stretta all’export di terre rare raffinate, che servono per smartphone, computer, auto, missili e molto altro.
È bastato questo per spingere Trump al compromesso. Le terre rare, nel suolo, sono presenti in tutto il mondo. Se Pechino controlla il 90% di quel mercato, è perché accetta sul proprio territorio i processi altamente inquinanti necessari a raffinarle. Gli Stati Uniti o l’Europa potrebbero spezzare questo monopolio solo dopo […] dieci anni o più
Per questo Xi Jinping va all’incontro di giovedì con Trump convinto di aver trovato le chiavi della Casa Bianca. Le stesse sanzioni di Trump sulle major del petrolio di Mosca, Rosneft e Lukoil, non possono che rafforzare la sua certezza. Con esse Xi, ancor più di prima, ha in mano il voto decisivo sulla guerra in Ucraina: rispettando i divieti sul greggio russo, può forzare Vladimir Putin a fermare l’aggressione per mancanza di fondi.
Ma lo farà? Con l’Iran, sottoposto alle attuali sanzioni sul petrolio dal 2012, la Cina si è già dimostrata pronta a ignorare i vincoli occidentali e capace di gestire una rete industriale parallela: del vasto export di barili iraniani, compra almeno il 90%. Ma anche sull’Ucraina in fondo Xi può presentare il suo prezzo per rispettare i divieti degli americani: vuole che gli Stati Uniti dichiarino la loro «opposizione» formale all’indipendenza di Taiwan. Poco importa, a Xi, che forse nemmeno Trump può essere così sfacciato da scambiare la salvezza di Kiev per la condanna di Taipei.
(da Corriere della Sera)
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