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ALLARME ROSSO A PALAZZO CHIGI, DUE ITALIANI SU TRE BOCCIANO LA TERZA MANOVRA DEL GOVERNO MELONI, IL 69,9% RITIENE CHE LE MISURE NON SIANO ADEGUATE: UN GIUDIZIO TRASVERSALE TRA ELETTORI DELL’OPPOSIZIONE (74,2%) E DI MAGGIORANZA (54,7%)

Novembre 2nd, 2025 Riccardo Fucile

PARTICOLARMENTE INSODDISFATTO CHI VOTA LEGA: IL 68,2% … DOMINA IL PESSIMISMO: IL 42% RITIENE CHE CI SARÀ UN IMPATTO NEGATIVO SULLA PROPRIA VITA – GHISLERI: “QUANDO IL SALARIO NON REGGE IL PASSO DEL COSTO DELLA VITA E OGNI SPESA QUOTIDIANA DIVENTA UN CALCOLO, LA CONTABILITÀ CORRETTA NON RIESCE A TRADURSI IN FIDUCIA”

Ogni autunno, puntuale come le foglie che cadono, arriva la manovra economica e, ogni volta altrettanto puntuale, si ripete la stessa scena: il governo la presenta come “equilibrata”, “responsabile”, “utile per la crescita”, mentre la maggioranza degli italiani la accoglie con un misto di diffidenza e rassegnazione.
Dietro le cifre e i tecnicismi, la percezione comune è sempre la stessa: la paura di non ricevere nulla, di non vedere cambiamenti reali nella propria vita quotidiana. È come se si fosse sedimentata nel Paese una certezza amara: al di là dei proclami e degli slogan, poco o nulla cambierà o, forse, ci sarà l’aumento del costo delle sigarette e delle accise dei carburanti
Da anni le principali priorità dei cittadini restano le stesse: il carovita, il potere d’acquisto eroso, salari non adeguati, una sanità pubblica sempre più lenta e il tema sempre vivo del lavoro con tutte le sue declinazioni… è proprio su questi temi che il cittadino desidera delle risposte e, anche quest’anno […] molti hanno la sensazione che le risposte non siano all’altezza.
Secondo un sondaggio di Only Numbers, il 66,9% degli italiani ritiene che le misure previste nella nuova manovra non siano adeguate a contrastare questi problemi strutturali e andrebbero potenziate. È un giudizio trasversale: lo afferma il 74,2% degli elettori delle opposizioni, ma anche il 54,7% di quelli che sostengono la maggioranza. Colpisce, in particolare, il dato relativo agli elettori della Lega, tra i quali quasi sette su dieci (68,2%) si dicono insoddisfatti.
Soltanto il 17% degli intervistati giudica le misure della manovra adeguate, una percentuale che sale quasi al 40% tra gli elettori di
Forza Italia e Fratelli d’Italia, mentre più tiepido l’entusiasmo tra i sostenitori della Lega, dove appena il 20,5% ritiene la manovra realmente allineata ai bisogni del Paese.
Tra aspettative e realtà, la distanza percepita cresce. Nelle previsioni degli italiani, infatti, prevale il pessimismo: il 42,1% ritiene che la manovra avrà un impatto negativo o nullo sulla propria vita quotidiana.
Più ottimisti appaiono, come prevedibile, gli elettori di Forza Italia (60,7%) e di Fratelli d’Italia (68,5%), che esprimono un giudizio positivo sulle misure adottate. Più incerti, invece, gli elettori della Lega, dove il quadro si frammenta: poco più di un quarto valuta positivamente la manovra (27,2%), ancora uno su quattro la boccia apertamente (25), mentre il 47,8% preferisce non esprimere un giudizio, oscillando tra cautela e incertezza.
Ciò che emerge dalle dichiarazioni dei cittadini intervistati è che ci si abitua ad aspettare: una visita medica, una busta paga “adeguata”, una promessa politica che si traduca in realtà… L’attesa è diventata la condizione ordinaria di un Paese che da anni vive in sospensione.
È vero, la manovra vale 18 miliardi di euro e rispetta i paletti europei: i conti, come si dice, sono in ordine; tuttavia, per i cittadini questo equilibrio non basta più. Quando il salario non regge il passo del costo della vita e ogni spesa quotidiana diventa un calcolo, la contabilità corretta non riesce a tradursi in fiducia.
Da troppi anni le manovre italiane sembrano scritte per arrivare a fine anno, non per disegnare il prossimo decennio. Si rinviano le riforme strutturali su lavoro, produttività, formazione… Così il Paese resta inchiodato al presente, incapace di immaginare un futuro diverso.
La verità è che gli italiani non chiedono miracoli, ma segnali concreti.
In un momento in cui i salari reali restano inchiodati e il costo della vita continua a correre, l’impressione diffusa è che la politica -tutta- parli un linguaggio diverso da quello delle famiglie e dei lavoratori. Forse è proprio questa la distanza più difficile da colmare: quella tra la fiducia promessa e quella perduta, perché una manovra può essere tecnicamente impeccabile, ma se non riesce a restituire speranza e prospettiva, rischia di restare solo un esercizio contabile.
(da La Stampa)

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LE GRANDI BATTAGLIE DI FDI: IL GELATO PER TUTTI I DEPUTATI. PROSEGUE IL NUOVO CORSO GOURMET DELLA CAMERA: ALLA BUVETTE ARRIVA IL GELATO ARTIGIANALE

Novembre 2nd, 2025 Riccardo Fucile

IL QUESTORE MELONIANO PAOLO TRANCASSINI (PROFESSIONE: RISTORATORE) ESULTA: “È UN ATTO DI GIUSTIZIA NEI CONFRONTI DEI DEPUTATI”. FINORA A MONTECITORIO GLI UNICI CHE POTEVANO GUSTARSI IL GELATO ERANO I DIPENDENTI DELLA CAMERA

Alla fine l’onorevole Paolo Trancassini, Fratelli d’Italia, non ha dubbi: «Far arrivare il gelato alla buvette di Montecitorio è un atto di giustizia nei confronti dei deputati». Secondo Trancassini non era giusto che della golosità del gelato potessero godere soltanto i dipendenti della Camera, al bar sotterraneo, al piano via della Missione, per chi conosce il Palazzo.
«Mi sono detto: ma perché mai questa disparità di trattamento?». Si era anche dato una spiegazione l’onorevole, che di Montecitorio è uno dei questori: «Dalla buvette non si può portare in Transatlantico nessun tipo di alimento né di bevanda. E per consumare il gelato all’interno di questo bar ci vuole troppo tempo visto che bisogna consumarlo in piedi».
Quando arriveranno creme e frutti nelle vetrine del bar di Montecitorio verranno vietati i coni. E le coppette saranno dimensionate per essere consumate nello stesso tempo di un supplì o di un tramezzino.
Il 17 settembre scorso si era riunito il collegio dei questori per portare il gelato al bar del piano del Transatlantico, una decisione che però non era stata presa all’unanimità, si era opposto Filippo Scerra dei Cinque Stelle. Ma adesso giustizia è fatta.
«Non era l’unico caso di disparità di trattamento», dice ancora Paolo Trancassini, spiegando che prima del gelato si era posta la questione dello yogurt greco: anche questo si poteva consumare solo al bar dei dipendenti della Camera
(da agenzie)

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AGOSTINO GHIGLIA, IL MEMBRO DEL GARANTE DELLA PRIVACY BALZATO AGLI ONORI DELLE CRONACHE PER LA MULTA A “REPORT”, HA UN CURRICULUM SCINTILLANTE DA EX PICCHIATORE: NEL 1986, FU ARRESTATO E CONDANNATO A NOVE MESI, SENZA CONDIZIONALE, PER AVER AGGREDITO UN GRUPPO DI LICEALI DEL “VOLTA”, DI TORINO

Novembre 2nd, 2025 Riccardo Fucile

L’ANNO SUCCESSIVO, FU DI NUOVO DENUNCIATO PER UNA RISSA, IN UN ISTITUTO TECNICO … LE CRONACHE DELL’EPOCA LO DESCRIVONO COSÌ: “CAPELLI A SPAZZOLA, STIVALI DA COW-BOY, UNA, CROCE CELTICA SORMONTATA DAL MOTTO ‘GOTT MIT UNS’ SUI JEANS, È UN PARÀ DELLA FOLGORE IN LICENZA”

Da “La Stampa” – Martedì 4 marzo 1986
Fatti che sembravano ormai un ricordo del passato sono tornati d’attualità in pretura dove, ieri, tre componenti del «Fronte della gioventù», tra cui il segretario provinciale Agostino Ghiglia, sono stati processati per aver aggredito un gruppo di liceali del «Volta» (in via Juvarra) ferendo uno studente e un suo amico.
I tre imputati, Massimiliano Motta, Carlo Marazzina e il Ghiglia, tutti dai 19 ai 20 anni, capelli a spazzola, stivali da cow-boy, una, croce celtica sormontata dal motto Gott mit uns sui jeans del Ghiglia, che è un parà della Folgore in licenza, sono stati condannati a 9 mesi di carcere per le lesioni provocate a Luca Persico e all’amico Alfredo Re, giudicati guaribili in 10 e 15 giorni.
Tutti sono stati riconosciuti colpevoli anche di aver fatto uso di bastoni e condannati a un altro mese di carcere, più altri due al solo Motta perché trovato in possesso di un tirapugni. Nessuno di loro uscirà di prigione perché il pretore Borgani non ha concesso né la condizionale né la libertà provvisoria.
I fatti risalgono a sabato quando, all’uscita da scuola, gli studenti del «Volta» vedono schierati, dall’altra parte delia strada, una decina di giovani ‘armati di bastoni».
Eravamo II per proteggere un nostro amico studente di 14 anni schiaffeggiato e minacciato perché aveva protestato contro il Persico che aveva stracciato un manifesto del Msi», si sono giustificati i tre giovani, difesi dagli avvocati Boetti Vìllanis, Majorino, Bonati e Garavoglia, mentre tra il pubblico, quasi interamente formato da studenti del «Volta», assistevano i consiglieri comunali Msi Minervini e Martinat.
Davanti al Liceo, tutto si risolve con qualche occhiataccia. Poco dopo, però, sotto i portici di corso San Martino, Luca Persico, già aggredito in passato dal “fascisti”, Alfredo Re e altri loro amici si ritrovano davanti il gruppetto.
«Ci sono saltati addosso e ci hanno pestato», hanno raccontato i feriti. «No, sono stati loro ad aggredirci e quando l’equipaggio di
una volante ci ha arrestato in via Cernaia stavamo andando a fare denuncia», hanno ribattuto gli imputati che, prima del processo, avevano accettato di versare un milione a Persico e Re per risarcirli del danno materiale e di firmare una lettera di scuse, agli studenti del «Volta» per annullare il danno morale. In serata, la Federazione provinciale del msi-dn ha stigmatizzato, con un comunicato, sentenza arringa del pm Cossa che aveva chiesto condanne fino a due anni di carcere.
Scontro fra estremisti Sono denunciati in 35
Da “La Stampa” – domenica 25 ottobre 1987
Trentacinque giovani di destra e di ultra sinistra sono stati denunciati dalla Digos alla Procura per una rissa avvenuta ieri davanti all’Istituto tecnico Gramsci di via Cottolengo. Venti appartengono all’area della estrema destra e del Fronte della gioventù» (l’organizzazione giovanile del Msi).
Tra questi, il segretario Agostino Ghiglia, già noto per altri episodi analoghi. Gli altri 15 denunciati sono simpatizzanti e aderenti al Collettivo spazio metropolitano, che, tempo fa. occupò due edifici in via S. Chiara 19 ed in via S. Agostino 1. Tutto è cominciato nei giorni scorsi quando, davanti alla scuola, alcuni giovani distribuirono volantini del Fronte della gioventù.
La presenza dei missini provocò tensione, ci fu chi rifiutò i fogli di propaganda, votarono e minacce verso un gruppo di studenti dell’istituto. Mercoledì nella scuola c’è stata un’assemblea per
discutere l’episodio e la presenza dei giovani di estrema destra davanti agli ingressi.
La tensione è continuata ieri. In mattinata la direzione dell’istituto ha saputo che. all’uscita dalle lezioni, in strada si sarebbero incontrati gruppi di giovani di destra e dell’estrema sinistra. In previsione d’un possibile scontro sono arrivate auto della Digos ed alcune gazzelle dei carabinieri.
Puntualmente, all’uscita degli studenti, gli aderenti al Fronte della Gioventù hanno tentato di distribuire i loro volantini. Di fronte ai giovani che per la seconda volta si rifiutavano d’accettare i fogli, sono volati insulti, calci e pugni.
Si sono verificati inseguimenti e scaramucce, ma l’intervento di polizia e carabinieri è servito a separare le fazioni e ad evitare ulteriori violenze. Così i 35 giovani (nessuno di loro è iscritto all’istituto) sono finiti in Questura per essere identificati e. poi, denunciati alla magistratura. Lunedi al Gramsci gli studenti hanno indetto un’assemblea sull’antifascismo cui parteciperanno anche giovani di altre scuole.
(da agenzie)

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PENSIONI, QUASI META’ DEGLI ITALIANI TEME DI NON POTER AFFRONTARE LA VECCHIAIA CON SERENITA’

Novembre 2nd, 2025 Riccardo Fucile

LA PAURA DI NON POTER AFFRONTARE SPESE IMPREVISTE E SI RINVIA IL PENSIONAMENTO

Guardare al futuro, per molti italiani, significa oggi fare i conti con la paura di non avere abbastanza: abbastanza risparmi, abbastanza certezze, abbastanza tempo per costruirsi una vecchiaia serena. L’incertezza economica, l’instabilità dei mercati e l’aumento del costo della vita hanno infatti acceso un campanello d’allarme nelle famiglie: il 49% teme di non poter far fronte a spese impreviste, mentre il 39% confessa di temere di non riuscire a mantenere lo stesso tenore di vita una volta in pensione. Numeri che raccontano non solo una percezione, ma una realtà fatta di precarietà e difficoltà nel pianificare il futuro. Tutto, mentre il sistema pensionistico pubblico, pur restando un pilastro fondamentale, non sembra più sufficiente a garantire serenità e stabilità economica a chi si avvicina all’età del ritiro.
L’idea di posticipare il ritiro dal lavoro
Per molti, la soluzione sembra essere quella di rimandare il momento della pensione. Secondo i dati, il 37% degli italiani sta valutando di prolungare la vita lavorativa, e le motivazioni sono chiare: il 48% lo farebbe per continuare a percepire uno stipendio, mentre il 46% spera di ottenere così una pensione più elevata. Una scelta che, se da un lato risponde alla necessità di garantire maggiore sicurezza economica, dall’altro evidenzia la
difficoltà di costruire un futuro finanziariamente solido senza un’adeguata pianificazione.
La previdenza integrativa: uno strumento in crescita ma ancora poco compreso
Nonostante le paure, cresce la consapevolezza dell’importanza di una previdenza complementare. Tra chi ha già deciso di tutelarsi, il 36% ha aderito a un piano individuale pensionistico (PIP), con una curiosa differenza di genere: il 45% delle donne ha scelto questa strada, contro il 30% degli uomini. Un dato che suggerisce come le donne, spesso più esposte alle discontinuità lavorative e a pensioni più basse, mostrino una maggiore sensibilità verso la pianificazione del futuro.
Il percorso non è però ancora chiaro per tutti: tra chi sta valutando l’adesione, il 37% non ha ancora deciso quale strumento adottare. Il segno insomma di un processo decisionale complesso, dove la mancanza di conoscenze finanziarie e la diffidenza verso il mercato rendono difficile scegliere la strada più adatta.
Il ruolo cruciale dei consulenti
In questo contesto di incertezza, i consulenti finanziari e assicurativi svolgono un ruolo rilevante nelle scelte degli italiani. Il 37% si rivolge a un consulente assicurativo per informarsi sulla pensione complementare, mentre il 32% preferisce quello bancario. Più in generale, oltre la metà degli intervistati (55%)
dichiara di affidarsi a un esperto per le proprie decisioni di investimento, indicando come criteri principali trasparenza (57%), competenza tecnica (46%) e capacità di ascolto (36%).
Un Paese in bilico tra prudenza e sfiducia
Il quadro che emerge è dunque quello di un’Italia ancora sospesa tra prudenza e incertezza: come sottolinea Jozef Bala, amministratore delegato di Athora Italia, “la paura per il futuro non si traduce ancora in scelte corrette di pianificazione finanziaria”. Molti italiani, infatti, preferiscono accumulare risparmi in liquidità o investire in immobili, scelte che danno una sensazione di sicurezza immediata ma che, nel lungo periodo, possono rendere le famiglie più vulnerabili di fronte all’inflazione e agli imprevisti economici.
Una fotografia di un Paese consapevole delle proprie fragilità economiche, ma ancora lontano da una pianificazione previdenziale diffusa.

(da Fanpage)

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MAI DIRE DUBAI: DIETRO ALLA PATINA DI LUSSO, GRATTACIELI E ESCORT CHE HA RESO FAMOSA LA CITTÀ EMIRATINA, SI NASCONDE UNA DITTATURA FEROCE E UNA MAREA DI “SCHIAVI” CHE FANNO GIRARE L’ECONOMIA

Novembre 2nd, 2025 Riccardo Fucile

GLI EMIRATI ARABI UNITI FINANZIANO MILIZIE BRUTALI NELLO YEMEN E IN SUDAN, LO SCEICCO AL MAKTOUM IMPRIGIONA I DISSIDENTI E I DIRITTI UMANI SONO PRATICAMENTE UN MIRAGGIO … SENZA CONTARE GLI OPERAI “IMPORTATI” CHE SI SPEZZANO LA SCHIENA PER PAGHE DA FAME E I GIRI DI PROSTITUZIONE, CON RAGAZZE CHE PRECIPITANO DALLE FINESTRE

Dubai è la casa di un quarto di milione di britannici: delusi dalle alte tasse, dai servizi pubblici scadenti e dalla pioggia, il loro numero cresce ogni anno. Una delle sette città-emirato che compongono gli Emirati Arabi Uniti, Dubai è una città poliglotta, una Babele.
Il novanta per cento dei suoi residenti proviene da altrove. L’esperto del Golfo Christopher Davidson definisce Dubai la “città-stato economica liberale definitiva”, con “alcune delle migliori infrastrutture fisiche della regione”.
Aggiunge: “Per molti anni ha fornito una stabilità politica costante, che nel mondo arabo, e specialmente nella regione del Golfo, è stata molto rara.” Ha una bassa tassazione e manodopera a basso costo: questo è il suo richiamo.
Quando sono andata a Dubai l’ho trovata disorientante, sopra ogni altra cosa — il capitalismo che incontra la tirannia, e non
riesco a immaginare nulla di peggiore.
Hanno cose stupefacenti — il Burj Khalifa, l’edificio più alto del mondo; la Palm Jumeirah, un arcipelago artificiale creato a forma di palma — e questo sembra accecare gli occidentali creduloni di fronte alla sua realtà. Dubai è una dittatura sotto lo sceicco Mohammed Bin Rashid Al Maktoum, e lui preserva il suo potere assoluto come fanno sempre i dittatori: con la repressione di ogni potenziale minaccia.
Gli EAU finanziano milizie brutali nello Yemen e in Sudan. Dopo la fallita Primavera Araba e la sua richiesta di maggiore rappresentanza, lo sceicco imprigionò i dissidenti, molti dei quali erano avvocati.
Ahmed Mansoor “è probabilmente il più noto difensore dei diritti umani degli EAU”, dice la portavoce, spiegando: “Dal marzo 2017 è incarcerato in una cella di isolamento con poco più di un tappetino per dormire. Ahmed è un caro amico di molti dei miei colleghi di HRW: è attualmente membro del nostro comitato consultivo.”
Mansoor è famoso in tutto il Medio Oriente per il suo attivismo in difesa dei diritti umani. “Ma ormai nessuno sa davvero nulla del suo caso,” dice la portavoce. Questo è il potere delle pubbliche relazioni. Ogni settimana esce un altro articolo ossequioso su Dubai. Beyoncé ci ha cantato; Rio Ferdinand si è trasferito lì. Gli occidentali pensano che sia “sicura”, il che è
ridicolo.
Poi ci sono gli operai edili, spediti da tutto il Sud del mondo per costruire uno Xanadu. Ora parla al turista ingenuo che passa per Dubai: “E se ci sei mai stato durante i periodi caldi dell’anno, potresti aver visto, come piccole formiche, questi lavoratori su quegli edifici altissimi. Puoi immaginare il tipo di rischio che affrontano.” Io riesco a immaginarlo, ma vivo in Gran Bretagna. Non è sicuro essere curiosi a Dubai.
Lavorare sotto un calore estremo può causare il collasso degli organi, dice Qadri. Si è imbattuto in “così tanti casi” di lavoratori caduti e morti, o che hanno “perso una gamba o un braccio”. “È un lavoro che spezza la schiena,” afferma. “Migliaia di persone muoiono senza alcuna indagine adeguata su come siano morte. La maggior parte di loro sono giovani uomini.”
Intervisto un giovane pakistano che lavora come fattorino. […] Lavora dodici ore al giorno, sei giorni alla settimana. “Se ti rifiuti di fare orari lunghi, l’azienda ti licenzierà perché ci sono molte persone in fila che aspettano di entrare,” dice. Il suo stipendio è di 850 dirham al mese (175 sterline). “Meglio che tornare nel mio Paese, perché lì non posso nemmeno guadagnare 850 dirham. È per questo che l’azienda approfitta di persone come me… quando sei malato, ti costringono comunque a lavorare.”
Quando gli chiedo com’è la vita a Dubai, dice: “Non ci sono
parole, ma è comunque meglio del nostro Paese. Se lavori sodo, riuscirai solo a sopravvivere. Me ne andrò da qui appena avrò la possibilità. Nessuno viene qui per vivere per sempre.” E se sei ricco? “Se sei ricco,” dice, “è il paradiso.” Io non direi così: il paradiso ospita i buoni. Piuttosto, Dubai è l’isola dei mangiatori di loto; dei moralmente defunti.
Parlo con una di loro: una donna bianca che vive a Dubai da vent’anni. Dice che i sistemi di istruzione e sanità sono i migliori al mondo — se puoi permetterteli. Ha un’“aiutante” indiana che vive in casa sei giorni alla settimana, e che con il suo salario ha fatto studiare i suoi quattro figli all’università in India. “È riuscita a fare molto meglio lavorando qui per noi, per la sua famiglia, di quanto avrebbe potuto fare se fosse rimasta in India,” dice.
Per questa donna, il vantaggio di Dubai è che: “Se i governanti vogliono che qualcosa venga fatto, trovano qualcuno che lo fa, e viene fatto. Quindi questo la rende un posto estremamente interessante in cui vivere.” Be’, sì, se fai parte della classe privilegiata.
Penso ai famigerati giri di prostituzione di Dubai: alle ragazze che precipitano dalle finestre; o alle ragazze che vengono stuprate ma non lo denunciano alla polizia, perché potrebbero essere arrestate; alla criminalizzazione dell’omosessualità; alle donne separate dai propri figli perché i loro mariti lo pretendono,
come mi ha raccontato l’attivista Aisha Ali-Khan.
“Noi crediamo che la democrazia sia la via giusta perché nei nostri Paesi abbiamo scelto di gestire le cose in questo modo,” dice la donna. “Ma qui abbiamo una famiglia regnante che si assicura che tutti siano accuditi e che tutte le infrastrutture siano al loro posto. Perché dovremmo avere bisogno di una democrazia?
La famiglia regnante qui sta facendo cose straordinarie per assicurarci tutti una vita molto migliore. Sono molto illuminati e molto accoglienti e molto calorosi. Io posso usare le strade, pagare le tasse. Quelle strade sono state costruite dalla famiglia regnante. Cosa ci sarebbe da non apprezzare in tutto questo?”
E qui sta il nocciolo della questione: “Ho uno standard di vita significativamente migliore che non potrei avere altrove. Amo la città. Amo il modo in cui sta crescendo. Amo la direzione in cui sta andando. Amo quanto mi sento benvenuta. Amo l’istruzione che stanno ricevendo i miei figli. Amo l’assistenza sanitaria che ricevo. Amo i soldi che sto risparmiando e amo lo stile di vita.”
Un’altra donna britannica, giornalista, “ha avuto un’esperienza piuttosto terribile”. Il suo proprietario di casa emiratino, “a mia insaputa, aveva inventato la storia che gli dovessi sei mesi di affitto”. È stata processata in contumacia, arrestata e portata in tribunale. “Ovviamente, non avevo idea di cosa stesse succedendo. Devi pagare per far sparire il problema.” Ma questa
è la musica di Dubai. “È sempre in sottofondo: la sensazione che ti possano togliere il tappeto da sotto i piedi,” dice.
Parlo con Hamad al-Shamsi, un dissidente emiratino e attivista per i diritti umani. È stato accusato di crimini contro la sicurezza nazionale nel 2013, è considerato un terrorista e vive in esilio in Turchia. “Quando si tratta di diritti umani, di libertà di espressione, di società civile — non esistono affatto,” dice. “Questo è il mio Paese. Lo amo, ma non posso avere la libertà che ho all’estero.”
Ha lasciato Dubai nel 2012 e ha visto sua madre per l’ultima volta sette anni fa. “Mia madre è soggetta a un divieto di viaggio a causa mia,” dice. “Mia madre ha quasi 80 anni. Quasi tutti i miei fratelli e sorelle sono sotto divieto di viaggio perché [le autorità] vogliono che io torni.
“Mio suocero e mia suocera sono anch’essi soggetti a un divieto di viaggio. Mia moglie non ha nulla a che fare con tutto questo. La famiglia di mia moglie non ha alcun ruolo attivo politicamente. Quindi, questa è una punizione collettiva. E non riguarda solo la mia famiglia. Molte persone soffrono per la stessa cosa.”
Gli chiedo cosa abbia fatto la tirannia agli Emiratini più riservati. “È in realtà difficile sapere cosa pensano davvero gli Emiratini del loro governo, perché la maggior parte delle persone ha paura di parlare apertamente,” risponde. “I media locali sono
completamente controllati dallo Stato, e qualsiasi critica viene immediatamente etichettata come odio o ostilità verso gli Emirati Arabi Uniti, anche quando proviene da persone che si preoccupano sinceramente del Paese. La maggior parte degli Emiratini preferisce restare in silenzio o parlare solo di comfort e prosperità, perché dire la cosa sbagliata può portare all’arresto o all’esilio. Questa è la realtà che tutti lì comprendono.”
È una verità ovvia: in una tirannia non puoi conoscere davvero i tuoi connazionali. A volte non puoi nemmeno conoscere la tua stessa famiglia. Dubai non è solo un luogo, è una metafora, ed è per questo che è così affascinante: cosa siamo disposti a fare per il denaro, e quanto ci costerà, alla fine? Gli inglesi che vi si riversano lo sanno davvero?
Il mio timore è che noi, nelle nostre democrazie in decomposizione, finiremo per diventare come Dubai, perché apprezzare questo significa apprezzare la tirannia, qualunque nome le si voglia dare, e c’è una parola per questo. Decadenza: sempre l’ultima età di un impero.
(da agenzie)

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IL DECRETO RAVE NON È SERVITO A NIENTE:IN CINQUEMILA SI SONO RADUNATI PER UN RAVE PARTY ABUSIVO ALL’EX FABBRICA BUGATTI DI CAMPOGALLIANO, IN PROVINCIA DI MODENA

Novembre 2nd, 2025 Riccardo Fucile

SOLO IN 300 SONO STATI IDENTIFICATI E C’È STATO UN SOLO ARRESTO PER POSSESSO DI SOSTANZE STUPEFACENTI

E’ successo nella notte, intorno alle 2. E’ qui che centinaia di giovani si sono dati appuntamento raggiungendo la destinazione con vari mezzi e roulotte, bloccando così la circolazione.
All’interno pare siano confluite fino a 5mila persone con casse per la musica. Sul posto polizia e vigili del fuoco.
Nel primo pomeriggio risultano identificati dalle forze dell’ordine circa 300 partecipanti all’evento. Gli operatori hanno, inoltre, rilevato le targhe di circa 50 veicoli presenti nell’area, per ulteriori accertamenti. Durante le operazioni è stato altresì effettuato un arresto per possesso di sostanze stupefacenti, con sequestro del materiale detenuto.
L’ex stabilimento progettato dall’architetto Giampaolo Benedini e aperto nel 1990 era un simbolo mondiale della Motor Valley italiana, oggi è abbandonato. Per trent’anni dopo la chiusura nel 1995, la famiglia Pavesi aveva custodito volontariamente la struttura permettendo visite controllate a migliaia di appassionati.
Il declino è iniziato nel 2022 quando l’immobile è stato venduto all’investitore francese Adrien Labi, coinvolto in Francia in vicende giudiziarie legate a problemi fiscali e sequestri di beni. Da allora la fabbrica è rimasta incustodita
Il sindaco di Modena, Mezzetti: “Alla destra interessa solo la polemica pretestuosa”
“Leggo le affermazioni dell’Onorevole di FdI, Daniela Dondi, e mi chiedo se alla destra modenese interessa affrontare e risolvere le situazioni o la polemica pretestuosa. Prendersela con l’assessora Camporota e Modena per quanto accade in un altro Comune, a Campogalliano, fuori dalle competenze del Comune capoluogo, non dimostra cultura di governo”.
Lo dice il sindaco di Modena Massimo Mezzetti, replicando a Daniela Dondi di Fdi. “Siamo tutti impegnati – prosegue – all’interno del Comitato per l’Ordine e la sicurezza pubblica, e leggere questi attacchi gratuiti non fa onore a chi rappresenta il territorio.
(da agenzie)

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BASTA QUERELE TEMERARIE, CE LO CHIEDE L’EUROPA: UNA DIRETTIVA UE, IN VIGORE DAL 6 MAGGIO 2024, IMPONE AGLI STATI MEMBRI DI INTRODURRE NORME CONTRO LE “SLAPP”, LE AZIONI LEGALI INTENTATE STRUMENTALMENTE PER INTIMORIRE I GIORNALISTI

Novembre 2nd, 2025 Riccardo Fucile

AD OGGI L’ITALIA NON HA ANCORA RECEPITO LA LEGGE. E NON C’È DA STUPIRSI: LA MAGGIOR PARTE DELLE AZIONI LEGALI SONO INTENTATE DA POLITICI, SPESSO ESPONENTI DELLA MAGGIORANZA

Dopo l’attentato a Sigfrido Ranucci, da più parti è stato chiesto di ritirare le azioni legali nei suoi confronti. Ma il conduttore di Report ha detto chiaramente che non vuole «vincere per assenza di giocatori», bensì «sul campo»; e che chi denuncia sapendo di mentire «poi paghi, e paghi salato».
C’è uno strumento che – entro alcuni limiti – può fornire uno scudo preventivo e rimedi efficaci a giornalisti colpiti da azioni intimidatorie: la direttiva europea anti-Slapp (2024/1069). Ma l’iter per il suo recepimento in Italia non è ancora stato avviato.
QUERELE TEMERARIE
Le Slapp (Strategic Lawsuits Against Public Participation) sono, in buona sostanza, cause civili intentate strumentalmente per intimorire o dissuadere chi partecipa al dibattito su temi
d’interesse pubblico – in primis i giornalisti – logorandoli con tempi e costi del contenzioso. Basti pensare che Ranucci ha parlato di oltre 200 azioni giudiziarie contro Report.
La direttiva – in vigore dal 6 maggio 2024 e da recepire entro il 7 maggio 2026 – impone agli stati membri di introdurre, tra l’altro: un filtro rapido per rigettare le domande manifestamente infondate (su istanza del convenuto, con onere sul ricorrente di dimostrare che l’azione non sia priva di basi); la possibilità per il giudice di imporre al ricorrente una cauzione (security for costs) a copertura delle spese della difesa; la condanna a spese integrali e sanzioni in caso di abuso.
La direttiva riguarda solo i procedimenti civili e commerciali con elementi transfrontalieri, ma la Commissione europea ha raccomandato di replicare analoghe garanzie anche nelle cause civili interne
La direttiva segna un cambio di paradigma rispetto alla disciplina italiana attuale: dalla logica risarcitoria a posteriori si passerebbe a strumenti deflattivi e dissuasivi a priori. Chi porta in tribunale un giornalista dovrebbe dimostrare subito di avere argomenti seri, e ciò comprimerebbe i tempi di cause evidentemente pretestuose. Il messaggio è che la giustizia non può essere usata come una clava, e a costo zero.
A circa sei mesi dal termine fissato per la trasposizione delle norme della direttiva nell’ordinamento nazionale, tutto tace. L’Ordine dei giornalisti e la Federazione nazionale della stampa hanno chiesto pubblicamente «che il parlamento e il governo si assumano la responsabilità di recepire l’anti-Slapp, adottando uno standard di protezione elevato».
Se non fossero attuate anche le raccomandazioni della Commissione, infatti, il provvedimento resterebbe un paracadute che si apre solo nei casi transfrontalieri, lasciando scoperta la gran parte del contenzioso che investe le redazioni.
Intanto, gli strumenti italiani restano quelli ordinari: regola delle spese di soccombenza e, nei casi più gravi, responsabilità aggravata per lite temeraria (art. 96 c.p.c.). Strumenti utili, ma tardivi: agiscono dopo anni di cause, quando il danno alla libertà di informazione – tempo perso, risorse drenate, autocensura – è già stato prodotto.
Siccome diverse azioni legali sono intentate da politici, anche esponenti della maggioranza, nei riguardi di giornalisti, il rinvio del recepimento della direttiva sembra evocare un possibile conflitto d’interessi istituzionale: chi più usa lo strumento è pure chi ritarda l’introduzione di norme pensate per scoraggiarne l’abuso.
Il punto non è sottrarre la stampa al controllo di legalità ma definire regole chiare che dissuadano dall’utilizzo strumentale del processo per intimidire, con l’effetto di congelare le inchieste scomode. La posta in gioco è la qualità della democrazia
(da Domani)

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“DELLA MELONI PENSO CHE HA RAGIONE DE LUCA: È UNA STRONZA”: LA FRASE DELLA SINDACA DI GENZANO DI LUCANIA, VIVIANA CERVELLINO, DURANTE LA PUNTATA DELLA TRASMISSIONE DI PINUCCIO, SU LA7, SCATENA UN PUTIFERIO

Novembre 2nd, 2025 Riccardo Fucile

CERVELLINO NON SI SCUSA: “FA TANTO PAURA LA SATIRA POLITICA?”… IL M5S DIFENDE LA PRIMA CITTADINA (ELETTA IN QUOTA PD), VITTIMA DI “ATTACCHI SESSISTI”: “COLPITA DA UN’ONDATA DI ODIO”

“Ma della Meloni lei che ne pensa?”. Domanda Pinuccio alla sindaca di Genzano, Viviana Cervellino, durante la puntata del 29 ottobre di “Prove di inchiesta” su La7. “Che ha ragione De Luca”, risponde l’esponente del PD. “Che dice De Luca?”,
chiede Pinuccio. “Che è na str…a“, specifica la prima cittadina del comune in provincia di Potenza. E così, è scoppiata la polemica tra le fila del centrodestra lucano.
Anche il presidente Bardi condanna il linguaggio e i toni usati: “Le parole pronunciate dal primo cittadino sono inopportune. Il dibattito politico, anche quando aspro e su temi divisivi, deve sempre svolgersi entro i confini del rispetto reciproco, specialmente quando si ricoprono ruoli istituzionali”.
“Se la destra lucana insorge per una cosa del genere è preoccupante: fa tanto paura la satira politica? Non sono mancati i commenti sulla sinistra che non sono stati mandati in onda”, ha replicato invece la sindaca Cervellino.
“Nelle ultime ore si sta consumando una vicenda tanto spiacevole quanto inaccettabile perché estranea alla sana dialettica che dovrebbe connotare la politica. Ci riferiamo all’ondata di odio e insulti sessisti che sta colpendo la sindaca di Genzano di Lucania (Potenza), Viviana Cervellino, rea di aver espresso un’opinione colorita sulla premier Giorgia Meloni».
Lo scrivono, in una dichiarazione, le consigliere regionali della Basilicata Alessia Araneo e Viviana Verri (M5S), in riferimento alle polemiche nate dopo la messa in onda dell’intervista per la trasmissione de La 7 «Prova d’inchiesta».
Secondo le consigliere del M5S, «la ferocia manifestata verso la sindaca di Genzano è inaccettabile: la violenza, in qualsiasiforma
essa si esplichi, verbale e non, non deve appartenere a nessuno spazio civile, sia esso sociale sia esso social. E basta accanirsi sul corpo delle donne. Nessuna di noi cerca approvazione o disapprovazione, che qualcuno se ne faccia una ragione. È interessante notare il dispiegamento di forze di esponenti di destra a difesa della presidente Giorgia Meloni: tutti pronti a scrivere un comunicato «per Giorgia» e nessuna parola per l’odio che sta investendo la sindaca Cervellino, che pure ha commesso un errore, a cui ha fatto seguito una reazione sconsiderata. Ah, se solo il centrodestra fosse così solerte nel prendere posizione come lo è quando si tratta di difendere la premier, forse si risolverebbe qualche problema in più per le lucane e per i lucani”
(da lagazzettadelmezzogiorno.it)

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“DOMANI VADO DA ARIANNA”. “REPORT” STASERA MANDERÀ IN ONDA LA PROVA CHE AGOSTINO GHIGLIA, MEMBRO DEL GARANTE DELLA PRIVACY IN QUOTA FRATELLI D’ITALIA, È ANDATO ALLA SEDE DEL PARTITO PER INCONTRARE LA SORELLA DI GIORGIA MELONI. IN UNA MAIL DEL 21 OTTOBRE AVVISAVA I SUOI UFFICI DELL’IMMINENTE INCONTRO CON LA CAPA DELLA SEGRETERIA POLITICA DI FDI. IL GIORNO DOPO È STATO VISTO ENTRARE A VIA DELLA SCROFA, POCHE ORE PRIMA CHE L’AUTORITÀ DI CUI FA PARTE VARASSE LA MAXI-MULTA ALLA TRASMISSIONE DI RANUCCI

Novembre 2nd, 2025 Riccardo Fucile

LA MAIL SBUGIARDA GHIGLIA, CHE HA SEMPRE SOSTENUTO DI ESSERE ANDATO IN VIA DELLA SCROFA A PARLARE CON ITALO BOCCHINO, E DI AVER INCONTRATO ARIANNA “SOLO PER UN SALUTO”. ALLORA PERCHÉ AVREBBE DOVUTO AVVISARE PRIMA I SUOI COLLABORATORI?

Il 21 ottobre Agostino Ghiglia scrisse ai suoi uffici per avvisarli: «Domani andrò da Arianna Meloni». Il 22 la visita, a bordo di un’auto di servizio, alla sede di Fratelli d’Italia, quando la multa a Report era ancora in bilico: lui stesso si era espresso per un semplice ammonimento. Il 23 mattina, alle 10.30, la sanzione da 150 mila euro, la più alta mai comminata a una trasmissione televisiva.
Report, nella puntata stasera in onda, ricostruirà così la storia della multa che il Garante della privacy ha comminato per la pubblicazione dell’audio tra l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e sua moglie Federica Corsini. Una ricostruzione che, accusa il programma, metterebbe in grande difficoltà il principio di indipendenza e terzietà dell’Autorità.
«Io sono stato nella sede del Garante per incontrare Italo Bocchino e parlargli del mio nuovo libro» ha detto Ghiglia in queste settimane, aggiungendo di aver incontrato sì Arianna ma «solo per un saluto», di aver «scambiato qualche parola sulle rispettive famiglie» e di non aver «mai parlato di questioni d’ufficio fuori dall’ufficio».
I conti, secondo quanto ricostruirà Sigfrido Ranucci stasera, però non tornerebbero. Anche perché non si spiegherebbe il perché avesse avvisato gli uffici di questo incontro con «Arianna». Di più: dopo la visita alla sede di Fratelli d’Italia qualcosa si muove.
Ghiglia cambia opinione dopo quell’incontro, passando dalla parte della multa salata che veniva caldeggiata dalla
vicepresidente dell’Autorità, Ginevra Cerrina Ferroni, che aveva convinto anche il presidente, il professor Pasquale Stanzione. Contrario invece resta l’altro membro dell’Autorità, Guido Scorza.
(da agenzie)

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