Novembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
IL CAPOGRUPPO AL SENATO, MASSIMILIANO ROMEO, SPEDISCE UN MESSAGGIO AL GENERALE CHE INNEGGIA ALLA X MAS: “IL CUORE DELLA LEGA PENSA AD ALTRO” … DOPO IL FLOP DELLE REGIONALI IN TOSCANA, DOVE VANNACCI HA AVUTO CARTA BIANCA, ANCHE SALVINI HA CRITICATO IL SUO VICE: “CI FA PERDERE PIÙ VOTI DI QUANTI CE NE FA GUADAGNARE”
Nella Lega le uscite di Roberto Vannacci su fascismo e dintorni sono vissute con sempre maggiore fastidio. A caldo il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo si lascia sfuggire solo una frase che, pur dialetticamente morbida, marca una
distanza: «Prendo atto delle dichiarazioni di Vannacci, ma il cuore della Lega pensa ad altro».
Ma è nelle chat del popolo leghista che monta la rabbia per l’ennesima uscita, ritenuta una provocazione, dell’ex generale che Matteo Salvini ha voluto gratificare del ruolo di vicesegretario federale. «Noi abbiamo sempre detto alla sinistra di smetterla di guardare al passato — scrive un vecchio militante — A noi del fascismo non frega niente. Ce lo ha insegnato Umberto Bossi».
È noto che l’ingresso nella Lega di Vannacci è sempre stato mal sopportato dalla vecchia guardia. Più d’uno degli esponenti di vertice del partito lo scorso anno disse chiaramente che non lo avrebbe votato alle Europee.
I malumori sono dovuti rimanere confinati negli sfoghi personali. Salvini ha sempre detto che l’ex generale è un valore aggiunto e porta consensi da settori esterni alla Lega. Al congresso di Firenze della primavera scorsa Vannacci ha preso la tessera. Un mese dopo ecco la nomina a vicesegretario.
La sua linea di condotta è rimasta sempre la stessa: i continui richiami alla X Mas, le stroncature del politicamente corretto, le provocazioni sugli orientamenti sessuali. Ma alle Regionali in Toscana, dov’era commissario, il primo flop. Ed ora un nuovo caso, l’insofferenza che cresce.
(da agenzie)
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Novembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
DOPO LA MORTE DI CHARLIE KIRK, LO SVALVOLATO FUENTES STA DIVENTANDO SEMPRE PIÙ FAMOSO GRAZIE AL TRAINO DI TUCKER CARLSON
Adolf Hitler? Un tipo «cool», figo. Gli ebrei? Dominano l’America, vanno tolti di mezzo.
Alle donne piace essere violentate. Fino a qualche tempo fa, il sostenitore di queste tesi, Nick Fuentes, un provocatore di ultradestra con un piccolo seguito di fedelissimi, era fuori dal perimetro del mondo Maga, anche se Donald Trump aveva cenato con lui nel 2022. Criticato per aver dato credito a un sostenitore del nazismo, The Donald se l’era cavata dicendo che non sapeva delle sue idee estreme.
Ma ora, dopo che nella destra si è aperta la gara per colmare il vuoto lasciato dall’assassinio di Charlie Kirk alla guida della gioventù più radicale, Fuentes, trainato da Tucker Carlson — il più popolare conduttore televisivo ultraconservatore, molto apprezzato da Trump — sta diventando una figura di peso Donald Trump, che per lasciare in ombra i cattivi segnali elettorali del voto di martedì scorso parla di una frattura nella sinistra che vince a New York con un candidato socialista democratico che lui denuncia come estremista comunista, ora deve fronteggiare in casa sua, il mondo Maga, una divisione che potrebbe diventare ben più lacerante: quella tra i suoi fan tradizionali, ultraconservatori, ben disposti nei confronti della ricetta politica autoritaria della sua presidenza, sostenitori di una inscalfibile identità giudaico-cristiana dell’America, e una falange di giovani attivisti di estrema destra con idee che fino a ieri non avevano cittadinanza nella politica americana.
Il caso è esploso a metà della scorsa settimana. Carlson ospita Fuentes nella sua trasmissione e si mostra sostanzialmente d’accordo con le sue tesi aberranti. Immediatamente trumpiani «istituzionali» come lo speaker della Camera, Mike Johnson, e il senatore Ted Cruz, condannano duramente Carlson per aver offerto il suo megafono all’antisemitismo di Fuentes (altre affermazioni come «se la maggior parte dei neri venisse messa in galera l’America somiglierebbe di più a un paradiso» non sembrano suscitare altrettanta indignazione).
La Heritage Foundation, il think tank conservatore, supporto culturale e programmatico delle presidenze repubblicane da Reagan a Trump che, dopo averlo sconfessato, sta attuando punto per punto il piano autoritario offerto col suo Project 2025, è in subbuglio: molti suoi esponenti chiedono al presidente, Kevin Roberts — un leader che ha spostato molto a destra il baricentro dell’organizzazione — di sconfessare Carlson, grande amico della Heritage.
Roberts non solo rifiuta di farlo, ma accusa quelli che lo criticano di essere un ceto di globalisti, un insulto nel mondo del sovranismo. Di più: il presidente denuncia l’attacco di una «coalizione velenosa».
A quel punto diversi esponenti di primo piano della Heritage si dimettono. Altri chiedono la testa di Roberts che, consapevole di aver esagerato, si scusa per aver parlato di avvelenatori (alludendo a un antico stereotipo antisemita), definisce Fuentes una persona malvagia, ma continua a difendere Carlson.
Così si trova tra due fuochi: accusato dagli ultrà di Fuentes di essere un opportunista senza coraggio, mentre Stephen Moore, economista di punta della Heritage, coautore del Project 2025 e stretto collaboratore di Trump, sostiene che Roberts è ormai alla mercé di «oscuri bassifondi di una destra giovanile online» attratta da tesi inaccettabili.
(da Corriere della Sera
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Novembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
LO SCENARIO PEGGIORE E’ AL SUD: DOVE SOLO IL 24,5% DEGLI UNDER 30 HA UN IMPIEGO (AL NORD IL DATO È AL 41,6%. AL CENTRO 37,7%) . IL MOTIVO? LA VOGLIA DI LAVORARE E’ SCORAGGIATA DA CONTRATTI INDECENTI … NEI PRIMI SEI MESI DEL 2025 SONO STATI ASSUNTI 1.5 MILIONI DI GIOVANI: DI QUESTI, L’82,4% È STATO ASSUNTO CON CONTRATTI PRECARI (E PER QUESTO 5 MILIONI DI RAGAZZI SONO SCAPPATI ALL’ESTERO)
In Italia il “pianeta giovani” è una risorsa sempre più scarsa, poco e male utilizzata. È questa l’indicazione che emerge dalla lettura dei dati di fonti diverse che fotografano la condizione dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni: un arco di tempo nel quale hanno finito di studiare e sono alla ricerca di un’occupazione.
Eppure i giovani sono una risorsa sempre più scarsa. Secondo un report realizzato dall’economista Mauro Zangola, al primo gennaio 2025 in Italia i giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni sono 8.963.027, 4.686.984 sono uomini, 4.276.013 sono donne. I giovani stranieri della stessa età sono 1.026.404,
l’11,4% del totale. Negli ultimi 33 anni, tra il 1992 e il 2025 l’Italia ha perso 4.484.797 giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni (-33.2%): gli uomini sono diminuiti del 31,2%, le donne del 35,5%. Alla fine del 2030, secondo lo scenario medio delle previsioni Istat con base 2024 l’Italia avrà 98.260 giovani in più (+1,1%). Se da una prospettiva di breve periodo passiamo ad una di medio periodo lo scenario cambia radicalmente: al 2050 l’Italia perderà per strada 2.249.194 giovani tra i 15 e i 29 anni (-25.3%).
Oltre a essere pochi, i ragazzi sono anche una risorsa poco utilizzata. Nel nostro Paese nel 2024 il tasso di occupazione dei giovani in età compresa tra i 15 e i 19 anni è 34,4%. Ciò equivale a dire che lavora poco di un terzo dei 15-29enni, con differenze significative di genere e tra le diverse circoscrizioni territoriali. Il tasso di occupazione delle giovani è inferiore di 10 punti percentuali a quello dei coetanei maschi; al Nord lavora il 41,6% dei giovani, al Centro il 36,7%, al sud il 24,5%.
Negli ultimi 20 anni il tasso di occupazione dei 15-29enni è diminuito di 7,7 punti percentuali (da 42,1% a 34,4%): quello degli uomini di 8,7 punti; quello delle donne di 6,8 punti percentuali. Ma in Ue i giovani lavorano molto di più che da noi. Il tasso di occupazione dei 15-29enni italiani (34,4%), infatti, è il più basso nell’Europa a 27.
La media è 49,5% con una punta del 79,8% in Olanda. In Germania lavora il 62,95 dei 15-29enni; in Francia il 48,6% per citare solo Paesi con cui ci confrontiamo e mettendo in risalto
solo le posizioni di vantaggio. Se l’Italia avesse lo stesso tasso di occupazione della Germania avremmo 2,5 milioni di giovani occupati in più.
Il terziario, evidenzia il report, rimane uno sbocco obbligatorio. Nei primi 6 mesi del 2025 sono stati assunti 1.590.802 giovani fino a 29 anni, l’agricoltura ne ha assorbiti lo 0,2%, l’industria il 9,0%, il comparto delle costruzioni il 6,4%. Il restante 84,4% è stato assorbito dal terziario. Il 45,2% (il quintuplo degli assunti nell’industria) ha trovato un’occupazione nel settore del «commercio, trasporti, servizi di alloggio e ristorazione».
Il 22,7% l’ha trovata nel comparto «attività professionali, scientifiche e di servizi alle imprese». Tra il 2014 e i primi 6 mesi del 2025 sono cresciute le quote di giovani assunti nel commercio (passata dal 40,4% al 45,2%) e nelle costruzioni (da 5,3% a 6,4%) mentre è diminuita la quota di giovani assorbiti dall’industria scesa dall’11,6% al 9,0%.
Ma i contratti restano precari. Nei primi 6 mesi del 2025 sono stati assunti alle dipendenze 1.590.802 giovani con meno di 29 anni e, di questi, l’82,4% è stato assunto con contratti precari o se si preferisce «instabili». Tra il 2014 e i primi 6 mesi del 2025 la quota di assunti con contratti precari è salita di quasi 10 punti percentuali, passando dal 73,6% all’82,6%.
La precarietà non è più una «prerogativa» del settore privato. Nel 2023 il 51,6% dei dipendenti pubblici con meno di 29 anni ha un contratto a tempo determinato. Sempre nel primo semestre del 2025 1.120.040 giovani con meno di 29 anni hanno interrotto il
rapporto di lavoro alle dipendenze: il 61,4% per scadenza del contratto, il 27,5% per dimissioni, il 4,4% per motivi di natura economica (crisi dell’azienda), il 3,0% per altri motivi.
L’altra faccia della precarietà è il bisogno di un sostegno intergenerazionale, che non sempre può esserci. Alle tante spese che le famiglie sostengono se ne aggiunta un’altra: l’aiuto ai figli in difficoltà a causa del lavoro scarso, precario e poco retribuito. In Italia le famiglie in povertà assoluta sono 2,2 milioni, concentrate per il 40% al Sud e nelle Isole dove sono molti i giovani che non lavorano.
«Le nuove generazioni cercano un lavoro che li rispetti, li valorizzi, che non li schiacci, che lasci spazio alla vita, al tempo per sé, ai desideri, alle passioni – ha commentato il leader della Cisl Lombardia Fabio Nava alla presentazione di un’indagine del sindacato sul lavoro giovanile -.
I ragazzi non sono più sedotti dal mito del posto fisso, ma questo non significa che abbiano rinunciato alla stabilità, al senso profondo del proprio impegno. Però non sopportano più tirocini infiniti, straordinari non pagati, contratti leggeri e fragili come carta velina. Vogliono dignità, non paghette».
(da agenzie)
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Novembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
“LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE È IL PRIMO STEP DI UN PERCORSO CHE VEDRÀ COME SUCCESSIVO LA SOTTOPOSIZIONE DEL PM ALL’ESECUTIVO. SARÀ IL GOVERNO A STABILIRE QUALI REATI PERSEGUIRE E A QUALI CONDIZIONI DANDO LE DIRETTIVE AL PM”… LA RISPOSTA AL SOTTOSEGRETARIO MANTOVANO, SECONDO CUI I GIUDICI HANNO “PIENI POTERI”: “MANIFESTA SOLO INSOFFERENZA AL CONTROLLO DI LEGALITÀ”
Procuratore Gratteri, il ministro Nordio dice che l’Anm non vuole la riforma perché
«nessun tacchino si candida al pranzo di Natale». Lei, che con l’Anm è stato duro, perché non la vuole?
«Al di là della metafora che lascia comprendere parecchie cose, va detto che con affermazioni di questo tipo si vuole far credere che i magistrati e l’Anm siano contrari per interessi propri, ma non è così. Per noi, è bene chiarirlo una volta per tutte, non cambia nulla.
Ciò che invece cambia, in peggio, è il servizio giustizia per i cittadini. E ciò perché la separazione è il primo step di un percorso che vedrà come successivo la sottoposizione del pm all’esecutivo. Sarà il governo a stabilire quali reati perseguire e a quali condizioni dando le direttive al pm. Continuerò a spendermi fino alla fine per fare capire ai cittadini quanto è importante andare a votare e quanto è importante votare no. Spero lo facciano in tanti”
Era favorevole al sorteggio.
«In questo momento passa in secondo piano. Ora bisogna difendere la Costituzione. Il quesito è unico, ed è necessario rispondervi No».
Nordio dice a Schlein che la riforma «servirà» anche a loro.
«Con questa riforma costituzionale non si vuole separare la magistratura, si vuole controllare la magistratura. Fare in modo che sarà chi di volta in volta sarà al governo, a “dettare
l’agenda”. Ma è accettabile una cosa del genere? È accettabile per i cittadini avere un sistema che non persegue chi commette i reati, ma solo chi, a seconda di chi è al governo, «servirà», utilizzando le sue parole perseguire?».
Ma anche Pinelli (Csm) dice che c’è un «riassetto degli equilibri di potere». È così?
«Mi pare che entrambe le posizioni confermino il vero obiettivo: “riposizionare” il pm per poi metterlo alle dipendenze dell’esecutivo, incidendo anche sull’obbligatorietà dell’azione penale. Mentre è del tutto irrilevante ai fini della riduzione dei tempi dei processi, che è l’esigenza fondamentale della gente».
Il centrodestra dice che nel testo non c’è, servirebbe un’altra norma costituzionale.
«Non è così. Il nostro assetto ordinamentale, elaborato dai padri costituenti, è considerato un modello, perché garantisce in toto la separazione dei poteri. Pensiamo sia migliore il sistema Usa, dove il pm è espressione del potere politico e persegue solo ciò che il governo di turno gli indica? I fautori della riforma dicono che in quasi tutte le democrazie, europee e non, c’è la separazione delle carriere, ma non completano il discorso: in quei Paesi il pm dipende dall’esecutivo».
Perché dice che il pm perderà la cultura della giurisdizione, così da giustificare il controllo del governo?
«Abbiamo bisogno di un pm all’interno delle giurisdizioni. La riforma è pericolosa sotto diversi punti di vista. Allontana il pm dalla giurisdizione, equiparandolo a una parte privata. Compito
del pm non è risolvere un caso a tutti i costi, ma cercare di arrivare alla verità, anche indagando a favore del sospettato, proprio perché a differenza degli altri attori processuali, non deve tutelare interessi di parte».
Mantovano dice che i «pieni poteri» li hanno i giudici.
«Tutto ciò manifesta solo insofferenza al controllo di legalità, con l’obiettivo di attenuare e ridisegnare i confini di garanzia dati dalla separazione dei poteri, che invece è sacrosanta e non va toccata».
Per l’efficienza il ministro rivendica di colmare gli organici. Cos’altro urge?
«Serve accorpare i piccoli tribunali, e invece ne stanno riaprendo. Ridurre il numero dei magistrati fuori ruolo, e sempre di più ve ne vengono collocati. Stabilizzare gli addetti all’ufficio del processo (circa dodicimila), mentre ancora nessuna risposta è stata data. Fare concorsi per gli amministrativi. Investire in modo razionale nell’informatica, mentre a oggi decine di uffici, tra cui il mio, non ha scorte informatiche.
Quindi se si rompe un pc o una stampante non possiamo sostituirli».
(da Corriere della Sera)
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Novembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
“ABBIAMO DOCUMENTATO FATTI NON SMENTIBILI E CIOÈ CHE I GARANTI DECIDONO IN BASE ALLE SENSIBILITÀ POLITICHE, AI CONFLITTI DI INTERESSI, AI GIOCHI CLIENTELARI”… “ORA CHE LA POLITICA CHIEDE UN PASSO INDIETRO, LORO VOGLIONO FAR PASSARE IL MESSAGGIO CHE SONO INDIPENDENTI”
“Qualcuno dice che abbiamo fatto questa inchiesta dopo la sanzione decisa dal Garante: solo chi sa di tv può intuire che un’inchiesta così non si fa in tre giorni. Sono anni che abbiamo segnalazioni da tantissimi colleghi di carta stampata e tv, che ritengono di aver subito valutazioni non eque, sul funzionamento degli uffici del Garante, evidentemente c’è qualcuno all’interno dell’ufficio che ha detto: basta con questo andazzo”.
Lo ha detto Sigfrido Ranucci, ospite di Un Giorno da Pecora su Radio1, parlando delle polemiche sull’inchiesta sul Garante per la Privacy. “Abbiamo documentato fatti non smentibili – ha aggiunto Ranucci – e cioè il fatto che l’Autorità è diventata nel tempo una sorta di tribunale politico dove i garanti decidono in base alle sensibilità politiche, ai conflitti di interessi, ai giochi clientelari”.
“Dopo quello che è emerso è difficile che possano continuare a prendere decisioni diverse dalla logica con cui le hanno prese in questi giorni”, ha sottolineato, rispondendo a una domanda sulla richiesta di dimissioni del Garante avanzata in particolare dalla segretaria del Pd Schlein. Quanto al fatto che gli esponenti del Garante siano nominati dalla politica, “è un altro paradosso”.
Peraltro però “dipende sempre dallo spessore della persona: veniamo da un ufficio che ci ha invidiato il mondo, quello di Stefano Rodotà, che intendeva la tutela della privacy anche come tutela dall’intromissione politica”.
“Ora che la politica chiede di fare un passo indietro, loro vogliono far passare il messaggio che sono indipendenti e quindi non accettano ordini dalla politica”, ha detto ancora.
“Questo è stato l’anno più complicato per Report considerando le condizioni in cui abbiamo lavorato”.
La premier Meloni ha detto sulle dimissioni del Garante che spetta ‘al collegio decidere, messo da Pd e M5S’? “Ci sono anche uno della Lega e uno di Fratelli d’Italia, anzi l’unico proprio organico a Fdi è proprio Ghiglia mi pare. La frase della premier però è corretta dal punto di vista istituzionale”, ha aggiunto Ranucci
(da agenzie)
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Novembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
“IL TENTATIVO DI ADDOMESTICARE GLI ANTIDEMOCRATICI CONCEDENDOGLI L’ACCESSO AL POTERE È FALLITO, NON SOLTANTO A WEIMAR”
Il 9 novembre è una data fatidica per la Germania. Nel 1918 fu proclamata la Repubblica
di Weimar, nel 1989 cadde il Muro di Berlino, nel 1938 i nazisti organizzarono uno dei più feroci pogrom contro gli ebrei.
Ripensando alla fragilità di Weimar e alle ombre scure che si addensano di nuovo nella politica tedesca, il presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier ha attaccato ieri duramente l’ultradestra chiedendone in sostanza il divieto e facendo appello ai partiti democratici a mantenere intatta la “Brandmauer”, il cordone sanitario che vieta ogni accordo o coalizione con l’Afd.
Lo strumento del divieto – che in Germania deve essere deciso dalla Corte costituzionale – è «l’espressione di una democrazia capace di difendersi», ha sottolineato il capo dello Stato, ricordando che la costituzione prevede misure di restrizione e «persino il totale divieto» di chi «si ponga in modo aggressivo e bellicoso contro il nostro sistema liberale e democratico».
Steinmeier ha anche respinto le critiche, da destra, di una presunta antidemocraticità del bando di un partito: «Attaccate la nostra costituzione, la mettete in discussione, volete un altro sistema, non liberale? La risposta della nostra costituzione è chiara: un partito che la attacchi aggressivamente deve calcolare la possibilità di essere vietato». Se ci sono le condizioni, ha suggerito il presidente socialdemocratico (Spd), anche l’ultima ratio del divieto «deve essere analizzata e presa in considerazione».
Una bordata l’Afd, che è già stata bollata come anticostituzionale e «di estrema destra» dai servizi segreti. E che qualcuno, però, è già tentato di coinvolgere in un esecutivo a guida Cdu/Csu se la coabitazione con la Spd dovesse collassare.
Negli ultimi giorni persino all’interno della Cdu è scoppiato l’inferno quando il ministro degli Esteri Wadephul ha fatto notare che rimpatriare siriani in un Paese che riemerge da un decennio di feroce guerra civile «come la Germania nel 1945».
Qualche giornale ha cominciato persino a parlare di pressioni dell’ala destra per far dimettere il ministro. Il punto è che negli ultimi sondaggi, l’Afd ha superato la Cdu e oscilla tra il 26 e il
27%. E i cristianodemocratici sono tesissimi.
Steinmeier ha dunque messo le mani avanti. Il 2026 farà tremare i polsi: si vota in una manciata di land e gli occhi sono puntati su Sassonia-Anhalt e Meclemburgo-Pomerania. Lì l’Afd sembra irraggiungibile: sfiora da mesi il 40%. Si vota a settembre in Sassonia-Anhalt e l’Afd potrebbe persino conquistare abbastanza seggi per ottenere la maggioranza assoluta e nominare il primo governatore di estrema destra dopo il 1945.
Steinmeier ha ammonito che «il tentativo spericolato di addomesticare gli antidemocratici concedendogli l’accesso al potere è fallito non soltanto a Weimar». Viene in mente la famosa frase di Franz von Papen, il conservatore che accettò nel 1933 di formare un governo con Adolf Hitler e disse «tempo due mesi e lo avremo talmente schiacciato in un angolo da farlo squittire». Due mesi dopo squittiva la Germania.
(da agenzie)
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Novembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
“VOTARE CONTRO QUALSIASI RIFORMA PROPOSTA DALLE FORZE CHE HANNO UN’INTENZIONE DEMOLITRICE DELLA CARTA È UN DOVERE”
Nelle prossime settimane ci troveremo di fronte ad una questione che lacererà le forze politiche, le comunità, forse anche le coscienze individuali. Votare sì o no al referendum confermativo della riforma proposta dal governo per la divisione delle carriere nella magistratura.
Ma è davvero su questo che si chiama la manifestazione solenne e democratica della partecipazione popolare referendaria? La nostra Costituzione rappresentò una grande novità dal punto di vista della definizione degli equilibri delle forze politiche nella società.
La Carta è il programma politico di uno stato democratico antifascista, nato dalla tragedia che concluse la Seconda guerra mondiale. Un programma di uno stato in cui i poteri venivano fusi in un equilibrio politico-costituzionale.
Al punto che nella Carta non vi è spazio per i cosiddetti governi tecnici. Infatti nei primi cinquant’anni di vita repubblicana non ne avemmo, fatta eccezione per pochissimi che potremmo dire di “pausa” tra le forze politiche, limitata nel tempo, e come governi-ponte per sistemare alcuni squilibri che si erano determinati.
Il governo tecnico appare all’orizzonte del sistema italiano con la crisi dell’ultimo governo di Mani Pulite, quello di Giuliano Amato, nell’aprile del 1993. Il primo è varato dal presidente Scalfaro, che consegna l’esecutivo a un esponente di una struttura tecnica, il governatore della Banca d’Italia.
Da qui si apre la strada a una modifica di fatto della Costituzione. Di fatto, ma radicale: perché pone la questione delle radici legittime della Repubblica. Sono ancora quelle previste dai costituenti, o sono cambiate? Da qui la Costituzione entra in una fase di turbolenza e di modifica.
In questi trent’anni la progressiva modifica di fatto non è stato affrontata. Eppure pone il tema di come sono utilizzabili gli strumenti previsti dalla Costituzione, quando è in corso questo mutamento.
Si fa finta che tutto si svolga regolarmente, e che il referendum sia uno strumento legittimo e costituzionale di un processo attuativo democratico. Invece è diventato uno strumento il cui esito è ignoto. O forse noto. Oggi la destra dichiara, sia pure a mezza voce, l’intento di modificare pezzi di Carta per poi radicalmente mutare l’ordinamento. Se sarà democratico o meno lo si vedrà da chi ne avrà la direzione e la guida.
Diciamoci con chiarezza e onestà: da anni la destra utilizza tutti gli strumenti della dialettica politica per portare il paese ad un affidamento al buio della modifica dell’ordinamento democratico.
E allora la questione di oggi non è l’uso del referendum per introdurre una legge di cui però non sappiamo la futura collocazione nel nuovo assetto costituzionale. La questione è sapere se oggi c’è o non c’è un utilizzo del referendum per accelerare il processo demolitorio della democrazia. Quindi il problema non è se votare sì o no, è se partecipare o no a quest’accelerazione.
Un esempio ci aiuta: se dopo il delitto Matteotti il regime fascista avesse sottoposto al residuo parlamento elettivo leggi modificative dell’ordinamento giudiziario, i partiti di opposizione avrebbero commesso un chiaro errore politico se avessero aperto una trattativa sulla normativa.
Le forze di opposizione non lo fecero, scelsero la via della radicalità politica. Quando si è superata la linea dell’equilibrio democratico ogni forma di compiacenza compromissoria è complicità.
Oggi non siamo al delitto, ma alla lesione profonda del diritto costituzionale democratico. Oggi il governo cerca la legittimazione della sua demolizione della Carta. Ed è inutile ricordare ogni piè sospinto le radici della Costituzione se da questo ricordo non scaturisce la difesa di quell’assetto politico e istituzionale. Qui non è in gioco la carriera dei magistrati, né se saranno o no autonomi in uno stato libero e democratico. Nella decadenza democratica, unite o divise, le carriere dei magistrati saranno alle dipendenze di un potere autoritario.
Dunque oggi votare contro qualsiasi riforma proposta dalle forze che hanno un’intenzione demolitrice della Carta è un dovere. Non è una bestemmia per il proprio passato di lotta politica dei singoli o delle forze della tradizione laica italiana. È aprire gli occhi: oggi è in atto una tendenza a chiuderli dinanzi a problemi che riguardano noi e i nostri figli. Il momento del risveglio arriva sempre. Bisogna sperare di essersi svegliati in tempo.
Il voto di New York ci ha dato una lezione: aver capito per tempo che in gioco non era l’amministrazione ma il futuro democratico degli Stati Uniti. Il no al nostro referendum va spiegato bene . Non perdetevi dietro meticolosità tecnicistiche su una formula più o meno rispondente al diritto ordinario. Il diritto non c’entra. C’entra una questione semplice, ed enorme: c’è il rischio di rendere irrecuperabile il declino democratico. Ci vuole il coraggio di dire no a questo governo.
Si vota contro il governo della distruzione democratica; o non si è. Una valanga di no alle riforme fantasma del governo indicherà l’inizio del risveglio nazionale.
Rino Formica
(da “Domani”)
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Novembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
IL CASO DELLA TRASFERTA A CAPRI: TRASPORTATA CON UNA MOTOVEDETTA DELLA GUARDIA DI FINANZA INSIEME AL MARITO, BARTOLOZZI HA SOGGIORNATO AL GRAND HOTEL QUISISANA PER DUE NOTTI (COSTA DALLE 600 ALLE 1500 EURO A STANZA: CHI HA PAGATO?)
C’è una data che chiarisce i contorni dell’ultimo caso che vede protagonista Giusi
Bartolozzi, capo di gabinetto del ministero della Giustizia, indagata per il caso Almasri. Il caso è quello dell’uso, da più parti definito improprio, di una motovedetta della Guardia di finanza per recarsi sull’isola di Capri insieme al marito, Gaetano Armao.
La data è quella del 24 settembre, dieci giorni prima della partecipazione della zarina a un evento sulla giustizia. Una data
che appare su un documento riservato, che Domani ha letto, dove viene fissato il programma di Bartolozzi, la conferma che i suoi spostamenti sul mezzo delle fiamme gialle prescinde dal forfait dato all’ultimo minuto dal ministro Carlo Nordio.
«Al ministero non si muove foglia che Bartolozzi non voglia. Chi può va via, gli altri devono convivere con i suoi diktat. Il caso Capri racconta che a lei viene riservato un trattamento da ministra, gli uffici sono più realisti del re».
Da via Arenula, sede del ministero della Giustizia, fotografano così questa stagione, e ricordano che l’uso contestato della motovedetta è frutto di una richiesta arrivata proprio dal ministero, l’ufficio della sicurezza del personale del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, regno di Andrea Delmastro Delle Vedove, sottosegretario alla Giustizia e strenuo difensore di Bartolozzi. Una richiesta risalente a dieci giorni prima dell’evento.
Per capire quanto la figura di Bartolozzi sia temuta e considerata alla stregua di una ministra bisogna tornare sull’isola di Capri e alla trasferta delle polemiche, rivelata da questo giornale. Ai primi di ottobre Bartolozzi ha partecipato a un convegno promosso come ogni anno dal Centro elaborazione dati della Corte suprema di Cassazione. A provocare malumori, con seguito di interrogazioni ed esposti, il mezzo usato per spostarsi: una motovedetta della Guardia di finanza.
Domani ha letto documenti che raccontano la pianificazione di quel viaggio diversi giorni prima e smentiscono in mod
definitivo che l’utilizzo del mezzo delle fiamme gialle fosse legato al forfait del ministro. Nordio, infatti, aveva in programma un intervento, il giorno 4 ottobre, ma ha declinato l’invito causa sciopero pro Gaza.
In pratica presente o assente il ministro, Bartolozzi avrebbe comunque viaggiato con il guardacoste G.1777 Sanna, in forza al reparto operativo aeronavale della Guardia di finanza.
Insieme a lei ha viaggiato il marito Gaetano Armao, ex vicepresidente della regione Sicilia e assessore al bilancio. A Capri era invitato a un panel come relatore. All’evento sull’isola dei faraglioni hanno partecipato anche magistrati sotto scorta e in prima linea contro il crimine, raggiungendo l’evento con il traghetto, così come il viceministro forzista Francesco Paolo Sisto. Questo vanifica la giustificazione fornita dal governo dell’uso di quel mezzo di trasporto perché Bartolozzi è sotto tutela. Il mezzo della Guardia di finanza è appannaggio dei ministri. La zarina viene trattata come se lo fosse.
Per capire cosa è accaduto vengono in soccorso i documenti esclusivi che abbiamo visionato. Il primo reca la data del 24 settembre 2025, l’intestazione del ministero della Giustizia, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, l’ufficio che si occupa della sicurezza del personale. Una pianificazione che risale a dieci giorni prima dell’evento sul tema giustizia.
Nel documento viene riportato il programma al quale doveva partecipare Giusi Bartolozzi che prevedeva la partenza da Napoli, il 3 ottobre 2025, con motovedetta resa disponibile
«dalla Guardia di finanza e permanenza in loco», si legge.
Il pernottamento è avvenuto nel Grand Hotel Quisisana per due notti (non sappiamo chi ha pagato perché Bartolozzi non ha risposto alle domande, in media l’hotel costa dalle 600 alle 1500 euro a stanza), mentre la ripartenza veniva fissata per il 5 ottobre, sempre con «motovedetta della Guardia di finanza».
E qui c’è la dimostrazione che l’utilizzo del mezzo delle fiamme gialle prescinde dall’arrivo del ministro sull’isola visto che la ripartenza di Nordio era prevista, già dieci giorni prima, il 4 ottobre e non il 5.
In pratica i due programmi erano distinti, ma prevedevano lo stesso trattamento: trasporto con motovedetta della finanza. Poi la partecipazione del ministro è saltata poco prima della partenza.
In pratica a via Arenula i ministri sono due. «Una situazione che non avevamo mai vissuto, chi ha potuto abbandonare il ministero lo ha fatto, chi resta è perché si adatta alla situazione. In questo caso la richiesta è arrivata proprio dagli uffici ministeriali che hanno chiesto il medesimo trattamento per ministro e capo di gabinetto», ci racconta chi vive quotidianamente quei corridoi.
Nella risposta fornita in parlamento dal governo alle opposizioni si è fatto riferimento al protocollo d’intesa tra ministero e Guardia di finanza. Proprio il dicastero, dove Bartolozzi tutto comanda, ha richiesto parità di trattamento tra ministro e capo di gabinetto
«L’impiego del guardacoste è stato richiesto, ai sensi del vigente
protocollo d’intesa sopra menzionato, dall’ufficio per la sicurezza personale e per la vigilanza del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria», ha spiegato il governo.
Il ritorno di Bartolozzi non è avvenuto con motovedetta solo perché il mare era tempestoso. Nell’interrogazione parlamentare presentata da Angelo Bonelli si fa riferimento a «un uso e abuso di potere» della capo di gabinetto, ma la domanda che in molti si pongono è sempre la stessa: perché Bartolozzi è inamovibile?Perché è difesa a spada tratta da Nordio e da Andrea Delmastro Delle Vedove che hanno spinto per sollevare il conflitto di attribuzione davanti alla Consulta per l’indagine che la riguarda.
La zarina è la magistrata che piace alla destra. Nella sua carriera niente da segnalare tranne quando ha deciso di scendere in politica. Candidata ed eletta con Forza Italia, berlusconiana doc e ora protagonista nel governo guidato da Giorgia Meloni.
Sulla vicenda della spedizione familiare a Capri, la procura di Napoli ha aperto un fascicolo al momento senza indagati mentre un altro esposto è stato presentato dalle opposizioni alla Corte dei conti per valutare un eventuale danno erariale.
(da Domani)
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Novembre 10th, 2025 Riccardo Fucile
IN QUASI LA METÀ DI CASI, SI TRATTA DI PERSONE OVER-75: UN DATO ALLARMANTE, VISTO CHE LA SOLITUDINE PUÒ CAUSARE PROBLEMI PSICOLOGICI E MENTALI… LA COMUNITÀ SANT’EGIDIO: “IL RISCHIO È CHE QUESTE PERSONE RIMANGANO SOLE QUANDO SCATTA UNA FRAGILITÀ, UN PROBLEMA DI SALUTE. QUESTO SI SCARICHERÀ SUI SERVIZI PUBBLICI DEL TUTTO IMPREPARATI A AFFRONTARE QUESTO PROBLEMA”
Gli italiani sono sempre più soli, più vecchi, più fragili. È il quadro che emerge dalle cifre contenute nel rapporto Istat 2025. Ci sono 9 milioni e mezzo di famiglie composte da una sola persona, sono il 36,2% di tutte le famiglie mentre le coppie con figli sono calate al 28,2%. Circa la metà sono formate da persone di oltre 65 anni, nel 2043 saranno 6,2 milioni mentre il totale delle famiglie single diventerà quasi il 40%, cioè più di 10,7 milioni tra 18 anni, nel 2043.
Sono diversi anni che la tipologia di famiglia più diffusa è quella formata da una sola persona, sorpassando i nuclei di due e più persone, ora osserviamo una decisa accelerazione. Cento anni fa le famiglie single rappresentavano il 9% del totale, oggi quattro volte tanto.
Come spiega l’Istituto di Statistica a renderci più soli sono «il calo dei matrimoni, una maggiore instabilità coniugale, la bassa natalità e il posticipo della genitorialità».
L’Italia è tra i Paesi più longevi del mondo; nel 2024 ha raggiunto il record di vita attesa alla nascita: 81,4 anni per gli uomini e di 85,5 anni per le donne. Sono 14 milioni e mezzo le persone che hanno più di 65 anni e 4,5 milioni quelle che hanno più di 80 anni, 50 mila in più rispetto al 2024. Sono dati positivi. Una società longeva, però, ha delle esigenze e l’Italia non sembra tenerne conto. Quasi il 40% degli over 75 vive da solo, in prevalenza sono donne. E sono quasi un milione gli anziani che vivono in povertà assoluta.
Questi italiani sempre più soli sono anche sempre più fragili. «La solitudine è in forte aumento e solitudine e isolamento vanno di pari passo. – avverte Maria Antonietta Gulino, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi – Non essere più in relazione con gli altri è alla base di un aumento del disagio psicologico e mentale. Non è il caso di parlare di epidemia di solitudine ma di sicuro c’è un problema serio nelle due fasce di popolazione più vulnerabili, anziani e giovani».
«Per molte persone anziane la solitudine non è una scelta – sottolinea Giancarlo Penza, responsabile del Servizio Anziani della Comunità di Sant’Egidio – ma un dato della vita dovuto al fatto che, per esempio, non si ha più il coniuge, o che i figli sono partiti. Il rischio è che queste persone rimangano sole quando scatta una fragilità, un problema di salute. Questo si scaricherà
sui servizi pubblici del tutto impreparati a affrontare questo problema».
(da agenzie)
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