Dicembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
GIORGIA MELONI NON SI FIDA DI MARINA E PIER SILVIO BERLUSCONI, VERI “PROPRIETARI” DI FORZA ITALIA
C’è uno scenario che Giorgia Meloni vuole a tutti i costi evitare: il pareggio elettorale. La
premier ne ha discusso a lungo con i suoi consiglieri, negli ultimi due mesi. Ma soprattutto, ne hanno ragionato a via della Scrofa i pesi massimi del partito, ripetutamente, nelle ultime due settimane (dopo, cioè, che la destra ha toccato con mano il precipizio di consenso in Puglia e Campania).
La ragione per andare oltre il Rosatellum non risiede soltanto nella conseguenza più ovvia, vale a dire l’impossibilità di garantire un bis dell’attuale esecutivo nella prossima legislatura. Lo spettro peggiore, quello di cui ragionano ai vertici del melonismo, è che un risultato incerto possa favorire l’avvio di una stagione di larghe intese. Spaccando l’attuale maggioranza. E complicando il vero sogno degli eredi missini: portare un esponente della destra al Quirinale.
Allontanare il rischio di un pareggio, dunque, schivando la possibilità che una delle tre gambe della maggioranza possa dire sì a una stagione di larghe intese, in nome dell’emergenza nazionale. È proprio questo il timore emerso durante gli ultimi incontri sulla legge elettorale che hanno coinvolto tutti i pesi massimi di FdI. Osservata speciale è l’ala moderata, quella che fa capo a Forza Italia e al resto dei cespugli di centro. […] Non è successo soltanto una volta in passato, in effetti: basti pensare al governo di Enrico Letta
Certo, non c’è più Silvio Berlusconi. In secondo luogo, una nuova legge elettorale potrebbe davvero garantire un’altra vittoria e ulteriori cinque anni di potere all’alleanza di centrodestra. Infine Antonio Tajani: non ha mai messo agli atti obiezioni sulla necessità di riformare il sistema del voto, limitandosi a fissare semmai alcuni paletti nell’interesse del suo partito.
E però altrettanto evidente che un pareggio frutto di elezioni con il Rosatellum imporrebbe un bivio: immediate elezioni (con il rischio concreto di un altro nulla di fatto) o larghe intese con il contributo di FI. E nuovi equilibri, attorno a cui sancire un patto anche per il prossimo inquilino del Colle, a gennaio del 2029.
Si diceva di Tajani Ma è cosa nota che dietro al ministro degli Esteri si muove la famiglia del Cavaliere, capitanata da Marina e Pier Silvio Berlusconi. Le loro mosse, in alcuni frangenti, sono state osservate con sospetto a Palazzo Chigi.
Marina ha più volte lanciato segnali, nel corso della legislatura: da alcune uscite pubbliche sui diritti, alle critiche di alcuni provvedimenti del governo, fino a un faccia a faccia con Draghi che ha alimentato la curiosità degli osservatori. Il primogenito di Berlusconi, dal canto suo, ha da tempo manifestato interesse per la politica attiva, senza però aver mai sciolto la riserva. Ecco perché FdI intende risolvere alla radice il problema, evitando che una situazione di incertezza possa aprire il varco a soluzioni diverse.
(da agenzie)
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Dicembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
GIUSEPPE DE RITA: “QUANDO NEGLI ANNI SETTANTA PARLAMMO DI CETOMEDIZZAZIONE DELL’ITALIA, CI PRESERO A PESCI IN FACCIA. SE, PERÒ, NON ABBIAMO I CASSEUR IN STRADA COME IN FRANCIA, O SE NON ABBIAMO LE DISUGUAGLIANZE CHE PESANO NEGLI USA È GRAZIE AL CETO MEDIO CHE SMORZA LE VIOLENZE E CHE RESISTE”
Giuseppe De Rita, lei ha firmato mezzo secolo di rapporti Censis. Dall’ultimo rapporto emerge un quadro cupo di quello che avete definito un Paese selvaggio, che ha fiducia negli autocrati, che sembra sempre più in balia dell’istinto, della paura, dell’ignoranza. È un’Italia senza speranza?
«A noi preme dare il senso del film, non fermarci alla fotografia».
Qual è il senso del film?
«È il senso dinamico della società italiana e non è così disastroso come appare se ci si ferma alle singole fotografie. Venti anni fa abbiamo iniziato a raccontare che l’Italia era malata di presentismo, cioè che si accontentava del presente. Oggi non è più così.
Nel presente l’italiano lavora, dimostra una resistenza giorno per giorno alle tante difficoltà e questo non crea avvilimento ma una nuova tonicità del sistema e del ceto medio».
Cioè il ceto medio non è in declino?
«Se si considerano le fotografie anno per anno lo è ma se invece si prende in considerazione l’evoluzione si trovano degli elementi di novità».
Quali?
«Seguiamo da cinquant’anni il ceto medio […] Lo abbiamo […] raccontato affrontando il disgusto di esponenti della cultura alta come Pasolini che ci accusava di dare importanza all’Italia peggiore. Oggi vediamo che, dopo tanti anni, il ceto medio ha subito la paura del declino, ha resistito e ora sta facendo dei passi avanti. Lentamente cresce e cerca di mantenere il suo stile di vita. Viaggia, per esempio, in classe economica e a volte concedendosi un lusso».
Quindi, come racconterebbe gli italiani?
«La classe media italiana affronta difficoltà ogni giorno e resiste. Questo accumulo di difficoltà che, prese singolarmente,
sembrano un declino, osservate in modo dinamico mostrano un rafforzamento delle difese, una maturazione, una ‘struggle of life’, una lotta per la vita che noi italiani abbiamo sempre avuto».
Più del resto d’Europa?
«L’Europa sembra schiacciata tra Putin e Trump e incapace di resistere L’Italia, invece, dà il meglio nei periodi più neri proprio per questo cumulo di germi di resistenza che ha creato un corpo tutto sommato sano che, per esempio, permette di avere un’industria capace di reggere ancora alle follie dei dazi americani».
Che Italia era quella che ha iniziato a raccontare con il Censis?
«Il primo rapporto è del 1967. Quella era un’Italia di appartenenza in cui stava diffondendosi il germe della dimensione personale e individuale […] Stava finendo il film delle appartenenze».
Quali erano?
«Lo stare dentro alle culture collettive come quella ecclesiastica, quella comunista, la democristiana, l’imprenditoriale. Dicemmo che i ceti sociali stavano scomparendo, quindi diventava difficile ragionare in termini di scontro di classe».
Un discorso difficile per l’epoca. Quale fu la reazione?
«Mi accusarono di essere un autonomo individualista, un terrorista democristiano e cattolico non avevano capito niente di chi fossi né di quello che stava accadendo».
«Quando negli anni Settanta parlammo di cetomedizzazione dell’Italia, ci presero a pesci in faccia. Se, però, non abbiamo i casseur in strada come in Francia, o se non abbiamo le
disuguaglianze che pesano negli Usa è grazie al ceto medio che smorza le violenze e che resiste».
Come è cambiata l’Italia della cultura, invece?
«È uno strazio. Questo resistere sul piano economico insieme con la tendenza all’individualismo non dà spazio alla cultura. La cultura di massa è vittima di una spettacolarizzazione che fa sì che le persone preferiscano occuparsi delle proprie cose. Si crea una perdita in termini di appartenenza di vita, di traguardi collettivi».
È anche per questo motivo che non si va più a votare e si ha fiducia negli autocrati?
«Se non ho la percezione di essere dentro un processo reale ma di vivere in un processo governato da poche persone finisco per non andare a votare e affidarmi ai pochi che hanno il potere»
(da La Stampa)
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Dicembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
E DIRE CHE LA FONDAZIONE VANTA GIÀ UN CONTRATTO DI 90MILA EURO CON LA CAMERA DEI DEPUTATI … GIÀ DUE ANNI FA, LA MAGGIORANZA AVEVA PREVISTO NELLA MANOVRA L’EROGAZIONE DI 100MILA EURO ALL’ANNO PER LA “GARI”
A volte ritornano. E nel caso di Enrico Michetti, candidato sindaco della destra a Roma
sconfitto alle ultime comunali, il ritorno è ciclico. Soprattutto quando si tratta di elargire risorse pubbliche alla sua creatura, la fondazione Gazzetta amministrativa della Repubblica italiana (Gari), che Michetti ha fondato e tuttora presiede.
Nella manovra (che inizierà il vero iter al Senato solo la prossima settimana viste le lentezze di governo e maggioranza), è arrivato l’emendamento Michetti, o comunque “pro Gari”, presente tra i cosiddetti segnalati, quelli che saranno discussi e votati. A firmare la proposta è stato il senatore dell’Udc, Antonio De Poli, che punta a mettere a disposizione della fondazione un milione all’anno per il prossimo triennio. In totale, quindi, 3 milioni di euro.
Difficile che il testo possa passare con l’attuale formulazione, fanno notare fonti parlamentari. Ma intanto l’operazione è stata lanciata. Magari per portare una cifra meno elevata, ma comunque consistente. E dire che da palazzo Chigi era giunto un preciso avvertimento, dal sapore di diktat: nel faldone degli emendamenti non dovevano esserci stanziamenti di fondi per associazioni ed enti per evitare di dare nell’occhio ed essere accusati di elargire mancette.
Così su molti testi è calata la mannaia del taglio, talvolta facendo ricorso alla dichiarazione di inammissibilità. Su altri, come rivelato da Repubblica, è arrivato il semaforo rosso in un report riservato del ministero dell’Economia. La ragione degli stop è la mancanza di adeguate coperture […] Per l’emendamento Michetti è stata prevista un’eccezione. De Poli, nell’unica proposta a sua prima firma, chiede di affidare le risorse alla
fondazione Gari per «assicurare il regolare ed efficiente funzionamento della pubblica amministrazione gli enti locali, nell’immediatezza di eventi straordinari e critici, in relazione alle funzioni loro attribuite».
Secondo il senatore centrista, dunque, la Gari deve diventare la «struttura permanente di supporto alla redazione degli atti amministrativi necessari a fronteggiare l’emergenza, anche ai fini della semplificazione e digitalizzazione delle procedure amministrative».
L’obiettivo è dunque di provvedere all’attuazione delle misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza fino al 2028. Solo che il Pnrr scadrà tra pochi mesi, a metà del 2026. Nonostante questo il parlamentare di lungo corso De Poli ha pensato di mettere a disposizione della fondazione di Michetti delle risorse per realizzare qualcosa che tra poco è destinato a terminare. […] La sua candidatura è stata la peggiore scelta di Giorgia Meloni, all’epoca semplice leader di FdI, insieme alla sorella Arianna. Dopo la débâcle, Michetti ha lasciato il ruolo di consigliere comunale a Roma e si è allontanato dalla politica, tornando alla sua vita professionale.
Spesso, però, dalla destra al potere sono arrivate misure ad hoc per la sua fondazione. Del resto, già due anni fa, la maggioranza aveva previsto nella manovra l’erogazione di 100mila euro all’anno per la fondazione Gazzetta amministrativa della Repubblica italiana. Sempre con la firma della destra. Domani ha anche raccontato che la Camera – appena iniziata la nuova legislatura – ha sottoscritto un abbonamento triennale, per un
valore complessivo di 90mila euro (30mila euro all’anno), con la Gari. Non proprio una sorpresa. A Montecitorio il presidente è il leghista, Lorenzo Fontana.
(da agenzie)
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Dicembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
RONCONE: “SI È MESSO IN TESTA DI ESSERE IL KINGMAKER DEL CENTROSINISTRA. QUELLO CHE DECIDE. CON UN OBIETTIVO PRECISO: IMPEDIRE CHE LA CANDIDATA PREMIER POSSA ESSERE ELLY SCHLEIN… CON IL PASSO INDIETRO DI CONTE, E ANNULLATA LA SCHLEIN, SARÀ INEVITABILE ANDARE SU UN ALTRO NOME. QUALE? AVANZA IPOTESI SILVIA SALIS, L’UNICA CHE PUO’ BATTERE GIORGIA MELONI
Niente ricami, la notizia è questa: Giuseppe Conte ha cambiato strategia. E ha smesso di immaginarsi a Palazzo Chigi. Poi certo che gli piacerebbe un terzo giro. Che discorsi: sono mesi che ci pensa. Ma Conte sa bene che con la vanità ci razzoli poco, in politica. E che non esiste l’eden delle ambizioni. Alla fine ha capito che se il suo progetto primordiale resta forse ancora possibile (in linea puramente teorica), nei fatti è sempre più improbabile. Così ha modificato lo schema di gioco e, adesso, si è messo in testa di essere il kingmaker del centrosinistra.
Quello che decide. Con un obiettivo preciso: impedire che la candidata premier possa essere Elly Schlein. Non ci torno io su quella poltrona, ma non ti ci siedi nemmeno tu.
Stiamo parlando di un uomo con una capacità di adattamento fuori dal comune. È ormai un po’ riduttivo paragonarlo a un camaleonte. È strepitosa l’abilità con cui riesce a tenere insieme ambizione e lucidità. Pianifica come un politico della Prima repubblica. Il recente incidente verificatosi alla vigilia di Atreju, del resto, non è stato certo la causa scatenante per questo cambio di programma.
Anzi: lo sprezzo, con cui Elly ha risposto all’invito dei Fratelli d’Italia, ecco questa protervia ha soltanto confermato a Conte che la decisione assunta è quella giusta. Logorare Elly. Smontare Elly. Ma senza traumi apparenti.
Osservarla da lontano con un sorriso dolce, sempre usando la nota voce di velluto. Procede con una carezza velenosa al giorno. Persino la mattina dopo aver vinto le elezioni regionali in Campania con il suo Roberto Fico. Elly è tutta impegnata a rilasciare interviste entusiaste, ma lui, pacato, sussurra: «Direi che un tavolo per ragionare sulla coalizione potrebbe partire dopo l’estate». Cioè: tra dieci mesi. Quando si sarà già tenuto il referendum sulla Giustizia (dove Elly, come sappiamo, rischia la sconfitta). E quando saremo ormai in piena campagna elettorale per le Politiche. Eccolo il piano: spostare in avanti ogni decisione, tenere la segretaria dem in bilico. E consumarne l’immagine mediatica.
A questo punto, vi starete chiedendo: sul serio lei non s’è accorta di niente? La risposta è: sembrerebbe di no. La Schlein continua a muoversi come se niente fosse (clamorosi i toni beffardi con cui ha salutato le correnti che, a Montepulciano, si sono fuse in un correntone sanitario: nato per consigliarla, e condizionarla).
Nella prossima assemblea del Pd, in programma il 14 dicembre, avrebbe addirittura meditato — poi dissuasa — di farsi «incoronare» come candidata premier del Pd alle eventuali primarie. Di più: la data del 14 non è nemmeno casuale. Perché
la segretaria parlerà ai suoi dem proprio mentre la Meloni, ad Atreju, nella faraonica cittadella allestita dentro i giardini di Castel Sant’Angelo, chiuderà la festa di partito e di potere. Un faccia a faccia da remoto. Ancora un messaggio: io parlo quando parla la Meloni. Il duello è tra me e lei.
Conte osserva. Gli va bene così. Infatti: d’ora in poi, farà politica solo per frantumare ad Elly il sogno di Palazzo Chigi.
D’accordo: ma che scenario finale prevede il gran capo dei 5 Stelle?
Sentite: le possibilità sono due. O si passa per le primarie di coalizione (ma dovrebbe cambiare la legge elettorale, obbligando gli schieramenti a indicare il nome del proprio candidato premier prima del voto: però né Antonio Tajani e FI, né Matteo Salvini, sembrano entusiasti di tenere il mantello alla regina), oppure — prima di andare alle urne, o subito dopo — ci si siede a un tavolo. E si tratta.
Con il passo indietro di Conte, e annullata la Schlein, sarà inevitabile andare su un altro nome. Quale? A questo, sotto traccia, stanno lavorando alcuni tra i più potenti cacicchi dem. Quelli che Elly avrebbe voluto cacciare e che, invece, s’è dovuta tenere (ovvio che comunque anche Matteo Renzi sia nell’inciucio).
Giovedì sera, da Corrado Formigli, a Piazza Pulita , Silvia Salis — netta, sicura, convincente, bellissima — ha detto: «Le primarie sono uno strumento divisivo. Noi, invece, dovremmo scegliere il leader del centrosinistra con una discussione interna…».
A pensar male si fa peccato, ma — spesso — si indovina (Giulio Andreotti, ricordate?) .
Fabrizio Roncone
per il “Corriere della Sera”
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Dicembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
I TANTI TROFEI, TRA CUI IL PRIMO TITOLO CONTINENTALE FEMMINILE PER UNA SQUADRA ITALIANA DI QUALSIASI DISCIPLINA, CHE L’HANNO RESA LA MIGLIOR GIOCATRICE AZZURRA DI PALLACANESTRO DI TUTTI I TEMPI
Era chiamata “La Divina”, e difficilmente soprannome fu più azzeccato.
Perché Mabel Bocchi non si è solamente limitata a essere con ogni probabilità la miglior giocatrice italiana di pallacanestro di tutti i tempi, campionessa d’Europa e medagliata con la Nazionale per due prime volte nel movimento cestistico femminile da assoluta protagonista.
Pioniera della parità di genere
Basti prendere la storica battaglia vinta insieme ad alcune compagne per quanto riguardava l’abbigliamento di gioco, con il passaggio ai pantaloncini dopo aver rifiutato i classici slip di allora, ritenuti molto meno dignitosi per le atlete che volevano solo essere considerate per quanto espresso dal punto di vista sportivo.
Dall’emancipazione sempre rivendicata, sapeva di essere in grado di poter fare la differenza, superando i pregiudizi legati all’avvenenza delle atlete: brava e bella, tanto da suscitare l’interesse di Playboy per un servizio, che rifiutò senza rimpianti.
Ribelle, così come i capelli dei quali cambiava taglio e colore spesso, così come spesso si trovava a dominare sui campi, da predestinata: prima della pallacanestro si cimentò nell’atletica, precisamente nel salto in alto, piazzando a 14 anni il record italiano di categoria, pur senza una preparazione specifica e con una tecnica non esteticamente impeccabile.
I numeri sul parquet
Poi arrivò la pallacanestro, con gli inizi ad Avellino e subito una promozione in Serie A, nel 1968. Da lì il passaggio alla GEAS di Sesto San Giovanni, che con la sua presenza fondamentale iniziò un ciclo dalle grandissime soddisfazioni: dal 1969 al 1978 arrivò la conquista di 8 scudetti in 9 anni.
Protagonista non solo nel club, ma anche in Nazionale: con l’Italia giocò in tre edizioni dell’Europeo, suggellando un periodo particolarmente di successo sportivo per il basket femminile con la prima medaglia conquistata dalle donne dell’Italbasket, il bronzo nel 1974, seguito da un quarto posto Mondiale, in Colombia, dove Mabel fu miglior realizzatrice e MVP,
Centro di 186 centimetri che non si sottraeva alle lotte sotto canestro con avversarie spesso anche fisicamente più imponenti, come l’amica (con cui parlava in latino) Uliana Semionova, riferimento nel pitturato della Russia con i suoi 2 metri e 13 centimetri d’altezza, che in occasione della finale per il terzo e quarto posto (dove le russe erano favoritissime e rispettarono i pronostici) evitò di tirare troppo per permetterle di conquistare l’importante onorificenza individuale.
Il primo titolo continentale femminile
Simbolicamente, non poteva che essere lei la capitana della squadra che in bacheca mise, nel 1978, la Coppa dei Campioni, che risultò il primo titolo continentale femminile da parte di una squadra italiana di qualsiasi disciplina sportiva. Un trionfo che le diede modo di diventare la voce, al fianco di altre giocatrici a livello internazionale, delle denunce di disparità rispetto ai colleghi maschi riguardo al trattamento economico e alle restrizioni all’accesso alle terapie mediche.
Non rinunciando a quella parte di sé che, anche all’apice di un successo che proseguì al termine della carriera sportiva anche con le presenze come conduttrice alla Domenica Sportiva in tv negli anni ‘80 e attrice nel film “Lui è peggio di me”, con Renato Pozzetto e Adriano Celentano (oltre alla collaborazioni con La Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera), la portava a non allinearsi.
(da editorialedomani.it
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Dicembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
“IL VOLONTARIATO È UN ANTIDOTO PRODIGIOSO CONTRO LE TOSSINE CHE OSCURANO IL FUTURO.”… L’AIUTO VERSO CHI HA BISOGNO È UN ELEMENTO NECESSARIO IN UN TEMPO CONTRASSEGNATO ANCHE DA PAURE SUSCITATE DA TOSSINE MESSE INGANNEVOLMENTE IN CIRCOLO, DA INDIFFERENZE CHE NON CONDANNANO LA SOPRAFFAZIONE, LA VIOLENZA, L’ILLEGALITÀ, DA ALLONTANAMENTO DALLE RAGIONI DELLA CONVIVENZA CIVILE”
Donne e uomini, ragazze e ragazzi, anziani, associazioni che si prendono cura della natura, dei beni culturali, dell’ambiente. Sono loro i «veri e propri patrioti» dell’Italia. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l’ha detto commosso davanti a una platea di volontari e operatori del terzo settore, riuniti ieri al Teatro Massimo, in occasione della cerimonia conclusiva di Palermo capitale italiana del volontariato 2025.
Un patriottismo lontanissimo dall’essere esclusivo appannaggio di una parte politica, nell’ottica del Quirinale. Fatto piuttosto di gente che «cura ferite presenti nella nostra società, che anima periferie e territori in preda allo sconforto dell’abbandono». Per Mattarella il volontariato dei veri patrioti è «un antidoto prodigioso contro le tossine che oscurano il futuro».
«È palestra di democrazia concreta che può immettere forza vitale nelle istituzioni», ha detto ancora il capo dello Stato, davanti a una platea che comprendeva le autorità locali e il sindaco di Modena Massimo Mezzetti, capitale 2026 per il
volontariato, che ha raccolto il testimone dalla città siciliana.
L’aiuto verso chi ha bisogno diventa nelle parole del presidente «elemento necessario in un tempo contrassegnato anche da paure suscitate da tossine messe ingannevolmente in circolo, da indifferenze che non condannano la sopraffazione, la violenza, l’illegalità, da allontanamento dalle ragioni della convivenza civile».
Ma ci sarà sempre chi non crederà a tutto questo. «Qualche scettico si chiede: a cosa serve il volontariato? La gratuità può apparire agli scettici un termine caduto in disuso, un’ingenua illusione per anime belle ma fuori dalla realtà» ha ribadito ancora Mattarella. Tanti «i comportamenti iscritti nella storia d’Italia».
«Dagli angeli del fango, nell’alluvione di Firenze del 1966, ai tanti giovani accorsi a sostegno delle popolazioni colpite da calamità naturali, dai terremoti del Belìce, del Friuli, dell’Irpinia, fino a vicende recenti, che ben ricordiamo. Si potrebbe compilare un lungo calendario della solidarietà». Di emergenze nel Paese ce ne sono, ma non è lì che si ferma il volontariato. «È protagonista nell’attuazione di principi della nostra Costituzione, anzitutto quelli di partecipazione e di solidarietà»
Un volontariato che dà speranza al Paese, proprio perché è fatto di «veri patrioti che accrescono il patrimonio morale dell’Italia».
(da agenzie)
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Dicembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
LO DICE CHIARAMENTE MATT SCHLAPP, PRESIDENTE DELLA “CONSERVATIVE POLITICAL ACTION CONFERENCE”, LOBBY TRUMPIANA PIÙ POTENTE DEGLI STATI UNITI: “PORTEREMO IN ITALIA LA PROSSIMA CONFERENZA MA LA PRIMA CONDIZIONE, INDISPENSABILE, È IL SOSTEGNO DELLA PREMIER MELONI”
“La prossima conferenza all’estero vorremmo organizzarla in Italia, magari già l’anno
prossimo. Per riuscirci però abbiamo bisogno di due cose: l’appoggio convinto della premier Giorgia Meloni, e i finanziamenti».
Matt Schlapp e’ il presidente della Conservative Political Action Conference, lobby conservatrice e trumpiana più potente degli Stati Uniti. Ogni anno organizza una grande conferenza dove il capo della Casa Bianca è sempre l’ospite d’onore, più tutti i leader del movimento Maga.
Nel 2026 la terrà a Dallas in marzo .Giorgia Meloni ha partecipato a questo evento in varie occasioni, prima di diventare premier, quando si stava accreditando nel mondo conservatore americano
Cpac organizza le sue conferenze anche all’estero, per promuovere ovunque l’agenda sovranista, in linea con la nuova Strategia per la sicurezza nazionale appena pubblicata dall’amministrazione Trump, che attacca duramente l’Europa e lascia capire come l’obiettivo di fondo sia demolire l’Unione basata a Bruxelles. […] In Europa finora la sede preferita è stata Budapest, per ovvie affinità elettive col premier Viktor Orbán
Schlapp però sogna il nostro Paese perché rappresenterebbe un salto di qualità nella conquista del continente.
Volete andare in Italia subito, magari il prossimo anno?
«Certo, ci stiamo ragionando da tempo. Chi non vuole andare in Italia, qualunque sia il motivo? È un Paese meraviglioso, con una grande storia».
Quando?
«Appena possibile. Per farlo però si devono creare le condizioni giuste».
Quali sono?
«La prima, indispensabile, è il sostegno della premier Meloni. Ovviamente è casa sua e non possiamo presentarci senza il suo consenso. Oltre alla partecipazione fisica della presidente del Consiglio alla conferenza, però, avremmo bisogno anche del suo convinto appoggio politico per quello che intendiamo fare sul palco, per l’agenda. Questa è la prima condizione irrinunciabile, a cui stiamo lavorando da tempo».
E la seconda?
«I finanziamenti. Le nostre conferenze sono costose e abbiamo bisogno di aiuto. Negli Stati Uniti per le aziende private è abbastanza usuale sponsorizzare simili eventi, ma in Italia no, le compagnie tendono a restare fuori dalla politica».
Così però mette Meloni in imbarazzo, perché se dice no fa uno sgarbo a voi, ma se dice sì rischia di farlo a Bruxelles.
«Il suo sostegno politico è imprescindibile».
(da agenzie)
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Dicembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
DEL VECCHIO JR VORREBBE L’INTERO GRUPPO EDITORIALE MENTRE I GRECI NON VOGLIONO “LA STAMPA” GRAVATA DA 30 MILIONI DI EURO DI DEBITI
La trattativa per la vendita di Gedi al gruppo Antenna, controllato / dall’armatore greco Theo Kyriakou, non è ancora chiusa. Il negoziato è entrato nelle fasi cruciali: la cifra proposta, circa 140 milioni di euro, ha infatti soddisfatto le richieste di John Elkann. Ma nell’operazione potrebbe esserci un colpo di scena in extremis, l’inserimento – come anticipato due settimane fa da Domani – di un altro attore, questa volta tutto italiano. Martedì scorso, infatti, LMDV Capital, il family office di Leonardo Maria Del Vecchio, ha presentato ai cda di Gedi e di Exor (che la controlla) un’offerta ufficiale di 140 milioni di euro tondi tondi, pareggiando la proposta formulata dal veicolo di Kyriakou.
Del Vecchio, uno degli eredi del fondatore di Luxottica, avrebbe così messo sul tavolo una cifra consistente, in linea con le richieste di Elkann (che in realtà considera l’asset non inferiore a 150 milioni di euro, ma sono inezie), e spera di convincere il giovane Agnelli a dare a lui il gruppo editoriale. Nell’iniziativa non c’è alcun coinvolgimento del resto della famiglia Del Vecchio, né tantomeno della Delfin
L’offerta di Del Vecchio, a differenza di quanto scritto da alcuni retroscena, prevederebbe l’acquisizione in blocco di tutto il gruppo: non solo Repubblica ed emittenti radiofoniche (la “corona della regina” Radio Deejay, M2O e Radio Capital), ma anche La Stampa, Huffington Post, i periodici Limes e National Geographic. Nel caso in cui l’acquisizione dovesse andare in porto, l’intenzione di Del Vecchio – a differenza di quella di Kiriakou – sarebbe quella di conservare la proprietà di tutte le testate.
Il greco, a ora, non crede che la Stampa (che avrebbe debiti di circa 30 milioni, secondo chi ha analizzato i conti scorporati delle varie testate) possa far parte in futuro del perimetro del nuovo colosso editoriale, e così potrebbe essere riallacciata – una volta comprata Gedi – la trattativa che Exor a iniziato con il gruppo editorale Nem guidato da Enrico Marchi, oggi congelata.
Idem per l’HuffPost, a cui sono interessati certamente due aziende di peso. Dopo l’offerta finale arrivata a fine novembre,
la trattativa tra Gedi e Antenna non è chiusa. Ed è entrata nella fase warranty, cioè della trattativa sulle garanzie assegnate al compratore, che è titolare del diritto di acquistare Gedi al prezzo prestabilito entro una data di scadenza fissata, che è ancora ignota. Ci vorrà almeno un mese e mezzo per mettersi d’accordo. In questo pertugio temporale, Del Vecchio jr. spera di tentare Elkann a “cambiare cavallo”.
Non sarà affatto facile, visto che la partita con i greci sembra alle battute finali, ma il giovane imprenditore punta sulla nazionalità sua e della sua azienda e, nel caso la sua offerta venga bocciata dai cda (che hanno comunque l’obbligo di discuterla), farne un’altra rilanciando sul prezzo.
Qualche esperto, poi, suggerisce che Exor – puntando su Kyriakou e il suo socio saudita Bin Salman (Domani ha scoperto che il principe che ha dato ordine di uccidere il giornalista Jamal Khashoggi controlla, attraverso il fondo sovrano Pif, il 30 per cento di Antenna) – potrebbe trovare un ostacolo nell’esercizio del golden power da parte del governo.
La questione non riguarda ovviamente i giornali, bensì l’uso delle frequenze radiofoniche, che potrebbero essere considerate asset strategico nazionale nell’ambito comunicazioni. Golden power che invece non riguarderebbe Del Vecchio, essendo il rampollo italianissimo. Cosa pensa Palazzo Chigi della doppia ipotesi è difficile dirlo. È un fatto che Elkann abbia settimane fa avvertito Giorgia Meloni della trattativa con Kyriakou. […] La premier ha preso atto […] […] la vicenda […] viene seguita con attenzione e preoccupazione soprattutto dalla sinistra e dal Pd,
che ha nel gruppo editoriale – e in particolare in Repubblica – uno dei suoi storici punti di riferimento editoriali.
A prescindere dall’esito dell’operazione di cessione di Gedi (anche se alla fine, con ulteriore colpo di scena, Elkann dovesse decidere di non vendere) le redazioni di Repubblica e Stampa andranno comunque verso una riduzione del numero dei giornalisti. Ma gli esuberi ipotizzati sono legati solo a prepensionamenti, a proprietà (nuova o vecchia che sia) secondo i calcoli di Gedi potrebbe mettere mano al prepensionamento di circa 100 giornalisti a Repubblica nei prossimi 24 mesi e di altri 40 alla Stampa.
(da Domani)
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Dicembre 7th, 2025 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI UNA MAPPA CHE RICOSTRUISCE CON PRECISIONE LE POSIZIONI DEGLI ESERCITI SUL FRONTE UCRAINO
A inizio novembre diverse società ricevono un’email con un ordine di censura nei
confronti del sito internet del think tank Parabellum, gestito da un cittadino italiano. A imporre l’atto,
ritenendolo urgente e da attuare nell’immediato, è l’autorità russa per il controllo dei media, il Roskomnadzor, secondo cui sul sito è presente una mappa interattiva che mostra con estrema accuratezza i reali confini dello scontro in Ucraina. Un’informazione scomoda per la propaganda del Cremlino, soprattutto quando smentisce i comunicati governativi sulle presunte avanzate nel territorio invaso da Vladimir Putin.
Una delle società contattate inoltra il tentativo di censura al titolare del sito, Mirko Campochiari, il quale decide di rendere nota la vicenda.
Nella mail inviata dalle autorità russe, si legge che il dominio geo.parabellumthinktank.com è stato inserito nel registro dei siti vietati in Russia a seguito di una sentenza del Tribunale distrettuale Leninsky di Voronezh del 16 ottobre 2025 (caso 2a-4293/2025).
Il documento ordina la rimozione dei contenuti contestati entro 24 ore, pena il blocco dell’accesso dalla Federazione russa. Di fronte all’evidente rifiuto di censurare il materiale, tanto più considerando che l’atto risulterebbe giuridicamente valido solo nel territorio del Paese invasore, la mappa risulta ancora online, consultabile all’estero e soprattutto in Italia.
La mappa scomoda che il Cremlino vuole censurare
Il contenuto che Mosca vuole far sparire è una mappa interattiva che ricostruisce con precisione il fronte del conflitto in Ucraina, indicando le posizioni reali delle forze russe e ucraine, le linee di trincea, le infrastrutture logistiche e i movimenti militari.
L’intero lavoro OSINT si basa su fonti aperte, immagini
satellitari e verifiche incrociate con contatti sul campo, permettendo di ottenere una ricostruzione visiva più accurata e fondata rispetto alle informazioni diffuse dalle autorità coinvolte nel conflitto. Ed è proprio questa precisione a interferire con la narrativa ufficiale del Cremlino.
(da agenzie)
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