Dicembre 8th, 2025 Riccardo Fucile
“ABOLIRLA NON E’ LA NOSTRA SOLUZIONE, MEGLIO RIFORMARLA, ALTRIMENTI E’ DESTINATA A SCOMPARIRE”
Il governo italiano osserva lo scalciare di Elon Musk contro l’Unione europea. Resta pubblicamente silenzioso, ormai, da 48 ore. Un po’ perché a Roma si è tornati a parlare del dossier sulla rete di satelliti Starlink, di cui è proprietario l’imprenditore sudafricano, un po’ perché anche Donald Trump si è espresso con asprezza nei confronti dell’Ue e il legame con il presidente
americano impone prudenza, se si vuole mantenere la posizione diagonale, tra Stati Uniti ed Europa, assunta finora.
La Lega è il partito di maggioranza che più accarezza certe idee radicali sull’Unione europea. Il senatore Claudio Borghi scriveva ieri sui social, discutendo con il ministro della Difesa Guido Crosetto, di volerla vedere «smantellata». Ma questo, puntualizza il vicesegretario ed europarlamentare leghista Roberto Vannacci parlando con La Stampa, non vuol dire che si possa fare a meno dell’Ue.
«Abolirla, come dice Musk, non è la nostra soluzione», dice. Quello che vuole la Lega è «che venga trasformata e riportata all’idea di Europa delle nazioni e dei popoli». Condivide però l’analisi del miliardario sudafricano, così come quella di Trump, perché «rispecchiano la realtà
In questo scenario i leghisti sembrano muoversi più a loro agio degli alleati. E sono allettati dalla possibilità di portare in Italia la prossima convention del movimento Maga (acronimo del motto trumpiano “Make America great again”). Matteo Salvini ha già in cantiere la manifestazione dell’internazionale sovranista, che si dovrebbe riunire a Roma il prossimo 18 aprile per promuovere la “remigrazione”. Quando la data sarà ufficiale, partiranno gli inviti e non c’è dubbio che molti verranno recapitati oltre oceano, pescando nella variegata galassia trumpiana. Potrebbe essere quello – ragionano nel partito – l’amo per poter ottenere il ruolo di “partito ospitante” della futura kermesse Maga nel nostro Paese. I leghisti ci sperano. Dentro Fratelli d’Italia, invece, hanno forti dubbi. «Diventeremmo corresponsabili degli ospiti che salgono sul palco», spiega una fonte di primo piano che chiede di non essere citata.
Gli uomini di Giorgia Meloni non chiudono però del tutto la porta: «Con il mondo Maga abbiamo un ottimo rapporto e continueremo ad averlo. Al momento non ci sono le condizioni.
(da agenzieI
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Dicembre 8th, 2025 Riccardo Fucile
UNA MISURA CHE SEMPLIFICA LE PROCEDURE E VIOLA I DIRITTI DEI MIGRANTI
Il Consiglio dell’Unione europea ha dato il via libera al nuovo regolamento sui rimpatri e
all’aggiornamento formale della lista dei cosiddetti “Paesi terzi sicuri”. È un passaggio che l’Italia attendeva da tempo per procedere alla ratifica della normativa e, soprattutto, per tentare di sbloccare l’operatività dell’hub previsto in Albania.
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, presente al Consiglio Affari Interni a Bruxelles, ha salutato con favore l’accordo, considerandolo “un tassello importante della strategia nazionale sulla gestione dei flussi migratori”. Resta però un risultato controverso, perché molti degli strumenti introdotti sollevano non pochi dubbi sia sul piano della tutela dei diritti sia sull’effettiva efficacia delle misure.
La nuova lista dei Paesi sicuri
Secondo la decisione dei ministri Ue, Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia devono essere considerati Paesi di origine sicuri. Per i cittadini provenienti da queste aree saranno dunque applicate procedure accelerate di esame delle domande d’asilo, che in tempi molto brevi potranno concludersi con un rigetto. Non solo, la loro richiesta potrà essere valutata anche nei Paesi terzi attraversati durante il viaggio, estendendo la possibilità di delocalizzare le procedure fuori dal territorio europeo.
L’Italia, che registra un numero significativo di arrivi proprio da Bangladesh, Egitto e Tunisia, ha spinto per prima per questo risultato. Tuttavia la logica utilizzata dall’Ue, considerare “sicuri” i Paesi da cui arriva una quota di domande d’asilo inferiore al 20%, appare più una scorciatoia statistica che una valutazione reale delle condizioni nei Paesi di origine. Non a caso, nell’elenco compaiono Stati in cui diritti umani e libertà fondamentali non sono garantiti per ampi settori della popolazione.
La Tunisia è uno degli esempi più citati: nonostante i rapporti istituzionali stretti con Bruxelles, è teatro documentato di violenze contro migranti, violenze e abusi da parte delle autorità, respingimenti sommari e repressione politica. Lo stesso vale per il Bangladesh, dove minoranze religiose e oppositori subiscono persecuzioni, e per l’Egitto, caratterizzato da un uso sistematico della detenzione arbitraria e da una compressione drastica delle libertà civili. L’inclusione di questi Paesi nella lista rischia
dunque di produrre un effetto semplice e grave: ridurre l’accesso al diritto di asilo proprio a chi ne avrebbe più bisogno.
Il principio del Paese terzo sicuro: un meccanismo che sposta responsabilità senza risolvere i nodi
Le nuove norme dicono che, se una persona è passata attraverso un Paese che l’Ue considera “sicuro”, la sua domanda d’asilo può essere respinta subito, perché l’Europa ritiene che la protezione debba essere chiesta proprio in quel Paese di transito.
Il criterio può basarsi su tre elementi: un legame con quel Paese, un transito effettivo o un accordo bilaterale che consenta di trasferire lì l’esame della domanda. È esclusa solo la possibilità di applicare questo meccanismo ai minori non accompagnati.
Si tratta di una misura che, nelle intenzioni, dovrebbe alleggerire le procedure europee, ma che nella pratica rischia di affidare la tutela dei diritti dei migranti a Stati che spesso non dispongono né delle strutture né delle garanzie necessarie. Anche in questo caso, il risultato potrebbe essere un allontanamento delle persone da territori in cui esistono controlli, trasparenza e diritti riconosciuti, verso luoghi dove questi elementi sono molto, molto più deboli.
Gli hub nei Paesi terzi
Uno degli effetti più rilevanti del regolamento è la possibilità per gli Stati membri di istituire centri di procedure e rimpatrio in Paesi terzi, i cosiddetti return hub. Il commissario europeo Magnus Brunner ha sottolineato che la scelta dei partner spetta agli Stati: i Paesi Bassi stanno trattando con l’Uganda, la Germania ha manifestato interesse e ‘’Italia continua a puntare
sull’accordo con l’Albania. La cornice giuridica europea ora consente queste sperimentazioni, ma i dubbi rimangono profondi. La delocalizzazione delle procedure può tradursi in un indebolimento delle garanzie giuridiche, in un minor controllo pubblico e in un rischio concreto di trattenimenti prolungati senza un adeguato supporto legale. A ciò si aggiunge la questione etica: esternalizzare l’accoglienza significa trasferire responsabilità fondamentali a Paesi terzi che molto spesso non hanno alcuno standard paragonabile a quelli dell’Ue. Il timore delle organizzazioni per i diritti umani è, insomma, che questi centri diventino luoghi opachi, ben lontani dal controllo democratico e molto più esposti a violazioni di diritti umani.
La partita delle quote di solidarietà: un’Europa ancora divisa
Resta irrisolto anche il nodo delle quote di solidarietà. La Commissione propone un sistema di contributi obbligatori a sostegno dei Paesi di primo approdo, ma le resistenze rimangono forti. La Finlandia, ad esempio, accetterebbe solo di contribuire finanziariamente, senza assumersi l’onere dell’accoglienza. L’accordo finale dipenderà dalla capacità dei Ventisette di superare veti e diffidenze, ma l’esito non è scontato.
Un bilancio tutt’altro che trionfale
Il pacchetto approvato a Bruxelles rappresenta sicuramente un passaggio politico importante, ma non può essere letto come una vittoria. L’impianto costruito dall’Ue punta soprattutto a velocizzare le procedure, esternalizzare la gestione e restringere l’accesso all’asilo per un numero crescente di persone. Il rischio è che, in nome dell’efficienza, si riducano tutele e garanzie,
lasciando ancora più esposte le persone già vulnerabili.
Il risultato è una migrazione trattata come un problema logistico, più che come un fenomeno umano complesso. E a farne le spese, ancora una volta, saranno soprattutto i migranti, quelli in fuga da Paesi che sulla carta sono “sicuri”, ma che nella pratica continuano a non esserlo affatto.
(da Fanpage)
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Dicembre 8th, 2025 Riccardo Fucile
A NULLA È SERVITA LA GUERRA DEI DAZI DI DONALD TRUMP, L’EXPORT VERSO GLI USA CROLLA DEL 29%, MA VIENE AMPIAMENTE COMPENSATO DALL’EUROPA (+14%), INONDATA DI MERCI CINESI, E DALLE VENDITE NEL SUDEST ASIATICO, DA DOVE I PRODOTTI VENGONO POI RIESPORTATI NEGLI USA
L’avanzo commerciale della Cina ha superato quest’anno per la prima volta i 1.000 miliardi di dollari, grazie al boom delle esportazioni nonostante la guerra dei dazi avviata dal presidente Usa, Donald Trump.
Nei primi 11 mesi dell’anno, il surplus in dollari è stato pari a 1.076 miliardi, secondo i dati diffusi lunedì dall’amministrazione doganale del Paese, che contabilizza i beni (ma non i servizi). Nel 2024 l’avanzo commerciale si era avvicinato ai 1.000 miliardi senza però superarli.
Il surplus record arriva dopo una fase di riduzione delle tensioni commerciali tra Washington e Pechino, che lo scorso ottobre hanno concordato una tregua di un anno.
Il forte divario tra esportazioni e importazioni della Cina ha attirato critiche da parte dei partner commerciali, con il presidente francese Emmanuel Macron che, durante una visita nel Paese la scorsa settimana, ha definito «insostenibili» questi squilibri.
Le esportazioni verso l’Ue sono aumentate molto a novembre, con un +14,8% su base annua rispetto allo 0,9% di ottobre. «E’ stata la grande sorpresa nei dati di novembre», il commento di Lynn Song, capo economista per la Cina di Ing. Song ha
spiegato che la svalutazione del renminbi, in linea con il dollaro e rispetto all’euro, ha rafforzato la competitività delle esportazioni cinesi e contribuito ad ampliare l’avanzo commerciale con l’Ue
L’analista prevede che la situazione persisterà anche l’anno prossimo, ma dovrà affrontare una crescente resistenza da parte dell’Unione europea. «Macron ha detto che l’Ue potrebbe aumentare i dazi sulla Cina, quindi rimangono molte incertezze», ha aggiunto Song. «E inoltre abbiamo prospettive di crescita globale leggermente più deboli, che influiranno sulla domanda di esportazioni».
Le importazioni sono aumentate dell’1,9% a novembre, portando il surplus mensile a 112 miliardi di dollari. Le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono crollate negli ultimi mesi e a novembre sono diminuite del 29% su base annua.
Ma le spedizioni verso altre regioni, soprattutto il sudest asiatico, sono cresciute rapidamente. Gli economisti ritengono che parte di queste spedizioni verso il Sudest asiatico — in aumento dell’8% il mese scorso — vengano poi riesportate negli Stati Uniti.
Il governo del presidente Xi Jinping ha fatto forte affidamento sulle esportazioni per sostenere l’attività economica, a fronte di una domanda interna debole e di un mercato immobiliare in rallentamento da cinque anni.
Le esportazioni verso l’Ue sono inoltre aumentate velocemente a novembre, con un +14,8% su base annua rispetto allo 0,9% di ottobre.
La Cina è destinata ad aumentare la propria quota sulle esportazioni globali al 16,5% entro il 2030, rispetto all’attuale 15%, secondo gli analisti di Morgan Stanley.
(da agenzie)
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Dicembre 8th, 2025 Riccardo Fucile
NELLA “LISTA NERA” CI SONO POI MAURIZIO GASPARRI, FULVIO MARTUSCIELLO E FRANCESCO BATTISTONI … SAREBBERO PRONTI AD ADERIRE ALLA NUOVA CORRENTE GIORGIO MULÈ, LA SOTTOSEGRETARIA MATILDE SIRACUSANO (MOGLIE DI OCCHIUTO), ALESSANDRO CATTANEO
L’operazione Occhiuto punta a un primo obiettivo: far saltare il capogruppo alla Camera
di Forza Italia, Paolo Barelli, fedelissimo del segretario di FI, Antonio Tajani. Al suo posto la neo-corrente vuole l’ex portavoce di FI, Debora Bergamini.
Nella lista nera ci sono poi Maurizio Gasparri, Fulvio Martusciello e Francesco Battistoni.
Prima di ufficializzare la data (17 dicembre) della nascita della corrente, Occhiuto si confronta con Marina Berlusconi. E riceve la benedizione. Tra gli spin dell’operazione figurano due volti Mediaset: Nicola Porro e Andrea Ruggieri.
Ma la partita vera si gioca in parlamento. Sono pronti ad aderire alla corrente Giorgio Mulè, la sottosegretaria Matilde Siracusano (moglie di Occhiuto), il senatore Mario Occhiuto (fratello del governatore).
E ancora i parlamentari Alessandro Cattaneo, Cristina Rossello, Francesco Canizzaro, Maria Tripodi. Per ora il gruppo Fascina (Tullio Ferrante, Alessandro Sorte e Marco Benigni) resta al fianco di Tajani.
(da agenzie)
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Dicembre 8th, 2025 Riccardo Fucile
“LE DEMOCRAZIE DEL VECCHIO CONTINENTE SOTTOPOSTE A UN STRESS TREMENDO”
Parlando della situazione in Ucraina, e più in generale del contesto internazionale, Yves Mény cita il generale Charles de Gaulle. «Diceva che gli Stati non hanno amici, ma solo interessi», ricorda il politologo francese, spiegando che si tratta di «realpolitik, all’interno della quale i valori diventano secondari se paragonati agli interessi egoistici dei Paesi». Una visione che ricorda quella mostrata da Donald Trump negli ultimi giorni sulla risoluzione del conflitto.
Professore, è rimasto stupito dalle critiche all’Europa espresse nella Strategia di sicurezza nazionale di Washington?
«I suoi contenuti si inseriscono nella continuità del pensiero trumpiano, che però non era mai stato formulato in modo così netto. Nel documento viene messo nero su bianco quello che fino ad oggi si poteva solo immaginare, come la sfiducia del
presidente americano nei confronti dell’Ue o il suo disprezzo per i capi di governo europei. Concetti che prima erano difficili da definire, a causa delle dichiarazioni spesso contraddittorie dello stesso presidente Usa».
Si prospetta uno scenario nero?
«Sì, ma c’è un elemento positivo: Trump mette gli europei dinanzi alle loro contraddizioni, alle loro esitazioni e ai loro timori. Come ha detto l’economista greco Loukas Tsoulakis, l’Europa deve diventare grande, senza l’aiuto degli Usa».
Si può parlare di un asse russo-americano formatosi contro l’Europa?
«Si tratta di un’alleanza oggettiva e critica contro l’Ue. Abbiamo due capi di Stato, Trump e Putin, interessati soprattutto a fare soldi, per i loro Paesi ma anche per i rispettivi entourage. La Russia dispone di materie prime strategiche, come gas e petrolio, mentre gli Stati Uniti hanno una tecnologia molto avanzata. In mezzo c’è l’Europa, con governi caratterizzati da quei sistemi di check and balance che non esistono nella visione trumpiana».
L’Europa però è l’unico sostegno rimasto a Volodymyr Zelensky. «Un avvicinamento tra Russia e Stati Uniti fondato su alcuni interessi ben precisi presuppone la scomparsa del problema ucraino. Per questo il primo piano di pace di Trump sembrava essere stato scritto a Mosca. La proposta sull’utilizzo degli asset russi ha dimostrato l’appetito del presidente americano nei confronti del denaro, facendo emergere un aspetto mercantilistico».
Ci saranno pericoli per i sistemi democratici occidentali?
«Saranno sempre più sotto stress. Le nostre democrazie sono diventate lente e complesse. Questo porterà al rischio di veder crescere nella popolazione l’interessamento a regimi più snelli o alla tendenza nel rafforzare le leadership di chi governa».
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Dicembre 8th, 2025 Riccardo Fucile
“COSI’ RENDEREBBE I SINGOLI STATI PIÙ DEBOLI, PERMETTENDO AGLI STATI UNITI DI STIPULARE ACCORDI ECONOMICI A LORO VANTAGGIO, COME HANNO TENTATO DI FARE CON I DAZI”
Donald Trump pensa che solo un’Europa governata interamente dai Viktor Orbán e dalle
Giorgia Meloni, dai Nigel Farage e dai Jordan Bardella starà dalla parte giusta: la sua. Per questo gli tende la mano: solo un’Europa interamente di destra somiglierà all’alleato che sogna».
Yascha Mounk è il politologo tedesco-americano della Johns Hopkins University — ma per questo semestre a Sciences Po, l’Istituto di Studi Politici di Parigi — esperto di populismo e autore di saggi come “La trappola identitaria”, “Il grande esperimento”, “Popolo vs. Democrazia”.
La “dottrina Trump” enunciata nella nuova Strategia di Sicurezza Nazionale contiene un attacco all’Europa senza precedenti.
«Trump ha un rapporto complesso con l’Europa. La considera parte della sua identità. E ritiene certi valori di cui si sente paladino figli della civiltà europea. Un pensiero condiviso da tutto il popolo Maga. Per questo, prova risentimento verso la
leadership del Vecchio Continente. Per lui le politiche dei Macron e dei Merz, somigliano troppo a quelle dei suoi nemici politici interni, gli Obama e i Biden. Ed è convinto che tradiscano l’essenza di quelli che ritiene essere i veri valori occidentali».
Cosa non tollera della “nostra” Europa?
«Il pensiero di Trump — e dell’intera destra Maga — si articola in categorie: etnia, religione, civiltà e così via. Quel che attaccano è l’Europa dei governi moderati, per motivi che vanno dalle politiche d’immigrazione, che a loro dire, ci contaminano dal punto di vista etnico e religioso, al liberalismo sociale e alle regole imposte ad aziende e social media, ad esempio sulla privacy. Insomma, contestano l’intero sistema di valori politici europeo fatto di regole e libero commercio, ma pure, di accoglienza e rispetto per identità di genere e diritti».
Tutto questo sembra molto affine all’idea putiniana di Europa decadente…
«Diciamo che è un pensiero condiviso dai conservatori di mezzo mondo: anche in poli geograficamente opposti».
Ieri pure Elon Musk ha attaccato: “L’Unione europea va abolita”. «La stupisce? Anche nella stessa Europa c’è chi lo pensa: e chiede la dissoluzione dell’Unione europea dall’interno, esattamente come fa Elon Musk dagli Stati Uniti.
Ma Trump, più che divisa, la vorrebbe… trumpiana. Omogenea al suo pensiero.
L’impressione che spinga per frantumarla deriva solo dal fatto che favorisce la parte d’Europa meno europeista».
L’astio per la Ue ha anche motivi economici?
«Di sicuro, la dissoluzione dell’Unione renderebbe i singoli Stati più deboli, permettendo agli Stati Uniti di stipulare accordi economici a loro vantaggio, così come hanno tentato di fare con i dazi».
(da Repubblica)
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Dicembre 8th, 2025 Riccardo Fucile
“BISOGNA DIRE A MELONI: TU NON PUOI ESSERE AMICA DI TRUMP E DI ZELENSKY. DEVI SCEGLIERE. L’EUROPA DEVE FARE SUBITO LA DIFESA COMUNE”
Trump e Putin hanno siglato il «nuovo patto Molotov-Ribbentrop» per distruggere l’Europa. Il vecchio continente rischia di cadere in un sistema «illiberale» senza democrazia. Deve reagire, a cominciare da una vera Unione della Difesa, costruendo un’unione federale e difendendo l’Ucraina.
Daniel Cohn-Bendit, leader del ‘68 francese e dei Verdi europei è fermissimo: il presidente Usa è un «matto» e la politica della Casa Bianca punta a trasformare il Vecchio Continente in un «protettorato» senza libertà.
Si riferisce alla nuova “strategia” americana? Il Cremlino dice che è anche la sua strategia.
«Hanno lo stesso obiettivo. L’Europa deve capire. L’Italia deve capire che le regole del gioco sono totalmente cambiate».
In che senso?
«La sinistra italiana in passato è stata contro l’imperialismo americano, ma l’imperialismo americano era legato all’Europa, all’Alleanza transatlantica. Oggi invece è contro l’Europa. Vede solo le grandi potenze: Russia e Cina. Vuole allearsi con la Russia contro l’Europa».
Ma perché?
«Perché per gli Usa non è solo un nemico economico ma rappresenta il confronto tra la democrazia e la democrazia illiberale».
Gli Usa o Trump?
«Trump è al potere in America. Non è che se vince Vance cambia qualcosa. Anzi, il trumpismo può dominare per dodici anni. È inutile sognare che perda le elezioni mid-term. Ora è così».
Lei definirebbe Trump un fascista?
«Se dici fascista, tutti pensano a Mussolini, a Hitler, a Franco o a Salazar. Trump è una forma di potere illiberale, autoritario. Va nella direzione del totalitarismo».
Cosa ha consentito di eleggere in Usa un presidente così illiberale?
«Illiberale e matto. È un problema generale. La Fifa gli ha dato pure un premio. Incredibile. Il punto è che le soluzioni ai problemi sono complesse e le persone invece vogliono risposte facili. Un contesto accelerato dalla pandemia perché ha provocato la paura. Ha liberato le emozioni negative».
E il Cremlino è un suo alleato.
«L’alleanza Trump-Putin è come il patto Molotov-Ribbentrop. È un patto trasversale. Se penso al passato, mi chiedo cosa sarebbe accaduto se Hitler non avesse attaccato la Russia: la destra sarebbe rimasta al potere? Per questo dobbiamo difendere la nostra democrazia».
La domanda è: come?
«Giorgia Meloni è una reazionaria, ma non è uscita dall’euro. Non è uscita dall’Europa. Ha difeso l’Ucraina. Lo ha fatto per la moneta unica che rappresenta una obbligazione che impedisce di lasciare l’Ue. E perché per l’Italia sarebbe la fine».
Però è amica di Trump.
«Questo è il dato interessante».
Questo ha attinenza con il come l’Europa deve rispondere?
«Bisogna dire a Meloni: tu non puoi essere amica di Trump e di Zelensky. Devi scegliere».
Cosa dovrebbe concretamente fare l’Europa?
«Subito la difesa comune. Perché è chiaro che gli Usa hanno un altro progetto. Ecco, su questo Meloni deve uscire dall’ambiguità».
E chi non ci sta esce dall’Unione? Perché se resta uno come Orbàn, è difficile fare passi avanti.
«Certo, vanno cacciati Orbàn, Fico etc. Tutti gli altri scelgano tra la vita e la morte dell’Europa. Non possiamo accettare i cavalli di Troia di Putin e Trump».
L’Unione della difesa significa arrivare ad un’Unione federale?
«Draghi ha parlato di un federalismo pragmatico, sono d’accordo. Va fatto un passo avanti verso l’integrazione
federale».
E l’Ucraina è il confine tra democrazia e autoritarismo in Europa?
«Si, dobbiamo difenderla».
Servono leader politici per fare tutto questo.
«Mancano, è vero. Un Churchill non si trova facilmente. All’inizio c’era Macron ma poi ha fatto tanti errori. Anche gli intellettuali devono aiutare a far sopravvivere la democrazia e la libertà».
In caso di sconfitta diventeremmo un protettorato di Trump o di Putin?
«È possibile che sia così. È in gioco tutto quel che abbiamo costruito dopo la liberazione del ‘45».
Ma come è possibile che nel mondo non si consideri più l’Europa un modello da seguire?
«Però l’Ue è una cosa formidabile. Paesi che si mettono insieme senza guerra. Possiamo ancora essere un modello. Quando gli storici analizzeranno quel che è accaduto in questi anni, spero che potranno dire: l’Europa ha vinto contro il mondo del male, ossia gli Usa, la Russia e la Cina».
(da agenzie)
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Dicembre 8th, 2025 Riccardo Fucile
PERCHE’ IL GIP DI ROMA HA DISPOSTO I DOMICILIARI AL PRIMARIO DI ROMA
Il gip di Roma ha disposto gli arresti domiciliari per Roberto Palumbo, il primario del
reparto di Nefrologia dell’ospedale Sant’Eugenio, arrestato in flagranza lo scorso 4 dicembre mentre riceveva una presunta tangente da 3mila euro dall’imprenditore Maurizio Terra. Per quest’ultimo sono stati confermati gli arresti domiciliari. L’inchiesta procede per corruzione e, nel corso dell’udienza di convalida, entrambi hanno ammesso parte delle proprie responsabilità. Secondo il giudice, «il legame tra la funzione svolta dal medico (Roberto Palumbo, ndr) e il pagamento è evidente», così come «il controllo di Palumbo sulla destinazione dei pazienti verso vari centri, in modo da indirizzarli verso la Dilaeur», società di cui il primario detiene di
fatto una quota di maggioranza. Il gip ha sottolineato la gravità della condotta, evidenziando una «costanza di comportamenti e una pervicacia» che indicano una propensione del primario a simili reati.
«Se Palumbo si sposta nel privato, il mondo si sposta nel privato perché lui è il capo del Dipartimento più grande d’Europa». È in questa frase, intercettata dagli investigatori, che per la Procura di Roma si riassume il potere del primario del Sant’Eugenio Roberto Palumbo, arrestato venerdì mentre intascava una mazzetta da 3mila euro dall’imprenditore Maurizio Terra. Oggi il gip di Roma ha disposto per lui gli arresti domiciliari: è accusato di aver gestito un sistema di smistamento dei pazienti dializzati dal pubblico al privato in cambio di denaro.
Le carte
Il giudice – che definisce “gravi i fatti contestati” – aggiunge che “Terra ha, sostanzialmente, ammesso i fatti e anche Palumbo, che nel corso dell’interrogatorio reso dinanzi al pm era parso più reticente ha, infine, operato ammissioni di responsabilità nel corso dell’udienza di convalida”. Il dottore ha infatti ammesso solo l’evidenza, di prendere soldi in nero per il suo lavoro ma ha detto che quel denaro non costituiva il pagamento per aver dirottato pazienti verso il privato convenzionato. Il gip non ha creduto a questa tesi: “Può dirsi accertato che Palumbo avesse un controllo della destinazione dei pazienti verso i vari centri”, scrive il magistrato.
Il metodo Palumbo
“Palumbo mi fece chiaramente intendere che avrei dovuto sborsare delle somme per risolvere il deficit” di pazienti, racconta il 13 ottobre 2024 agli investigatori della squadra
Mobile Carmelo Antonio Alfarone, il consigliere e responsabile del centro dialisi Diagest srl.
Il sospetto che aveva già all’epoca Alfarone, secondo le voci che circolavano nell’ambiente, è che Roberto Palumbo, il primario dell’Unità operativa complessa di nefrologia e dialisi all’Ospedale Sant’Eugenio di Roma, orientasse i pazienti in dimissione dal Sant’Eugenio verso specifici centri dialisi, a lui più vicini, a scapito delle altre strutture
Le indagini successive confermeranno i sospetti. Lo stesso Alfarone, per mandare avanti la sua struttura, si troverà costretto a pagare a Palumbo 120mila euro, tremila a paziente.
I regali
Anche il responsabile della Diagest, annotano gli atti, si era trovato costretto a chiedere aiuto al primario del Sant’Eugenio, per scongiurare la chiusura. E si era trovato costretto a corrispondere “al primario la somma complessiva di 120mila euro”, cioè tremila euro a paziente. Alfarone aveva dovuto anche pagare, “tra il 2019 e il 2021 – è annotato sugli atti – 1600 euro al mese di affitto per l’appartamento di Palumbo in via Gregorio VII”, a due passi da San Pietro, nonché “acquistare i mobili per l’abitazione”.
Non solo. Alfarone ha denunciato di essersi trovato costretto a garantire a Palumbo, tra il 2020 e il 2022, anche l’uso della Mercedes aziendale della Diagest, e fare un contratto di
consulenza alla compagna del primario, Germana Sfara, per 2500 euro al mese. Altrimenti nel centro dialisi Diagest non sarebbe entrato neanche un paziente appena dimesso dal Sant’Eugenio.
A raccontare il metodo Palumbo ci sono diversi dialoghi cristallizzati dagli investigatori della sezione anticorruzione della Mobile. “Io vendo il ghiaccio agli eschimesi”, dice una responsabile della Dialeur, il centro clinico che fa riferimento a Testa.
Palumbo, secondo l’accusa, avrebbe creato “corsie preferenziali” per i pazienti, sfruttando le liste d’attesa pubbliche e trasformando il momento della dimissione in un passaggio obbligato verso i centri privati. “Sono percorsi — scrivono gli investigatori— che, oltre ad avere ovvi aspetti clinici, sono ammantati da interessi esclusivamente privati”.
“Preparati che andiamo a bere”. È il 15 luglio 2025 quando Annalisa Pipicelli, parlando con un altro indagato dell’assegnazione di un paziente dializzato di Spinaceto, invita a festeggiare l’ingresso in clinica come se si trattasse di un traguardo condiviso. Un brindisi che, per gli inquirenti, fotografa il senso degli affari dietro lo smistamento dei pazienti tra pubblico e privato.
“Ho fatto una faccia come il culo… co’ Palumbo… me ne ha date quattro, oltre quelle che già mi aveva dato, quattro bianche”. È il 31 marzo 2025: Terra racconta alla nipote Federica, dipendente Dialeur, il ritorno in ospedale insieme al primario. E’ – per gli investigatori – uno spaccato di rapporti disinvolti
attorno a terapie e farmaci.
“Ogni mese 3k e poi li riprendo da utili netti”. È la frase trovata scritta a mano durante la perquisizione nello studio della OMNIA 2025 s.r.l. società riconducibile, per i pm, a Palumbo. E’ la stessa somma dei 3.000 euro consegnati al primario. Per gli investigatori, la sintesi di un sistema.
In un’altra conversazione intercettata, Pipicelli racconta al marito il progetto che Palumbo le avrebbe confidato: nel giro di uno o due anni lasciare il Sant’Eugenio e gli incarichi pubblici per passare definitivamente al privato.In quello scenario, lei diventerebbe “il braccio destrissimo”, mentre gli altri resterebbero nel pubblico. Da fuori, Palumbo continuerebbe comunque a “comandare” il Sant’Eugenio lasciando i suoi uomini, e allo stesso tempo gestirebbe il fronte privato. Pipicelli rivendica un ruolo centrale: “Palumbo favorirà sempre me perché con me guadagna e sta tranquillo… quindi lui sicuramente porterebbe in cielo me”. E chiude con la frase che per gli inquirenti sintetizza tutto: “Se Palumbo si sposta nel privato, il mondo si sposta nel privato perché lui è il capo del Dipartimento più grande di Europa”.
Il primario, ascoltato dagli investigatori all’inizio si è difeso: “Non ho mai preso soldi per aver mandato dei pazienti nella sua struttura” . Salvo poi ammettere di avere incassato soldi in nero.
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Dicembre 8th, 2025 Riccardo Fucile
UNA PRECISA STRATEGIA DI ABBANDONARE IL FIANCO ORIENTALE AL SUO DESTINO E CHE NESSUNO ROMPA LE SCATOLE AI GIGANTI TECH AMERICANI
Prima regola del Fight Club: Donald Trump non va mai preso alla lettera, ma va sempre preso sul serio. Tradotto: tutte le sue rozze semplificazioni sono banalizzazioni a uso e consumo di un’opinione pubblica trattata alla stregua di un bambino di otto anni, ma nel contempo indicano chiaramente la direzione che
vuole prendere la Casa Bianca.
È una regola, questa, che dobbiamo applicare anche alle parole del presidente americano sull’Unione Europea e la Nato: coglierne il senso profondo, più che scandalizzarci per ciò che emerge in superficie.
In estrema sintesi, cos’ha detto Trump? Ha detto, nelle trentatré pagine della sua nuova National Security Strategy che l’Europa “se continua con il trend” in atto “fra 20 anni sarà irriconoscibile”, a “causa delle “attività dell’Ue e di altri organismi internazionali che minano la libertà e la sovranità politica”, delle “politiche migratorie che stanno trasformando il continente” della “censura della libertà di parola e la soppressione dell’opposizione politica”.
Non solo: ha detto anche che la Casa Bianca “si trova in contrasto con i funzionari europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra” in Ucraina, e che i Paesi europei sono “arroccati su governi di minoranza instabili, molti dei quai calpestano i principi fondamentali della democrazia per reprimere l’opposizione”. Ha detto anche che la Nato deve smettere di espandersi e che Europa dovrà assumere la guida dell’Alleanza atlantica entro il 2027.
Anziché avventurarci in fact-checking che lasciano il tempo che trovano, andiamo al nocciolo delle questioni, partendo dalla fine
Uno: cosa vuole dire Trump quando dice che l’Europa deve farsi carico della Nato? Vuole dire che gli Usa non si assumono più l’onere di difendere il confine orientale dell’Europa. Che la diatriba su cosa sia Occidente e cosa Russosfera in quella terra di
mezzo che sta tra la Germania e la Russia è affare nostro, non suo.
Come mai tutto questo? Perché il fronte geopolitico su cui l’America concentra la sua attenzione è quello che la vede contrapposta con la Cina su due diversi scenari: quello Artico, ricco di materie prime e nuove rotte commerciali che si aprono, grazie allo scioglimento dei ghiacciai e al riscaldamento globale. E quello Pacifico, con la questione Taiwan – formalmente territorio cinese, ma anche primo fornitore di semiconduttori all’industria tecnologica americana – in testa.
Due: cosa vuole dire Trump quando dice che la Nato non si espanderà e che l’Europa ha prospettive irrealistiche sulla fine della guerra in Ucraina? Vuol dire che gli Usa vogliono fare la pace con Putin per rompere l’alleanza Russia-Cina e isolare Pechino. E che per farlo non si fanno scrupoli a concedere a Mosca quel che vuole: il Donbass, per cominciare. E poi forse il controllo su quel che Mosca ritiene sia russosfera, fino a quel che dell’est Europa non è ancora né Nato né Ue, quindi Moldavia e Georgia. Ecco spiegato perché Mosca plaude alla nuova dottrina americana.
Tre: che per farlo ha bisogno di un Europa divisa, che non rompa le scatole con una sua strategia autonoma, o con regolamentazioni che chiudano il mercato ai suoi giganti tecnologici come Meta, Google e X – recentemente multate da Bruxelles, peraltro – che Trump ritiene strategici nella sua nuova guerra fredda con la Cina. Quindi: governi di destra, nazionalisti, anti Ue, ideologicamente affini alla sua visione del mondo anti
migrazioni, conservatrice e confessionale.
Tutto questo pone una domanda fondamentale per l’Europa: ha più senso piegarsi alla visione del mondo di Trump, facendoci guidare per mano nella nuova guerra americana, come del resto abbiamo fatto senza battere ciglio dal 1945 a oggi, o sviluppare una strategia autonoma in questo nuovo scenario? Tradotto: ha più senso stare con Washington contro la Cina o assumere una posizione terza e negoziare con entrambe, forti di un mercato unico ricchissimo?
Se Trump fosse presidente dell’Europa probabilmente non avrebbe dubbi: giocare su due tavoli è sempre preferibile che essere dipendenti dai ricatti di un unico interlocutore. Forse per questo che vuole soffocare sul nascere questa tentazione. E forse è per questo che dovremmo prendere le sue parole, e fare esattamente il contrario di quel che dice.
(da fFanpage)
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