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IL DESTINO DELL’UCRAINA NON PUÒ ESSERE DECISO TRA MOSCA E WASHINGTON: IL 75% DEI CITTADINI UCRAINI SI OPPONE AL PIANO DI PACE AMERICANO, CHE PREVEDE IL RITIRO DAL DONBASS, LIMITA LE DIMENSIONI DELL’ESERCITO UCRAINO E NON CONTIENE SPECIFICHE GARANZIE DI SICUREZZA

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

ZELENSKY HA INTELLIGENTEMENTE TOLTO DAL PIATTO L’ADESIONE ALLA NATO, MA CHIEDE GARANZIE DI SICUREZZA CREDIBILI (NON COME QUELLE FRAGILISSIME FIRMATE A BUDAPEST NEL 1994) – I VOLENTEROSI? SOLO FRANCIA, REGNO UNITO, GERMANIA, POLONIA E FINLANDIA SONO PRONTI A CORRERE IN SOCCORSO INVIANDO PROPRI SOLDATI

Tre quarti degli ucraini si oppongono al piano di pace Usa, che, tra le altre cose, prevede il ritiro delle truppe dal Donbass, limita le dimensioni dell’esercito ucraino e non contiene specifiche garanzie di sicurezza. E’ il risultato del sondaggio condotto dall’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev tra il 26 novembre al 13 dicembre, ripreso dall’Ukrainska Pravda.
“Il piano russo rimane categoricamente inaccettabile: il 75% degli ucraini lo considera completamente inaccettabile. Solo il 17% degli ucraini è pronto per questa versione”. Allo stesso tempo, il 72% degli ucraini è pronto ad approvare il piano Europa-Ucraina.
Ancora una volta, Volodymyr Zelensky conferma che l’Ucraina non chiederà di essere ammessa nella Nato. Tuttavia, anche ieri a Berlino, il confronto tra Zelensky e gli inviati Usa, Steve Witkoff e Jared Kushner, ha preso le mosse dall’idea di proteggere l’Ucraina con il dispositivo cardine della Nato: tutti
gli alleati corrono in soccorso di un partner aggredito.
Per Kiev, questa rimane la garanzia di sicurezza più efficace. A condizione che siano eliminati o contenuti gli ampi margini di discrezionalità previsti nel piano russo-americano in 28 punti, diffuso il 20 novembre. In un allegato a quel documento, si legge che sarà il presidente degli Stati Uniti, sia pure dopo consultazioni con Kiev e la Nato, a decidere come reagire a un nuovo attacco da parte dei russi.
Zelensky e i partner europei temono che, alla prova dei fatti, Trump possa scegliere una reazione blanda, per esempio adottare leggere sanzioni economiche. Nei giorni scorsi era circolata l’ipotesi che gli Stati Uniti potessero assumere un impegno a intervenire vincolante, sulla base di una legge votata dal Congresso.
Kiev vuole capire quali altri Paesi, oltre agli Stati Uniti, sarebbero pronti a correre in soccorso dell’Ucraina. Armi in pugno, questa volta. L’unica traccia al momento disponibile è sempre il testo «annesso» al piano Trump, dove sono citati esplicitamente solo Francia, Regno Unito, Germania, Polonia e Finlandia. E tutti gli altri? Il 5 settembre scorso, in una riunione della «Coalizione dei volenterosi» a Parigi, 26 Stati dichiararono di essere disponibili a offrire garanzie di sicurezza a Kiev.
La lista delle nazioni, però, non fu mai resa nota e, da allora, il discorso è rimasto sulle generali. Ora, per gli ucraini è venuto il momento di capire che cosa siano pronti a fare nel concreto tutti gli altri partner. È una richiesta che riguarda anche l’Italia. Giorgia Meloni oggi prenderà parte al summit di Berlino con Zelensky e altri leader europei. È stata lei ad avanzare per prima
e, va detto, tra lo scetticismo generale, la proposta di introdurre una clausola di sicurezza simile all’articolo 5 della Nato.
Il confronto è aperto anche su altre forme di possibile deterrenza. Sembra ormai archiviata la proposta franco-britannica di schierare una forza multinazionale sul territorio ucraino, una volta cessati i combattimenti. Ma Germania, Danimarca, Polonia e altri insistono sulla necessità di continuare a fornire armi all’esercito ucraino, anche quando il conflitto sarà terminato.
Trump, accogliendo una delle varie pretese di Vladimir Putin, vuole imporre un taglio secco alle forze armate ucraine: da 800 mila a 600 mila soldati. Zelensky e i leader europei stanno provando a convincere Witkoff e Kushner che quanto più diventa potente l’esercito ucraino, tanto meno è probabile che gli Stati Uniti debbano intervenire a difesa del Paese. Certo, Trump dovrebbe dire qualche «no» a Putin.
(da agenzie)

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TRUMP, UN RIFIUTO UMANO CHE NON HA RISPETTO NEANCHE DELLA MORTE: IL PRESIDENTE AMERICANO INSULTA ROB REINER, IL REGISTA CHE È STATO UCCISO OGGI, INSIEME ALLA MOGLIE, A LOS ANGELES

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

IL DELIRANTE MESSAGGIO DI “CORDOGLIO” DI TRUMP: “ERA PARANOICO E OSSESSIONATO DA ME. È VENUTO A MANCARE CAUSA DELLA RABBIA CHE HA CAUSATO AGLI ALTRI ATTRAVERSO LA SUA INCURABILE MALATTIA, CHE DEBILITA LA MENTE. È NOTA COME ‘SINDROME DA SQUILIBRIO DI TRUMP’. LA SUA EVIDENTE PARANOIA HA RAGGIUNTO NUOVE VETTE MENTRE LA MIA AMMINISTRAZIONE SUPERAVA OGNI OBIETTIVO” (CHIAMATE LA CROCE VERDE)

La morte di Rob Reiner e di sua moglie è “molto triste”. Lo afferma Donald Trump sulsuo social Truth. Alle condoglianze il presidente però accompagna anche delle dure critiche: “è mancato insieme alla moglie Michele a quanto pare a causa della rabbia che ha causato agli altri attraverso la sua grave, inflessibile e incurabile malattia, una malattia che debilita la mente nota come ‘sindrome da derangement di Trump’, a volte chiamata anche tds”.
“Era noto per aver fatto impazzire la gente con la sua furiosa ossessione per il presidente Donald J. Trump, con la sua evidente paranoia che ha raggiunto nuove vette mentre l’amministrazione Trump superava ogni obiettivo e aspettativa di grandezza, e con l’età d’oro dell’America alle porte, forse come mai prima. Che Rob e Michele riposino in pace”, ha messo in evidenza Trump.
(da agenzie)

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CARLO CALENDA: “ELKANN HA FATTO UN PATTO DI FERRO CON MELONI. SU GEDI USEREI IL GOLDEN POWER. BLOCCHEREI LA VENDITA, MA IL GOVERNO NON LO FARÀ, COME NON LO HA FATTO CON COMAU O IVECO”

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

“CHE FA URSO? FA TAVOLI. URSO È RIMASTO CHE IN ITALIA SI SAREBBERO PRODOTTE UN MILIONE DI VETTURE L’ANNO. SA QUANTE NE PRODUCIAMO? 400 MIL

“Certo che userei il Golden power. Bloccherei la vendita, ma il governo non lo farà, come non lo ha fatto con Comau o Iveco. Nel governo si vogliono togliere i problemi di torno”. Lo ha detto il leader di Azione Carlo Calenda a L’Aria che tira su La7 a proposito della vendita del gruppo Gedi.
“Non è operazione di Mercato – ha detto Calenda – C’è (nel gruppo acquirente ndr) il 20% del Fondo sovrano saudita, e noi non dobbiamo far penetrare sovranisti all’interno della nostra struttura democratica”. “Io la soluzione l’ho proposta: gli editori puri devono avere un incentivo a scapito degli editori impuri, così i puri tornano a fare il loro mestiere
“La democrazia liberale si difende non facendo entrare le autocrazie nel nostro dibattito – ha concluso – se non lo facciamo ci sveglieremo una mattina e ci ritroviamo autocratici anche noi”.
Calenda ha respinto le parole pronunciate ieri da Meloni ad Atreju secondo cui le opposizioni abbiano teciuto quando venivano chiusi gli stabilimenti in Italia della Fiat: “Sua zia – ha detto Calenda – io sono 4 anni che faccio questo lavoro, io vado a parlare con gli operai davanti alle fabbriche e non ho visto nessuno del governo.
Elkann ha fatto un patto di ferro con Meloni. Io davanti alle fabbriche non ho visto la sinistra ma neanche del governo. Che fa Urso? fa tavoli. Urso è rimasto a che in Italia si sarebbero prodotte un milione di vettura l’anno. Sa quante ne pèroduciamo: 400 mila”.
(da agenzie)

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CUCINA ITALIANA PATRIMONIO DELL’UMANITA’?QUANDO IL FUTURISTA MARINETTI CHIESE L’ABOLIZIONE DELLA PASTASCIUTTA, “ASSURDA RELIGIONE GASTRONOMICA ITALIANA”

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

“MACCHERONI” SIAMO STATI PER AMERICANI, INGLESI, FRANCESI E TEDESCHI, MACCHERONI ERANO I NAPOLETANI PER CAVOUR. E ADESSO, INVECE DI TRATTARE LA PASTA COME PRODOTTO INDUSTRIALE DI UN POPOLO MEDITERRANEO, CI SIAMO DI NUOVO CONDANNATI AL MITO ARCITALIANO DELLA ‘SPAGHETTITÀ’, IDENTITÀ E SPERANZA D’AVVENIRE

Ma come, non erano stereotipi? Adesso che la cucina italiana è patrimonio immateriale dell’umanità, anche ufficialmente l’immagine che meglio ci racconta è quella delle tre dita con le quali mimiamo il giro della forchetta: «Se famo du’ spaghi?».
Il mondo ha riconosciuto che c’erano riassunti la terra madre, il grano e i contadini nella famosa scena del «maccarone, me te magno» e che era giusto il pittoresco nome di “spaghetti western” con il quale Sergio Leone era riuscito a entrare nel grande cinema.
Certo, se fosse vero che addentare gli spaghetti significa impadronirsi della cultura italiana («meglio che leggere Dante» sostenne per primo Prezzolini che fu l’inventore della destra), anche mangiare carne di bisonte permetterebbe di impadronirsi – digerire – la storia americana.
Solo l’Italia ha fatto della “cucina”, e della pasta più della pizza, più del parmigiano e più della mozzarella, la propria bandiera, il cibo patriottico che riflette le qualità di chi lo mangia e al tempo stesso le rinforza con il suo nutrimento.
C’è ovviamente un rapporto tra il cibo e la storia e per capirlo basta rivedere il Totò di Miseria e nobiltà che trasforma lo spaghetto nel Dio degli affamati, uno spaghetto geniale e giocoso come lo furono spesso i meridionali morti di fame.
Ma, via, la spaghettità è stata quella robaccia che probabilmente ci era tornata indietro dai nostri emigrati, la cui nostalgia pietrificava i ricordi, le cerimonie e i sapori di casa.
Non solo occasione di grandi mangiate, la tavola – oggi si chiama “cucina” – diventava la nostra palestra delle idee. In nessun altro Paese come l’Italia mangiare era un modo di entrare in comunione con la scienza teologica e con la cultura umanistica. Il risultato fu l’intramontabile stereotipo dell’Italia grassa, l’idea marcia degli spaghetti come forza che faceva deboli gli italiani e li inchiodava al sud del mondo, la dannazione che spingeva il futurista Marinetti a chiedere l’abolizione della pastasciutta, «assurda religione gastronomica italiana».
E ogni tanto ancora ce lo ricordavano l’Economist, il Time, lo Spiegel, schiaffando in copertina l’Italia pizza e spaghetti.
“Maccheroni” siamo stati per americani, inglesi, francesi e tedeschi, maccheroni erano i napoletani per Cavour. E adesso, invece di trattare la pasta come il sano e buono prodotto industriale di un popolo mediterraneo che si nutre di cibo mediterraneo, ci siamo di nuovo condannati al mito arcitaliano della «pasta sono io», identità e speranza d’avvenire. E maccheroni torniamo ad essere con il timbro dell’Unesco.
(da Repubblica)

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“GIORGIA MELONI? EVOCA SEMPRE IL NEMICO PER GALVANIZZARE LA CURVA, IL ‘NOI’ PURI E IL ‘LORO’ CHE NON CI FERMERANNO, SOLO CHE IL PARCO NEMICI SI È RISTRETTO ”

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

DE ANGELIS: “C’ERANO UNA VOLTA LE BANCHE. MA COL GOVERNO IMPEGNATO A CONDIZIONARE LA SCALATA A GENERALI, NON SE NE PARLA PIÙ. C’ERANO UNA VOLTA I POTERI FORTI, MA SONO SCOMPARSI PERCHÉ BACIANO LA PANTOFOLA DEL NUOVO POTERE. C’ERA UNA VOLTA L’EUROPA MATRIGNA E, ANCHE IN QUESTO CASO, LA CRITICA È SOFT. È UN COMPLICATO GIOCO DI EQUILIBRISMO: DI TRUMP MEGLIO NON PARLARE DA QUANDO FLIRTA CON PUTIN. E DUNQUE, COME SI FA A SCALDARE I CUORI, CON L’ECONOMIA FERMA? PRENDENDOSELA CON NEMICI PRONTI ALL’USO

Alla fine non sarebbe stato stonato se le casse avessero sparato un bel “menomale che Giorgia c’è” al posto di Rino Gaetano (“può nascere un fiore nel nostro giardino”). […] «Giorgia, un selfie», dice Mateusz Morawiecki, presidente dell’Ecr, alla fine del suo intervento, ed è il primo. «Vorrei ricordare le parole di Giorgia sulla politica come amore», e questo è Antonio De Poli, leader dell’Udc (la sigla esiste ancora), ed è il secondo. Dato che c’è, cita pure Arianna.
Ecco Maurizio Lupi, «Giorgia ci dice sempre…», e poi «l’Italia a testa alta», gli «opinionisti distratti», «la colpa non è di Trump»… E si becca, di luce riflessa, una standing ovation che nemmeno al suo congresso.
Poi Antonio Tajani, «cara Giorgia», e comunque è il più sobrio perché ha il problema della Real Casa, anche se, nell’euforia, si dimentica la “rivoluzione liberale” cara al Cavaliere e indugia molto su crocifisso e identità nazionale. E Matteo Salvini, quello che minaccia sfracelli sull’Ucraina? È tutto un «con Giorgia siamo diventati amici in questi anni».
Ci tiene anche a far sapere che, per essere qui, ha rinunciato al tredicesimo compleanno della figlia. Altre volte si era collegato
Avete capito chi e quanto comanda? Breve annotazione: arriveranno al 2027, nessuna baruffa quotidiana è sostanziale ed è già iniziata la lunga maratona comiziante per le politiche, mettetevi comodi.
Bene, finito il racconto del culto del capo, passiamo al capo, che per inciso è anche premier da più di tre anni. Al cronista tocca ricordarlo perché, se uno atterrasse da Marte su Atreju, penserebbe che Giorgia Meloni sta all’opposizione.
C’è sempre il nemico per galvanizzare la curva, il racconto pugnace, il “noi” puri e non omologati al mitico sistema e il “loro” che non ci fermeranno. Però qui c’è un’annotazione da fare E cioè che il parco nemici si è molto ristretto. C’erano una volta le banche. Col governo impegnato a condizionare la scalata a Generali, magnifica preda della finanza italiana, non se ne parla più.
C’erano una volta i poteri forti, ma sono scomparsi come bersaglio perché baciano la pantofola del nuovo potere. C’era una volta l’Europa matrigna e, anche in questo caso, la critica è soft. Mica è Orban, tra patto di Stabilità rispettato e armi inviate assieme ai Volenterosi, pur senza foto assieme. È un complicato gioco di equilibrismo: all’Europa obietta che si è accorta tardi che la sicurezza gratis è finita, ma guai a dire che serve più integrazione. E di Trump meglio non parlare da quando flirta sfacciatamente con Putin. Una lode sul Medioriente e via.
E dunque, come si fa a scaldare i cuori audaci con le mani legate su queste cose e con l’economia ferma? Semplice, da un lato con la retorica della grandeur di «un’Italia tornata grande», dall’altro prendendosela circa una trentina di volte con sinistra e d’intorni.
Al posto della rivoluzione su banche, assicurazioni, lobby ed Europa e del rendiconto di ciò che si è fatto, ecco l’elenco dei nemici pronti per l’uso, sapientemente sopravvalutati rispetto al peso reale: Elly Schlein, la Cgil coi suoi scioperi del venerdì, i giudici che tolgono i bambini dalla casa nel bosco, ma senza esagerare per non impelagarsi nel referendum, Ilaria Salis («comunista!» ) e Greta Thunberg, il Sessantotto, Francesca Albanese e i pro-Pal, i «rosiconi» e quelli che preferiscono il kebabbaro alla cucina italiana patrimonio dell’umanità. Insomma, un bel Cinepanettone, anche di luoghi comuni, per fare il pieno al suo botteghino.
Fidatevi, nessuna di queste sinistre reali o caricaturali (alcune lo sono davvero) turba i sonni della premier, anzi. Diciamocelo: Giorgia Meloni pare il gatto col topo, tra una battuta e l’altra («Il campo largo si è riunito ad Atreju e quella che dovrebbe guidarlo scappa»). In fondo, diverte il suo pubblico e si diverte con un comiziaccio.
Alessandro De Angelis
per “la Stampa”

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TORNA IN LIBERTA’ L’IMAN SHAHIN, ACCOLTO IL RICORSO: “NESSUN TIMORE PER LA SICUREZZA”, SMENTITO PIANTEDOSI

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

PUO’ USCIRE DAL CPR DI CALTANISSETTA E RIENTRARE A TORINO, LA SOLITA SPECULAZIONE SOVRANISTA

Mohamed Shahin è libero. E oggi rientra a Torino, la città in cui vive da oltre vent’anni. La Corte d’Appello di Torino ha accolto il ricorso presentato dagli avvocati della difesa e ha disposto che si interrompa con effetto immediato il trattenimento amministrativo al Centro di rimpatrio di Caltanissetta, in Sicilia, dove l’imam di San Salvario si trova da diverse settimane.
Alla base della decisione c’è il richiamo diretto alla direttiva europea che stabilisce come il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale debba rappresentare un’eccezione e non una regola, “in base ai principi di necessità e proporzionalità per quanto riguarda sia le modalità, che le finalità di tale trattenimento”.
Le frasi sul 7 ottobre
Il giudice ha ritenuto che, nel caso di Shahin, incensurato, portato via da casa il 24 novembre, siano emerse nuove circostanze capaci di mettere in discussione la legittimità della misura. In particolare, il venir meno dei presupposti di pericolosità, che avevano giustificato la convalida del trattenimento. Uno dei procedimenti penali citati dalla questura è stato archiviato dalla procura di Torino. Le frasi sul 7 ottobre pronunciate durante una manifestazione sono state giudicate espressione del diritto di opinione, tutelato dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. “Altro aspetto è la condivisibilità o meno di tali affermazioni e/o la loro censurabilità etica e morale, ma tale giudizio non compete in alcun modo a questa Corte e non può incidere di per sé solo sul giudizio di pericolosità in uno Stato di diritto, risultando quindi del tutto inconferente ai fini che interessano in questa sede, contrariamente rispetto a quanto sostenuto dalla Questura”, si legge nell’ordinanza della Corte d’appello
Anche l’altro procedimento non evidenzia condotte violente né elementi concreti di pericolosità attuale. Shahin è incensurato, integrato e impegnato in attività di divulgazione della Costituzione italiana all’interno della comunità islamica.
Il decreto di espulsione
La Corte ha richiamato il principio europeo secondo cui il trattenimento deve essere periodicamente riesaminato da un’autorità giudiziaria indipendente. Un controllo effettivo, non formale, fondato su necessità e proporzionalità. Con il provvedimento firmato il 15 dicembre, si chiude così una vicenda che riporta al centro il tema dei diritti fondamentali nei Cpr.
L’imam era stato colpito da un provvedimento di espulsione firmato dal ministro Matteo Piantedosi, il cui fascicolo era stato secretato e il caso era stato anche affrontato in parlamento.
Immediate le reazioni della politica. Il parlamentare Marco Grimaldi (Avs) attacca il centrodestra: “Il Decreto su Shahin era costruito sul nulla. Piantedosi ha mentito al Paese, usa la sicurezza per fini politici”.
“Shahin è stato privato della libertà senza motivo – aggiungono la capogruppo di Avs in Regione, Alice Ravinale, e i consiglieri comunali di Torino di Sinistra Ecologista, Sara Diena ed Emanuele Busconi – La giustizia ha fatto il suo corso, ma il danno umano e civile resta. Ora il governo chieda scusa, cambi rotta e ritiri il decreto di espulsione: non si gioca con i diritti fondamentali delle persone”.
La solidarietà
Intanto chi ha sostenuto dal primo giorno la sua liberazione festeggia. “Siamo molto contenti – dice il consigliere comunale Abdullahi Ahmed – Torino è il quartiere San Salvario sono pronte ad accogliere Shahin a braccia aperte”. Questo pomeriggio alle 17 in largo Saluzzo, insieme a imam provenienti da diverse parti d’Italia, si incontreranno rappresentanti della chiesa dei santi Pietro e Paolo e del tempio valdese, la Rete del Dialogo Cristiano-Islamico, la Casa del Quartiere, la sezione Anpi “Nicola Grosa” e altre realtà del quartiere non solo per festeggiare la liberazione dell’imam ma anche in segno di solidarietà alle vittime degli attentati di Sydney, condannando con fermezza ogni gesto d’odio e violenza.
(da agenzie)

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IL MONITO DI SERGIO MATTARELLA”È EVIDENTE CHE È IN CORSO UN ATTACCO CONTRO L’OCCIDENTE, NON BISOGNA DISTRARSI. LA RUSSIA VUOLE RIDEFINIRE CON LA FORZA I CONFINI DELL’EUROPA”

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

“INEDITI CENTRI OPACHI DI POTERE DISINFORMANO. CRESCONO I CONFLITTI IBRIDI CONDOTTI CON STRUMENTI OSTILI” … LA STOCCATA DEL CAPO DELLO STATO A TRUMP, CHE HA DEFINITO L’UNIONE EUROPEA “IN DECADENZA”: “C’È UNA DISORDINATA E INGIUSTIFICATA AGGRESSIONE ALLA UE, ALTERANDO LA VERITÀ E PRESENTANDOLA COME UNA ORGANIZZAZIONE OPPRESSIVA SE NON ADDIRITTURA NEMICA DELLA LIBERTÀ” … IL MESSAGGIO È DIRETTO ANCHE A MELONI, CHEERLEADER DI TRUMP, E AL FILO-PUTINIANO SALVINI

“Permane l’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, con vittime e immani distruzioni, e con l’aberrante intendimento, malgrado gli sforzi negoziali in atto, di infrangere il principio del rifiuto di ridefinire con la forza gli equilibri e i confini in Europa.
Azione ritenuta irresponsabile e inammissibile già oltre cinquanta anni addietro nella Conferenza di Helsinki sulla Cooperazione e Sicurezza nel continente”. Lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, parlando alla Conferenza degli ambasciatori alla Farnesina.
“Desidero anzitutto esprimere l’apprezzamento della Repubblica al nostro Servizio diplomatico, alle donne e agli uomini che, giorno per giorno, assicurano la presenza del nostro Paese in ogni parte del mondo. Alcuni commentatori sostengono che quelli attuali non siano tempi facili e perfino inadatti per la diplomazia e, dunque, per quanti la esercitano per vocazione e professione. Sono in errore. E’ esattamente in tempi difficili che la diplomazia si trova a dispiegare una delle sue caratteristiche più preziose: la ricerca di percorsi per uscirne e di spazi di dialogo. A chi ci si affida, infatti, per tracciare in concreto percorsi di negoziato e alternative possibili, anche nelle condizioni più complesse se non alla funzione diplomatica?
Per altro – e forse proprio per questo – nessuno immagina i diplomatici come sorta di meri portaordini nel contesto internazionale, bensì ci si rivolge a loro come sperimentati professionisti, capaci di elaborare soluzioni e alternative sulla base delle scelte assunte dalle nostre libere istituzioni.
Importanti traguardi, conseguiti dalla comunità internazionale a partire dalla seconda metà del secolo scorso, sono il risultato di un impegno di grande efficacia della cooperazione tra gli Stati, agevolato dalle istituzioni multilaterali, a cominciare dall’ONU, e dalla prassi diplomatica”.
“L’epoca di transizione in cui ci troviamo presenta pericoli che dobbiamo saper tempestivamente riconoscere: a stagliarsi all’orizzonte c’è il rischio di un generale arretramento della civiltà. La legalità internazionale è un bene comune efficace nel contrastarlo Nell’epoca delle “policrisi” è indispensabile una “poli-diplomazia”.
“La diplomazia, per la proiezione esterna dell’Italia, per la sua posizione nell’Europa integrata e nel mondo, e non solo, è decisiva. Lo è perché il nostro Paese ha sempre saputo gestire in modo efficace il soft power di cui è portatore”.
“Il piano economico e commerciale è tutt’altro che esente da tensioni, con la diffusione di politiche e strumenti che puntano a rafforzare artificiosamente il proprio Paese a scapito degli altri.
Sovraccapacità produttive, dumping, dazi, dominio delle catene di approvvigionamento e coercizione economica, solo per citare alcune tra le distorsioni più significative, nuocciono a un mondo pacifico e interdipendente”.
“Paradossalmente, l’evoluzione tecnologica degli armamenti e l’uso dell’intelligenza artificiale espongono a rischi accresciuti. Nei domini più pericolosi, affidare ad algoritmi la decisione sulla
vita e la morte segnerebbe un arretramento drammatico della sicurezza collettiva . Penso che sia molto sottile il crinale tra l’illusione del dominio infallibile delle Intelligenze Artificiali e la prevalenza definitiva della stupidità naturale, che purtroppo, come nel noto aforisma, attribuito ad Albert Einstein, può tendere all’infinito”.
“E’ evidente che è in atto un’operazione, diretta contro il campo occidentale, che vorrebbe allontanare le democrazie dai propri valori, separando i destini delle diverse nazioni. Non è possibile distrarsi e non sono consentiti errori”.
“La situazione internazionale imprevedibile – e, per qualche aspetto, sorprendente – provoca disorientamento. L’inquietudine del pessimismo che ne deriva non deve indurre a ritenere ineluttabile il processo che vede l’ordine geopolitico che avevamo contribuito a costruire mostrare crepe sempre più estese e profonde, con conflitti che credevamo consegnati per sempre alla storia riacutizzati, lambendo regioni a noi vicine.
Così come l’affacciarsi di nuovi focolai di instabilità in aree dove la fragilità politica e sociale è divenuta ormai strutturale, con l’emergere di paradigmi che vedono prevalere interessi particolari che, sovente, sfidano la legalità internazionale”. “Pericolose attività di disinformazione tendono ad accreditare una presunta vulnerabilità delle opinioni pubbliche dei Paesi democratici. Cercano di affermarsi inediti ma opachi centri di potere”.
“La tragedia di Gaza, con il suo carico di sofferenza civile e il persistente alto rischio di escalation, continua a esporre il Medio Oriente a nuove lacerazioni: il raggiungimento del cessate-il-fuoco, per quanto fragile, richiede il fermo sostegno di tutta la Comunità internazionale””Ovunque, le conseguenze di fenomeni globali, dal cambiamento climatico alle disuguaglianze economiche, alle crisi energetiche, si sommano al riaffiorare di radicalismi ed estremismi che rendono, talvolta, difficili le pacifiche convivenze negli stessi Stati e fra gli Stati. Una condizione che viene alimentata da flussi informativi manipolativi che, nell’ambito di conflitti ibridi condotti con vari strumenti ostili, congiungono fronte interno e fronte esterno”.
“Appare, a dir poco, singolare che, mentre si affacciano, in ambito internazionale, esperienze dirette a unire Stati e a coordinarne le aspirazioni e le attività, si assista a una disordinata e ingiustificata aggressione nei confronti della Unione Europea, alterando la verità e presentandola anziché come una delle esperienze storiche di successo per la democrazia e i diritti dei popoli, sviluppatasi anche con la condivisione e l’apprezzamento dell’intero Occidente, come una organizzazione oppressiva se non addirittura nemica della libertà”.
“Assistiamo oggi alla pretesa di imporre punizioni contro giudici delle Corti internazionali per le loro funzioni di istruire denunce contro crimini di guerra, a difesa dei diritti umani, in definitiva a difesa dei popoli del mondo: sono pretese di un mondo volto pericolosamente indietro, al peggiore passato. Un mondo che si presenta rovesciato e contraddittorio con condanne alla carcerazione di componenti le Corti internazionali ad opera di un Paese promotore, e con suoi giudici protagonisti, del processo di Norimberga”.
(da agenzie)

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EUROPA, DATTI UNA SVEGLIATA: LA GUERRA IBRIDA DI PUTIN È INIZIATA DA TEMPO. BLAISE METREWELI, NUOVO CAPO DELL’AGENZIA DI INTELLIGENCE BRITANNICA MI6, LANCIA L’ALLARME SOTTOLINEANDO LA “MINACCIA ACUTA” DI PUTIN CON LA SUA POSTURA “ESPANSIONISTICA E REVISIONISTA”

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

UN PERICOLO CHE SI PALESA IN DIVERSE FORME DI “GUERRA IBRIDA” ALL’OCCIDENTE, IN CYBER-ATTACCHI O NEI DIVERSI VOLI DI DRONI NON IDENTIFICATI NEI CIELI DI PAESI DELLA NATO: “LONDRA DEVE SOSTENERE L’UCRAINA ED ESERCITARE PRESSIONE DI MOSCA”

La Russia di Vladimir Putin pone “una minaccia acuta” al Regno Unito e ai suoi alleati con la sua postura “espansionista e revisionista”. Lo sostiene Blaise Metreweli, nuovo capo dell’MI6 e prima donna chiamata al timone dei servizi segreti esteri di Sua Maestà, nel primo discorso tenuto dall’assunzione formale dell’incarico il primo ottobre scorso
Una minaccia testimoniata nelle sue parole, oltre che dal conflitto in Ucraina, in forme di “guerra ibrida” all’Occidente, in cyber-attacchi o nell’escalation dei sospetti sul sorvolo di droni non identificati nei cieli di Paesi della Nato
Londra deve pertanto continuare a sostenere l’Ucraina e a esercitare “pressione” su Mosca in tandem con Kiev, prosegue Metreweli, la cui designazione è stata descritta nei mesi scorsi come un fatto storico dai media britannici, ma è stata pure segnata da rivelazioni imbarazzanti sui legami familiari – inizialmente nascosti – con un nonno di origini ucraine che fu collaborazionista della Germania nazista.
Esperta di nuove tecnologie, avendo diretto un dipartimento ad hoc dell’MI6 prima dell’ascesa al vertice massimo dell’agenzia (quello ricoperto nella finzione cinematografica della saga di James Bond da Judi Dench, nei panni di ‘M’), Metreweli sottolinea inoltre la necessità che gli 007 attuali siano anche e soprattutto spie aggiornate sul fronte tecnologico: “A loro agio con i codici dei computer come con le risorse umane, con l’Intelligenza Artificiale e con Python come con molteplici lingue straniere”.
Sulla stessa onda, il generale Richard Knighton, neo-capo di stato maggiore della Difesa, che in un discorso odierno al Royal United Services Institute (Rusi) di Londra evoca a sua volta la Russia (ma anche la Cina) come una minaccia, sollecitando
risposte in termini di capacità di resistenza “non solo ai militari e al governo”, ma a tutta la società britannica. Secondo Knighton, Mosca sta cercando di “sfidare, limitare, dividere e alla fine distruggere la Nato”.
Si tratta dello “scenario più pericoloso che io abbia conosciuto in tutta la mia carriera militare”, prosegue il generale, parlando dell’incremento di risorse per “la difesa e la deterrenza” come della conseguenza di “un costo della pace accresciuto”; e annunciando fra l’altro lo stanziamento di 50 milioni di sterline extra a favore di scuole di specializzazione militare “d’eccellenza” sul fronte tecnico e tecnologico.
(da agenzie)

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PERCHE’ L’AMICHETTISMO DI MELONI E FRATELLI D’ITALIA E’ UN AFFARE MOLTO PIU’ SERIO DI QUANTO PENSIATE

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

LE INCHIESTE GIORNALISTICHE SCOPERCHIANO UNA CONCEZIONE PROPRIETARIA DELLO STATO, ANTICAMERA DELLE AUTOCRAZIE

Atto primo: la più grande azienda per i servizi alla persona di Roma – seconda in Italia – amministrata e controllata da tre sodali che fanno parte della stessa corrente di Fratelli d’Italia, che distribuisce incarichi e appalti per milioni di euro a professionisti e titolari d’azienda organici al partito o amici loro, in molti casi del tutto inadeguati ai lavori per cui ricevono denaro.
Atto secondo: un festival culturale di estrema destra, organizzato da un’associazione di Voghera vicina a Casa Pound, che si terrà il prossimo weekend nella città di Macerata finanziato dalla Regione Marche guidata dal neo-rieletto Fratello d’Italia Francesco Acquaroli con un assegno di 15mila euro.
Atto terzo: l’azienda che ha allestito palco e stand di Atreju, la kermesse politica di Fratelli d’Italia, il cui titolare è un ex pezzo grosso di Forza Nuova, che si scopre ha ricevuto numerosi appalti e commesse per importi considerevoli da Palazzo Chigi e da una società controllata dal ministero dell’agricoltura guidato da Francesco Lollobrigida.
Per l’atto quarto – e quinto, e sesto, e settimo – non è questione di chiedersi se arriverà, ma quando.
Perché le segnalazioni che continuano ad arrivarci raccontano sempre la stessa storia: quella di un partito che, una volta al potere, si dimentica di essere – Meloni dixit – la forza politica che promuoverà il merito mandando in pensione l’amichettisimo, e che invece decide di innaffiare di denaro chi con lei ha attraversato il deserto, e ora merita di bere.
In particolare, la storia di Italica Solution, e del suo titolare Martin Avaro, svelata sabato scorso da un’inchiesta di Fanpage, è paradigmatica.
Primo: perché Martin Avaro è un fornitore di Fratelli d’Italia che
diventa fornitore del governo, e il conflitto d’interesse è praticamente auto-evidente. Se fornire beni e servizi a Fratelli d’Italia schiude le porte di affidamenti e incarichi dai ministeri o dalla presidenza del consiglio, c’è un incentivo fortissimo a lavorare a prezzi di saldo per Fratelli d’Italia. O peggio ancora, a diventare organici al partito
Secondo: perché Martin Avaro non è solo un fornitore di Fratelli d’Italia, ma è un estremista di destra, arrivato ai vertici dei neofascisti di Forza Nuova. Ed è curioso che tra gli amichetti dei Fratelli d’Italia, a Macerata come a Roma, ci sia parecchio spazio anche per gente che – in teoria – siede molto più a destra di Giorgia. Ancora una volta, dietro i mercatini di Natale e le piste di pattinaggio e i mille veli di dissimulazione, spuntano figure più nere del carbone. E ogni volta, Donzelli dixit, è sempre un caso.
Terzo: perché questa volta non stiamo parlando della periferia dell’impero come Macerata, o di enti locali come la Regione Lazio. Stavolta quel che abbiamo scoperto arriva dritto dritto al cuore del potere meloniano. La sua festa, Atreju, organizzata dal suo numero due Giovanni Donzelli. E il suo ufficio, Palazzo Chigi, che affida almeno quattro commesse ad Avaro e alla sua azienda. Difficile parlare di mele marce, di casi isolati, di situazioni che sfuggono al controllo del Capo, se proprio il capo e i suoi più stretti collaboratori inondano di commesse uno storico fornitore del partito.
Quel che emerge non è una somma di piccoli casi isolati, ma un sistema fondato su una concezione proprietaria dello Stato e delle istituzioni. Che oggi si occupa di palchi, allestimenti,
reparti ospedalieri e festival letterari. Domani – o forse già oggi – di banche e assicurazioni o chissà cos’altro.
È da queste concezioni del Potere – un potere che combatte il merito che dice di voler difendere nel nome dell’appartenenza, della fedeltà, dell’amichettismo – che nascono le autocrazie, più che da mille marce su Roma. Perché sono i soldi generosamente elargiti da chi comanda che cementano la saldatura tra politica ed economia, tanto più in un Paese che non cresce più. Soprat
(da Fanpage)

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