Destra di Popolo.net

LA PAURA DEI MIGRANTI SPINTA DA POLITICA E MEDIA

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

HANNO UN RUOLO IMPORTANTE NELLA PRODUZIONE E NELL’ECONOMIA… LE PAURE VENGONO ALIMENTATE PERCHE’ FANNO AUDIENCE E PORTANO VOTI

Il fenomeno dell’immigrazione ha un peso e un ruolo significativo, in Italia, costituisce, infatti, quasi il 10% della popolazione: oltre 5 milioni di persone. E ha un peso rilevante, sul piano demografico ed economico. In molti settori ha un ruolo importante, talora determinante, nell’occupazione. Al di là delle polemiche che continua a sollevare. Peraltro, ha una geografia composita. Infatti, anche se l’attenzione (spesso polemica) si concentra sulla componente che proviene dall’Africa, una parte rilevante ha origine da Paesi europei: Romania, Albania, Ucraina. E dalla Cina. La presenza degli stranieri, in Italia, comunque, ha un peso importante, per l’occupazione e la produzione. Ma continua a suscitare attenzione e polemica, come mostrano i dati rilevati dall’Associazione Carta di Roma e dall’Osservatorio di Pavia.
Peraltro, c’è un’evidente relazione fra il numero delle notizie presentate sui media e il grado di intensità del dibattito pubblico. In particolare, negli ultimi 10 anni. Da quando l’argomento è divenuto centrale nel confronto politico. Sollevato, in particolare (ma non solo), dalla Lega di Salvini. In tempi segnati da un cambiamento significativo del rapporto fra i cittadini e partiti. Sempre più “personalizzato” e condizionato dalle “paure”, più che dalle appartenenze.
Così, come mostrano in modo chiaro i sondaggi condotti da LaPolis-Università di Urbino (con Demos e Avviso Pubblico) non è un caso che i picchi di audience più elevati si osservino in coincidenza con i periodi di campagna elettorale.
In particolare, fra il 2017 e 2019, quando gli immigrati divengono un tema utilizzato (con successo) dalla Lega, in occasione delle elezioni politiche ed europee. Come 5 anni dopo, fra il 2022 e il 2023. Quando il centrodestra si afferma nuovamente. Anche i dati più recenti (rilevati da Carta di Roma) sottolineano come nell’agenda dei tg nazionali la questione continui a contare. Così la relazione tra i flussi migratori e l’emergenza in merito al sentimento di insicurezza, connesso alla criminalità, si riproduce. Nonostante il numero degli immigrati sia costante.
È interessante, al proposito, osservare come un picco rilevante dell’attenzione fra i cittadini sull’argomento si manifesti, in precedenza, nel 2007. Anche in questo caso, in “clima” elettorale. All’indomani delle elezioni politiche del 2006, mentre si svolgevano le elezioni amministrative. In questo caso, però, la questione non ottiene particolare attenzione sui media. Al contrario. E ciò costituisce un aspetto interessante. Perché marca un passaggio nel percorso politico e mediatico italiano. Alle elezioni del 2006, infatti, Silvio Berlusconi e Romano Prodi si sfidarono alla vigilia del voto. Nel quale il centrosinistra, guidato da Prodi, prevalse di misura. Sottolineando l’utilità e l’importanza dei media. In particolare, della tv. In tempi di equilibrio e di incertezza. Che spingono le campagne elettorali. Fino all’ultimo. Perché, come sottolineò in un testo scritto negli anni 80 Sidney Blumenthal, noto consulente politico (consigliere, fra l’altro, di Bill Clinton), siamo in tempi di “campagna elettorale permanente”. E le elezioni non finiscono mai.
yTuttavia, oggi il tema dell’immigrazione, sui media, funziona ancora. Ma meno di qualche anno fa. Non perché gli immigrati non suscitino più paura e sospetto. Non è così, come mostrano i dati rilevati da Demos e LaPolis-Università di Urbino. e da Carta di Roma — Osservatorio di Pavia. Tuttavia, negli ultimi anni, sono subentrati altri motivi di insicurezza e di “paura”, che condizionano il sentimento delle persone. Gli atteggiamenti dei cittadini.
Basta guardare indietro. Non tanto tempo fa, tra il 2019 e il 2022, quando in Italia e in altri Paesi (non solo europei) esplose l’emergenza generata dal Coronavirus. Il Covid.
Infatti, in quegli anni la paura degli immigrati fa meno paura. Ridimensionata da altre paure. E, anche per questo, fa meno notizia. Come mostrano i dati dei sondaggi proposti in questa pagina.
In attesa di altre emergenze e di altri eventi. Che, naturalmente, non ci auguriamo. Ma che, ad ogni modo, vanno considerati e controllati. Anche perché, come dimostrano queste ricerche, fra paura e informazione c’è reciprocità. E le paure, talora, vengono alimentate anche perché… fanno audience».
(da Repubblica)

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UN LEADER TRONFIO HA BISOGNO DI UN ARCO DI TRIONFO: DONALD TRUMP RIVELA CHE LA PRIORITÀ PRINCIPALE DEL SUO CAPO PER LA POLITICA INTERNA (NEWT GINGRICH) È TIRARE SU UN MEGA ARCO DI TRIONFO IN ONORE DEL PRESIDENTE

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

“LO STIAMO COSTRUENDO VICINO AL CIMITERO DI ARLINGTON, DI FRONTE AL LINCOLN MEMORIAL E SURCLASSERÀ QUELLO DI PARIGI” … UNA MOSSA SUICIDA: GLI AMERICANI FATICANO AD ARRIVARE A FINE MESE, CON I PREMI DELLE ASSICURAZIONI SANITARIE IN AUMENTO PER 20 MILIONI DI CITTADINI. FAR CAPIRE LORO LA NECESSITÀ DI SPENDERE MILIONI DI DOLLARI IN UN INUTILE MONUMENTO CELEBRATIVO (CHE SI AGGIUNGE ALLA SALA DA BALLO ALLA CASA BIANCA) SARÀ MOLTO DIFFICILE…

Nonostante le accuse di saper affrontare la crescente crisi del costo della vita, con i premi dell’assicurazione sanitaria che stanno per aumentare drasticamente per oltre 20 milioni di americani, Donald Trump ha rivelato che la priorità principale del suo capo per la politica interna è la costruzione di un arco trionfale nella capitale.
Parlando a una festa natalizia alla Casa Bianca, il presidente ha elogiato Vince Haley, il suo ex speechwriter e collaboratore di lunga data di Newt Gingrich, che ora dirige il Consiglio per la politica interna della Casa Bianca.
“Vince è incredibile in materia di politica e abbiamo un progetto che sarà incredibile”, ha detto. “Ho affidato a Vince l’incarico
dell’arco trionfale”, ha proseguito Trump. “Stiamo costruendo un arco, come l’Arco di Trionfo”, ha aggiunto il presidente, mescolando inglese e francese.
“Lo stiamo costruendo vicino al ponte di Arlington, al cimitero di Arlington, di fronte al Lincoln Memorial…ed è qualcosa di davvero speciale. Sarà come quello di Parigi”, ha assicurato Trump, riferendosi all’Arco di Trionfo, costruito tra il 1806 e il 1836 sugli Champs-Élysées, in onore di coloro che morirono combattendo per la Francia durante le guerre rivoluzionarie francesi e napoleoniche.
“Ma a dire il vero”, ha precisato Trump, il nuovo arco che Haley dovrà costruire sarà migliore di quello commissionato da Napoleone Bonaparte. “Lo surclassa. Lo surclassa in ogni modo”, ha garantito.
La natura di questa iniziativa politica, come pure la nuova sala da ballo alla Casa Bianca, potrebbe risultare davvero difficile da capire per gli americani che faticano ad arrivare a fine mese.
(da agenzie)

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BORSE DI STUDIO IN RITARDO, STUDENTESSE SI INCATENANO PER PROTESTA: “INSOSTENIBILE PER I GIOVANI, COME PAGHIAMO AFFITTO, TRASPORTI E SPESE QUOTIDIANE?”

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

4.400 BORSE DI STUDIO IN PUGLIA ARRIVERANNO SOLO “NEI PRIMI MESI DEL 2026”…. “IL GOVERNO HA TAGLIATO 150 MILIONI DI FONDI”

Un gruppo di studentesse si è incatenato davanti alla sede dell’Agenzia per il diritto allo studio universitario (Adisu) a Bari. Un gesto di protesta, portato avanti da membri del gruppo «Cambiare Rotta», contro «il grave ritardo nell’erogazione delle borse di studio». Secondo le giovani, nei giorni scorsi l’Agenzia avrebbe comunicato ufficialmente a tutti gli studenti idonei che non potranno ricevere la borsa «entro il termine del 31 dicembre» e che la ricompensa per il loro lavoro universitario arriverà probabilmente «nei primi mesi del 2026».
I ritardi della Regione e le difficoltà degli studenti
Il ritardo, per Cambiare Rotta, è inaccettabile perché va a intaccare la stabilità economica quotidiana di circa 4.400 studenti che si trovano a dover «sostenere spese di affitto, trasporti e vita quotidiana senza alcun sostegno».
Una situazione paradossale causata da ulteriori ritardi burocratici a monte, dato che lo stanziamento da 21 milioni promesso e approvato dalla Regione Puglia a favore dell’Adisu non si è ancora concretizzato nel trasferimento effettivo dei fondi.
Le scelte del governo e il de-finanziamento delle università
I ritardi nella corresponsione delle borse di studio si accompagna anche, secondo le studentesse, al de-finanziamento degli atenei portato avanti dal governo. «Nella manovra finanziaria, la ministra Bernini annuncia 250 milioni di euro aggiuntivi per il diritto allo studio, ma questo dato nasconde i pesanti tagli all’università effettuati lo scorso anno. In realtà, la manovra comporta una riduzione di almeno 150 milioni di euro destinati al diritto allo studio e ai servizi essenziali per gli studenti».
La critica delle giovani colpisce anche la decisone del governo di investire invece sul reparto militare «a discapito di un diritto allo studio realmente garantito». La richiesta di Cambiare Rotta è chiara: «Vogliamo un incontro con il direttore dell’Adisu e che venga fissata una data di erogazione di tutte le borse di studio per gli studenti idonei il prima possibile».
(da agenzie)

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CASO EPSTEIN, I SONDAGGI PUNISCONO TRUMP: SOLO IL 23% APROVA LA GESTIONE DELLA VICENDA

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

I SOSPETTI SUI TENTATIVI DI CANCELLARE LE PROVE

Secondo un sondaggio Reuters-Ipsos, le immagini diffuse dai democratici hanno avuto pesanti ripercussioni sul consenso del tycoon. Il caso Jeffrey Epstein continua a scuotere la politica americana, e l’attenzione si concentra di nuovo sul presidente Donald Trump. Venerdì scorso i democratici del Congresso hanno reso pubbliche delle foto che ritraggono uomini di potere, tra cui lo stesso Trump, insieme al finanziere pedofilo e ad alcune giovani. Le immagini hanno immediatamente avuto ripercussioni sul consenso del tycoon: secondo un sondaggio Reuters-Ipsos, solo il 23% degli americani approva la gestione della vicenda da parte del presidente, mentre il 52% la critica
Chi compare nelle nuove foto diffuse dai democratici
Epstein, morto nel 2019 in un carcere di New York, era accusato di aver organizzato un giro di abusi sessuali su minorenni coinvolgendo un ristretto gruppo di amici influenti. Nelle nuove immagini compaiono anche l’ex presidente Bill Clinton, il regista Woody Allen, lo stratega di Trump Steve Bannon e l’imprenditore Richard Branson. Dai documenti emerge anche che la principessa Sofia di Svezia, allora giovane modella a New York, avrebbe visitato più volte l’isola privata dei Caraibi di Epstein. Altri materiali sensibili sono destinati a essere resi pubblici entro il 19 dicembre, data fissata dal dipartimento di Giustizia.
Cosa dicono i sondaggi
La Casa Bianca ha cercato di minimizzare l’impatto delle rivelazioni, ma i numeri dei sondaggi preoccupano i repubblicani: due americani su tre ritengono che Trump fosse a conoscenza del giro di pedofili, incluso il 39% degli elettori del suo partito. Una percezione che potrebbe incrinare il sostegno attorno al presidente, soprattutto mentre crescono i sospetti su eventuali tentativi di cancellare prove compromettenti. In questo contesto, alcuni senatori democratici hanno chiesto un audit formale dei documenti di Epstein per ricostruire tutta la «catena di custodia» dei file e verificare eventuali interferenze. Il leader democratico alla Camera, Hakeem Jeffries, ha invocato «piena trasparenza», mentre associazioni di vittime e legali sollecitano un controllo indipendente.
Le procedure rallentate
Secondo il Wall Street Journal, già a maggio, durante un
incontro alla Casa Bianca, la procuratrice generale Pam Bondi avrebbe informato Trump che il suo nome compariva nei documenti. Da allora, le procedure legate ai file sono state rallentate in modo insolito, mentre l’Fbi ha mobilitato quasi mille agenti per esaminare ogni documento, spendendo oltre un milione di dollari in straordinari. Molti vedono in questa lentezza un tentativo di proteggere Trump, ipotesi che i democratici e una parte dell’elettorato repubblicano vogliono chiarire.
(da agenzie)

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LA UE USATA COME BANCOMAT

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

PERCHE’ LA STRATEGIA DEL VETO E’ DIVENTATA UN RICATTO

Se l’Europa ha deciso così lentamente sull’Ucraina e su Gaza, o non ha deciso affatto, è perché chiunque dei 27 può dire «dissento», mettendo il veto. E bloccare completamente i lavori. Tanto più ora che ad Est si allargano i Paesi filorussi. È il meccanismo dell’unanimità. Nato con intenti nobili, per garantire i singoli Paesi che «nulla sarà fatto contro di voi», è stato poi sostituito in tanti settori dal voto a maggioranza qualificata. Si applica però ancora in politica estera e di sicurezza; adesione alla Ue; fisco; finanze comunitarie; cittadinanza. E su temi minori. Ma per capire l’impatto e il potere dell’unanimità — o del veto — è utile focalizzarsi sugli anni della guerra in Ucraina.
Ungheria, il serial player del veto
Non esiste un registro ufficiale dei veti europei. Tuttavia, Eu Veto Tracker di Michael Ovádek li cataloga dal 2011 in base a notizie verificate. Da allora ce ne sono stati 46. L’Ungheria è la più attiva: 19 in totale. Con una vera accelerazione dopo l’invasione russa dell’Ucraina: tra il 2022 e il 2025 per ben 12 volte il premier Orbán ha tenuto tutti in scacco. Vediamone i veti più dirimenti.
Maggio 2022: Budapest blocca l’embargo al petrolio russo; per levarlo, otterrà l’esenzione per l’oleodotto Druzhba.
Dicembre 2022: veto ungherese sui 18 miliardi di aiuti macro-finanziari a Kiev; viene tolto dopo un compromesso sui fondi Ue bloccati a Budapest.
Novembre/dicembre 2023: veto sull’Ukraine Facility da 50 miliardi; si parla apertamente di ricatto in cambio dello sblocco dei fondi di coesione; Orbán cede nel febbraio 2024.
2024: blocco o minaccia di veto sul riutilizzo dei profitti dagli asset russi; ispirerà soluzioni alternative ai funzionari Ue per neutralizzarlo.
Gennaio 2025: bloccata la censura alla Bielorussia per violazione dei diritti umani.
Marzo 2025: nuovo veto sugli aiuti all’Ucraina.
Giugno 2025: blocco con la Slovacchia del 18° pacchetto di sanzioni contro la Russia.
Settembre 2025: stop all’avvio dei negoziati con Kiev per l’ingresso nella Ue.
Dicembre 2025: nella partita per usare gli asset russi fermi in Belgio, Orbán ha già fatto sapere che – dovessero essere garantiti con gli Eurobond — lo impedirà con il veto.
L’alleato slovacco
Dall’autunno 2023 Orbán ha un nuovo alleato: il filorusso Robert Fico che ha vinto le elezioni in Slovacchia. Ora i veti si combinano: la Slovacchia ha affiancato l’Ungheria due volte nei «no» alla Ue. Come scrive il think tank tedesco SWP, siamo di fronte a una vera e propria «strategia del veto», a cui l’Ungheria ricorre in modo seriale e dove la Slovacchia è il junior partner. Ma è importante comprendere il meccanismo: il veto talvolta viene tolto per ottenere il via libera ai fondi di coesione, che l’Europa blocca perché Budapest viola lo Stato di diritto (attualmente, sono fermi 18 miliardi). Altre volte per incassare vantaggi politici e economici da rivendersi in casa. Si tratta insomma di una «contrattazione istituzionale» — Stato di diritto contro deroghe nazionali —, imperniata su un ostruzionismo strutturale. In parole povere, non è altro che uno strumento di
ricatto che va a vantaggio dell’aggressore russo.
I veti degli altri
Dal 2011, sono 15 i Paesi che hanno fatto il ricorso al veto. Fece clamore nel 2018 il veto alla condanna del trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, da parte di Repubblica Ceca, Romania e Ungheria. Ma anticipò divisioni future.
Nel 2020 Cipro si oppose alle sanzioni al regime bielorusso (finché non ottenne un segnale anti-Turchia). Nel 2017 la Grecia affossò una censura alla Cina sui diritti umani: voleva difendere le proprie relazioni economiche con Pechino. La logica di fondo mostra come spesso i «no» si usano a vantaggio di avversari europei come Russia e Cina. Per essere poi tolti di fronte di incentivi economici.
Interessante il caso polacco. In passato, Varsavia è stato il secondo utilizzatore di veti dopo l’Ungheria (7 contro 19). Con l’arrivo del premier europeista Donald Tusk nel 2022, la Polonia è diventata un partner affidabile a Bruxelles. Inoltre, vista la propria storia di invasioni e il diffuso sentimento antirusso, è una naturale sostenitrice di Kiev. Sperando che il presidente sovranista Karol Nawrocki, eletto a giugno, non scombini le carte. Però nell’Est europeo — dove le forze sovraniste e anti-Ue sono state sia sconfitte (Polonia) che capaci di risorgere (Slovacchia) —, con democrazie più mobili che nell’Ungheria orbaniana, un nuovo governo può radicalmente cambiare i giochi a Bruxelles. Come si comporterà Andrej Babis, il miliardario anti-euro populista filorusso, appena nominato premier ceco? Finora Praga è stata un forte e creativo alleato di Kiev: ha perfino guidato una cordata in grado di procurare un milione di munizioni, quando l’Ucraina restò quasi a secco. Con Babis è alta la probabilità che la Repubblica ceca faccia fronte comune con Ungheria e Slovacchia. Parliamo di 3 Paesi che in totale sommano poco più di 25 milioni di abitanti, ma in grado di mettere in fuori gioco la Ue su molti fronti.
I più grandi profittatori
Gli utilizzatori seriali del veto sono tra i maggiori beneficiari del trasferimento dei fondi della Ue. L’Ungheria ha ricevuto dalla Ue tra il 2004-2023 la bellezza di 68 miliardi di euro netti, che secondo le stime della Commissione hanno fatto crescere il Pil quasi del 2% all’anno. Inoltre, nel periodo 2021-27 le sono destinati 21,7 miliardi di fondi di coesione e 5,8 di sovvenzioni. Il tutto, ovviamente senza contare l’effetto traino sull’economia.
In rapporto alla popolazione la Slovacchia è il secondo maggior «beneficiario netto» dell’Unione: ha ottenuto 24 miliardi netti tra il 2004 e il 2023, con un impatto, si stima, sul Pil del 3% annuo. La Repubblica ceca (2004-2024) ha incassato un trilione di corone, ossia 40 miliardi di euro. La Polonia, che ha ottenuto un trasferimento per 250 miliardi, ha un saldo netto negli stessi vent’anni di 162 miliardi.
Gli investimenti hanno indubbiamente permesso il «catch-up» con il resto d’Europa, cioè di avvicinarsi al tenore di vita mediano nella Ue. L’Ungheria è passata dal 63% del 2004 al 74% attuale; la Slovacchia dal 50% al 68% del 2022; la Repubblica ceca dal 75% al 91%; la Polonia dal 51% all’80% del 2023. Ovviamente, il buon uso dei soldi ha fatto la differenza. Se oggi si parla di un miracolo economico polacco, se gli stipendi crescono più che in qualsiasi altro Paese Ue, se si
è rovesciato perfino il saldo immigratorio — e per la prima volta più polacchi rientrano dalla Germania di quanti vi emigrino — la Polonia lo deve alla riuscita integrazione europea.
L’oligarca ungherese
Il 90% della spesa pubblica in Ungheria è fatta con fondi Ue: vuol dire che Orbán può usare la spesa nazionale per indirizzare le politiche a cui tiene di più. Non solo. La peculiarità ungherese (e in parte slovacca) è l’uso «oligarchico» di questi soldi. Una parte consistente è gestita da amici imprenditori di Orban, come il genero István Tiborcz, l’«elettricista» che ha vinto gli appalti per i lampioni pubblici, o Lőrinc Mészáros, l’idraulico diventato l’uomo più ricco d’Ungheria
Si è scritto molto, anni fa, della costruzione della Puskas Arena a Felcsút, nel villaggio natale di Orbán — affidata al fido Mészáros. Uno stadio per omaggiare l’amore del leader per il pallone: ha 4 mila posti, sebbene il suo villaggio conti 2mila abitanti. Nel costo è compreso un trenino dalla vicina valle di Vál, che nei primi 17 giorni — quando ci salì il giornalista del Guardian — non aveva trasportato neppure un passeggero.
Italia si, Italia no
In una certa misura, nessuno rinuncia al veto. Per l’Italia, l’hanno agitato governi di centro-sinistra e centro-destra: Berlusconi, Renzi (sui migranti) e Conte, che lo ventilò la notte della trattativa sul Pnrr, in cui poi arrivarono 194 miliardi. Però l’Italia è stata sempre tra i Paesi che ne chiedono il superamento. Nel 2023 venne anche istituito un club informale degli amici del voto a maggioranza (Italia, Germania, Francia, Spagna, Belgio, Finlandia, Olanda, Slovenia). E la fine dell’unanimità è un
cavallo di battaglia delle famiglie politiche europeiste da anni: da quando l’allargamento ha reso più farraginoso il funzionamento della Ue. Ed è stato invocato da tutti i Presidenti della Repubblica italiana e dai suoi presidenti del Consiglio. Draghi lo ritiene propedeutico alla sua agenda.
Però il 24 ottobre scorso, questo indirizzo è cambiato. Giorgia Meloni dice in Parlamento: «Non sono favorevole ad allargare il voto a maggioranza, in luogo dell’unanimità, all’interno delle istituzioni europee». Aggiungendo che «certo sarebbe utile per l’Ucraina, ma su molti altri temi le posizioni della maggioranza potrebbero essere distanti dalle nostre e dai nostri interessi nazionali, che è mia priorità difendere».
E spiazza il ministro degli Esteri Tajani, vicepresidente del Ppe, che a botta calda dichiara: «Penso invece che si debba fare qualche passo in avanti», poi però in un’audizione alla Camera il 9 novembre si corregge e lo definisce «non all’ordine del giorno». In una recente intervista al Corriere è tornato a invocare la necessità di passare a maggioranza in molti ambiti; ma in tutta risposta FdI ha ribadito la posizione della premier. Un cambiamento significativo, perché allontana l’Italia (Paese fondatore) dal gruppo di Paesi che vogliono superare il meccanismo dell’unanimità per dare alla Ue più forza e rapidità d’azione, e la colloca su posizioni più vicine al campo sovranista.
Superare lo stallo
Sui fondi russi congelati in Belgio si decide il 18 dicembre. Sappiamo che Ungheria e Slovacchia sono contrarie ad un utilizzo in favore dell’Ucraina, ma il testo è costruito in modo
che alcune soluzioni (ma non tutte) permettano di evitare il veto. Si deve in ogni caso superare l’opposizione del Belgio, che detiene gli asset. Ma allora – aldilà delle soluzioni sul tavolo per i beni russi, che è anche una partita finanziaria – quali strumenti ci sono per una politica estera comune, per superare l’unanimità? Pronti già oggi?
1. La «passerella». Mai usata finora, ma prevista dal trattato di Lisbona. In casi limitati consente al Consiglio europeo di decidere a maggioranza, purché prima vi abbia acconsentito all’unanimità. Una scappatoia che permette ad uno o più Paesi di chiamarsi fuori senza bloccare gli altri.
2. L’astensione costruttiva. Fino a un terzo dei Paesi si astiene (e viene esentato dall’impegno), permettendo agli altri di agire.
3. Le cooperazioni rafforzate. Consentono a un gruppo di Paesi di portarsi avanti in alcuni settori, cooperando volontariamente tra loro. Se attuata, può essere un game changer
In prospettiva potrebbero permettere di costruire un primo, più stretto nucleo della difesa. Magari sul modello dei volenterosi per l’Ucraina. Che resta — è importante notarlo – un’iniziativa fra governi, dove un ruolo guida ce l’ha la Gran Bretagna (che è fuori dalla Ue) insieme a Francia, Germania e Polonia. Eppure, dopo la pubblicazione del documento sulla Strategia di Sicurezza Nazionale Usa che semplicemente liquida l’Europa o la battezza come l’avversario, in molti Paesi cresce il senso di urgenza, una maggiore volontà di autonomia strategica. In Germania, storica alleata degli Usa, si parla di «seconda svolta epocale», dopo il distacco dalla Russia.
Ci sono poi i precedenti storici. L’Europa ha sempre agito
allargando piccoli nuclei. Quando si è deciso di adottare l’euro, erano in 12 Paesi, oggi sono diventati 20. Sull’abolizione delle frontiere (Schengen) erano d’accordo in cinque, ora si è estesa a 29, ed è entrato anche chi sta fuori dalla Ue, ovvero Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.
Ed è quello che si sta provando a fare con la difesa europea. L’Ucraina insegna: tenere il diritto di veto su tutta la politica estera permette a chi rema contro, e incassa fondi come da un bancomat, di fermare l’azione di tutti.
(da agenzie)

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“ALBERTO NON DIMENTICA MAI IL MIO COMPLEANNO, QUALCOSA NON STA FUNZIONANDO”: ARMANDA, LA MADRE DI ALBERTO TRENTINI, IL COOPERANTE ITALIANO DETENUTO DA TREDICI MESI IN VENEZUELA: “BISOGNA CAMBIARE STRATEGIA. QUESTI 13 MESI DI PRIGIONIA PER ALBERTO SONO STATI UNA CRUDELTÀ QUOTIDIANA. NOI GENITORI CI SENTIAMO SVUOTATI. VIVIAMO UN’AGONIA CHE NON SI PUÒ DESCRIVERE”

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

“LA PRIGIONIA DI ALBERTO DEVE INDIGNARE GLI ITALIANI, LE NOSTRE ISTITUZIONI E I COMUNI CITTADINI. GRIDERÒ FINCHÉ AVRÒ FIATO. NESSUNA ENERGIA PUÒ ESSERE RISPARMIATA PER RIAVERE ALBERTO A CASA

“Povero Alberto, si sarà illuso di poterci chiamare. Lui non dimentica mai la data del mio compleanno. Io ho atteso inutilmente quella telefonata perché avevo bisogno di sentire il timbro della sua voce e di capire come vive questa situazione così dolorosa e ingiusta”. Lo afferma, in un’intervista a La Repubblica, Armanda, la madre di Alberto Trentini, detenuto da tredici mesi in Venezuela.
“Secondo me – aggiunge – bisogna cambiare strategia: occorrerebbe designare una persona che sappia rapportarsi con Maduro e con i suoi collaboratori, perché se dopo 395 giorni di prigionia non ci sono risultati, qualcosa non sta funzionando. Sappiamo bene che i carcerieri di Alberto sono in Venezuela e non in Italia, ma occorre convincerli a restituirci nostro figlio”.
“Questi 13 mesi di prigionia – prosegue la madre di Trentini – per Alberto sono stati una crudeltà quotidiana, per lui e anche per noi. Mi fa male soltanto pensare che dolore e quanta delusione hanno segnato tutti questi mesi di prigionia e di isolamento. Sofferenze così forti minano il fisico e l’animo per sempre. Noi genitori ci sentiamo svuotati. Viviamo un’agonia che non si può descrivere”.
“La prigionia di Alberto – conclude – deve indignare gli italiani, le nostre istituzioni e i comuni cittadini, perché è costretto in carcere per così tanto tempo senza avere alcuna colpa. Spero che sempre più voci si uniscano alle nostre proteste. Io, se necessario, griderò finché avrò fiato. Nessuna energia può essere risparmiata per riavere Alberto a casa
(da agenzie)

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IL COMIZIO DELLA MELONI AD ATREJU? UNA OVERDOSE INCOMPRENSIBILE DI LIVORE E RABBIA CONTRO CHI NON LA PENSA COME LEI. UN VITTIMISMO RIDICOLO QUANDO A FARSENE BANDIERA È LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO CHE GOVERNA DA OLTRE TRE ANNI. QUANDO INIZIERÀ MELONI A PRENDERSI LA RESPONSABILITÀ DELLA SITUAZIONE?

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

NELLE PREVISIONI ECONOMICHE UE LA CRESCITA 2025 DELL’UE SARÀ DEL +1,1%, QUELLA ITALIANA DI UN MISERO +0,4%, QUASI TUTTI I 27 CRESCERANNO PIÙ DI NOI… LA PRODUZIONE INDUSTRIALE È ZERO E I SALARI SONO I PIÙ BASSI D’EUROPA: MELONI HA PARLATO DEI ‘GRANDI GRUPPI FINANZIARI’ FAVORITI DALLA SINISTRA. MA SI DIMENTICA DI DIRE UNA SOLA PAROLA SULLA PIÙ GRANDE SCALATA BANCARIA ITALIANA DAL DOPOGUERRA AD OGGI, QUELLA DI MPS SU MEDIOBANCA/GENERALI, FAVORITA DAL SUO GOVERNO IN TUTTI I MODI (C’È UN’INCHIESTA APERTA SULLA LEGITTIMITÀ DI QUESTI MODI) IN STRETTA ALLEANZA E RACCORDO CON QUEI POTERI FORTI A LEI PROSSIMI

Ogni volta, seguendo questa Atreju di governo ci si stupisce per la quantità di rancore che la presidente del Consiglio insiste a spargere contro tutto e tutti: la sinistra, i poteri forti, le banche, Bruxelles, giù giù fino ai bersagli del momento, che siano i giudici di Garlasco o quelli che provano a tutelare i figli della
famigliola di svitati del bosco, Greta Thunberg, Francesca Albanese, Maurizio Landini, e, naturalmente, i giornalisti sgraditi come il nostro Michele Serra, colpevole di aver colto in maniera chirurgica il carattere «consociativo» di questa festa di partito alla quale in tanti hanno detto sì «per campare».
Eppure chi sta pro tempore a palazzo Chigi dovrebbe esprimere una visione in cui si possa riconoscere la maggior parte degli italiani, Su un punto tuttavia Serra si sbagliava, scrivendo di una «ammucchiata pacifica e paciosa», forse perché ancora non aveva ascoltato il comizio finale della premier, con quella overdose davvero incomprensibile di livore e rabbia contro chi non la pensa come lei.
Un vittimismo che sarebbe eccessivo persino sulla bocca della leader di un piccolo partito di minoranza, ma che diventa ridicolo quando a farsene bandiera è la presidente del Consiglio che governa da oltre tre anni, oltretutto alleata con Lega e Forza Italia che il Paese lo governavano anche prima con Draghi. Sono passati quasi cinque anni da quando non c’è una maggioranza di centrosinistra, per la precisione 4 anni e 10 mesi da che il governo giallo-rosso è caduto: quando inizierà Meloni a prendersi la responsabilità della situazione italiana?
Visto che siamo in tema Atreju, vediamolo questo paese di Fantàsia dipinto dalla presidente del Consiglio. È vero, lo spread è basso (visto che la Germania è ferma) ma nelle previsioni economiche europee la crescita 2025 dell’Ue sarà del +1,1%, quella italiana resterà inchiodata a un misero +0,4%, quasi tutti i Ventisette cresceranno più velocemente di noi.
È un Paese che ha ricominciato a correre quello in cui la
produzione industriale è zero e i salari sono i più bassi d’Europa? Meloni non ne parla, ma mettere la polvere sotto il tappeto non funziona e nei «mercati rionali», per citare le sue parole, se ne sono accorti. Non abbiamo imprese all’avanguardia sull’Intelligenza artificiale, il settore su cui si misura la competitività del futuro, e il governo sta facendo poco o nulla per porvi rimedio.
Secondo l’osservatorio del Politecnico di Milano, le aziende italiane sono agli ultimi posti in Europa per adozione dell’IA nei loro processi. Toc toc. Meloni ha attaccato il sindacato per un presunto silenzio su Stellantis, dicendo una bugia (basta una semplice ricerca nell’archivio di Repubblica), ma ha omesso di dire cosa abbia fatto lei, il suo governo, per contrastare la crisi del settore automotive, che in Italia appare più grave che altrove.
Si è anche dimenticata di citare l’ex Ilva, che sprofonda senza un piano industriale Ha parlato dei Benetton e dei «grandi gruppi finanziari» che sarebbero stati favoriti dalla sinistra. Ma si è dimenticata di pronunciare una sola parola sulla più grande scalata bancaria italiana dal dopoguerra ad oggi, quella di Mps su Mediobanca/Generali, favorita dal suo governo in tutti i modi (c’è un’inchiesta aperta sulla legittimità di questi modi) in stretta alleanza e raccordo con quei poteri forti a lei prossimi, politicamente e “geograficamente”.
(da Repubblica)

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MELONI GRAN CABARET! IL MOMENTO PIU’ ALTO DEL BAGAGLINO DI CASTRONERIE DELLA DUCETTA A ATREJU: “QUELLI DI SINISTRA SI PORTANO SFIGA DA SOLI COME CON LA CARTA DELLA PAGODA AL MERCANTE IN FIERA” (MANCO TOMAS MILIAN!)

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

UNA FRASE DEL GENERE COME LA TRADUCI A TRUMP O XI JINPING? AVVISO AI NAVIGATI: NEL MERCANTE IN FIERA, TRA LE CARTE “PORTA-SFIGA”, NON C’E’ SOLO LA PAGODA: C’E’ ANCHE IL LATTANTE

Giorgia Meloni estrae la ‘carta della pagoda’ nel suo intervento di chiusura a Atreju. La presidente del Consiglio, nel discorso di oggi 14 dicembre, in un passaggio fa riferimento ad una delle carte più note del gioco mercante in fiera e sfrutta le ‘qualità’ della pagoda, carta tradizionalmente ritenuta poco fortunata. “Ogni volta che a sinistra parlano male di qualcosa va benissimo. Cioè: parlano male di Atreju ed è l’edizione migliore di sempre; parlano male del governo, il governo sale nei sondaggi; hanno tentato di boicottare una casa editrice, è diventata famosissima. Insomma, si portano da soli una sfiga che manco quando capita la carta della pagoda al Mercante in fiera, visto che siamo in clima natalizio, allora grazie a tutti quelli che hanno fatto le macumbe”, dice la presidente del Consiglio.
Cos’è la carta della pagoda al Mercante in fiera
Ma perché proprio la pagoda? Il mercante in fiera, gioco che anima le tavolate di Natale nelle case degli italiani, ha regole consolidate da decenni: la distribuzione delle carte, le aste per aggiudicarsi quelle ancora disponibili, l’eliminazione di quelle ‘sfortunate’ e l’estrazione dei 5-6 premi finali. Tra le carte vincenti, narra la leggenda, la pagoda non c’è praticamente mai.
Tutte le carte in realtà sono equivalenti e la vincita dipende solo dall’estrazione casuale delle carte premiate alla fine della partita. Tuttavia, in molte tradizioni familiari e regionali italiane, alcune carte sono considerate “portasfortuna” o “portafortuna” per pura superstizione, senza basi nelle regole ufficiali.
Tutti o quasi si tengono alla larga dal lattante, il neonato in carrozzina. Accanto a lui, appunto, brilla per motivi sbagliati la celeberrima pagoda. E’ solo un luogo comune, un’innocua superstizione. Così come non ha fondamento la fama di ‘carta fortunata’ che accompagna, ad esempio, il moschettiere. Lui, dicunt, vince spesso e volentieri.
(da agenzie)

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UN PAESE SENZA VERGOGNA: MAZZETTE PER RILASCIARE LE SALME AL POLICLINICO DI PALERMO: “VEDERE LA MOGLIE? 50 EURO”

Dicembre 15th, 2025 Riccardo Fucile

LE TANGENTI ANDAVANO DA 50 A 200 EURO, 15 RICHIESTE DI ARRESTO

Vedere la salma della propria consorte prima che sparisca nei meandri dell’obitorio sotto al Policlinico di Palermo costava 50 euro. Il prezzo, seguendo un preciso tariffario che quattro impiegati della struttura avevano definito, saliva fino a 100 euro per facilitare il lavoro alle pompe funebri e sbloccare faccende burocratiche più rapidamente.
La procura del capoluogo siciliano ha chiesto l’arresto di 15 persone, tra cui gli impiegati Salvatore Lo Bianco, Marcello Gargano, Antonio Di Donna e Giuseppe Anselmo e undici titolari e dipendenti di diverse agenzie funebri. Gli indagati sono
accusati a diverso titolo di associazione a delinquere, concussione e corruzione.
Il sistema delle mazzette
Quello che si era creato nell’obitorio del Policlinico era un vero e proprio giro di mazzette standardizzato, che veniva presentato come la regola anche alle pompe funebri che per la prima volta si mettevano in contatto con i dipendenti dell’ospedale. «Noi siamo abituati che tutti quelli delle ditte lasciano dei soldi… E li dobbiamo dividere», ha detto intercettato uno dei quattro inservienti dell’obitorio, che dietro a pagamenti in contanti «acceleravano e oliavano la definizione delle pratiche inerenti il rilascio delle salme o la materiale vestizione dei defunti». In alcuni casi si sarebbero fatti pagare pure 200 euro per l’espianto di un pacemaker.
La scoperta casuale e il «sistema» da 400 euro al mese
L’indagine sarebbe partita per un caso completamente fortuito e da lontano. La procura di Milano, mentre intercettava la telefonata di una pompa funebre lombarda per un caso separato, ha captato una frase di Francesco Trinca, imprenditore di una pompa siciliana: «Qui funziona così, sempre 100 euro gli si dà se si vuole fare», diceva quest’ultimo spiegando che ci fosse la necessità di pagare un sovrapprezzo da corrispondere agli impiegati della camera mortuaria per permettere il trasferimento da Palermo a Milano di un cittadino greco deceduto in Sicilia. Il sistema, ben rodato, fruttava un introito mensile non trascurabile ai dipendenti dell’ospedale: «Solo giugno, dal primo fino all’ultimo, ho messo da parte 400 euro», diceva uno di loro.
(da agenzie)

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