LA NUOVA TORTUGA AL LARGO DELLA SOMALIA?
MENTRE DIECI ITALIANI SONO OSTAGGI DEI PIRATI SOMALI, E’ GIUSTO CHIEDERSI CHI SIANO I NUOVI FILIBUSTIERI… SONO EX PESCATORI VITTIME DELLE NAVI STRANIERE CHE HANNO RAZZIATO I LORO MARI, RIDUCENDOLI ALLA FAME
Risale al 1992 la creazione, da parte della comunità internazionale, dell’International Maritime Bureau Piracy Reporting Center.
Di fronte al crescente allarme sul ritorno dei pirati sui mari, si decise di porre in essere un tentativo, se non proprio di combattere, almeno di monitorare il fenomeno.
La sede dell’organismo non a caso fu stabilita a Kuala Lumpur, capitale della Malesia, in quanto il fenomeno allora sembrava interessare il tratto asiatico comprendente gli stretti di Malacca, il mar della Cina e il golfo del Bengala.
Secondo i rapporti che vengono periodicamente stilati, i moderni eredi di Sandokan provocano danni stimabili tra i 9 e i 12 miliardi di euro l’anno.
Come mai dalla Malesia l’allarme si è andato spostando verso la Somalia?
Secondo le ricostruzioni, basate anche sulla testimonianza dei pirati stessi, in origine questi “filibustieri” erano dei semplici pescatori che durante la stagione dei sei mesi di pesca potevano guadagnare il denaro sufficiente per vivere il resto dell’anno e magari anche costruirsi una casetta. Sparita come Stato la Somalia nel 1991, ecco che le loro acque sono state invase da barche straniere che, con enormi reti, hanno cominciato a spazzare il mare.
Per i somali è stata la fine: terminata la pesca, sono cominciati i debiti e i pescatori sono diventati sempre più arrabbiati contro l’Occidente che li aveva depredati del prodotto che permetteva loro di vivere.
In origine i pescherecci erano quelli di Francia, Italia e Kenia. Furono gli stessi “signori della guerra” che avevano dato agli stranieri il permesso di pescare, a difendere queste imbarcazioni, offrendo uomini armati e mitragliatrici.
All’origine della pirateria è il permesso di pesca illegale dato agli stranieri che, come tali, vengono odiati e diventano le vittime prescelte.
Tra il 1994 e il 2004 la quantità di pesce pescato nel mondo si è ridotta del 13%, ma secondo i dati Fao, più del 75% del pesce che mangiamo è pescato illegalmente, oltre la quota stabilita dalle convenzioni internazionali.
Ora davanti alla Somalia, quasi per destino, passa uno dei flussi di traffico più importanti del mondo: quello che parte dall’Asia orientale diretto all’Europa, attraverso il canale di Suez.
Ed ecco in azione i nuovi pirati, tanto pericolosi che varie compagnie di navigazione hanno dirottato le navi sulla più lunga rotta del Capo di Buona Speranza.
Fino ad oggi peraltro è solo fantasia un eventuale ruolo di Al Qaeda nelle iniziative dei pirati, anzi qualcuno dà addirittura la colpa alla guerra che è stata fatta alle corti islamiche che avrebbe causato un vuoto di potere.
Va sottolineato in prospettiva che l’integralismo islamico potrebbe tentare di inserirsi in questo contesto, alla luce del minimo sforzo con cui si possono mettere in crisi le economie occidentali.
La crisi dell’Oceano indiano ha poi rilevato un improvviso corto circuito delle tecnologie di imbarcazioni, armamenti e comunicazioni che sta dando spesso ai pirati la possibilità di colpire indisturbati e poi scomparire.
Alla luce di quanto abbiamo indicato, più che pagare riscatti milionari o rischiare blitz avventurosi che solo Usa e Francia possono permettersi per uomini e mezzi, sarebbe necessario che la comunità internazionale facesse un minimo di mea culpa e ristabilisse le condizioni primarie di vita per le popolazioni locali, cacciate dai loro mari per favorire le speculazioni dei grandi gruppi economici. Da questa emergenza si può uscire ristabilendo un minimo di equità verso i somali cui va restituita la possibilità di pescare nei loro mari.
Altrimenti si va verso una militarizzazione dei mari che non giova alla lunga a nessuno.
Si aprono negoziati spesso fondati sul nulla, laddove invece sarebbero necessari chissà perchè si preferisce fare orecchie da mercante.
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