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SEI IPOTESI PER TAGLIARE IL DEBITO PUBBLICO: CESSIONI, RIENTRO DI CAPITALI E BPT PIU’ LUNGHI

E’ POSSIBILE FARLO SENZA RICORRERE A PATRIMONIALI STRAORDINARIE?… LA PROPOSTA AMATO- BASSANINI PER RIDURLO DI 200 MILIARDI IN 8 ANNI

È possibile tentare qualcosa di più di quanto abbia promesso Vittorio Grilli per aggredire il debito pubblico italiano senza cadere nelle promesse mirabolanti ma di dubbia realizzazione come quelle appena fatte da Angelino Alfano?
Ed è possibile riuscirci senza ricorrere a massicce imposizioni patrimoniali straordinarie?
La risposta che viene dall’ex premier Giuliano Amato e dal presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini, è positiva.
Una terza via è praticabile, e potrebbe dare 150-200 miliardi entro il 2017 e altri 150 nel quinquennio successivo se si insisterà  con coerenza sulle misure adottate.
Ma ci vuole coesione nazionale al di là  delle mutevoli maggioranze di governo e una certa centralizzazione delle decisioni rispetto alla babele delle periferie.
Perchè non esiste una sola mossa vincente, ma un mix di interventi di diverso genere.
Per inquadrare la nuova proposta, che è stata inviata al premier Mario Monti e al ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, vanno ricordate le due linee in campo al momento.
La prima è quella dello stesso Grilli, che aveva prospettato, nell’intervista al Corriere , una serie di cessioni di immobili e partecipazioni dello Stato e degli enti locali per 15-20 miliardi l’anno per 5 anni.
Il debito verrebbe così abbattuto, a regime, per 75-100 miliardi e la sua incidenza sul Prodotto interno lordo attuale diminuirebbe di 5-7 punti percentuali.
Se a partire dal 2014 l’economia riprendesse a crescere, l’incidenza del debito sul Pil calerebbe ancora un po’.
Grilli è attendibile ma potrebbe essere un po’ troppo prudente.
L’altra linea è quella del segretario del Pdl, che vorrebbe un clamoroso colpo secco: un taglio da 400 miliardi in 5 anni per riportare l’incidenza del debito pubblico sotto il 100% del Pil.
L’idea principale è quella di costituire un fondo al quale verrebbero conferiti nel quinquennio beni pubblici da «pagare» con il ricavato di speciali emissioni obbligazionarie con il rating massimo perchè garantite da quei medesimi beni.
Con l’incasso così ottenuto, Stato ed enti locali cancellerebbero un’equivalente porzione del debito.
Ma come ciò possa concretamente avvenire non è ancora chiaro. Senza mettere in campo l’oro della Banca d’Italia, infatti, è difficile che le agenzie di rating concedano la tripla A alle obbligazioni del fondo di Alfano.
Di questi tempi, il rischio Paese prevale su tutto: basti pensare che la Cassa depositi e prestiti non va oltre il rating della Repubblica italiana pur avendo un core tier 1 del 28%, assai più alto di quello delle consorella tedesca KfW che tuttavia gode della tripla A proprio perchè tedesca.
Le riserve auree, poi, sono una materia troppo delicata per essere trattate in modo estemporaneo: una materia troppo legata alla Banca centrale europea e ancor più al suo destino: se la Bce diventerà , come tanti si augurano anche in Italia, prestatrice di ultima istanza e stampatrice senza limiti prefissati di moneta, forse un po’ d’altro oro le potrà  essere utile per non gettare sul mercato carta pura e semplice.
Non a caso sul tema adesso si tace.
In conferenza stampa, Alfano ha speso molte parole per polemizzare contro il Pd che, secondo lui, vorrebbe aggredire il debito pubblico soltanto attraverso un’imposta patrimoniale di ampia portata.
In realtà , il Pd non sta coltivando alcun progetto di «patrimoniale» pesante una tantum , ma per bocca del responsabile economico, Stefano Fassina, ha proposto a suo tempo un prelievo annuale leggero sui grandi patrimoni analogo a quello da anni attuato in Francia (dove, peraltro, non ha risolto granchè).
Meglio sarebbe stato rispondere alle due obiezioni che l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, muove a tutte le proposte che prevedono il conferimento di beni pubblici a società -veicolo che si finanziano emettendo obbligazioni a tassi ridotti perchè garantite da quei beni.
La prima obiezione si compendia nella domanda che l’antico agente di cambio milanese, Aldo Ravelli, poneva a chi gli prospettava vendite grandiose: « Chi l’è el rilavatari? ».
La seconda è più articolata: se i beni pubblici costituiscono la garanzia del debito pubblico, un conto è vendere e cancellare una quota di debito, un conto ben diverso è togliere garanzie dal grosso del debito pubblico per porle al servizio di emissioni privilegiate.
Queste ultime, infatti, spunterebbero forse tassi migliori in quanto debito senior , ma poi il grosso del debito diventerebbe junior e subirebbe un contraccolpo negativo sui propri tassi.
È tutto da dimostrare che il saldo finale tra tassi che si riducono e tassi che si alzano sia conveniente
Ora la proposta Amato-Bassanini, che è firmata anche da Giuseppe Bivona, Davide Ciferri, Paolo Guerrieri, Giorgio Macciotta, Rainer Masera, Marcello Messori, Stefano Micossi, Edoardo Reviglio e Maria Teresa Salvemini sotto l’egida del centro studi Astrid, reimposta l’intera questione sulla base di un realismo ambizioso, ma senza nuove tasse, nemmeno nella versione light di Fassina.
Sul piano politico, l’elemento interessante è il ripensamento di Amato, che fu tra i primi a proporre l’abbattimento del debito pubblico attraverso un prelievo fiscale straordinario di 30 mila euro a carico degli italiani abbienti.
Gli undici convengono sui pericoli recessivi di una imposta patrimoniale. Sul piano culturale, va notata la convergenza tra giuristi di cultura socialista come lo stesso Amato e Bassanini ed economisti di scuola liberale come Masera, che ha un importante passato di banchiere, e Micossi, brillante segretario dell’Assonime, l’associazione delle società  per azioni.
Nel merito, gli undici dell’Astrid propongono un intervento articolato in sei mosse che entro il 2017 dovrebbe dare un gettito ipotizzato in 178 miliardi: a) cessione di immobili per circa 72 miliardi (di cui: 30 dalla cessione agli inquilini dell’edilizia residenziale pubblica; 16 dalla dismissione di immobili di enti previdenziali; 15 da immobili di Regioni ed enti locali; 6 da caserme e sedi delle Province da smantellare; 5 dal cosiddetto federalismo demaniale); b) 30 miliardi potrebbero venire dalla capitalizzazione delle concessioni (le sole lotterie danno 1,6 miliardi l’anno); c) 40 miliardi valgono le partecipazioni (Eni, Enel, Finmeccanica, St Microelectronics ed ex municipalizzate quotate); d) 15 miliardi potrebbero venire imponendo agli enti previdenziali degli ordini professionali di aumentare la quota dei loro investimenti in titoli di Stato di lungo periodo, oggi ferma al 10% del portafoglio (considerando i maneggi sugli immobili, ne avrebbero giovamento i pensionati futuri); e) 16-17 miliardi potrebbe essere il flusso nel quinquennio proveniente dalla tassazione dei capitali clandestinamente costituiti da italiani in Svizzera, previo accordo con il governo di Berna; f) 5 miliardi potrebbero venire da incentivi e disincentivi fiscali volti all’allungamento delle scadenze e alla riduzione del costo medio del debito pubblico.
Astrid si inserisce nel solco dell’azione del governo che ha affidato alla Cassa depositi e prestiti la costituzione di due grandi fondi immobiliari da 10 miliardi l’uno. Diversamente dalla proposta Alfano (almeno per quanto se ne è capito), l’Astrid punta molto sui soggetti esistenti. Invece del super fondo di cui non si conosce el rilevatari di ravelliana memoria, gli undici vorrebbero fosse messa in campo la Cassa depositi e prestiti che già  raccoglie 300 miliardi di risparmio privato.
Pur non essendo una banca, la Cassa già  sconta in Bce i suoi effetti creditizi per 25 miliardi, destinati a finanziare per metà  lo Stato e per metà  l’economia.
Ma qui dovrebbe fare da pivot della valorizzazione delle partecipazioni, oggi del Tesoro, in società  quotate e non quotate come le Poste, nelle ex municipalizzate quotate e nelle 5.500 aziende municipali non quote, 2.800 delle quali attive nei servizi pubblici locali, che sono da aggregare e ristrutturare per poter poi essere cedute in tutto o in parte.
Insistendo, si potrà  arrivare anche alla cifra di Alfano. Ma in 8 anni, non in 5. Altrimenti bisogna ipotizzare, come fa il segretario del Pdl, che l’accordo fiscale con la Svizzera dia il triplo di quanto stima Astrid.
Come se gli italiani, che avevano esportato capitali in Svizzera, li lasciassero tutti, ma proprio tutti, a disposizione del fisco anzichè spostarne una parte in altri paradisi.

Massimo Mucchetti
(da “il Corriere della Sera“)

This entry was posted on mercoledì, Agosto 8th, 2012 at 22:15 and is filed under economia, emergenza. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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