A PALAZZO GRAZIOLI TRA FREDDO E RABBIA: “È UN COLPO DI STATO”
L’ADUNATA NON È UN SUCCESSO… ANCHE L’ORGANIZZAZIONE È POCA COSA: CI SONO MOLTI CAMPANI, POCHISSIMI MILITANTI PROVENIENTI DALLA CAPITALE…. UNO DICE: “TRADITO COME GESÙ”
Che delusione, che grandissima delusione.
Erano arrivati da Sant’Antimo, Napoli, chiamati da Giggino ‘a Purpetta il loro leader, si erano arrampicati da Nardò e da Mesagne organizzati da Raffaele Fitto, falco in servizio permanente effettivo e aspirante vicerè delle Puglie, dalla Toscana (pochi) portati da Denis Verdini, finanche dalla Calabria (minoranza sparuta, visto che il grosso delle truppe berlusconiane Giuseppe Scopelliti, Peppe dj, padrone della regione, lo ha portato in omaggio agli alfaniani), insomma avevano marciato su Roma nel giorno più nero per Silvio ed è finita con le candele in mano.
Come a un funerale.
Che non ci fosse aria di chiamata alle armi lo si era capito fin dall’inizio. Un gruppo aveva attaccato uno striscione proprio sotto palazzo Grazioli con la scritta “È un colpo di Stato”, glielo hanno fatto togliere, subito, di corsa e senza discussioni.
Qualcosa non ha funzionato nel “nuovo” partito di Silvio, da Roma non si sono capiti bene con quel che resta dei gerarchi locali.
Che avevano preparato torpedoni, pranzi al sacco e striscioni, bandiere e parole d’ordine.
Un florilegio di accuse. “Napolitano come Stalin, Grasso uguale alla Boccassini, Alfano finito nel tritacarne”. Tanti con “oggi muore la democrazia”, “è un golpe”. Uno aveva fatto un fotomontaggio con la foto di Aldo Moro dietro il simbolo delle Br nella prigione del Popolo, sostituendo l’immagine del leader Dc con il volto di Silvio. Un altro agitava un cartello “Schifoso Schifani”, un gruppo esponeva uno striscione enigmatico: “Lupi confessa”. Cosa non si è capito.
“Sono traditori, hanno mangiato per anni alla tavola di Berlusconi e ora gli voltano le spalle”. “Gente che non era nessuno, non valeva una lira, si è ritrovata presidente del Senato, e ora ha accoltellato Silvio alle spalle”.
Il riferimento è a Renato Schifani. “Ma lei lo sa cosa faceva quel grandissimo c…to prima di incontrare Silvio?”, ci dice urlando un fedelissimo di Berlusconi arrivato dalla Sicilia (in mano la bandiera di Grande Sud, quella del figliol prodigo Gianfranco Miccichè). Non lo sappiamo. “L’autista, il portaborse di un sindaco Dc”.
Umori neri, rabbia, capannelli che discutono di articoli della Costituzione e di legge Severino come al Bar dello Sport, ognuno ha la sua ricetta, la sua formazione ideale. No, qualcosa non ha funzionato nel nascente partito dei club.
Si chiamerà Forza Italia, o forse Forza Silvio, chissà ? Per il momento tutto nei filmati trasmessi dai maxi-schermi, parla del passato.
Berlusconi nel ’94 , il Paese che amo, le vittorie, la sinistra sconfitta… sì, ma oggi, e soprattutto domani?
Anche le musiche sono tristi. Gli altoparlanti mandano l’inno di Forza Italia, il refrain ripete che “la sfida è dura ma la vinceremo noi”, e quelli in piazza, accalcati sotto palazzo Grazioli, non capiscono che la madre di tutte le battaglie l’hanno già persa: il loro amato leader, stanco come non mai, spompato, perso in parole d’ordine che non entusiasmano più nessuno, non è più in Parlamento.
“È come Gesù tradito da troppi Giuda”, dice un giovane militante con l’asta della bandiera di Forza Italia ricoperta di palme. “Presidente, siamo tutti con te”. Chi siete? “Circolo di Forza Italia della IV Municipalità di Napoli, zona Poggioreale”.
Il Cavaliere li vede e fa gli scongiuri, a Poggioreale c’è il carcere.
Quando lui, Silvio sale sul palco gli amplificatori sparano l’Inno nazionale. “Siam pronti alla morte…”. Ma chi?
La piazza ha freddo, Silvio non è in forma. Parla e parla ma non attacca mai Napolitano, Alfano, i traditori.
Finisce così, con i ceri che in pochi accendono e in pochissimi trascinano fino al Senato.
Dove qualcuno brinda (i 5Stelle), altri si fanno i loro conti (Pd e alfaniani), altre, le senatrici amazzoni del Cavaliere, sono di nero vestite.
A lutto.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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