“ABBIAMO RICOMPRATO LA DITTA CON IL TFR”: AUMENTANO I CASI DI SOCIETA’ IN DIFFICOLTA’ RILEVATE DAI LAVORATORI
LA STORIA DI “CERAMICHE NOI”… DA QUEST’ANNO ANCHE GLI AIUTI DEL MISE… “ABBIAMO SCOMMESSO SU NOI STESSI”
“A tutte le aziende medie o piccole che oggi rischiano di chiudere i battenti consiglio di informarsi sugli strumenti del workers buyout. A noi ha cambiato la vita: ci ha permesso di comprare la ditta per la quale lavoravamo rinunciando alla disoccupazione e al TFR”: sono queste le parole di Marco Brozzi, presidente di “Ceramiche Noi”, fabbrica di Città di Castello, acquistata dai dipendenti alla fine del 2019 dopo che la proprietà aveva deciso di delocalizzare in Armenia.
“Abbiamo scommesso su di noi, l’entusiasmo è stato più forte della disperazione”, aggiunge Brozzi che oggi si trova a capo della cooperativa che raggruppa 11 soci e tre dipendenti.
L’avventura di “Ceramiche Noi” non è isolata: la crisi finanziaria ha portato ad un aumento dei casi di società in difficoltà rilevate dai lavoratori. Dal 2021, inoltre, il Mise darà degli aiuti per i problemi di successione.
Ma cos’è il Workers Buyout? Si tratta di un’azione di salvataggio dell’azienda, o di una sua parte, realizzata dai dipendenti che subentrano nella proprietà . Questi interventi sono resi possibili dal sostegno della Legge Marcora (L. 49/1985), efficacie strumento di politica attiva del lavoro, utilizzato per rigenerare un’impresa in crisi economica oppure nei casi in cui bisogna favorire un ricambio generazionale all’azienda senza eredi interessati a dare continuità all’attività imprenditoriale.
I lavoratori investono le loro risorse – dall’anticipo della mobilità (Naspi) al conferimento del TFR – e sostenuti da CFI (la società partecipata del MISE nata nel 1986 proprio per finanziare il workers buyout) possono utilizzare i fondi messi a disposizione della legge Marcora per assumersi la responsabilità della gestione della azienda, scommettendo sul loro futuro
Novità in vista per chi pensa di ricorrere a questo strumento: l’ultima Legge di Bilancio non si è limitata a rifinanziare CFI ma ha anche creato un secondo fondo, utilizzabile quando l’azienda non è in crisi, ma ha problemi di successione familiare o viene messa in vendita.
Inoltre da quest’anno CFI parteciperà ai tavoli di crisi aperti al MISE, nei limiti delle proprie possibilità di intervento, che riguardano le PMI con un tetto di 50 milioni di euro di fatturato e 250 lavoratori. Il fondo agevolato di CFI ha una nuova dotazione di 81 milioni di euro, ma grazie ai prestiti regolarmente restituiti il fondo consta di circa 290 milioni.
La scelta di rilevare l’azienda, in ogni caso, non può essere presa a cuor leggero: i dipendenti devono impegnare il loro Tfr e la loro indennità fino all’ultimo euro. Devono quindi crederci. E tanto. “Di fronte alla possibilità di perdere il nostro lavoro, avevamo due strade da poter percorrere: una, la più semplice almeno nell’apparenza, era quella di arrendersi all’evidenza, accettando la disoccupazione e gli ostacoli della ricerca di un nuovo impiego; l’altra via, quella più tortuosa e ripida, era tentare l’impossibile: scommettere su noi stessi, sulle nostre capacità e acquisire l’azienda – si legge sul sito dell’azienda “Ceramiche Noi” -. Pronti a ripartire, abbiamo deciso di fondare una cooperativa sfruttando gli strumenti del workers buyout. La nostra scelta è stata coraggiosa e precisa: abbiamo rinunciato alla disoccupazione, al TFR e abbiamo investito 180.000 euro per comprare nuovi macchinari. Ed è così che il miracolo è avvenuto. La nostra vita è cambiata in pochi mesi, così come il nostro futuro che sembrava essere incerto e cupo. In breve tempo, siamo riusciti a riconquistare i nostri vecchi clienti, il 90% dei quali negli Stati Uniti. Siamo riusciti a non fermare la produzione e a ripartire di slancio, lavorando anche 14 ore al giorno”.
I finanziamenti servono non solo a permettere ai dipendenti di acquistare l’impresa, ma anche per consentire loro di proseguire l’attività : si entra nel capitale delle imprese sostenute, rimanendoci per dieci anni anni e finanziandolo una seconda o terza volta. Le Regioni, nel frattempo, erogano finanziamenti per sostenere i lavoratori che vogliono costituirsi in cooperativa e acquistare la loro azienda.
Ci sono poi le società che fanno capo a Agci, Confcooperative, Legacoop, le tre organizzazioni che, insieme a Cgil, Cisl e Uil, hanno stipulato un accordo proprio per promuovere il workers buyout. Proprio Legacoop comunica i suoi numeri: “Il nostro fondo mutualistico Coopfond dal 2009 al 2020 ha deliberato 66 partecipazioni di wbo per un totale di 21 milioni, iniziativa che comprende 1800 persone tra soci e lavoratori”.
(da “Huffingtonpost”)
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