ALLARME CALL CENTER: A RISCHIO 80.000 LAVORATORI
LA CRISI ALMAVIVA CON 2.500 TAGLI ALZA IL LIVELLO DI GUARDIA SU UN SETTORE IN BALIA DI SPECULATORI
La crisi di Almaviva, che ha annunciato il taglio di oltre 2.500 dipendenti, alza il livello di guardia sul futuro dei call center.
“Se non risolve la questione entro breve, nel giro di qualche mese ci saranno 70-80mila posti a rischio” nel settore dei call center, tra coloro che chiamano i clienti e coloro che vengono contattati con problemi “anche di ordine pubblico”.
A lanciare l’allarme sono Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom, le tre sigle sindacali ascoltate in un incontro informale dalla commissione Lavoro del Senato in merito alla vertenza Almaviva.
Secondo Giorgio Serao (Fistel), Pierpaolo Mischi (Uilcom) e Riccardo Saccone (Slc-Cgil), che si appellano a governo e Parlamento, tre sono i punti chiave da affrontare: intervenire con norme che siano di contrasto alle delocalizzazioni e applicando le sanzioni che sono già previste, agire contro le gare al massimo ribasso rispettando i minimi contrattuali e prevedere ammortizzatori sociali stabili e non in deroga per tutto il settore.
Per capire quanto sia in sofferenza il settore basta guardare cosa accade sull’altra sponda dell’Adriatico dove – in Albania – i call center prosperano offrendo gli stessi servizi a prezzi stracciati. Prezzi così bassi che hanno già convinto diversi compagnie italiane a disdire i contratti in Italia per migrare in Albania.
Ieri, intanto, la vertenza di Almaviva è tornata al ministero dello Sviluppo economico. Sul tavolo ci sono ancora i trasferimenti di 135 lavoratori da Palermo a Rende.
La vicenza è iniziata con la perdita della commessa Enel che a dicembre non rinnoverà il contratto. E dei 300 lavoratori che rispondono ai telefoni della società elettrica, i primi 135 dovrebbero fare le valigie già dal 24 ottobre.
Il nodo dei traferimenti è solo uno dei problemi che assilla i lavoratori di Almaviva, che pochi giorni fa ha annunciato oltre 2.500 licenziamenti tra Roma e Napoli.
Un’ipotesi irricevibile per i sindacati. “Basterebbe – ha spiegato Susanna Camusso, segretario generale Cgil – che le grandi aziende pubbliche non facessero le gare al massimo ribasso, ma pagassero, secondo norme e contratti, i lavoratori e anche gli appalti. Un settore come quello dei call center non può essere privo di ammortizzatori sociali e di risposte. Bisogna dare attuazione a quelle norme che sono state fatte e poi non sono state applicate, come quelle che impediscono la delocalizzazione e il fatto che dati sensibili, come quelli che passano attraverso i call center, possano andare in altri Paesi”. Solo nella Capitale sono a rischio sono 1.666 operatori, la parte restante nella città partenopea (845).
(da “La Repubblica”)
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