ALTA TENSIONE MELONI-SALVINI SULLE CANDIDATURE: SI TEME L’EFFETTO DOMINO SULLE ALTRE REGIONI AL VOTO
LA LEGA PRONTA A CEDERE SULLA BASILICATA IN CAMBIO DI UN TERZO MANDATO PER ZAIA
Il patto di non aggressione è durato pochissimo. Lunedì, Giorgia
Meloni, quando ormai era chiaro che in Sardegna le cose sarebbero andate male, aveva chiesto unità ai suoi alleati. Matteo Salvini ha taciuto per tutto il giorno, cancellando anche impegni televisivi già presi, ma poi ieri è tornato alla carica, prima direttamente e poi, con più veemenza, attraverso i suoi dirigenti più fidati. C’è una paura che si fa sempre più concreta: l’effetto domino nelle altre Regioni al voto. In Abruzzo (al voto il 10 marzo) in realtà i sondaggi regalano qualche margine di sicurezza, ma il rischio di venire travolti da una spirale di sospetti reciproci è grande. Per scacciarli i leader della destra saranno a Pescara martedì prossimo, sperando che quell’amore reciproco molto esibito la settimana scorsa a Cagliari sia condiviso dagli elettori. I timori più grandi si concentrano sulla Basilicata, che va alle urne il 21 aprile, sulla quale si è scatenata una battaglia da mesi tra gli alleati. Il vicesegretario della Lega, Andrea Crippa lo spiega con una certa franchezza: «Cinque anni fa Salvini era fortissimo e si vinceva con qualunque candidato, oggi non è più così. La differenza? Matteo fa le campagne elettorali davvero, Meloni no».
Il capo dei deputati di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, prima di entrare in Aula, fa un’analisi della sconfitta sarda, che suona come un monito: «Abbiamo perso troppo tempo nella scelta del candidato, un errore che non dobbiamo più ripetere».
Per dare un segnale di unità, FdI ha cercato di chiudere più velocemente possibile le partite ancora aperte, in particolare la Basilicata. I colonnelli di Meloni non sono così convinti che ricandidare l’attuale governatore forzista Vito Bardi sia la scelta più adeguata, ma l’urgenza di apparire uniti prevale. Al tavolo convocato a mezzogiorno nell’ufficio del colonnello meloniano Giovanni Donzelli a Montecitorio i leghisti, guidati da Roberto Calderoli, chiedono la Basilicata, con un proprio nome, oppure con un civico. L’atmosfera non è così serena, tanto che nel mirino finisce anche il forzista Giorgio Mulè che in un’intervista a Repubblica aveva criticato Meloni. Un piano più sotto, c’è Crippa che alza un muro: «Con la decisione di non candidare Christian Solinas in Sardegna è saltata la regola di puntare sui presidenti uscenti e quindi ora trovare una soluzione per la Basilicata sarà complicato».
Nella serata poi Salvini inizia ad abbassare le pretese, il negoziato va avanti per tutta la notte, c’è una nota pronta che prevede le candidature di Bardi, Donatella Tesei (Umbria, Lega) e Alberto Cirio (Piemonte, Forza Italia). La nota in realtà non arriva mai, «è ferma per delle limature» dicono da via Bellerio, in attesa di un via libera di Meloni. Forza Italia dà per prossima la firma del patto, sul qualche mancherebbe solo un via libera dei leader. Ma da Fratelli d’Italia c’è molta più cautela, «niente è chiuso», dice uno dei massimi dirigenti del partito della premier, «manca il quadro complessivo».
Il problema, infatti, è che la Lega vuole approfittare di questo eventuale accordo, non solo per confermare la sua governatrice in Umbria, ma per arrivare all’obiettivo massimo, lasciare Luca Zaia alla presidenza del Veneto. Per Fratelli d’Italia, ovviamente, le cose non sono collegate, non può certo bastare un via libera al generale Bardi, per ottenere la riforma del terzo mandato dei governatori, che pregiudicherebbe molte delle aspettative. Eppure la Lega rilancia: «Meloni non faccia in Veneto, l’errore che ha fatto in Sardegna», dice Crippa alla Camera, confermando che l’emendamento sull’abolizione del tetto per i presidenti di Regione, bocciato in commissione, verrà riproposto in Aula, con lo stesso Salvini che, da senatore, potrebbe votare contro l’indicazione della premier.
In Veneto la pressione sul segretario federale resta fortissima. C’è chi lo dice esplicitamente, come l’assessore vicino a Zaia, Roberto Marcato e chi lo sussurra, ma la leadership di Salvini è di nuovo sotto attacco. Sempre dal Veneto arrivano poi le frasi di Massimo Bitonci, che attacca la premier: «Una coalizione non deve utilizzare il manuale Cencelli, guardando magari il voto e quelli che sono i sondaggi politici, ma deve individuare il candidato giusto. Bisogna essere un po’ generosi, soprattutto quando si è sopra».
Al tavolo delle amministrative, che resta ormai aperto in forma permanente, si è discusso soprattutto di città, l’accordo è praticamente fatto per Lecce (con il ritorno in scena di Adriana Poli Bortone) e Prato. In dirittura d’arrivo ci sarebbe anche Firenze, dove il nome più forte resta quello di Eike Schmidt, ex direttore degli Uffizi. Il Carroccio continua a pretendere il candidato sindaco di Cagliari (al voto a giugno), ma per delicatezza si evita di forzare l’addio dell’attuale primo cittadino Paolo Truzzu che potrebbe guidare l’opposizione in consiglio regionale.
(da agenzie)
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