ALTRI 400 SOLDATI NELLE STRADE, DRAGHI LI AVEVA RIDOTTI, I SOVRANISTI SI FANNO LO SPOT ELETTORALE PER RASSICURARE BOTTEGAI ED EVASORI FISCALI
ESILARANTE PIANTEDOSI CHE PARLA DI “AZIONI DINAMICHE” DEI MILITARI: FARANNO LE FLESSIONI NELL’ATRIO DELLE STAZIONI O I PARA’ DI VANNACCI SCENDERANNO DAL CIELO?… IN ITALIA ABBIAMO GIA’ 324.000 ADDETTI ALL’ORDINE PUBBLICO
Dietro front! Giorgia Meloni annulla la ritirata parziale di Mario Draghi e manda altri soldati di pattuglia lungo la Penisola. Il precedente esecutivo aveva tagliato le ronde metropolitane da 7800 a cinquemila militari. Quello di destra, non riuscendo a rendere concreto un cambiamento sul fronte della sicurezza, rispolvera gli slogan di legge e ordine tirando fuori quattrocento militari dalle caserme.
La loro missione sarà quella di presidiare le “principali stazioni ferroviarie”, il che li renderà molto visibili agli occhi dei cittadini: un perfetto spot in tuta mimetica.
E il ministro dell’Interno Piantedosi, per niente preoccupato dal dovere chiedere una supplenza dell’Esercito, ha aggiunto una frase ad effetto: “Verrà impiegato non più in forma solo statica, ma anche dinamica, per esercitare al meglio la funzione operativa e di deterrenza”. Cosa significhi la “forma dinamica” è oscuro. Ci saranno grandi manovre a Termini? I parà lanceranno raid a Santa Maria Novella? I bersaglieri scateneranno la controffensiva alla Centrale di Milano?
Il titolare della Difesa Guido Crosetto sostiene che “questa decisione testimonia l’impegno a fornire risposte concrete alle esigenze del Paese”. Quindi l’Italia dopo un anno di Meloni sente più bisogno di sicurezza? E in che misura le quattro centurie daranno “risposte concrete”?
Per coprire una giornata, perché le grandi stazioni vanno vigilate soprattutto dopo il tramonto, servono tre turni di otto ore. Contando ferie e riposi, quindi, si potranno schierare poco più di cento fanti per volta ossia circa cinquanta pattuglie divise tra una dozzina di infrastrutture ferroviarie. Uomini e donne in divisa molto motivati, ma potranno mai essere loro a fare la differenza
Nelle città ci sono già cinquemila militari. Ma soprattutto l’Italia ha uno dei primati europei per numero di operatori delle forze dell’ordine. La polizia di Stato ne conta 98 mila; 107 mila i carabinieri; 64 mila la Guardia di Finanza; 60 mila gli agenti di polizia locale, quelli che una volta venivano chiamati vigili urbani; 38 mila della polizia penitenziaria; 11 mila della Guardia Costiera, che in base all’ultimo decreto potrà occuparsi pure dei centri migranti; 6.800 i carabinieri forestali. In totale si tratta di oltre 324 mila uomini e donne: un dato che permette di comprendere quanto sia limitato il contributo dei rinforzi mandati nelle stazioni.
A parte le valutazioni sull’incisività del nuovo battaglione, l’operazione “Strade Sicure” pone due questioni molto più profonde. La prima è di natura istituzionale: la nostra è l’unica democrazia del pianeta a schierare i militari non per fronteggiare una minaccia terroristica o mafiosa, ma per controllare la delinquenza spicciola.
Nel resto d’Europa i soldati hanno cominciato a pattugliare piazze e binari solo per impedire attentati jihadisti: una mobilitazione che ha toccato l’apice nel 2016 con gli assalti dell’Isis a Parigi, Bruxelles, Nizza, Berlino e Barcellona mentre adesso questa presenza sta venendo progressivamente ridotta. In Sud America si impiegano le forze armate contro i narcos, come avvenne in Sicilia nel 1992 con l’intervento dell’Esercito per contrastare lo stragismo di Cosa Nostra. Ora Stato Islamico e Al Qaeda non paiono più in grado di colpire in Occidente e – grazie anche alla prevenzione di intelligence e corpi di polizia – da noi non sono mai riusciti a farlo. E quindi a che serve “Strade Sicure”? Come ha ribadito ieri il governo Meloni, è un deterrente contro la piccola criminalità: alpini, parà, granatieri per tenere lontani scippatori, ladruncoli e quell’onda di devianza sociale che si riversa sempre più sulle stazioni ferroviarie, ultima tappa di una via crucis della disperazione.
“Il controllo del territorio e dell’ordine pubblico – aveva dichiarato nell’aprile 2022 l’allora ministro della Difesa Lorenzo Guerini – è compito delle forze dell’ordine, su questo dobbiamo stare molto attenti. Io sto ricalibrando insieme al capo della polizia il dispositivo di “Strade Sicure”: da 7.800 scenderemo a cinquemila. Non lo faccio perché voglio essere reticente a dare un aiuto, ma perché le cose vanno ricondotte nel loro alveo più ordinario e vero”. Ricorrere ai soldati per affrontare la microcriminalità trasmette un segnale sinistro sulla credibilità e la tenuta delle istituzioni democratiche. È un mondo all’incontrario, per citare il generale Vannacci, in cui mandiamo professionisti della Difesa, addestrati per anni al mestiere delle armi, a inseguire i delinquenti.
E qui si introduce la seconda questione. Il conflitto in Ucraina ha imposto la necessità di riformare le forze armate e aumentarne gli organici per misurarsi con la ricomparsa degli scenari di guerra totale. E il personale che viene spedito nelle città non può completare la formazione specifica per svolgere il suo ruolo in battaglia: fino al governo Draghi, per anni l’Esercito ha dovuto destinare a “Strade Sicure” quasi il 15 per cento dei ranghi. Spesso sono state impiegate quelle specialità che non erano in prima linea nelle missioni di pace all’estero – come carristi, artiglieri, contraera, trasmissioni – ma che dopo l’Ucraina sono tornate protagoniste degli scenari bellici. È un tema sottolineato più volte da generali e ammiragli nelle audizioni in Parlamento.
Argomenti di cui il vicepremier Salvini però non si cura: “Meno criminalità e violenza, più controlli e sicurezza: avanti così”. E dichiara che “Strade Sicure” è “stata cancellata in questi anni dalla sinistra”. Una considerazione falsa: è stata soltanto ridotta dal governo Draghi, di cui anche la Lega faceva parte. E negli scorsi dodici mesi neppure Salvini ha sentito l’urgenza di rinforzarla. Ma ora si avvicinano le elezioni e una manciata di soldati in più diventano un’ottima propaganda, una sorta di manifesto in carne e ossa della destra al potere.
(da La Repubblica)
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