ANCHE RENZI È IN RECESSIONE, NOMISMA: “CRESCITA ZERO NEL 2014, GIÀ ORA IL DEFICIT È AL 3%â€.
IL PIL CALA PER IL 2° TRIMESTRE CONSECUTIVO E PER L’UNDICESIMA VOLTA NEGLI ULTIMI DODICI… LA UE: “EFFETTI NEGATIVI SUI CONTI”
L’Italia è di nuovo in recessione. È un dato tecnico. Il Prodotto interno lordo, cioè la ricchezza prodotta nel Paese, cala per il secondo trimestre di fila: -0,2% rispetto ai tre mesi precedenti, una variazione già acquisita per l’intero 2014 di -0,3%.
In realtà , dalla metà del 2011 c’è stato un solo trimestre positivo: l’ultimo dello scorso anno e per un misero +0,1%.
In soldi significa che il Prodotto nazionale tra aprile e giugno valeva 340,1 miliardi, nello stesso periodo di tre anni fa 357,4 miliardi.
Il dato di ieri comporta due deduzioni logiche: la prima, se interessa, è che non rispetteremo i vincoli di bilancio europei; l’altra che il corpo vivo del Paese — essendo la definizione “economia italiana” troppo riduttiva — si sta lentamente dissanguando.
Il Pil italiano è, oggi, ben oltre il 9% inferiore rispetto al picco pre-crisi del 2007: sette anni fa.
La disoccupazione, superiore al 12% (e oltre il 43% tra i giovani fino a 24 anni), trova paragoni solo nel dopoguerra essendo di un punto e più superiore persino ai nerissimi anni Novanta dell’austerità firmata Amato, Ciampi, Dini, Prodi.
La produzione industriale — che pure a giugno ha registrato un dato positivo — continua ad essere il 24% inferiore rispetto a quella del 2007: conoscenze, impianti, fette di mercato che in larga parte andranno riconquistate da capo, ripartendo da zero. I consumi interni sono morti e la dinamica dell’inflazione (un misero +0,1% su base annua a luglio) racconta di un paese fermo.
L’Istat certifica il tonfo
Il Pil italiano continua a scendere: da aprile a giugno -0,2 per cento rispetto al trimestre precedente e -0,3 rispetto allo stesso periodo del 2013.
Il calo — si legge nel comunicato — “è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto in tutti e tre i grandi comparti di attività economica: agricoltura, industria e servizi”. La parte più brutta, però, è in coda alla frase: dal lato della domanda, spiega l’Istituto di statistica, l’apporto al Pil di quella interna “risulta nullo, mentre quello della componente estera netta è negativo”.
Tradotto: anche le esportazioni, che avevano tenuto a galla il sistema Italia nell’ultimo anno, stanno subendo uno choc.
La domanda estera è evidentemente in calo. Ne sia testimonianza il dato degli ordini dell’industria tedesca — che è uno dei principali clienti della manifattura italiana — diffuso ieri dal ministero dell’Economia di Berlino: -3,2% a giugno (gli analisti si aspettavano un -1%) rispetto al mese precedente, che pure aveva fatto registrare un calo degli ordini dell’1,6%.
Tornando all’Italia — ci dice l’Istat — “la variazione del Pil acquisita per il 2014 è pari a -0,3%”. La produzione industriale di giugno, invece, risulta in crescita dello 0,9% rispetto al mese precedente e dello 0,4 sul giugno 2013.
Una notizia che sembra un po’ meno buona se si allarga lo sguardo: sul trimestre la produzione risulta ancora in calo dello 0,4% rispetto al periodo gennaio-marzo.
Gli effetti sui conti pubblici e il nervosismo di Bruxelles
Questo dato certifica che la previsione di crescita annuale inserita dal governo nel Def (+0,8%) è impossibile da raggiungere.
La cosa, ovviamente, ha effetti su tutti i parametri di bilancio: se il Pil è inferiore al previsto, in rapporto salgono tanto il deficit che il debito.
Alla fine dell’anno, scommettono ormai gli analisti, la crescita italiana sarà all’ingrosso pari a zero.
Tradotto significa che al Pil italiano mancherà uno 0,8%, cioè circa 12 miliardi di euro: in genere, l’effetto di questi cali sul deficit è pari a circa la metà del totale, quindi lo 0,4% nel nostro caso.
Significa che siamo già al famoso limite del 3% nel rapporto deficit/Pil.
Spiega Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma: “Ipotizzando un trend congiunturale stabilmente positivo nella seconda metà dell’anno, il Pil del 2014 è destinato a rimanere pressochè stagnante. In questa (favorevole) assunzione, il rapporto deficit/Pil si porta dal 2,6% previsto dal governo al 3”.
La cosa, ovviamente, non è passata inosservata a Bruxelles, che su questi decimali basa la sua stessa esistenza: “Il Pil italiano, peggiore delle attese, ritarda di nuovo la ripresa e avrà un impatto negativo sulle finanze pubbliche, ma è troppo presto per fare valutazioni sul deficit: vedremo con le stime di ottobre”, dice il portavoce del commissario all’Economia, Jyrki Kaitanen.
L’accordo informale, d’altronde, è che si lasci correre per il 2014, a patto che la correzione dei conti — abbondante — avvenga sul 2015.
Marco Palombi
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