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ANZIANI DIMENTICATI, SENZA ASSEGNO IL 50% DEI NON AUTOSUFFICIENTI

GERMANIA E FRANCIA HANNO RIFORMATO IL WELFARE, NOI NO… E SOLO IL 4% DEGLI OVER 65 RICEVE L’ASSISTENZA DOMICILIARE

Corticella, prima periferia di Bologna, «Centro disturbi cognitivi» del servizio sanitario della Regione Emilia Romagna.
La diagnosi di Mario, uno dei due milioni e mezzo di italiani non autosufficienti con più di 65 anni, è semplice: Parkinson-demenza. E’ la sua vita a non essere stata semplice per niente.
E se il volto umano è la cartina che segna tutti i territori in cui abbiamo vissuto, quella di sua moglie Rossella, che ha 75 anni come lui, deve essere stata persino peggio, perchè mentre entra con il marito nello studio numero sei della dottoressa Antonella Tempestini, il suo sguardo si porta dentro tutta la fatica di questi anni.
Deve avviare le pratiche per chiedere l’invalidità  del marito, il cui destino è segnato. Tra poco non riuscirà  più a deglutire, avrà  bisogno del pannolone e di essere imboccato tre volte al giorno.
Così serve la pensione da 500 euro per assumere qualcuno che stia con lui quando lei va a fare la spesa, o magari a trovare la sorella.
E’ probabile che l’assegno arriverà , anche se appena il 12% dei tredici milioni e mezzo di anziani lo ottiene.
Statisticamente poco più di uno su due di coloro che ne hanno bisogno. Mentre uno su tre, aggiungono impietosamente i numeri, a differenza di Mario vive da solo.
E anche se la solitudine non è il Parkinson, è altrettanto pericolosa.
«La solitudine è forse il problema più grave di tutti, perchè in un 75enne anche un piccolo deficit cognitivo peggiora rapidamente, trasformandosi in una valanga che porterà  l’anziano in una struttura residenziale se non c’è nessuno che gli resta di fianco», dice il professor Marco Trabucchi, geriatra e professore di neuropsicofarmacologia dell’Università  di Tor Vergata.
Il futuro prossimo  
Nel giro di un paio di decenni il problema rischia di trasformarsi in una catastrofe.
Ma come agisce lo Stato per tutelare se stesso e soprattutto chi si trova o si troverà  in una condizione di debolezza, cioè ciascuno di noi? Mario e Rosella non hanno figli. O meglio, non li hanno più. Sono morti uno a 38 e l’altro a 45 anni, per colpa di una malattia genetica e non curabile: paraparesi spastica.
E mentre Rossella parla per 45 minuti con la dottoressa Tempestini, Mario guarda altrove in un posto fuori dallo spazio e dal tempo che conosce solo lui.
Quello che conosce lei – eterna accudente con la capacità  organizzativa di un manager – è invece una quotidianità  piena di pianti nascosti in cui la sua identità  viene espropriata per la necessità  di «stare accanto», «di pensare a», «di preoccuparsi per, in attesa di» e la sua agenda è piena di appuntamenti sanitari e schemi di terapie complesse e con nomi indicibili.
Il caregiver familiare  
Anche per questa sua attività  decisamente privata esiste un nome tecnico mutuato dall’inglese: caregiver familiare.
Un esercito di quasi tre milioni e mezzo di persone che vive seguendo un calendario meticoloso di gesti quotidiani dedicati ai genitori, ai propri mariti o alle proprie mogli, in attesa che si allarghi un sistema di welfare sempre più sgonfio in cui i caregiver come Rossella coprono l’80% delle prestazioni e delle spese.
«Senza un robusto incremento del finanziamento pubblico per l’assistenza agli anziani non autosufficienti il sistema è destinato a un inevitabile e progressivo declino, ma il punto è che la politica ha passato i primi dieci anni del secolo immaginando una riforma che non ha mai fatto e ora le priorità  sono cambiate e l’attenzione si è concentrata sulla povertà  più in generale», dice il professor Cristiano Gori, coordinatore del Quinto rapporto sugli anziani non autosufficienti promosso dall’Irccs-Inrca per il network nazionale per l’invecchiamento.
Soluzioni possibili? Una la offre Alberto De Santis, presidente dell’associazione nazionale strutture per la terza età . «Se i lavoratori dipendenti e autonomi rinunciassero a un giorno di ferie potremmo creare un fondo da destinare a chi in vecchiaia è particolarmente fragile».
Il modello tedesco  
La proposta è mutuata dal modello tedesco, dove i lavoratori rinunciano non a uno, ma a tre giorni di ferie per assicurarsi un futuro familiare e personale sereno. Così, per esempio, se un signore di Berlino vuole andare un mese in ferie, ci penserà  lo Stato a mandare e a pagare con mille e quattrocento euro un infermiere professionale che si prenderà  cura della madre o del padre bloccati in casa.
In Germania, cioè, già  nel 1995 hanno immaginato e realizzato una riforma per l’assistenza continuativa (Long Term Care) e altrettanto hanno fatto in Francia nel 2002, in Spagna nel 2006 e in Gran Bretagna nel 2014.
L’Italia, dice ancora il rapporto sulla non autosufficienza, «è l’unico grande Paese europeo a non avere riorganizzato in maniera organica il suo sistema» anche se «riguardo alle politiche sociali è positivo che il Fondo Nazionale per la non autosufficienza sia tornato ad avere una dotazione di 400 milioni di euro nel 2015, si tratta infatti della principale risorsa per gli enti locali a cui attingere per finanziare interventi sociali e socio sanitari» come l’assistenza domiciliare o i servizi di prossimità  e teleassistenza.
«Il ritorno del fondo è certamente un bene, ma si tratta di una goccia nell’oceano. D’altra parte, a differenza di quello che succede con Papa Francesco, avete mai sentito Renzi parlare di anziani?», chiede Trabucchi.
E anche Gori ha una domanda fa fare: «A che cosa siamo disposti a rinunciare se vogliamo immaginare un futuro diverso?».
Aspettando la riforma  
In attesa di una riforma del sistema che si preoccupi del 21% della popolazione, il ruolo dei caregiver è destinato a ridursi se è vero che il rapporto tra le persone con una età  compresa tra i 45 e i 64 anni e le persone con oltre 75 anni si dimezzerà  entro il 2050 e che la famiglia tradizionale sta cambiano forma, lasciando spazio a comunità  sempre più ristrette. E se è vero che l’assistenza domiciliare integrata (Adi) e i servizi di assistenza domiciliare forniti dalle aziende sanitarie locali hanno una funzione decisiva è anche vero che appena il 4,3% degli italiani over 65 vi fa ricorso.
Dunque, ancora una volta, lo sforzo per consentire a chi ha disabilità  psichiche e funzionali di continuare la propria esistenza a casa viene consegnato a famiglie e associazioni di volontariato.
L’alternativa sono strutture residenziali, pagate per metà  dal pubblico, che costano comunque al privato dai 1800 euro al mese in su.
Cifre che con la crisi in pochi possono permettersi, tanto che nelle strutture private non ci sono più liste d’attesa, ma oltre 17 mila posti letto disponibili. Perciò la domanda di Gori ritorna: a che cosa siamo disposti a rinunciare per immaginare un futuro diverso?
Duecentovendiduemila contatti  
Rosa Romano, pensionata e dirigente dell’Auser Filo d’argento ha rinunciato al suo tempo libero. Seduta al tavolo del centro d’ascolto di Legnano assieme ai colleghi, mostra numeri che sono la testimonianza di un successo capace di attirare l’attenzione di omologhe associazioni belghe: «Nel 2015, solo qui in Lombardia, nei nostri 21 punti di ascolto abbiamo avuto 222 mila contatti». Duecentoventiduemila.
Le linee sono aperte 24 ore su 24 e gli anziani chiamano per ogni problema: ansia, voglia di fare due chiacchiere, consigli, bisogno di avere la spesa e le medicine a casa o magari la necessità  di farsi accompagnare a una visita medica.
Esigenze che l’Auser riesce a soddisfare anche grazie ai finanziamenti frutto di un accordo con la Regione Lombardia che dovrebbe essere rinnovato in queste ore. «Speriamo, non c’è motivo perchè così non sia», dice moderatamente preoccupata Rosa, mentre Libera, una delle volontarie compone il numero della signora Anna. «Come sta Anna? Si sta preparando il pranzo? E che cosa mangia oggi?». Anna racconta e Libera ottiene due risultati. Le fa compagnia e verifica che la donna, ultraottantenne, si preoccupi delle sue esigenze primarie, cibo, pulizia, salute.
La piazza virtuale di Gallarate  
Pochi chilometri più in là , a Gallarate, Lino Campioni, anche lui dirigente Auser e responsabile del centro socioculturale («tutto attaccato perchè le due dimensioni sono inscindibili») «Figli del lavoro» gestisce una vera e propria piazza virtuale via Internet.
Parte degli anziani del centro sono collegati tra loro via Skype e nel primo pomeriggio si mettono davanti alle televisioni connesse con i computer e parlano comodamente seduti sulla poltrona di casa.
E anche Campioni sperimenta quotidianamente quanto sostiene il professor Trabucchi: «Le persone che hanno accesso alla nostra piazza virtuale hanno ridotto del 40% il ricorso al medico di famiglia. Lo Stato ha scarsissima attenzione per gli anziani. Ma queste persone sono una risorsa straordinaria. Basterebbe guardarli quando ballano e ricominciano a innamorarsi per capire».
La storia di Maria
A Torino, in via Renier, Giovanna, apre la porta dell’appartamento al terzo piano senza ascensore. E’ lei che sedici ore a settimana aiuta la signora Maria Giovaniello a lavarsi o a fare la spesa e Maria, che ha 87 anni, è invalida al 100%, ed è la settima di otto fratelli (una dei tre rimasti in vita) è legata a lei come se fosse la nona sorella. Maria vive grazie alla reversibilità  del marito (600 euro) e a un assegno di accompagnamento da 500 euro, 150 dei quali servono per garantire parte dello stipendio di Giovanna, che a suo modo è un’eccezione.
Dipendente di una cooperativa, è una badante italiana in un mondo di badanti straniere.
Delle sue 830 mila colleghe, infatti, il 90% viene dall’estero, circa un quarto dalla Romania. Due terzi di loro lavorano in nero. Giovanna no. Maria, donna di grande spirito, ha fatto le cose per bene.
«Ho avuto una vita complicata. Mio marito è stato malato per anni, poi è morto di tumore e io ho campato mangiando colli di pollo. Ma sono lucida e i miei figli mi stanno vicino. Mi piacerebbe solo che qualcuno mi portasse ancora in gita, come facevano le associazioni di volontariato quando potevo camminare. Ma non mi lamento. A mia sorella è andata peggio di me. Ha l’Alzheimer e non riconosce più nessuno. I figli l’hanno dovuta ricoverare e oggi pagano duemila euro al mese. “Sono bravi, ma che fatica».
Una fatica condivisa da milioni di persone in Italia, ma difficilmente percepita dallo Stato. «La verità  è che la nostra classe politica non è all’altezza», sentenzia Trabucchi. E a questo punto, come sostiene Karl Jasper: «l’ultima questione da sapere è se dal fondo delle tenebre un essere può brillare» o come dice più semplicemente la signora Giovaniello, esprimendo il desiderio che più le sta a cuore, «c’è qualcuno che può portarmi un’ultima volta al mare?».

Andrea Malaguti
(da “La Stampa”)

This entry was posted on domenica, Maggio 8th, 2016 at 14:42 and is filed under sanità. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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