“ARIDATECE WALTER”: VELTRONI SI PRENDE LA SCENA
FESTA DEM SENZA PHATOS E PARECCHI ASSENTI, MA E’ STANDING OVATION PER L’EX SEGRETARIO CHE VOLA ALTO
“Aridatece Walter”, urla il militante seduto su un gradino della prima balconata, dopo l’applauso, caldo, uno dei tanti, alla prima curva della memoria: “Il Pd nacque con dieci anni di ritardo, doveva essere la naturale prosecuzione e il naturale proseguimento della stagione dell’Ulivo”.
Veltroni è sul palco del Teatro Eliseo, in questo decennale del Pd, disertato da mezzo partito, ulivisti, prodiani, minoranze varie: “Vorrei — dice – che il nostro sguardo si alzasse, come se volasse, sulla polvere delle zuffe quotidiane, sopra i rivoli di odio e le bave di intolleranza, su frastuono delle urla e la miseria di passioni senza motivazioni”.
In prima fila parecchi ministri, dall’aria quasi smarrita di chi è in scadenza. E gli tocca andare a una cerimonia. Poletti che arriva tenendo la mano alla moglie, l’apprezzatissimo Minniti. Poco più in là Maria Elena Boschi, irresistibile per i fotografi, nei panni della donna-bandiera: scarpa di vernice rossa, pantalone bianco, camicetta di seta verde. Accanto Francesco Bonifazi, al solito sbottonato di tre bottoni, petto villoso di fuori.
Walter cita Prodi, quel governo “il migliore della storia della Repubblica” dove sedevano Ciampi e Napolitano, Andreatta, poi caduto a causa di “massimalismo e divisioni”.
Parla divinamente, a una platea abituata al circo quotidiano: parole profonde, colte, non schiacciate dal presente.
A proposito: che applauso quando dice che la città delle Fosse Ardeatine non deve conoscere “l’onta di una marcia celebrativa delle camice nere”.
“Aridatece Walter” urla il militante, perchè il suo discorso è una favola bella che rimuove frizioni, rotture, odi, rancori di questi anni.
E in fondo è una favola bella in quanto rimuove frizioni, rotture, odi e rancori di questi anni. Innominato Renzi, evocato Giorgio Napolitano come ministro dell’Interno di allora, non colui che tre giorni fa ha preso a picconate la forzatura della fiducia sulla legge elettorale, ringraziato Prodi di vent’anni fa, non quello di oggi.
Discorso alto, sui principi, sui valori, sulle radici, che delinea un Pd, il “suo”, quello delle origini, quello che ha mobilitato di più alle primarie, con oltre 3 milioni di votanti e che prese, nel 2008, più di Renzi alle Europee.
Anche se perse con Berlusconi, altra rimozione. Sia come sia un Pd, inclusivo, che parte da sinistra per allargare, non dal centro per rompere a sinistra, diverso dall’esistente “ma anche” utile qualora Renzi volesse ritrovare un senso smarrito: la vocazione maggioritaria che non è “autosufficienza o splendido isolamento”, nè partito della Nazione: “Le alleanze — dice Veltroni — si fanno prima e le si fa giudicare dagli elettori. Alleanze che io spero che il Pd faccia”.
L’altra speranza è non abbandonare la cultura dell’alternanza e cedere all’inciucio e ai rigurgiti proporzionalisti, i governi “decisi dai partiti e non dagli elettori”.
L’empatia scatta, con una sala molto diversa dalla grande bellezza dei tempi che furono, quando a Roma il Pd, in queste occasioni coinvolgeva potere e popolo: boiardi di Stato, signore dei salotti, imprenditori, accanto al precario, al vecchio militante testaccino che appeni arrivi ti mostra le tessere del Pci.
All’Eliseo manca mezzo Pd, in questo compleanno con poco pathos, a partire dalla minoranza di oggi, di Orlando e Cuperlo.
Non si vedono neanche Orfini e altri pezzi importanti del gruppo dirigente. C’è Piero Fassino, Dario Franceschini, Marianna Madia, eleganza sobria, senza note appariscenti. Della vecchia guardia Franco Marini: “È una festa, oggi è una festa”, dice all’uscita, rispondendo alla famosa domanda “come ti è sembrato”.
Renzi dal palco ringrazia “Walter”, cita quel Pd, quelle primarie, così, come un omaggio alla memoria.
Quando qualcuno si prende la scena, il segretario non dà il meglio di sè. E lascia cadere l’invito alle alleanze, ma anche il vero passaggio politico del fondatore: “Paolo e Matteo — aveva detto Veltroni – mi piacerebbe che questa legislatura si concludesse, fate quel che è necessario, con l’approvazione dello ius soli”.
È il punto, perchè non è una norma a costo zero, soprattutto se uno ha come strategia la rincorsa dei voti a destra. E le larghe intese dopo il voto, con un sistema elettorale che le rende inevitabile. In sala un vecchio compagno ricorda Mitterandt: “Nell’81 gli portarono un sondaggio sulla pena di morte. La maggioranza dei francesi era favorevole e lui era in corsa per le presidenziali. Fece la campagna promettendo comunque l’abolizione, perchè se una battaglia è giusta un leader la fa. Vinse e l’abolì. Sullo ius soli bisognerebbe fare così”.
Aleggia un fantasma, tra i militanti. Il fantasma di Massimo D’Alema: “Ha fatto più male lui di tutti quanti, compreso Berlusconi” dice un signore. Quello accanto: “Purtroppo è così. L’avversario è lui”. E “quelli che se ne sono andati”.
Conoscendo Renzi, si trattiene sull’argomento. Dice un centesimo di quel che pensa: “Chi va via dal Pd tradisce il popolo, non i leader”. Altro stile, Veltroni, nel suo finale, anche nella polemica: “Come sapete, la mia vita è e resterà diversa dal passato. Ma ho cercato di dimostrare che si può smettere di avere ogni ruolo e ogni responsabilità senza per questo volere o fare male alle persone con le quali condividi cose importanti della vita”.
E aggiunge: “Diversa, ma non potrebbe essere, non è mai stata e non sarà , altrove”. Standing ovation. Di quelle che si tributano a una riserva della Repubblica o, comunque, a una riserva della sinistra.
Finita la favola, si torna alla prosa di tutti i giorni. E Veltroni a un nuovo libro che sta per uscire.
(da “Huffingtonpost“)
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