ARRAFAEL
MATTEO E BETTINO, LE ANALOGIE
Sempre in attesa di uno straccio di pezza d’appoggio per le sue colazioni, pizze, merende, cene e trasferte “istituzionali” accollate ai contribuenti da presidente della Provincia e da sindaco di Firenze, non è forse ozioso interrogarsi sull’albergo scelto dal giovine Renzi per i suoi soggiorni romani di qualche anno fa, quando ancora la Capitale non era cosa sua, bensì l’approdo di un goloso e rampicante provincialotto di belle speranze: il Raphael.
L’hotel di Largo Febo, oggi relais chateau a 5 stelle, ha avuto per quasi vent ‘anni un solo cliente illustre: Craxi.
Pare che Bettino vi alloggiasse gratis in una suite con terrazza-giardino trasformata in quartier generale, grazie alla munificenza dell’amico proprietario Spartaco Vannoni, già intestatario-prestanome della villa tunisina di Hammamet.
Lì, nello storico albergo dietro piazza Navona, Craxi discusse per anni di politica con i fedelissimi, ma anche di bonifici estero su estero con i suoi tesorieri occulti Tradati, Larini, Giallombardo & C.
Lì, il 15 dicembre 1992, i carabinieri venuti da Milano gli consegnarono il suo primo avviso di garanzia firmato Di Pietro, Colombo e Davigo.
Lì, il 29 aprile 1993, l’ormai ex segretario del Psi festeggiò con una processione di compari il diniego della Camera alle autorizzazioni a procedere contro di lui, presente il Cavaliere con una boccia di champagne.
E poche ore dopo, quando uscì per raggiungere Giuliano Ferrara negli studi di Canale 5, la folla inferocita lo seppellì di monetine e sputi, mentre la satira storpiava il nome Raphael in “Arraffael”.
Di lì il 5 maggio ’94, persa l’immunità parlamentare, partì per l’ultima volta alla volta di Fiumicino per trasferirsi definitivamente ad Hammamet, sotto l’ala del presidente golpista Ben Alì.
E chissà mai perchè proprio lì sette anni fa il presidente della Provincia di Firenze e il suo capo di gabinetto Luca Lotti, toscani trentenni e figli di papà democristiani, scelsero di soggiornare nelle loro trasferte romane.
Domanda legittima, visto che Renzi poco dopo respinse come “diseducativo” il progetto di una piazza fiorentina dedicata a Craxi.
Ma un po’ ingenua: checchè se ne dica, Renzi non è l’ultimo figlio della Dc, nè un ex boy scout cresciuto nel culto di La Pira (oggetto, che Dio lo perdoni, della sua tesi di laurea).
Nelle sue vene scorre sangue craxiano molto più che democristiano. Un anno fa Luca Josi, che Craxi lo conobbe bene nella fase crepuscolare, scrisse sul Fatto una pagina dal titolo “Betteo Renxi e Mattino Cranzi”.
Elencava le analogie fra i due segretari di partito più giovani dell’Italia repubblicana (Craxi agguantò il Psi a 42 anni, Renzi il Pd a 39).
Entrambi disinvolti spregiudicati, spavaldi, sbruffoni, sbrigativi, bulleschi, decisionisti.
Fissati con il “primato della politica” su tutto, anche sulla legge, dunque con la riforma della Costituzione.
Insofferenti alle regole della democrazia parlamentare. Allergici alle critiche (da “Passami il sale” a “Fassina chi?”), sprezzanti con tutti i contropoteri: opposizione, sindacati, stampa libera, pm indipendenti (le due leggi sulla responsabilità civile dei magistrati le han volute loro, nel 1988 e nel 2014).
Arroganti col mondo della cultura (Craxi a Galli della Loggia: “Intellettuale dei miei stivali”; Renzi e/o Boschi a Zagrebelsky e Rodotà : “Professoroni, soloni, gufi”). Sedicenti “leader di sinistra”, ma portatori di ricette di destra e compiaciutamente circondati da ricconi, stilisti, nobilastri, damazze, sbanchieri e magnager (“nani e ballerine”, per dirla con Rino Formica, critico di entrambi).
Sorridenti a 32 denti (tutti canini), sprizzanti ottimismo obbligatorio, ripresa, crescita, boom, vrooooam, brumbrum.
Sempre in maniche di camicia bianca, ogni tanto con su il chiodo nero (Craxi però esibì il giubbotto di pelle a una tribuna politica: Renzi, dalla De Filippi).
Violatori delle etichette (Bettino si presentò in jeans da Pertini che lo rispedì a casa a rivestirsi, Renzi andò a una cerimonia al Quirinale vestito di chiaro e Napolitano finse di non vedere).
Stessa confusione fra andare al governo e prendere il potere, e fra il pubblico e il privato (Craxi aveva il cognato Pillitteri e il figlio Bobo, Renzi papà Tiziano e la sorella assessora Benedetta).
Stessa orticaria per il partito, subito liofilizzato in una cerchia di amici obbedienti e amiche adoranti (dal Garofano al Giglio Magico).
Stessa bulimia di potere somatizzata in pinguedine.
Stesso stuolo di leccaculi, adulatori, lustrascarpe.
Stesso vezzo di circondarsi di belle donne (Josi ricordava la Cappiello, la Boniver e la Bellisario da un lato, il trio Boschi-Madia-Moretti dall’altro, cui s’è aggiunta nel frattempo la Ascani).
Stesse manie di grandeur (uno la piramide di Panseca e il viaggio in Cina con decine di cortigiani, l’altro le Leopolde e l’Air Force Renz per aviotrasportare il proprio monumento equestre con tutto il cucuzzaro).
Stesso vizietto di alloggiare a sbafo (uno al Raphael, l’altro nel pied à terre di Carrai). L’uno testimone di nozze e l’altro figlioccio di Berlusconi.
L’uno incarnazione della Milano da bere, l’altro della Firenze da mangiare.
Non sarà mica un caso se molti residuati del craxismo han traslocato armi e bagagli dalle parti del renzismo: Ferrara e Minoli, Sacconi e La Ganga, Napolitano e Amato. Ecco perchè il pellegrinaggio del giovin Matteo al Raphael, cioè nella Betlemme craxiana, poco dopo il battesimo alla Ruota della Fortuna e poco prima della cresima alla villa di Arcore, stupisce fino a un certo punto.
Oggi Renzi ce l’ha fatta. È diventato un Craxi senza tangenti.
Ma è ancora così giovane.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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