ATTACCO AL CANADA: IL NEMICO IN CASA
IL PERICOLO DELLA “LEGIONE STRANIERA” E LA SINDROME DELL’IMITAZIONE
L’alleato più fedele degli Stati Uniti, il Canada, vive una giornata di terrore che rilancia l’incubo del “nemico in casa”.
La capitale Ottawa in stato d’assedio per il tiro a segno di Michael Zehaf-Bibeau, canadese convertito all’Islam. Il Parlamento bersagliato da raffiche di spari, una fortezza assaltata.
Tutto il Nord America si riscopre di colpo vulnerabile. In centinaia di milioni, dal Canada agli Stati Uniti, seguono la cronaca minuto per minuto come un incubo che si ripete, le prove generali di un nuovo 11 settembre.
L’angoscia è accentuata dalle immagini dei parlamentari canadesi che fuggono all’impazzata; mentre altri sono costretti a rinchiudersi negli uffici del Congresso, luci spente e tapparelle abbassate per non diventare bersagli di un tiro a segno.
Il comunicato sul “premier Harper evacuato in un luogo sicuro, con i capi dell’opposizione”, riporta alla memoria proprio quel che accade l’11 settembre con George W. Bush, il presidente “scomparso e nascosto” a lungo.
Washington soffre per la capitale gemella, quel che accade a Ottawa sembra un sinistro presagio di minacce che incombono anche sugli Stati Uniti.
Nelle reazioni a caldo, sono gli americani i primi a puntare l’indice verso la pista islamica.
Prima ancora che giunga la conferma ufficiale del Canada, l’Fbi sospetta un jihadista, e ne trae le conseguenze immediate anche sul territorio Usa: il Pentagono mette in stato di massima allerta l’intero comando aereo nordamericano (Norad), controlli speciali scattano alle frontiere e attorno alle sedi diplomatiche a Washington.
Gli americani hanno visto giusto subito, grazie a un accumulo di indizi, coincidenze, segnali inquietanti.
Anzitutto c’è il precedente di 48 ore prima, quando un recente convertito all’Islam ha investito due soldati canadesi, uccidendone uno. C’è il fatto che proprio ieri sera il premier Stephen Harper doveva presiedere una cerimonia per il conferimento della cittadinanza onoraria a Malala Yousafzai, l’adolescente pachistana invisa ai talebani, che ha ricevuto il Nobel della pace per la sua difesa del diritto all’istruzione per le donne.
C’è il ruolo canadese nella coalizione anti-Stato islamico. C’è infine il fatto che numerosi cittadini canadesi di origine islamica hanno raggiunto i ranghi dei jihadisti in Siria e in Iraq: una legione straniera dalla quale possono emergere terroristi di ritorno, pronti a colpire in Occidente.
Anche le modalità dell’attacco evocano analogie, parallelismi tutt’altro che rassicuranti.
L’assalto armato a un Parlamento è una scenografia che fece le prove generali in India, a New Delhi, appena due mesi dopo l’11 settembre 2001.
E, sempre in India, la strage di Mumbai (26 novembre 2008) avvenne come una scorribanda da un obiettivo all’altro: come ieri a Ottawa gli attacchi sono avvenuti prima in un monumento ai caduti, poi nella sede dell’assemblea legislativa.
La dimensione dell’attacco a Ottawa è molto più piccola, il bilancio delle vittime modesto, ma l’effetto-panico è enorme.
Conferma i timori che da mesi l’intelligence Usa sta mettendo a fuoco. Dopo le decapitazioni di ostaggi occidentali da parte dello Stato islamico, avvisano gli esperti dell’anti-terrorismo, la tappa successiva nell’escalation può portare l’attacco in casa delle potenze occidentali.
La logica è identica a quella delle decapitazioni: il “castigo” contro coloro che intervengono a contrastare il progetto del Grande Califfato. Si sa che nelle zone della Siria e dell’Iraq controllate dai jihadisti, si confrontano due anime e due strategie: coloro che privilegiano un progetto di conquista locale, di espansione in Medio Oriente; e le fazioni che vogliono continuare l’opera di Osama Bin Laden colpendo l’Occidente in casa sua.
La pericolosità della “legione straniera” è stata sottolineata con la decisione di Washington di introdurre nuovi controlli mirati negli aeroporti, in vista di esplosivi “invisibili” alle attuali tecnologie.
Una delle ragioni che convinsero Obama a dare il via libera ai bombardamenti sulla Siria, fu proprio la prospettiva di un andirivieni di jihadisti con passaporti americani, canadesi o inglesi, liberi di portare l’attacco dove vogliono.
Ieri sera il profilo di Zehaf-Bibeau sembrava piuttosto quello del “lupo solitario”, un ex tossicodipendente convertito all’Islam, non necessariamente il membro di una cellula organizzata.
Ma c’è anche questo effetto “copycat”, la sindrome dell’imitazione, tra i pericoli reali nelle frange estreme delle comunità islamiche.
E l’Occidente è costretto comunque a fare i conti con tutte le proprie insicurezze.
Federico Rampini
(da “La Repubblica”)
Leave a Reply