Aprile 12th, 2018 Riccardo Fucile
SI SIEDE ACCANTO A MATTARELLA, TIENE IL CONTO DEI PARAGRAFI, ATTACCA FRONTALMENTE I CINQUESTELLE PRIMA DI ANDAR VIA… LA LEGA SI DISSOCIA
A un certo punto, nel bel mezzo dello show, tutti si aspettano il gesto delle corna, come nel celeberrimo
vertice Ue del febbraio del 2002. Non ostentate, ma nemmeno troppo nascoste, arrivano anche quelle.
Quando Salvini legge il decimo punto del programma del centrodestra per il governo che verrà , lui, Silvio Berlusconi, invece che indicare il numero dieci con entrambe le mani aperte, fa proprio quello. Pollice e mignolo della mano destra. Il gesto delle corna.
È l’ennesimo effetto speciale della «prima» di Silvio Berlusconi da secondo. Un inedito storico, il leader per antonomasia che cede lo scettro a uno che, semplicemente, ha preso più voti di lui.
Ma visto che, nella testa dell’ex Cavaliere, un paio di punti percentuali alle elezioni non possono eguagliare Milano Due, Milano Tre, il colosso Mediaset, le case editrici, gli scudetti, le coppe dei campioni, nove anni a Palazzo Chigi e altro ancora, ecco che il leader di Forza Italia estende il perimetro scenico del «numero due» come la pasta della pizza, arrivando a farlo più grande di quello di Salvini.
Si siede accanto al capo dello Stato. È il primo entrare nell’uscita della Vetrata e l’ultimo ad andarsene. Tiene il conteggio dei paragrafi concordati nel comunicato congiunto. E attacca frontalmente i Cinquestelle, senza mai citarli, prima di andare via.
Tutta l’irritazione di Salvini, sulle prime viaggia di bocca in bocca tra le voci di corridoio dei leghisti. Ma pochi minuti prima delle 20 prende corpo in una dichiarazione ufficiale del capogruppo a Palazzo Madama Gianmarco Centinaio che si dissocia dalle parole del Cavaliere: «I veti non ci piacciono a prescindere dalla provenienza. Non era condiviso e non lo sarà mai da parte nostra un no al dialogo con il Movimento 5 Stelle, seconda forza politica in Parlamento. Le parole finali di Berlusconi oggi al Colle non rispecchiano la posizione della Lega, nè quella del centrodestra che oggi si è espresso in maniera unitaria e concordata».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Aprile 12th, 2018 Riccardo Fucile
LA SCELTA DEL LEGHISTA PER “PRESERVARE” GIORGETTI SENZA INFORMARE NE’ IL CAVALIERE NE’ LA MELONI
C’è il poliziotto cattivo (il grillino Di Battista) che lo definisce «il male assoluto». C’è il poliziotto buono (il grillino Di Maio) che lo invita a «cedere il passo».
E infine c’è l’avvocato difensore (il leghista Salvini) che gli consiglia di patteggiare, mentre continua a stringere accordi con il leader di M5S senza informare l’assistito. Messo alle strette, Berlusconi sembra frastornato e intento a cambiare idea ogni minuto: tra i consigli di chi – come Gianni Letta – lo spinge a rompere con il suo avvocato, e i suggerimenti di chi – come Confalonieri – lo esorta invece a prender tempo.
Messa così il patto di governo tra leghisti e cinquestelle sembra cosa fatta, a un passo dall’essere ufficializzato. Ma il passo che precede il traguardo è sempre il più difficile, ed è lì che l’apparenza spesso inciampa nella realtà .
«Il preludio della coltellata finale
Non c’è dubbio che il Cavaliere sia sotto pressione e che Salvini si muova ormai in assoluta autonomia dagli alleati: nè Berlusconi nè la Meloni erano stati avvisati che la presidenza della Commissione speciale a Montecitorio – in quota centrodestra – invece di andare a Giorgetti sarebbe toccata a Molteni.
Hanno appreso dalle agenzie che il capo del Carroccio aveva cambiato idea rispetto all’intesa chiusa al vertice di domenica, e soprattutto che lo aveva fatto «dopo una telefonata con Di Maio».
«Se si sente con Di Maio, si metta in coalizione con Di Maio», è esplosa la leader di FdI davanti ad alcuni dirigenti di partito, che hanno definito la mossa di Salvini come «il preludio della coltellata finale» al Cavaliere.
«Di tempo non ce n’è»
Berlusconi il titubante è consapevole che il segretario leghista aspiri ad annunciare la fine di un’epoca, e infatti – dopo aver appreso incidentalmente la notizia – si è scagliato contro chi «si muove con una logica annessionista» e «si atteggia da protagonista. Forse troppo…».
Anche perchè sono troppi i dettagli da mettere a posto per riuscire nell’impresa. Per esempio, Di Maio accetterebbe di vedere Giorgetti alla guida del «governo del cambiamento» pur di non vedere Berlusconi nel governo? Sembra impossibile.
E in ogni caso servirebbe tempo per realizzare il compromesso. Ma «di tempo non ce n’è». I grillini lo sapevano (e lo dicevano) già prima di salire al Colle per le consultazioni. Salvini lo ha appreso dalla viva voce di Mattarella, che dinnanzi alla richiesta di «un paio di settimane» ne ha accordata una.
Il capo dello Stato non poteva accettare l’idea che i partiti scaricassero sulle istituzioni le loro tensioni politiche, e che il Quirinale venisse trasformato in una sorta di parafulmine, in attesa di regolare i conti con il voto delle Regionali e delle Amministrative.
Perchè le scadenze europee e l’emergenza internazionale dettata dalla situazione in Siria impongono di velocizzare la soluzione della crisi. C’è la necessità di sapere se Lega e M5S hanno una posizione comune in politica estera, se hanno intenzione di cambiare la storica linea atlantista dell’Italia.
Poco interessa se Salvini ha deciso di lanciare il proprio candidato a sindaco di Terni, prendendo in contropiede gli alleati.
Se il Pd rompesse gli indugi
A un passo dal traguardo, leghisti e grillini si mostrano in affanno. E non sarà irrilevante la scelta di Mattarella se il secondo giro di consultazioni si concluderà con una fumata nera. Certo, un conto sarà decidere per un mandato esplorativo, altra cosa affidare un pre-incarico: in entrambi i casi la strada per arrivare a Palazzo Chigi si fa dura per Di Maio, mentre Salvini ha la carta di riserva, cioè Giorgetti, che è stato apposta preservato dalla presidenza della Commissione speciale.
Ma i giochi potrebbero ancora clamorosamente cambiare. E non solo perchè tra i Cinque Stelle si notano vistose crepe e il centrodestra, addirittura, ancora ieri non sapeva cosa andare a dire oggi al Quirinale.
Se il Pd rompesse gli indugi e decidesse la mossa del cavallo, salterebbe ogni schema. Renzi ha solo un problema di timing: se lo sbagliasse sarebbe un disastro, altrimenti spariglierebbe gli schemi e si riaprirebbe tutto.
Non era forse il renziano Giacomelli a dire giorni fa che «a me Giorgetti premier andrebbe benissimo»?
(da “Il Corriere della Sera”)
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Aprile 8th, 2018 Riccardo Fucile
“IL PREMIER SPETTA A NOI, CERCHIAMO I VOTI IN PARLAMENTO”… “NO, DIALOGO A PARTIRE DAL M5S”… MELONI: “INCARICO A SALVINI”, SALVINI: “NO A INCARICO SENZA MAGGIORANZA CERTA”
Una riunione ad Arcore tra Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, nel tentativo di trovare una linea comune da portare al Colle. Ma la compattezza sembra sia solo di facciata.
E Salvini, a un’ora dalla fine del vertice, prende le distanze dalla nota ufficiale.
Nel comunicato finale, il centrodestra rivendica la premiership. “Quasi il 40 per cento degli italiani ha scelto di dare la propria fiducia ai partiti del centrodestra ai quali oggi spetta, indubbiamente, il compito di formare il governo”.
E ancora: “Gli elementi dai quali i tre leader non intendono prescindere sono un presidente del Consiglio espressione dei partiti di centrodestra, l’unità della coalizione e il rispetto dei principali punti del programma sottoscritto prima del voto”.
E fonti della coalizione fanno sapere che la coalizione proporrà a Mattarella di presentarsi in Parlamento a “chiedere i voti necessari alla fiducia”.
La versione ufficiale del vertice è dunque che il centrodestra si presenterà al secondo giro di consultazioni al Quirinale rivendicando la premiership per poi presentarsi in Parlamento a chiedere i voti necessari alla fiducia su una base programmatica definita. In pratica, uno schiaffo in faccia ai 5Stelle.
Ma poco dopo la conclusione del vertice, arriva un post su Facebook di Matteo Salvini: “Si parte dal centrodestra ma continua il dialogo a partire dal Movimento 5 Stelle”.
Anzi, più tardi aggiunge: “Sono fiducioso in un governo con i 5Stelle”. E ancora: “L’unica cosa che escludo è di fare un governo insieme al Pd, che ha fatto disastri negli ultimi sei anni”
E poi fonti leghiste fanno conoscere un altro passaggio essenziale: Salvini non è disponibile a ricevere un incarico senza essere certo di avere prima una maggioranza chiara in Parlamento.
Salvini, insomma, non intende andare alle Camere alla ricerca di voti. “I voti non si cercano come i funghi”, dice il leader leghista.
Quindi, nessun governo di minoranza. E Salvini non è disponibile a farsi bruciare. Lo scontro si manifesta plasticamente quando, negli stessi minuti, una nota di Meloni insiste sulla versione del vertice: “Cerchiamo una maggioranza in Parlamento”.
E la leader di Fratelli d’Italia insiste: “Chiederemo un incarico per Salvini. Fa testo il comunicato ufficiale”. In pratica un cortocircuito difficile da nascondere.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 6th, 2018 Riccardo Fucile
L’EX CAVALIERE PENSA CHE IL LEGHISTA ABBIA GIA’ IN TASCA UN’INTESA CONCORDATA CON I GRILLINI
«Berlusconi si sta mettendo fuori dai giochi. Non erano questi gli accordi su cosa dire alle
consultazioni». Matteo Salvini è furioso con Silvio Berlusconi: «Capisco la sua reazione agli atteggiamenti e ai veti di Luigi Di Maio ma in questo modo, chiudendo in maniera così netta ai 5Stelle, rende tutto più complicato. Pensa di favorire un’apertura del Pd, ma se i democratici apriranno lo faranno ai grillini, certo non verso di noi».
Il leader leghista vuole presto un chiarimento con l’ex cavaliere e sa di avere dalla sua anche Giorgia Meloni, che invece al Quirinale è stata coerente con gli accordi presi: si parte dal centrodestra e si apre tutti insieme a un confronto sul programma con i pentastellati, senza fughe in avanti.
Evitando, spiega Salvini, di cadere nelle provocazioni di Di Maio, «in queste reciproche impuntature da asilo Mariuccia».
L’ex premier, invece, «avrebbe dovuto volare alto – afferma il leghista Armando Siri – e mantenere un atteggiamento da statista: sembra invece che in Forza Italia sia prevalsa una vecchia linea politica, quella di Gianni Letta».
Ancora più duro Giancarlo Giorgetti, vicesegretario con delega alle trattative per il governo: «Berlusconi ha messo un punto fermo rispetto al fatto che il M5s non deve andare al governo. Ma hanno preso il 32%, è difficile tenerli fuori in una fase come questa. Secondo me tatticamente Berlusconi ha sbagliato, ha alzato la palla a Di Maio che l’ha semplicemente schiacciata. Di Maio ha avuto gioco facile oggi pomeriggio ed è finito il cinema».
Salvini però vuole continuare a girare il film che dovrebbe avere come finale l’intesa con Di Maio. Ha però bisogno di tempo per cucire gli strappi. Soprattutto, ha bisogno di un chiarimento con Berlusconi.
I due si incontreranno prima possibile, in ogni caso prima del secondo giro di consultazioni. Per far capire come stanno le cose, il capo della Lega accetta di andare a vedere le carte di Di Maio: dovevano vedersi già questa settimana, ma il colloquio è stato rimandato alla prossima proprio perchè è necessario farlo precedere da un chiarimento con Berlusconi.
I leghisti hanno l’impressione che il Presidente della Repubblica possa lavorare ai fianchi del Pd per un governo con i 5Stelle, lasciando loro con il cerino in mano.
«Ma in questo caso – spiega un autorevole esponente del Carroccio – con quel cerino daremo fuoco alle polveri». In effetti, non sono state le parole di Mattarella a ingenerare l’impressione che al Quirinale si stia lavorando per un esecutivo M5s-Pd. Tuttavia, il capo dello Stato ha fatto capire alla delegazione leghista che di nuove elezioni non vuole sentir parlare e questo, commentano i leghisti, toglie a loro (e ai grillini) un potente mezzo di pressione.
Alta tensione, dunque, tra gli alleati del centrodestra. Berlusconi è preoccupato dall’ipotesi di uno sganciamento di Salvini dalla coalizione per accordarsi con i grillini.
E tuttavia non ha intenzione di farsi umiliare da Di Maio. Il suo scatto contro i 5Stelle è stato un moto d’orgoglio che avrebbe ricompattato Forza Italia, racconta chi ha seguito in prima fila la giornata di ieri.
«Berlusconi non può accettare di suicidarsi nascondendosi e mandando avanti un altro al suo posto a rappresentare il partito – dicono a Palazzo Grazioli -, come se i suoi voti fossero sporchi. Non è accettabile farsi commissariare e lasciare che altri, Salvini compreso, decidano chi è presentabile e chi no, chi può fare il ministro e chi invece dovrebbe nascondersi per la vergogna».
Lo stesso Berlusconi, al Quirinale, è stato durissimo contro i 5Stelle. «Questi signori hanno solo fame di poltrone – ha detto a Mattarella, che è rimasto impassibile, una statua di sale -. Parlano di programma, ma non abbiamo visto nemmeno un pezzo di carta. Invece quando si è trattato di dividersi le poltrone delle presidenze, delle vicepresidenze, dei questori e dei segretari d’aula delle Camere sono stati velocissimi e famelici. Non parliamo poi di quello che propongono per governare… Ma quale contratto alla tedesca!».
A proposito di Germania e di Europa, l’ex cavaliere ha ricordato al Capo dello Stato di essere considerato da Merkel e dagli altri leader europei una garanzia di stabilità in Italia per evitare avventure che penalizzerebbero l’economia italiana.
Ed è stato l’unico momento in cui Mattarella ha precisato che l’Europa ci guarda e che non bisogna mai dimenticare che siamo inseriti in uno scenario internazionale ed europeo, non solo nazionale.
(da “La Stampa”)
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Aprile 4th, 2018 Riccardo Fucile
“DI MAIO NON MI VUOLE AVERE COME INTERLOCUTORE? PEGGIO PER LUI”
Berlusconi si fida di Salvini e non crede che farà mai accordi con Di Maio tagliando via Forza Italia. O meglio: il Cav se ne fida «per ora», fino a prova contraria, in quanto sarebbe ben grave se l’altro lo pugnalasse alla schiena.
Anzi, per essere ancora più precisi: Silvio di Matteo non si fida per niente, in cuor suo sa già che l’alleato leghista è pronto a scaricarlo, addirittura non vede l’ora di liberarsi della palla al piede berlusconiana e il veto grillino è arrivato a proposito.
Dopodichè l’ex premier è deciso a reagire con tutta l’energia necessaria: «Io mai con i Cinquestelle, piuttosto all’opposizione», va ripetendo.
Tuttavia c’è sempre la possibilità che qualcuno lo chiami, come accadde una decina di giorni fa, per minacciarlo o per fargli credere che le sue aziende sarebbero in pericolo, e dunque in quel caso Berlusconi potrebbe ripensarci, magari all’ultimo momento, dopo aver mandato allo sbaraglio la truppa, nel nome della realpolitik.
Per farla breve ieri sera, dopo il veto posto da Di Maio e la risposta in chiaroscuro di Salvini, tra i gerarchi berlusconiani nessuno, ma proprio nessuno, se la sentiva di garantire sul conto del leader. Tiene il punto? Per adesso sì, lo tiene. Ma lo terrà anche in futuro? Boh, vai a sapere.
L’eterno pendolo
L’unica certezza è che l’uomo oscilla, e nelle sue continue evoluzioni ieri ha toccato l’apice dello sdegno contro Di Maio. «Ah sì, non mi vuole come interlocutore? Non sa quello che si perde. Peggio per lui perchè d’ora in avanti sarò io a non voler trattare con i Cinquestelle e se ne accorgeranno cosa significa avermi contro».
Il gruppo dirigente lo sostiene compatto nell’intima certezza che, se il veto grillino venisse subìto senza colpo ferire, in quel preciso momento Forza Italia cesserebbe di esistere e le sue ceneri sarebbero sparse al vento.
Non stupisca dunque che la reazione più immediata sia venuta dalle donne, in primo luogo da Anna Maria Bernini e da Mariastella Gelmini, appena elevate al rango di capigruppo, nonchè da Mara Carfagna, neo vice-presidente della Camera: nessuna di loro vuole perdere la scommessa sul futuro.
Altri esponenti azzurri, come Osvaldo Napoli, si sono tuffati nella mischia e lo stesso governatore della Liguria Giovanni Toti, spesso accusato di tifare per l’intesa con la Lega, sparge prudenza: «Senza Forza Italia sarebbe difficile fare un governo, e comunque significherebbe che il centrodestra diviso regala la guida del governo al M5S, arrivato secondo».
La nota serale di Salvini non tranquillizza Berlusconi, semmai il contrario: «Sì al dialogo coi Cinquestelle ma no ai veti», dice il leader della Lega. Dichiarazione leggibile pure al contrario: «No ai veti però sì al dialogo».
Chissà se Salvini accetterebbe di sedersi a un tavolo con Di Maio, qualora i grillini gli vietassero di portare con sè Berlusconi. Il timore diffuso dentro Forza Italia è che Salvini si accomoderebbe lo stesso. E magari alla fine delle trattative programmatiche direbbe al Cav: «Nel governo, purtroppo, per voi non c’è posto».
A quel punto i Fratelli d’Italia salterebbero a bordo, così pure qualche decina di deputati e senatori berlusconiani desiderosi di non perdere i rispettivi collegi che dipendono dai voti leghisti.
«Ce n’è una quantità già pronti a tradire», assicura il tam-tam dei bene informati.
Col risultato che Berlusconi si troverebbe a scegliere tra la padella e la brace: sostenere il governo senza contare nulla, o in alternativa opporsi con il rischio di finire nel mirino per il solito conflitto di interessi (precisa minaccia di Di Maio).
Oggi ne discuterà con i fedelissimi a pranzo, insieme decideranno che cosa raccontare domattina al capo dello Stato.
L’ultima da Palazzo Grazioli è che Antonio Tajani, destinato al ruolo di vice-Silvio, non farà parte della delegazione al Quirinale. Ufficialmente perchè presiede il Parlamento Ue, ma si sussurra che Salvini avrebbe visto male la sua presenza, dunque Berlusconi abbia preferito soprassedere.
Per litigare, ci sarà tempo.
(da “La Stampa“)
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Aprile 1st, 2018 Riccardo Fucile
IL LEADER AZZURRO DECISO A SCONGIURARE IL VOTO ANTICIPATO
Può darsi che giovedì mattina, quando di Forza Italia si presenterà da Sergio Mattarella per le consultazioni, i commessi debbano aggiungere una poltroncina alle tre dove di regola vengono fatti accomodare le delegazioni.
Pare infatti che Berlusconi stia insistendo per portare con sè non soltanto Anna Maria Bernini e Mariastella Gelmini, al loro primo vero esordio da capigruppo, ma pure Antonio Tajani nella sua futura veste di vice-Silvio.
Sarebbe un’investitura pubblica, molto più forte di quella frettolosa e un po’ alla disperata, quando Tajani fu lanciato come candidato premier a soli quattro giorni dal voto.
Avviso ai naviganti
Farsi accompagnare dal super-moderato Tajani suonerebbe come conferma di un indirizzo liberale, ben distinto e distante da quello dei sovranisti.
Inoltre, avrebbe il sapore di piccolo avvertimento a Salvini (che ieri ha pubblicato un suo bel selfie con il nuovo taglio dei capelli).
Al leader della Lega, una consacrazione di Tajani segnalerebbe che Forza Italia si sta preparando a tutte le evenienze, compresa quella che Berlusconi giudica di gran lunga peggiore: un ritorno alle urne in ottobre, con il rischio di perdere ulteriori voti e ancor più peso contrattuale.
Il Cav sa benissimo che lì potremmo finire, specie se lui diventasse la pietra dello scandalo nei rapporti con i Cinquestelle, e un possibile accordo Di Maio-Salvini dovesse saltare proprio per causa sua.
Da una parte Berlusconi pretende di essere socio di quei due, dall’altra è consapevole che i grillini non lo potranno accettare mai, nemmeno dipinto.
Si annuncia un duro duello, in cui la pistola puntata di elezioni-bis potrebbe piegare la resistenza dell’ex premier.
Non a caso i vecchi gerarchi, spodestati dalle nuove nomine, sono pronti a scommettere su come finirà : piuttosto che niente, Silvio preferirà il «piuttosto». Dunque farà da reggicoda da un’alleanza Giallo-Verde perfino se dovesse ricavarne qualche sgabello di serie C.
Comunque vada a finire, per adesso l’uomo prova a resistere, la sua intenzione sarebbe quella. E coinvolgere Tajani darebbe a Salvini il senso di un partito che non sta smobilitando dopo la delusione elettorale, anzi prova a rilanciarsi cambiando tutti i volti intorno all’unico di cui non sa fare a meno, quello del Cav.
L’alter ego
L’idea berlusconiana di portarsi appresso Tajani incontra, tuttavia, alcune difficoltà . La prima consiste nel ruolo istituzionale ricoperto in Europa: come potrebbe conciliare il suo ruolo di presidente del Parlamento Ue con una partecipazione, anche solo simbolica, alle grandi manovre della politica italiana?
Quando è stato candidato premier, a Strasburgo nessuno si è sconvolto, però sdoppiarsi a certi livelli resta sempre complicato.
Inoltre, ecco l’altro problema, a qualche titolo Tajani salirebbe al Quirinale? È una risposta che il cerimoniale richiede.
Gli occorrerebbe quantomeno una veste di partito per evitare che la sua presenza possa apparire un capriccio di Silvio.
Il quale risolverebbe in radice il problema se nei prossimi giorni, una volta tornato dalla Sardegna dove trascorre Pasqua, desse a Tajani un incarico formale. Magari non di semplice coordinatore, come circolava voce, ma di vice-presidente «azzurro».
Che ne farebbe l’alter-ego a tutti gli effetti.
(da “La Stampa”)
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Marzo 31st, 2018 Riccardo Fucile
L’EX CAV FA APPELLO AI RESPONSABILI, L’ALLEATO E’ PER TORNARE AL VOTO
Silvio Berlusconi, sempre in contatto diretto senza intermediari con Matteo Salvini, ha capito quanto sia difficile trovare un’intesa con Luigi Di Maio.
Nei colloqui privati con il capo della Lega sente aprirsi sotto i piedi la faglia di nuove elezioni.
«Silvio, se non riusciamo a fare un governo come centrodestra o con i 5 Stelle, io non sono disposto a sostenere un’ammucchiata con tutti dentro, anche se vestita da governo del presidente».
La prossima settimana al capo dello Stato il leader leghista dirà di essere pronto a fare di tutto per trovare una maggioranza con i pentastellati, di non voler accampare pretese di incarichi da premier a vuoto, cioè esplorativi.
Spiegherà che le maggiori difficoltà vengono dai grillini. Tutte cose che il presidente della Repubblica sa già perfettamente. Ma il ragionamento di Salvini avrà una curvatura ben precisa: se tutte queste trattative, colloqui telefonici, sms, compreso un possibile faccia a faccia con Di Maio tra martedì e mercoledì, dovessero risultare vani, ecco che allora che si aprirebbe la strada del ritorno alle urne.
Il punto verrà fatto dopo le regionali di Friuli e Molise che per la Lega dovrebbero servire per mandare un segnale forte e chiaro al Colle, ma soprattutto a Di Maio: siamo i più forti, siamo in crescita di consensi ovunque.
«Gli stessi sondaggi, per quanto possano valere, lo dicono», sottolinea Salvini, che fa notare che il suo partito continua a crescere. Evita però di evidenziare è il calo di Forza Italia. Il Carroccio sta divorando gli azzurri. Cosa che maliziosamente fa notare Paolo Romani, sconfitto nella corsa alla presidenza del Senato e sostituito come capogruppo da Anna Maria Bernini: «Ai sondaggi non ci crede più nessuno, ma ormai Forza Italia è la metà della Lega! Vogliamo fare una riflessione al riguardo?», scrive in un tweet Romani, che pubblica un sondaggio che indica la Lega al 21% e Fi al 12%.
Rischiare di scivolare piano piano verso le elezioni sarebbe mortale per Berlusconi. A Salvini, almeno a parole, non fa paura. «A me non spaventa il voto… prima proverò in ogni maniera possibile a dar vita a un governo», dice dalle vacanze di Ischia.
Accordo in alto mare, nonostante tutti gli sforzi che sta facendo Giancarlo Giorgetti. Ma mentre lui tiene stretti rapporti con M5S, Forza Italia guarda con preoccupazione al paletto posto dai grillini: Berlusconi dovrebbe nascondersi.
«Ma il nostro leader – precisa uno di più stretti collaboratori dell’ex Cavaliere – non ha intenzione di scomparire per fare un piacere a Di Maio. Non si tratta di fare una photo opportunity. Il problema di fondo è che venga riconosciuto che Salvini sta trattando anche per Berlusconi».
Ogni giorno che passa cresce la distanza su cosa fare se dovesse fallire la grande coalizione centrodestra-5 Stelle.
Il leghista Massimiliano Fedriga, la mette così. «Allo stato attuale, con prese di posizione personalistic
he come quella di Di Maio “o io premier o niente”, è più facile che si vada elezioni». Esattamente quello che Berlusconi vuole evitare a tutti i costi. Ieri ha diffuso una nota per esprimere la soddisfazione per le donne di Fi elette ai vertici istituzionali e dei gruppi parlamentari.
Il messaggio politico più rilevante era però l’appello a «tutte le forze politiche responsabili» per affrontare una legislatura complessa. Un appello ai parlamentari «responsabili» che non voglio tornare a votare, senza escludere un governo del presidente.
È proprio su questo punto che cresce la divisione tra Berlusconi e Salvini. Non è un caso che ogni gruppo parlamentare del centrodestra andrà per conto proprio alle consultazioni del Quirinale. Il leader azzurro ha convocato ad Arcore (forse addirittura il giorno di Pasqua) le neo capigruppo Gelmini e Bernini per mettere a punto una strategia alternativa.
Eppure la richiesta ai giudici di Milano di essere riabilitato, dopo tre anni dall’esecuzione della pena, presentata a metà marzo al tribunale di Milano, sembrava aprire la possibilità di tenersi pronto a nuove elezioni nazionali oppure a quelle europee. Come candidato questa volta. Era stato lo stesso Berlusconi a sostenere che il deludente risultato elettorale era stato causato della sua assenza nelle liste. Ma ad Arcore credono poco a una risposta positiva del tribunale. E, in ogni caso, riabilitazione o no, meglio un governo del presidente che le urne.
(da “La Stampa”)
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Marzo 30th, 2018 Riccardo Fucile
MENTRE SALVINI E DI MAIO LITIGANO, IL CAVALIERE DIVENTA ECUMENICO E QUIRINALIZIO
Ci sono tre leader che santificano il venerdì di Pasqua con un profluvio di parole.
Per due, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, non è una novità .
È il terzo a deflagrare d’improvviso nel già faticoso dibattito su un ipotetico governo gialloverde: Silvio Berlusconi.
Un ritorno in grande stile sulla scena pubblica. Che spariglia i giochi e rende quasi trascurabili le pungolature sui quali i leader di M5s e Lega si stanno rincorrendo senza sosta in queste ore.
Una vera è propria strategia in quattro mosse.
Uno: fa filtrare di puntare a una piena riabilitazione politica dalla Corte di Strasburgo, un ritorno in piena regola al centro della scena politica.
Due: pubblica un intervento sul sito di Forza Italia nella quale elogia il metodo che ha portato all’elezione dei presidenti delle Camere, spiega che “bisogna raccogliere una maggioranza parlamentare intorno a un programma e a un premier in grado di realizzarlo, senza pregiudizi di schieramento”, ma ne rivendica la guida per il centrodestra.
Tre: manda in avanscoperta i suoi ad annunciare che guiderà la delegazione azzurra al Colle.
Quattro: dirama una nota in cui usa termini dai significati stratificati e dai livelli di lettura complessi per gli osservatori della politica.
La premessa è quella di una “legislatura difficile”. Le strade indicate sono quelle della “larga condivisione” e il dovere di dare risposte da parte di “tutte le forze politiche responsabili”.
Come tirare una pedata sul castello di sabbia costruito faticosamente dai trenta/quarantenni nel loro gioco della sedia per non rimanere in piedi fuori da Palazzo Chigi.
Perchè l’appello ai responsabili e all’ampia condivisione è impregnato di un sapore quasi quirinalizio.
Come a intravedere il fallimento di tutte le ipotesi di accordo tra i partiti sul governo, anticipando una soluzione guidata dalla sapienza di Sergio Mattarella, che tenga dentro il ventaglio più ampio possibile di partiti a sostegno di un esecutivo benedetto dal Colle.
Soprattutto perchè il lavorio dei 5 stelle in vista di un’intesa politica per sbloccare l’impasse con le camicie verdi è finalizzato in particolar modo a anestetizzare la presenza di Berlusconi.
Poco prima dell’uno-due tra intervista e nota, uno dei consiglieri più vicini a Di Maio per la prima volta apriva informalmente alla presenza di Forza Italia nella futura maggioranza parlamentare.
Spiegando che si stava cercando una “soluzione legata a creatività e fantasia, tenendo dentro figure tecniche vicine a Forza Italia o ministri azzurri che possano essere ascrivibili alla Lega”.
Aggiungendo che proprio dal Carroccio si confidava in una soluzione, “come hanno saputo fare con l’elezione dei presidenti delle Camere”, sapendo che i tempi saranno lunghi e che si arriverà a un secondo round di consultazioni. Tempo sufficiente, a dire dei 5 stelle, a far decantare la situazione aprendo una fase nuova.
Tutto spazzato via da un Berlusconi che rivendica la propria centralità di leader, facendolo con un ecumenismo che spazza via la voglia di una convergenza a due auspicata dalla war room stellata.
L’ex Cavaliere non rinuncia affatto al proprio ruolo, ma concede a Salvini il ruolo di guida nelle interlocuzioni con gli altri partiti.
A questo proposito, l’altro Matteo oggi ha affermato di ritenere che una possibile vittoria del centrodestra alle prossime elezioni regionali possa essere un segnale importante nelle valutazioni che dovrà fare il Colle. Un passaggio apparentemente demagogico, ma che nasconde un dato non di poco conto.
In Molise — dove avvantaggiati sembrano i grillini — si voterà appena il 22 aprile.
In Friuli Venezia Giulia — vero riferimento di Salvini, dove i sondaggi accreditano una vittoria schiacciante per il suo uomo, Massimiliano Fedriga — addirittura il 29. Rivelando così che la Lega ha ben chiaro che da qui a dopo Pasqua nessun accordo verrà chiuso, e che i tempi per la formazione dell’esecutivo andranno per le lunghe. Arrivando addirittura a maggio.
Mentre si continuano a rincorrere le voci di un incontro fra il segretario della Lega e il capo politico del Movimento fra martedì e mercoledì, fra i due è andata in scena una lunga giornata di tira e molla.
Il leader del Carroccio ha continuato nelle sue (parziali) aperture al reddito di cittadinanza, preannunciando che la settimana prossima presenterà una proposta per un “reddito di avviamento al lavoro”. Ma ha anche rivendicato per il centrodestra la guida del futuro governo, brandendo lo spettro di elezioni anticipate in caso di mancato accordo.
È stato lo stesso Fedriga, poco dopo, ad esplicitare il concetto: “Se Di Maio si impunta sulla premiership è più facile che torniamo al voto”.
Tutto questo perchè a metà pomeriggio sul Blog delle stelle era uscito un post che metteva ancora una volta i puntini sulle i: “Luigi Di Maio unico candidato premier per il governo”.
Al momento i 5 stelle non si schiodano da lì. “Rivendicare la poltrona di Palazzo Chigi — spiega un uomo dell’inner circle — è l’unico modo che abbiamo di garantire il gruppo parlamentare e gli elettori su intese altrimenti indigeribili. Per dire io mi prendo quei voti, ma per fare questi 5, 10 punti che servono a tutti i cittadini. In caso contrario non lo reggeremmo”.
Intanto le struppe stellate stanno mettendo in campo un piano d’attacco sui vitalizi. I componenti dell’ufficio di presidenza della Camera, guidati da Roberto Fico, subito dopo le vacanze pasquali avvieranno le procedure per arrivare a un’abolizione o a una forte riduzione.
Un terreno teoricamente comune con la Lega. E sul quale Forza Italia ha sempre espresso parere contrario. Proprio nei giorni in cui Berlusconi salirà al Colle. Da dove guarderà divertito i due litiganti. I quali oggi sono stati avvertiti: senza il Cavaliere non si possono fare i conti.
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 30th, 2018 Riccardo Fucile
OBIETTIVO E’ SUPERARE L’INTERDIZIONE DELLA LEGGE SEVERINO E POTER CORRERE DI NUOVO
Il percorso per la riabilitazione politica di Silvio Berlusconi ha già una tappa e una data: presentazione della domanda al Tribunale di sorveglianza di Milano, 12 marzo. Come riporta il Corriere della Sera, il Cavaliere punta a “rientrare in politica per correre di nuovo ad eventuali elezioni”.
Ma la sua mossa ha anche un altro significato: lanciare un segnale forte di presenza ai 5 Stelle, che si rifiutano di incontrarlo nel giro di incontri tra i partiti che precedono le consultazioni al Quirinale per la formazione del governo.
Berlusconi punta, dunque, a essere riabilitato. Un diritto, questo, che fino ad ora gli è stato negato dalla legge Severino.
Il Cavaliere, infatti, è stato condannato in via definitiva al processo per frode fiscale relativo ai diritti tv Mediaset il primo agosto 2013 e la legge prevede l’incandidabilità al Parlamento per i sei anni successivi alla condanna.
Il Cavaliere ha già fatto ricorso alla Corte europea di Strasburgo, che sta esaminando il caso, ma la sentenza, come scrive il Corsera, potrebbe non arrivare prima del prossimo autunno.
Il Corsera spiega la nuova mossa del Cavaliere:
“L’articolo 179 del codice penale dice che la riabilitazione può essere concessa ‘quando siano decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita’ o si sia ‘in altro modo estinta’ e il condannato ha ‘adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato’, ad esempio deve aver risarcito il danno, cosa che Berlusconi ha fatto puntualmente”.
Se la richiesta di riabilitazione dovesse essere accolta decadrebbero immediatamente gli effetti della legge Severino e quindi Berlusconi potrebbe ritornare a essere di nuovo un candidato. Ora la palla passa al Tribunale di sorveglianza di Milano, che dovrebbe decidere in un paio di mesi.
(da “Huffingtonpost”)
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