Marzo 27th, 2011 Riccardo Fucile
CADONO VIA VIA LE CITTA’ CONTROLLATE DAL RAIS, GRAZIE ALL’INTERVENTO AEREO VOLUTO DA SARKOZY….LE TRUPPE DI LIBERAZIONE DELLA LIBIA GRATE ALLA POLITICA DELLA FRANCIA E DEL SUO PRESIDENTE
Se non siete mai stati in una città appena liberata, non venite ad Ajdabiya.
Non capireste che cosa significhi la felicità incontenibile della libertà .
Perchè per capire questa gioia occorre almeno che ci sia qualcuno che quella felicita la canti, la gridi, la viva, la riempia di salti folli e di pazzie.
E invece Ajdabiya, ieri mattina presto, quando ci sono arrivato, era semplicemente un buco vuoto, una città fantasma: da ogni angolo dove la macchina andava, le strade mostravano un piccolo sporco orizzonte silenzioso, vissuto soltanto dal vento leggero del mattino che portava in aria cartaccia, stracci, vecchie borse di plastica.
Omar, alto, robusto, una grande barba nera e una tuta blu da meccanico, sedeva su uno sgabello accanto alla porta di casa.
Tutte le altre porte dei palazzi di quella strada erano chiuse, le finestre senz’anima.
Ma non c’è nessuno in giro, gli dico.
Si è alzato in piedi, ha teso la mano, e ha sorriso con grandi denti bianchi sulla faccia di libico nero: «Ah, sono andati via tutti, da tempo».
Omar era la storia di questa città la cui liberta è costata 82 morti e 52 feriti.
Me li ha raccontati il dottor Ram Zy, che dirige l ospedale che sta proprio di fronte alla casa di Omar: me li ha raccontati quasi uno a uno, ripercorrendo i lunghi giorni dell’assedio e la battaglia che si è chiusa ieri.
E lei, dottore, perchè è rimasto. «Io devo curare la gente. È il mio lavoro», e lo diceva quasi vergognandosi.
Non sapeva che queste cose, in altre parti del mondo sono assai rare.
Già , la battaglia. Non l’ha vista nessuno, nè quelli di Ajdabiya che erano scappati, scappati via dalla paura, dalla fame, dall’elettricità che manca, dall’acqua che non c’è, e però nemmeno questi che stavano trincerati da questa parte, che facevano l’assedio ai soldati di Gheddafi, gli tiravano qualche razzo di tanto in tanto, e da lontano, ma più non sapevano, e non potevano, fare.
Ed è tutta qui, la storia di questa battaglia, che presto verrà celebrata come la dimostrazione dell’eroismo dei combattenti della liberta e sarà , invece, una delle tante balle che stanno accompagnando la guerra libica fin dal primo giorno.
Perchè, se non arrivavano qui gli aerei della Nato con i loro missili e i loro razzi, quest’assedio sarebbe durato magari più di quello di Stalingrado e nessuno avrebbe giurato sul vincitore.
Ora, invece, tutti gridano Maa Sarko , Viva Sarkozy, e vogliono dire che sanno bene che non avevano la forza per spostare d un centimetro l’assedio, e che devono fare tanto di cappello alla spregiudicatezza del francese.
Al contrario, Gheddafi, se mai riuscirà a venirne fuori (ma pare sempre più difficile), deve avere ben altri sentimenti, perchè questa di Ajdabiya era uno dei pilastri su cui si sta giocando la sua capacità di aprire un negoziato, e averlo perduto gli indebolisce di molto la forza contrattuale.
E nessuno, forse, gli ha ancora detto che, da ieri, la vecchia strada che il fascismo aveva realizzato per unire Bengasi a questa città e che, da Italo Balbo, si chiamava popolarmente «balbia», ora si chiamerà per sempre «sarkozia», e sarà – senza forse nemmeno saperlo – la celebrazione di un nuovo colonialismo che sostituisce il vecchio.
I ragazzi dell’armata Brancaleone sono arrivati in massa, stranamente, un poco più tardi, quasi sorpresi.
Non ci è voluto molto perchè si mettessero, alla fine, ad affollare di pick-up e di camion la piazza Fatah e a impazzare in un carosello rumoroso, tirando in aria salve infinite di mitraglia e stupide cannonate che riempivano di echi infiniti il vuoto della città .
Omar li guardava senza sorridere, sempre sul suo sgabello di legno, accanto a quell’unica porta spalancata sulla strada.
Andando in giro a tentare di capire che cosa fosse successo per battere la resistenza dei gheddafiani assediati, quello che si è potuto sapere è che tra le 8 e le 10 di ieri notte un corteo di auto piene di soldati del raiss si è precipitato dentro la città , ha sparato intorno all impazzata per qualche minuto, e poi è filata via rombando e urlando.
Non era ancora partita che dal cielo si sono precipitate come falchi assatanati su Ajdabiya due squadriglie di caccia, e, passando e ripassando a volo radente, hanno sganciato decine di razzi sulla periferia, dove si erano insabbiati i carri e le truppe di Gheddafi.
I risultati ora li vedevo con i miei occhi: 7 carri armati bruciati come un carbone, quattro veicoli di trasporto sventrati, e ancora alcune auto con la pancia all’aria, rovesciate dal colpo dei razzi.
Ma, e questo è importante, non un solo cadavere in giro, non un pezzo di carne rimasto tra le rovine di quel piccolo cimitero di metallo.
I soli morti che potevi vedere – una ventina – giacevano abbandonati in una piccola casamatta accanto alla Porta Nord, distrutta anch’essa dai razzi dei Mirage e dei Rafale. Null’altro.
È impossibile credere che i soldati di Gheddafi avessero abbandonato i tank e i blindati perchè sapevano che stava per arrivare l’attacco dal cielo; piuttosto, è da pensare che se la siano dataperchè ormai l’attacco era annunciato come assolutamente imminente, e la fortuna gli ha salvato la vita.
Il comando militare della Rivoluzione dice di «un certo numero di prigionieri», e quei cadaveri rimasti in terra raccontavano, forse, l’ultima resistenza di un manipolo di disperati. I corpi non puzzavano ancora di morte, qualche migliaio di mosche gli banchettava sopra, indifferente alla festa che ora impazzava d intorno.
Ho lasciato la città che era già pomeriggio avanzato, per tornare a Bengasi, 180 chilometri sulla «sarkozia».
Nella corsia di fronte, cominciava a sfilare una coda veloce di auto e di camion con la bandiera della Rivoluzione nel vento del sole che scivolava dentro l’orizzonte.
Erano i cittadini di Ajdabiya che cominciavano a tornare a casa.
Il portavoce della Rivoluzione annunciava trionfale: «Abbiamo liberato la città , ora stiamo inseguendo gli uomini di Gheddafi in fuga».
La battaglia di Ajdabiya è finita, evviva la gloriosa liberazione.
E, naturalmente, merci monsieur Sarkozy (a buon rendere).
Mimmo Candito
(da “La Stampa”)
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Marzo 27th, 2011 Riccardo Fucile
ALL’ESTERO CONSIDERANO RIDICOLA QUESTA OFFENSIVA ITALIANA CONTRO LA FRANCIA… SERVE A COPRIRE LA PASSATA CONNIVENZA ITALIANA CON IL REGIME DI GHEDDAFI…CHE SILVIO POI ACCUSI NICOLAS DI “PROTAGONISMO” E’ DAVVERO IL MASSIMO
Raramente gli capita di sentirsi gabbato, e stavolta è successo che
mentre lui volava a Parigi, per giunta nel pieno dell’irresolutezza, quell’altro non solo si era già messo d’accordo con inglesi e americani, ma era già partito con i bombardieri.
La situazione ricorda l’incipit di una di quelle barzellette che al Cavaliere piace tanto raccontare.
Ma il finale è aperto.
In Parlamento e fuori il ministro Frattini è stato molto poco diplomatico, la grana sulla Nato e sul comando delle operazioni militari era quasi dovuta, però è arrivata tardi e sapeva di ripicca.
La contemporanea guerra commerciale sulla Parmalat rinfocola, a colpi di decreti legge, l’avversione antifrancese.
L’autocompatimento si estende ai tanti, ai troppi posti che Parigi occupa nelle istituzioni finanziarie, Fondo Monetario, Bce.
È la variante tecnocratica di un’antica antipatia che i governanti italiani, specie quando si trovano nelle peste per faccende di scontento sociale o di cialtronate che di colpo si rivelano tali, riattizzano con la malcelata speranza di spostare l’attenzione su qualcosa che c’è, che va e viene, un complicato sentimento di amore e odio che scorre nella storia e fermenta nell’immaginario, da Giulio Cesare in giù, da Asterix in su.
Anche le reazioni delle batterie mediatiche berlusconiane sull’impiccio libico appaiono, più che eccessive, un po’ sopra le righe della legittima animosità .
All’estero deve sembrare al tempo stesso scontata e ridicola questa improvvisa offensiva italiana contro l’Eliseo.
La politica internazionale è un campo che rifugge artifici, semplicismo e improvvisazioni.
Un conto è attaccare Bocchino, Santoro o la casa di Montecarlo; altro conto è misurare la propria fantasia polemica – e ancora di più le proprie forze – con una nazione come la Francia. Tra Libero, il Giornale e Panorama si oscilla tra colpi bassi a base di rivelazioni da servizi segreti sulla Francia che ha armato i ribelli oppure ha venduto a Gheddafi le armi con cui questi li massacra ed effettacci tipo quello con cui si conclude l’editoriale del settimanale di Segrate: «Al di là delle Alpi devono ogni tanto ricordare che nella loro storia non c’è solo il generale Napoleone. C’è anche il generale Cambronne».
Figurarsi che peso avranno dato, in quel luogo di assoluta umiltà che è Parigi, all’ammiccante invito di Giorgio Mulè.
Sulla copertina, sotto l’immagine del presidente francese ritratto con la più celebre delle feluche campeggia uno strillo che vorrebbe tanto essere brillante: «Sarkofago», accipicchia.
A sinistra si chiarisce il contesto: quel signore lì «voleva trascinarci in un duello mortale. Ecco come l’Italia ha ridimensionato la sua smania di protagonismo».
Nella distanza tra l’immagine focosa del «duello mortale» e il mesto participio «ridimensionato» si misurano ragionevoli dubbi e inconfessabili frustrazioni.
Quanto alla «smania di protagonismo», beh, qui da noi negli ultimi tempi un certo protagonismo il potere se l’è pure conquistato sui media, a livello planetario, ma per un altro genere di smanie.
Che faranno senz’altro meno male delle bombe e dei missili, francesi o italiani o soprattutto gheddafiani che siano, però insomma, forse è meglio lasciar perdere. O forse no.
Perchè in tutto questo c’entrano i peggiori appetiti, c’entra il petrolio, c’entra la geopolitica, l’Africa, il Mediterraneo, i commerci, il prestigio, c’entra tutto quello che rende a volte gli interessi di due nazioni incompatibili.
Ma nessuno, in un tempo nel quale la personalizzazione del potere è scappata di mano, riuscirà mai a escludere che il nemico francese è anche un fatto privato: è più di Berlusconi, se proprio bisogna dire, che di Sarkozy.
Troppo simili per non detestarsi. Simili, però diversi quel tanto che basta a concludere, con abbondanti evidenze documentarie e anche visive (una clip in cui il presidente italiano fa il segno al suo collega rumeno che il francese è matto), che il Cavaliere soffre Sarkozy. Dopotutto Chirac – con cui pure le cose andavano sempre abbastanza male – era un vecchio signore.
Una volta, nel pieno del primo ciclo di scandali, raccontò che il Cavaliere gli aveva indicato il bidet di camera sua dicendo: «Ah, se queste maioliche potessero parlare!».
Non fu simpatico, ma Chirac ormai se n’è andato; ed è arrivato quell’altro.
Meno ricco di Berlusconi, d’accordo.
Con meno esperienza internazionale, e vabbè.
Ma più giovane, più bello, più fico e anche più potente perchè lì monsieur le president mica deve penare per avere una firma del Quirinale sul Milleproroghe bis o perdere il sonno per la pronuncia della Consulta.
Per non dire – colpo di grazia – del fatto che Sarkò ha come «fidanzatina» una delle donne più belle del mondo.
Si deve a Berlusconi di aver introdotto la categoria dell’invidia nel discorso pubblico; e sempre lui ha introdotto la diplomazia del contatto personale.
Quanto basta per chiedersi se l’una e l’altra non gli si stiano ritorcendogli contro.
Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica”)
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Marzo 26th, 2011 Riccardo Fucile
FREDDEZZA DEGLI ALLEATI NEI CONFRONTI DEL PREMIER ITALIANO, UNICO TRA I LEADER EUROPEI CHE NON SI PRESENTA ALLA CONFERENZA STAMPA…”QUA FANNO SOLO CHIACCHIERE, IO I FATTI, NON CONOSCONO NEACHE IL DIRITTO INTERNAZIONALE”… E RECITA SCENA MUTA, DIMENTICANDOSI PERSINO DI PERORARE LE RICHIESTE DELLA LEGA
«Questo è un vertice fatto di chiacchiere. Io sto zitto e aspetto il momento giusto per passare ai fatti».
Silvio Berlusconi a Bruxelles rimane in silenzio.
Per due giorni si nega alla stampa facendosi scudo con un motto per lui – comunicatore per antonomasia – del tutto inedito: «Non avete ancora capito che governare è fare, non dichiarare», dice ai cronisti.
Unico tra i leader del continente, non risponde del suo operato al summit europeo, evita le domande scomode su Libia e Gheddafi, sul Patto di stabilità e sulla politica, ma prima di tornare a Roma si limita a dire che è «soddisfatto» per la guida Nato di Odissey Dawn e per il comando italiano delle operazioni navali.
Tanto che agli alleati si spinge a promettere nuovi aerei e quattro navi, tra cui la portaerei Garibaldi.
Eppure il Cavaliere è nero. Glielo si legge in faccia.
Lo conferma chi ha assistito alle riunioni del Consiglio europeo.
Una fonte comunitaria racconta che «il premier è entrato nella sala e, al posto di scambiare i normali convenevoli con gli altri leader, scuro in viso si è seduto e ha iniziato a leggere».
E’ un premier isolato. E furibondo.
Con la stampa, per le indiscrezioni sulla cena con i Responsabili di mercoledì scorso spesa tra canti (anche ironici su Fini) e barzellette mentre il Paese è di fatto in guerra.
Ma soprattutto per il nuovo strappo di Sarkozy e Cameron che nel chiuso delle riunioni provano a far passare l’idea di piccoli interventi con truppe a terra in Libia e in conferenza stampa annunciano una nuova iniziativa che taglia fuori l’Italia.
«Quei due fanno finta di non conoscere il nostro ruolo a Tripoli», commenta il premier con i collaboratori.
Ma sono ignoranti «non conoscono il diritto internazionale» e le loro iniziative «non vanno da nessuna parte».
Nei colloqui riservati si dice certo che l’ostinazione con cui Sarkozy cerca di escludere l’Italia è dettata dal calcolo politico: vuole fare affari nel dopo-Gheddafi «sostituendo la nostra presenza economica e commerciale».
Ma forse il Cavaliere dimentica l’irrilevanza ormai cronica di Roma quando in Europa ci sono da prendere le grandi decisioni.
In realtà l’illusione del premier è quella di tornare in gioco in un secondo momento, se e quando si aprirà uno spiraglio per risolvere la partita libica. Certo, sarebbe più facile se l’Italia non fosse entrata in Odissey Dawn.
Tanto che il Cavaliere nella cena con i partner Ue si lascia andare e alla Merkel dice: «Forse hai fatto bene tu a restare fuori dall’alleanza».
Una frase che resta ben impressa alla delegazione tedesca, stupita da parole tanto in contraddizione con le responsabilità assunte dall’Italia nella coalizione dei volenterosi (che Berlusconi però non mette in dubbio).
Per il resto il Cavaliere è taciturno, anche quando vengono affrontati gli altri temi in agenda.
Tanto che nei riassunti dei diplomatici il suo nome compare pochissimo, perfino meno di quello del maltese Lawrence Gonzi.
Berlusconi ha paura di perdere ancora terreno. Pensa ad un vertice internazionale sulla Libia a Napoli, ma è ancora un’ipotesi.
Si racconta che nella sua suite all’hotel Conrad campeggiasse un’enorme cartina della Libia sulla quale si è a lungo concentrato.
Si tiene pronto a mediare con Gheddafi, pur conoscendo tutti i rischi di una simile impresa.
Per ora, grazie al ministro degli Esteri Frattini, lavora ad un’iniziativa multilaterale portata avanti dall’Unione Africana. Punta a convincere il raìs al cessate il fuoco.
Dopo scatterebbe la fase due, quella «del fare», come la chiama un Berlusconi tentato ad entrare in gioco in prima persona.
Se ormai ha capito che il Colonnello è perso, vuole almeno provare la via dell’esilio salvandogli la vita.
Ma dovrà convincerlo a passare la mano ad un uomo di fiducia che tratti una «riconciliazione» con gli insorti.
Intanto una soddisfazione arriva dal viaggio in Tunisia di Frattini e Maroni che, grazie ai buoni uffici dell'”amico” Tarek Ben Ammar, parlano di immigrazione con le nuove autorità .
Una missione della quale il premier si complimenta con un comunicato. Anche perchè sulle promesse fatte alla Lega per salvare il governo (scudo navale e ripartizione dei rifugiati nella Ue) a Bruxelles non ha ottenuto niente. Anzi, non ne ha proprio parlato.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
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Marzo 24th, 2011 Riccardo Fucile
DOPO AVER PERSO LA FACCIA REGALANDO 5 MILIARDI AL BOIA DI TRIPOLI E PROSTRANDOSI AI SUOI PIEDI, PDL E LEGA PRESENTANO UNA MOZIONE IN PARTE SCONTATA, IN PARTE VILE E AFFARISTICA.. L’UNICA LORO PREOCCUPAZIONE PARE ESSERE IL BUSINESS E AVERE QUATTRINI EUROPEI PER GESTIRE I PROFUGHI
Rigoroso rispetto della risoluzione Onu anche attraverso opportune iniziative politico diplomatiche e intimazione del cessate il fuoco per tornare il prima possibile ad uno stato di non conflittualità ; assegnazione alla Nato del comando e del controllo delle operazioni militari; ma anche embargo sulle armi nei confronti della Libia e un’azione di pattugliamento del Mediterraneo per contrastare le organizzazioni criminali con il rischio di infiltrazioni terroristiche.
E ancora: riattivazione, quando le circostanze lo renderanno possibile, degli accordi bilaterali in particolare quelli in materia energetica, stipulati dall’Italia con la Libia; iniziative per tutelare le imprese europee impossibilitate ad onorare i contratti per le sanzioni.
E infine: impegno dei partner europei e della Commissione a dare mezzi anche finanziari per condividere l’onere della gestione degli sbarchi di immigrati e attivazione affinchè l’Europa si doti al più presto di un ‘sistema unico di asilo’ che fin da subito preveda un sistema di ‘burden sharing’ teso a ridistruibuire la presenza degli immigrati tra i paesi membri e fornisca una maggiore assistenza nelle operazioni di riconoscimento e identificazione di coloro che si dirigono verso le coste italiane.
Sono questi i punti chiave della risoluzione sulla Libia, firmata dai capigruppo di Pdl, Lega e Coesione Nazionale, su cui la maggioranza ha raggiunto l’intesa e con cui si impegna il governo.
Si legge nel documento che “vi sono comunque delle condizioni che occorre siano garantite affinchè il paese possa tener fede ai suoi impegni senza che siano messi in pericolo i suoi interessi nazionali”.
La risoluzione di maggioranza rileva quindi che “l’Italia riceve il 14% del petrolio e il 26% del gas naturale di cui ha bisogno dalla Libia” e che il nostro è il paese “più esposto ad eventuali ritorsioni militari o terroristiche da parte libica e ha quindi un interesse primario nel non valicare i confini dettati dalla risoluzione Onu che giustificano l’intervento con il solo criterio della protezione delle popolazioni civili. Ogni altra azione che possa essere intesa come ostile dalla popolazione della Libia – viene sottolineato nel documento – e dalle opinioni pubbliche dei paesi arabi, metterebbe a serio repentaglio la nostra sicurezza nazionale”.
In pratica emergono alcuni dati di fatto:
1) Dopo aver regalato a Gheddafi 5 miliardi di dollari, essersi prostrati ai suoi piedi, aver permesso per settimane che il boia di Tripoli trucidasse il suo popolo senza “disturbarlo” con una telefonata, aver atteso l’intervento di altri Paesi europei e non, di fronte alla possibilità di rimanere gli unici schierati con Gheddafi, obtorto collo, ci siamo alfine schierati con Usa, Francia e Gran Bretagna.
Atteggiamento tipico dell’Italietta che si pone a seconda di chi pare uscire vincitore.
Gli altri applicano la risoluzione Onu, noi precisiamo che i nostri non sganciano bombe, fanno solo un giro turistico.
Per impedire il massacro di Bengasi i francesi giustamente bombardano, noi ci raccomandiano che non esagerino troppo.
Magari bastavano due fialette puzzolenti e le truppe libiche sarebbero arretrate.
Nella mozione si dice ok all’Onu, ma sarebbe meglio il cessate il fuoco: perchè non lo dite a Gheddafi che continua a sparare sui civili?
2) L’interventismo di Sarkozy ci aveva messo nell’angolo che peraltro meritavamo: piagnucolando ci hanno dato il controllo marittimo dell’embargo di armi alla Libia: il nulla fatto passare per grande successo.
La preoccupazione maggiore è che la Francia un domani ci estrometta dagli affari in caso di vittoria degli insorti.
Sarebbe anche giusto: se non ci fossero stati gli aerei francesi oggi Bengasi sarebbe rasa al suolo.
Se aspettavano gli italiani…
In ogni caso che senso ha chiedere il rispetto degli accordi economici sottoscritti in questa fase?
A chi lo chiedete?
A Gheddafi che dovrebbe essere un nemico?
O agli insorti di cui per viltà non avete neanche riconosciuto lo status di governo provvisorio a differenza della Francia?
Siamo nel ridicolo a parlare di business mentre la gente spara.
3) La solita fissa dei profughi: peccato che siano arrivati finora non più di 10 libici, gli altri sono tutti tunisini e non c’entrano una mazza.
E in ogni caso sono appena 15.000, la metà di quelli arrivati a Lampedusa nel 2008 e per i quali non è stato fatto tutto questo casino.
Erano stati accolti, identificati e poi in buona parte rimpatriati, senza tenerli a dormire sul molo di Lampedusa.
La ripartizione dei profughi tra i vari Paesi europei?
Concetto teorico giusto, ma se la Germania ci chiedesse di prenderci 20.000 dei 90.000 profughi accolti qualche tempo fa interamente da loro?
Che facciamo? Uno scambio?
Ha senso fare una mozione “egoista” in questo momento o non sarebbe meglio lavorare per una prospettiva futura senza Gheddafi?
E se per garantire l’incolumità delle forze di opposizione libiche occorresse scaricare 10 bombe sul bunker di Gheddafi, noi saremmo per farlo o no?
O ci dispiacerebbe, pover’uomo?
In fondo all’estero ha solo 120 miliardi di dollari.
Rubati al popolo libico.
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Marzo 24th, 2011 Riccardo Fucile
L’INTERVENTO DEL FILOSOFO BERNARD-HENRY LEVY: “PROTEGGERE I CIVILI DAI MASSACRI E’ IL CONTRARIO DI UNA SPEDIZIONE COLONIALE”
Non è un intervento di terra, con carri armati, fanteria, occupazione, green zone e così
via.
È il contrario, dunque, della guerra, insensata, in Iraq.
Il contrario della guerra, giusta, in Afghanistan.
Non so se la guerra (giusta) in Afghanistan o la guerra (insensata) in Iraq fossero guerre «neocoloniali» (è infinitamente più complicato di questo); certo è che questa guerra, questo intervento, che ha come primo scopo di «santuarizzare» i civili massacrati di Misurata, Zawia, Bengasi, questa operazione di salvataggio, secondo cui nessun soldato occidentale dovrà posare un piede sul suolo libico è, in ogni caso, il contrario di una spedizione coloniale.
Appunto, cos’è una guerra giusta?
È una guerra che impedisce una guerra contro i civili.
È una guerra che, per parodiare una celebre e incresciosa formula (quella di Franà§ois Mitterrand che tenta di impedire, fino all’ultimo, gli attacchi aerei alle postazioni serbe sulle colline attorno a Sarajevo), sottrae la guerra alla guerra.
Infine, è una guerra che, lungi dal pretendere, come in Iraq, di paracadutare, in un deserto politico, una democrazia pronta all’uso, si appoggia su un’insurrezione nascente, cioè permette, e permette soltanto, ai liberatori di fare il loro lavoro di liberatori e aiuta quindi, nella circostanza attuale, i libici a liberare la Libia.
È una guerra di iniziativa francese, ma non è una guerra francese.
È una guerra in cui si son visti, fin da sabato scorso, aerei francesi volare su Bengasi e cominciare a distruggere le capacità militari di un Gheddafi allo stremo e che aveva giocato l’ultima carta facendo piovere bombe sulla città . Ma è una guerra in cui sono entrati, a fianco della Francia e degli occidentali, nella stessa coalizione, il Qatar, gli Emirati, l’Egitto, mandatari sia di se stessi, sia di una Lega araba presente, fin dall’inizio, nel cuore di questo movimento di solidarietà mondiale con un Paese messo a ferro e fuoco dal proprio dirigente, sia di un popolo già impegnato (è il caso dell’Egitto) in una sommossa di cui legittimamente vuole universalizzare i comandamenti: è una guerra, dunque, non meno araba che occidentale.
Qual è lo scopo di questa guerra?
Di proteggere, davvero, soltanto, i civili di Misurata, Zawia, Bengasi?
Di accontentarsi, eventualmente, di un Gheddafi che finga un atteggiamento moderato, metta via le armi e si ritiri nel suo feudo di Tripoli prima di riprendersi la rivincita fra sei mesi, un anno, o di più?
Credo di no. Spero di no.
Non si può pensare che la comunità internazionale faccia lo stesso errore che fece con Saddam Hussein lasciando intatta, vent’anni fa, dopo la prima guerra del Golfo, la sua capacità di nuocere, e di agire in maniera criminale.
E non si può pensare che la risoluzione adottata giovedì scorso, con un voto storico, dalle Nazioni Unite, in cui si è saputo convincere cinesi e russi a non servirsi del loro diritto di veto, dia risultati così irrisori.
Gheddafi ha commesso crimini contro l’umanità .
Il primo riflesso di questo Gheddafi che, ci dicevano, era cambiato, aveva rinunciato al terrorismo ed era diventato (secondo Patrick Ollier, ministro francese – fino a quando? – dei Rapporti con il Parlamento) un fine lettore di Montesquieu, non è stato di dire, appena avuta la notizia del voto all’Onu: «Attaccate i miei aerei militari? In risposta, attaccherò i vostri aerei commerciali, punirò i vostri civili provocando una, due, tre nuove stragi come quella di Lockerbie»?
Con questo Gheddafi non esistono negoziati nè compromessi possibili.
Al suo terrorismo senza limiti la comunità internazionale ha il dovere di rispondere, all’unisono con il popolo libico e il suo Consiglio nazionale di transizione: «Gheddafi, vattene!».
Infatti, cosa vogliono i libici liberi? Chi sono?
E cos’è il Consiglio nazionale di transizione che Nicolas Sarkozy, per primo, con un gesto politico decisivo e al tempo stesso coraggioso, ha riconosciuto? Certamente, non sono degli angeli (è da lungo tempo che non credo più agli angeli…).
Non sono democratici alla Churchill, nati, chissà per quale miracolo, dalla coscia del gheddafismo (di cui alcuni furono, prima di disertare, servitori e debitori).
Forse, ci sono fra loro persino antisionisti, magari antisemiti mascherati da antisionisti (sebbene, in nessuno degli incontri avuti a Bengasi e poi a Parigi, con nessuno dei loro dirigenti, abbia mai omesso di dire chi sono e in cosa credo).
Penso solo che questi uomini e donne, come i loro fratelli della Tunisia, dell’Egitto o del Bahrein, siano in cammino verso una democrazia di cui stanno reinventando, a grande velocità , i principi e i riflessi.
E sono sicuro che questi combattenti, che hanno imparato, di fronte alle colonne infernali e ai carri armati, cosa voglia dire libertà e in quale lingua dello spirito si scriva tale parola, saranno sempre meglio di un dittatore psicopatico che dell’apocalisse aveva fatto la sua ultima religione.
Bernard-Henri Lèvy
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 23rd, 2011 Riccardo Fucile
“A VOLTE BISOGNA SCEGLIERE, VEDO APPELLI CONTRO I RAID AEREI SOLO IN ITALIA O DAI NEOSTALINISTI GRECI”… “SONO PRIGIONIERI DELLE CATEGORIE IDEOLOGICHE DEGLI ANNI ’50”
«Attenti, ragazzi, chi scende in piazza contro la missione internazionale cerca magari una terza via ma di fatto non è neutrale, bensì sta con Gheddafi. Perchè niente cortei quando Gheddafi massacrava il suo popolo? Ricordate Francia e Gran Bretagna del ’36, che lasciarono sola la Repubblica spagnola contro Franco, Hitler e Mussolini».
Daniel Cohn-Bendit, leader verde europeo, è durissimo.
In piazza per la pace: solo in Italia o anche altrove?
«In Germania si va in piazza contro l’atomo. Vedo appelli anti-raid aerei solo in Italia, o in Grecia dai neostalinisti. Finiscono per schierarsi con la Cina, Putin e Chavez. Sono prigionieri delle categorie degli anni ’50».
Insomma, la ricerca di una “terza via” non la convince?
«In Italia vedo appelli a protestare mossi dall’ossessione assoluta e accecante della mitica lotta contro l’imperialismo americano. Come fa Vendola a dire nè con Gheddafi nè con le bombe? Non faccio paragoni col triste slogan “nè con lo Stato nè con le Br”, ma mi ricordo del 1936. Madrid democratica fu lasciata sola contro Franco, la Legion Condor di Hitler e i reparti di Mussolini. Risultato: stragi, 50 anni di franchismo, e nel ’39 la seconda guerra mondiale».
Scusi, ma la voglia di pace, di un’altra via tra la guerra e il tiranno, non è importante?
«Arriva il momento in cui bisogna fare scelte. La Resistenza italiana, francese o jugoslava fu giusta, ma sanguinosa. Gli Alleati non la lasciarono sola. Che lo voglia o no, chi vuol lasciare soli i rivoluzionari libici è con Gheddafi, non è neutrale. E schiavo di miti come l’ossessione della pace a ogni costo che a Monaco 1938 portò Londra e Parigi a cedere a Hitler. O il mito del patto Molotov-Ribbentrop, giustificato dall’Urss perchè anti-imperialista».
E la nonviolenza alla Gandhi?
«Gandhi vinse contro un imperialismo democratico, non contro un tiranno sanguinario pronto a sterminare il suo popolo. Gandhi potè trovare una terza via, per i rivoluzionari libici la terza via non esiste sul campo. È triste che non lo si capisca. Agire è giusto, come lo fu contro Milosevic e i suoi massacri in Bosnia e in Kosovo. La guerra è sanguinosa, lo fu anche la Resistenza nell’Europa occupata dall’Asse. Ma allora gli italiani dovrebbero rinnegare la Resistenza? I jet occidentali hanno fermato i Panzer di Gheddafi che puntavano su Bengasi per un bagno di sangue. E in Tunisia ed Egitto la rivoluzione ha vinto perchè gli Usa, influenti sulle forze armate locali, le hanno convinte a non fare stragi. In Libia è diverso».
La voglia della “terza via” però è forte in una parte dell’opinione pubblica? Perchè, secondo lei?
«Per i precedenti della guerra in Iraq, dove non c’era un movimento rivoluzionario da appoggiare, e perchè in Afghanistan la situazione è difficile. Ma ricordiamo che dopo la prima guerra alleata in Iraq (contro l’occupazione irachena del Kuwait-ndr), prima ci fu la no-fly zone, poi Saddam massacrò 500mila sciiti e sterminò col gas un’intera città curda. Spesso chi protesta nel mondo del benessere non s’immagina cosa sia vivere sotto dittatori come Gheddafi. Ciò ha a che fare con ideologie marxiste-leniniste: il mondo diviso in cattivi e buoni, l’imperialismo cattivo e tutti i suoi nemici buoni».
Come giudica la non partecipazione della Germania alla coalizione anti-Gheddafi?
«Merkel e Westerwelle sono opportunisti, fiutano aria di pacifismo e temono per le elezioni di domenica. Potrei capirli solo se criticassero l’amicizia passata di Berlusconi e Sarkozy con Gheddafi, ma non lo fanno. In troppi amano solo le rivolte che vengono sconfitte, facile poi chiudere gli occhi davanti alla repressione, come con la Spagna lasciata a Franco».
Andrea Tarquini
(da “La Repubblica”)
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Marzo 21st, 2011 Riccardo Fucile
L’ORRORE DELLA REPRESSIONE ORDINATA DAL CRIMINALE GHEDDAFI NON RISPARMIA DONNE E BAMBINI….PARLA OMAR, UN PROFESSIONISTA LIBICO FUGGITO GIOVEDI DAL SUO PAESE
Omar (nome di fantasia) è un libero professionista libico. In Italia ci è arrivato giovedì.
E’ partito dal Cairo dopo l’inizio dei bombardamenti a Ajdabiyah, città a 160 chilometri da Bengasi.
“Siamo partiti in 14 su minibus privati diretti verso il confine egiziano che oggi, con tutta probabilità , è chiuso. Alcuni di noi, tra cui anche donne e bambini, sono rimasti in Egitto, altri sono venuti in Italia o si sono diretti a Beirut. Le milizie non controllavano la frontiera e gli egiziani hanno aiutato i profughi libici facilitando le pratiche burocratiche dei passaporti. C’erano molti volontari disposti a darci una mano”.
Omar era in Libia sin dall’inizio della rivoluzione, ma due giorni fa ha deciso di partire prima che la situazione degenerasse anche a Bengasi, come è accaduto nelle ultime ore.
Spiega che l’informazione dei media occidentali è stata carente, che non hanno fornito una copertura esauriente di quanto accadeva a Tripoli.
“I giornalisti hanno fatto un uso massiccio delle notizie diramate da Jana, l’agenzia governativa. Certo, è stata data voce anche a denunce e al massacro dei civili, ma le fonti più attendibili erano le forze di opposizione. Non sono d’accordo con chi li chiama ribelli o insorti. Sono soltanto oppositori del regime”.
Gheddafi, che Omar definisce “un pazzo visionario, un megalomane che vuole spargere sangue per entrare nella storia”, ha sottoposto il suo popolo a violenze e repressioni durissime.
“Da est a ovest del paese ci sono stati rastrellamenti sistematici casa per casa. I primi sono stati a Tripoli dopo il 17 febbraio, giorno della manifestazione ufficiale a Bengasi contro il governo. La Cirenaica è sempre stata contro la dittatura, e per quello è la regione meno sviluppata, senza infrastrutture. Hanno preso tanti giovani, soprattutto attivisti politici. Molti sono spariti, i corpi occultati, e chi è tornato a casa ha dovuto firmare dichiarazioni di fedeltà al regime”.
Gheddafi, che ha definito i suoi concittadini “topi, ratti da stanare”, ha fatto ampio uso di mercenari provenienti principalmente da Niger, Ciad, Algeria, Mauriotania, Gabon e Ghana integrati anche nell’esercito e addestrati per sparare ad altezza d’uomo.
“Erano pronti da dieci anni a intervenire”, prosegue Omar. “Gheddafi aveva intessuto rapporti politico-commerciali con i paesi dell’Africa subsahariana da cui ha ingaggiato migliaia di uomini per la sua incolumità .
Un amico mi ha riferito che la sua casa è stata colpita, che i morti nell’ospedale sono oltre 50 e i feriti centinaia.
Hanno bombardato la Croce Rossa e lo stadio di Bengasi, le comunicazioni via cellulare sono possibili soltanto attraverso il satellitare o la connessione a internet via parabola. A Misurata hanno tagliato anche l’acqua e la luce da giorni. Molti civili hanno le case dotate di scantinati che utilizzano come rifugi durante i bombardamenti”.
Nelle ultime settimane i media parlavano di gruppi a sostegno di Gheddafi che erano disposti a difenderlo anche con le armi.
“E’ tutto fasullo, nessuno lo vuole più alla guida guida del paese. Sono gli uomini dei suoi apparati quelli che avete visto sui giornali vestiti in abiti civili, gli orfani indottrinati dal regime”.
Omar è convinto che con l’intervento internazionale queste siano le ultime ore per il leader che, tuttavia, non è intenzionato ad arrendersi.
Il popolo libico è però deluso dal tardivo intervento occidentale, che avrebbe dovuto attaccare già la settimana scorsa, e al temporeggiamento di Berlusconi.
“Non c’è odio nei confronti degli italiani, anzi. Ma avremmo preferito parole più nette sin dall’indizio al posto dell’intenzione dichiarata di non interferire, che si è tramutata in indifferenza. Spero che lo prendano vivo, deve essere processato. Troppo comodo se muore”.
Il ringraziamento di Omar va ai popoli maghrebini di Tunisia ed Egitto, i primi a insorgere: “Se Ben Ali e Mubarak fossero ancora al potere — conclude Omar — in Libia non sarebbe successo nulla. Tutti volevamo che Gheddafi se ne andasse eppure, in mancanza di alternativa, speravamo che suo figlio Saif Al-Islam ci facesse transitare verso la democrazia. Ma si è rivelato peggiore del padre, meglio averlo saputo prima”.
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Marzo 20th, 2011 Riccardo Fucile
CREATORE DI “AL HURRA TV”, DENUNCIAVA LE INFAMIE DI GHEDDAFI AI DANNI DEL POPOLO LIBICO….”NON HO PAURA DI MORIRE, HO SOLO PAURA DI PERDERE QUESTA BATTAGLIA PER LA LIBERTA”…ERA IL VOLTO DELLA RIVOLUZIONE CONTRO IL REGIME, ORA LA MOGLIE LANCIA UN APPELLO: “QUELLO CHE ABBIAMO COMINCIATO NON DEVE FINIRE, COSTI QUEL CHE COSTI: FATE IN MODO CHE LUI NON SIA MORTO INUTILMENTE”
Nell’ultima trasmissione sulla sua Web-tv, aveva mostrato le macchie di sangue sui cuscini di due bambini di 4 e 5 anni, uccisi a Bengasi da un missile delle forze libiche leali a Gheddafi.
«Che cosa sarebbe successo se fosse stata casa nostra, se fosse stata la nostra stanza da letto?», si era chiesto in diretta stream Mohammad Nabbous, creatore di Al Hurra tv e volto principe del “giornalismo partecipativo” libico con il nomignolo di “Mo”.
Ci teneva a fornire le prove di quello che stava succedendo, voleva sottolineare che il cessate il fuoco proclamato dal regime di Tripoli era in realtà una finzione: «Voglio che i media vedano quello che sta accadendo qui».
E lo ha fatto fino all’ultimo, anche con una trasmissione telefonica interrotta all’improvviso.
Sembrava un guasto al telefono.
Ma la moglie Perdita, incinta, lo ha trovato morto, ucciso da killer legati al regime del colonnello, cecchini che lo hanno fulminato con un proiettile in testa.
«Voglio far sapere a tutti voi che Mohammed è morto per questa causa e speriamo che la Libia un giorno sia libera», ha detto sulla stessa web tv la moglie in lacrime: «Non fermiamoci, finchè non è finito tutto. Quello che abbiamo cominciato non deve finire, costi quel che costi. Ognuno faccia tutto il possibile per questa causa. Vi prego, gente, fate in modo che Mohammed non sia morto inutilmente».
Faccia scavata e sorridente, Nabbous amava sghignazzare sulla “Guida della rivoluzione” che «appare sempre sotto l’effetto di droghe allucinogene» e non aveva paura di sfidare il regime. «Non ho paura di morire, ho paura di perdere questa battaglia», diceva.
Era diventato quasi il volto della rivoluzione contro il regime di Gheddafi, uno dei primi a essere intervistato dopo la liberazione di Bengasi.
Per il popolo della Rete, “Mo” era «l’uomo che è stato in piedi notte e giorno per cercare di far conoscere al mondo cosa sta succedendo in Libia».
E lo stesso popolo si è radunato ieri in modo virtuale a segnalare il cordoglio con messaggi su Twitter e Facebook.
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Marzo 19th, 2011 Riccardo Fucile
COLPITI OBIETTIVI PRECISI E DIFESE AEREE LIBICHE: MISSILI CRUISE STANNO MARTELLANDO TRIPOLI … OBAMA HA DATO IL VIA LIBERA ALL’OPERAZIONE “ODISSEA ALL’ALBA” PER DISTRUGGERE LA DIFESA CONTRAEREA DI GHEDDAFI
E’ in corso l’operazione ‘Odissea all’alba” per distruggere la contraerea libica. Lo annuncia il Pentagono, precisando che oltre agli Usa sono coinvolti Gb, Francia, Italia e Canada.
Le operazioni americane sono guidate dal generale Carter Ham, e hanno l’obiettivo di consentire le operazione decise dall’Onu.
In teleconferenza dal Pentagono,un portavoce ha precisato che sono coinvolti missili Cruise e che l’obiettivo delle operazioni condotte in particolare dagli Usa è la distruzione delle installazioni della contraerea libica, che è integrata e si trova essenzialmente lungo la costa.
L’approccio dell’operazione è multifase ma le fonti militari Usa non ne hanno precisato la durata, e altri paesi potrebbero unirsi ai cinque attualmente coinvolti nelle operazioni complessive.
A spingere Usa ed alleati ad intervenire, è il fatto che il colonnello Muammar Gheddafi si sta muovendo “in maniera chiaramente offensiva”, hanno precisato le fonti.
Una volta neutralizzata la contraerea libica, entreranno in funzione i caccia alleati per sorvegliare la no-fly zone.
Nel pomeriggio i caccia bombardieri francesi avevano distrutto quattro carri armati. Ma è con il sopraggiungere della sera che il Pentagono ha annunciato l’inizio dell’operazione “Odissea all’alba”.
I missili cruise lanciati dalle navi statunitensi stanno martellando Tripoli, Misurata e l’est del Paese.
Nei raid aerei in corso su Misurata, città della Tripolitania, sono stati bombardati i depositi che contengono le riserve di carburante delle brigate di Muammar Gheddafi.
E’ stata bombardata poco fa anche una base militare utilizzata dalle brigate Gheddafi nella città di Misurata.
Secondo quanto annunciano i siti dell’opposizione libica, è stata presa di mira la caserma che ospita l’accademia aeronautica, occupata nei giorni scorsi dai fedelissimi di Gheddafi.
Poco fa gli insorti avevano annunciato la presenza di caccia francesi sui cieli della città e la fuga dei soldati di Gheddafi dalla sede dell’accademia.
Le operazioni dell’aeronautica militare francese contro il regime libico di Muammar Gheddafi dovrebbero proseguire durante la notte. Lo dice una fonte del ministero della Difesa di Parigi.
I missili britannici e americani hanno colpito oltre 20 obiettivi strategici libici, in larga parte a ovest del Paese.
Si tratta di sistemi di difesa aerea e altri snodi di comunicazione strategica, tutti situati sulla costa.
“Il colonnello Muammar Gheddafi sta vivendo le sue ultime ore”.
E’ quanto ha affermato Fatha al-Bahja, portavoce del Consiglio nazionale dell’opposizione libica, nel corso di un collegamento telefonico con la tv araba ‘al-Jazeerà .
“Con l’intervento militare internazionale potremo dimostrare di essere in grado di sconfiggere le brigate di Gheddafi — ha aggiunto — vedrete presto come i mercenari ed i criminali al soldo di Gheddafi si arrenderanno. Ora possiamo eliminare le forze del regime”.
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