ASSASSINATO DAI SICARI DI GHEDDAFI IL GIORNALISTA “MO”, PRIMA VOCE DELLA LIBIA LIBERA
CREATORE DI “AL HURRA TV”, DENUNCIAVA LE INFAMIE DI GHEDDAFI AI DANNI DEL POPOLO LIBICO….”NON HO PAURA DI MORIRE, HO SOLO PAURA DI PERDERE QUESTA BATTAGLIA PER LA LIBERTA”…ERA IL VOLTO DELLA RIVOLUZIONE CONTRO IL REGIME, ORA LA MOGLIE LANCIA UN APPELLO: “QUELLO CHE ABBIAMO COMINCIATO NON DEVE FINIRE, COSTI QUEL CHE COSTI: FATE IN MODO CHE LUI NON SIA MORTO INUTILMENTE”
Nell’ultima trasmissione sulla sua Web-tv, aveva mostrato le macchie di sangue sui cuscini di due bambini di 4 e 5 anni, uccisi a Bengasi da un missile delle forze libiche leali a Gheddafi.
«Che cosa sarebbe successo se fosse stata casa nostra, se fosse stata la nostra stanza da letto?», si era chiesto in diretta stream Mohammad Nabbous, creatore di Al Hurra tv e volto principe del “giornalismo partecipativo” libico con il nomignolo di “Mo”.
Ci teneva a fornire le prove di quello che stava succedendo, voleva sottolineare che il cessate il fuoco proclamato dal regime di Tripoli era in realtà una finzione: «Voglio che i media vedano quello che sta accadendo qui».
E lo ha fatto fino all’ultimo, anche con una trasmissione telefonica interrotta all’improvviso.
Sembrava un guasto al telefono.
Ma la moglie Perdita, incinta, lo ha trovato morto, ucciso da killer legati al regime del colonnello, cecchini che lo hanno fulminato con un proiettile in testa.
«Voglio far sapere a tutti voi che Mohammed è morto per questa causa e speriamo che la Libia un giorno sia libera», ha detto sulla stessa web tv la moglie in lacrime: «Non fermiamoci, finchè non è finito tutto. Quello che abbiamo cominciato non deve finire, costi quel che costi. Ognuno faccia tutto il possibile per questa causa. Vi prego, gente, fate in modo che Mohammed non sia morto inutilmente».
Faccia scavata e sorridente, Nabbous amava sghignazzare sulla “Guida della rivoluzione” che «appare sempre sotto l’effetto di droghe allucinogene» e non aveva paura di sfidare il regime. «Non ho paura di morire, ho paura di perdere questa battaglia», diceva.
Era diventato quasi il volto della rivoluzione contro il regime di Gheddafi, uno dei primi a essere intervistato dopo la liberazione di Bengasi.
Per il popolo della Rete, “Mo” era «l’uomo che è stato in piedi notte e giorno per cercare di far conoscere al mondo cosa sta succedendo in Libia».
E lo stesso popolo si è radunato ieri in modo virtuale a segnalare il cordoglio con messaggi su Twitter e Facebook.
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