Ottobre 15th, 2013 Riccardo Fucile
CAMERA E SENATO NON RISPONDONO SULLE INTERCETTAZIONI, IL GIP STRALCIA
Sono passati tre anni e tre mesi dagli arresti dell’inchiesta P3 e sei mesi dalla richiesta del giudice di Roma al Parlamento di utilizzare le telefonate dei tre parlamentari indagati: Denis Verdini, tuttora senatore Pdl, Marcello Dell’Utri — ex senatore — e Nicola Cosentino, ex deputato Pdl.
Il clima delle grandi intese non favorisce la celerità del procedimento.
Così le telefonate di altri indagati che parlavano con i parlamentari (53 volte con Verdini e 70 con Dell’Utri) non possono essere usate in giudizio contro di loro.
Dopo avere atteso mesi senza che le due giunte per le autorizzazioni di Camera e Senato si degnassero di dare il loro parere, il Giudice per l’udienza preliminare, Elvira Tamburelli, ieri ha stralciato la posizione dei tre imputati illustri è ha disposto per loro il rinvio dell’udienza al 3 dicembre.
La legge non prevede un termine per il Parlamento.
Teoricamente la Camera e il Senato possono far prescrivere i reati (i fatti sono del 2009) non decidendo nulla.
Non si esclude una riunione del procedimento dei politici con quello dei comuni mortali, se il Parlamento deciderà entro un mese.
Altrimenti i tre politici finiranno il loro giudizio su un binario più lento.
Intanto, per gli altri 17 imputati ‘comuni’ il processo proseguirà comunque.
Il prossimo 17 ottobre il pm Mario Palazzi dovrà ribadire la richiesta di rinvio a giudizio. La speranza del giudice Tamburelli è che nel frattempo le Camere si diano una smossa.
Anche la magistratura non ha brillato in celerità : solo a gennaio del 2012 è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio e la richiesta di autorizzazione per le telefonate è stata inviata il 12 aprile del 2013. Poi la Camera ci ha messo del suo.
Per giustificare il ritardo nella decisione su Denis Verdini, il presidente della giunta per le autorizzazioni della Camera, Ignazio La Russa, paventa una sorta di autoconflitto di attribuzione.
Verdini era un deputato all’epoca dei fatti mentre oggi è un senatore. Quale giunta deve giudicarlo?
Da buon avvocato e da buon ex collega di partito di Verdini, Ignazio La Russa si appella al rischio di un’interpretazione difforme: “Se per esempio la Camera — spiega — dicesse no e il Senato dicesse sì, chi potrebbe stabilire qual è la decisione dell’organo competente? Si può sollevare il conflitto di attribuzione tra Parlamento e governo ma non tra due rami dello stesso potere. E dunque — prosegue La Russa — bisogna giungere a una scelta condivisa. Io ho proposto una riunione congiunta delle due giunte ma non c’è stata unanimità dei colleghi del Senato”.
Per Dell’Utri e Cosentino, teoricamente, le cose dovrebbero essere semplici.
Il destino del primo sarà deciso dal Senato, dove militava, mentre su Cosentino anche La Russa non ha dubbi: “Certamente siamo competenti noi alla Camera”.
Il 3 dicembre si terrà l’udienza fissata dal Giudice.
Per quella data Camera e Senato saranno riusciti a pronunciarsi?
“Penso proprio di sì. Alla prima seduta utile — promette La Russa — metterò all’ordine del giorno la richiesta di Cosentino”. Poi, in caso di decisione favorevole, la parola passerà all’aula.
La sensazione è quella di una melina in favore di Verdini e soci.
Nell’ultima seduta della Giunta, il 9 ottobre scorso, Giulia Grillo del Movimento 5 Stelle ha fatto notare “è la quarta volta che trattiamo questo argomento ripetendo cose già dette. Questo è un comportamento poco serio”.
Più prudente l’atteggiamento del Pd che con Anna Rossomando si affida all’intervento della presidenza della Camera Boldrini, per favorire un coordinamento con il Senato.
Alla fine anche Dalila Nesci del Movimento 5 Stelle accetta di dare mandato al presidente La Russa di confrontarsi con il Senato purchè “la trattazione del caso non sia rinviato oltre la prossima settimana”.
Come sembra lontano il 2010.
Per settimane allora le prime pagine furono occupate dalle gesta dell’associazione segreta che voleva “condizionare il funzionamento degli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale”.
Le accuse andavano dall’influenza sulla Corte costituzionale per la decisione sul Lodo Alfano che interessava Berlusconi, all’avvicinamento della Cassazione per l’annullamento dell’arresto di Nicola Cosentino.
Dall’aggancio della Corte di appello di Milano per evitare l’annullamento delle elezioni vincenti di Roberto Formigoni in Lombardia fino al contrasto del candidato del Pdl, avversario di Cosentino e Ernesto Sica, nella corsa per la presidenza della Campania: Stefano Caldoro.
Dall’ottenimento di finanziamenti ai politici in cambio di sponsorizzazioni ai progetti delle centrali eoliche in Sardegna all’intervento sul CSM per la nomina dei capi degli uffici giudiziari più importanti.
Per tutte queste vicende molto importanti per il Pdl e per i suoi vertici rischiano di pagare solo personaggi di piccolo calibro come Pasquale Lombardi o Flavio Carboni che certo non avevano interessi propri nel Lodo Alfano.
Eppure oggi nessuno ricorda più nulla.
Nemmeno che il vicepresidente della Giunta del Senato è stato indagato e poi archiviato dagli stessi pm romani in quel procedimento.
Aveva partecipato a una riunione del 23 settembre 2009 a casa di Denis Verdini alla presenza di Marcello Dell’Utri.
Oggi dovrà decidere, anche sulle loro intercettazioni
Marco Lillo e Valeria Pacelli
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 15th, 2013 Riccardo Fucile
“NON POTETE GOVERNARE CON IL PD”….E TORNA L’IPOTESI MARINA
Il voto sulla sua decadenza da senatore diventa il nuovo spartiacque. O con lui o contro di lui. Alla corte di Silvio Berlusconi il clima torna a surriscaldarsi.
I ministri sempre più nel mirino anche per il mancato argine opposto al Pd sulla legge di stabilità . Rischio crisi archiviato, ma la via della scissione diventa d’improvviso la più battuta.
Stavolta è il Cavaliere ad accendere la miccia. «Mi hanno voltato le spalle nel momento di mia maggiore debolezza. Ma se resteranno con questo Pd che sta per votare la mia decadenza, la convivenza sarà impossibile».
Alfano e gli altri? Dovranno «farsene una ragione: o con me o con i miei carnefici ».
È un lunedì ancora una volta a tinte fosche, a Villa San Martino. Berlusconi lo trascorre coi vertici dell’azienda, avvocati e figli.
Nel pomeriggio le porte si aprono per i senatori Paolo Romani, Maurizio Gasparri e Altero Matteoli, rimasti al suo fianco e tra i pochi non schierati tra lealisti e alfaniani.
Con loro si dice preoccupato per l’andazzo nel Pdl ma anche per un governo che con la legge di stabilità rischia di «alzare ancora la pressione fiscale: per noi è inaccettabile».
Escono loro e a cena arriva la coppia più detestata da ministri e filogovernativi Pdl: Daniela Santanchè e il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, del quale in almeno due occasioni il vicepremier Alfano avrebbe chiesto al capo il siluramento.
Ma non tira aria di repulisti in quella direzione, ad Arcore. Ne ha avuto conferma anche il fondatore dell’Esercito di Silvio, Simone Furlan, ricevuto invece domenica e invitato a tenere accesi i motori.
Tutto è in movimento, Berlusconi non intende affatto rassegnarsi, sogna ancora il voto in primavera.
Uno studio commissionato in questi giorni avrebbe confermato come il simbolo Forza Italia funzioni più di altri, ma a patto che campeggi ancora il brand Berlusconi.
Risultato che, nell’impossibilità di ricandidare premier il capo famiglia, in casa ha rimesso in circolo l’opzione della successione dinastica. Con Marina (meno probabile Barbara) in prima fila.
Non solo la guerra interna al partito, ma ieri anche il balletto attorno all’amnistia da estendere o meno a lui – con il ministro Cancellieri intervenuta di nuovo per censurare – gli ha fatto saltare i nervi.
«Polemiche strumentali, questa storia degli atti di clemenza non mi riguarda affatto»,taglia corto con chi lo va a trovare. Ma nel giorno in cui tutti i “lealisti”, a cominciare da Fitto, per proseguire con la Gelmini e tanti altri tornano a giurare fedeltà a lui sui social network, Berlusconi si lascia andare a commenti al curaro.
«Chi vuole lasciare il partito e tradire faccia pure, mi chiedo dove vanno senza di me e i miei soldi » avrebbe commentato, forte dei 102 milioni di fideiussioni personali che blindano Forza Italia.
La partita si gioca ora con la decadenza di fine ottobre: il Pd voterà a favore e chi resterà al governo con i “nemici” sarà fuori.
Berlusconi confida di non poterne più, che si terrebbe volentieri lontano dalle beghe di partito. Ma preannuncia per oggi il ritorno a Roma, salvo ripensamenti, per incontrare ancora una volta i contendenti Fitto e Alfano. Proverà a imporre una tregua, almeno fino alla decadenza.
«In queste ore va molto di moda nel mio partito lo spread del berlusconismo – ironizza la ministra Nunzia De Girolamo su twitter – Un differenziale fra chi è fedele o meno a Berlusconi».
Ma sarà quello a contare alla fine.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 14th, 2013 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE PROVA A FRENARE ALFANO E FITTO: “SONO STUFO DI QUESTA GUERRA”…. MA LE COSE NON SONO PIU’ COME PRIMA
Fine delle ostilità . Silvio Berlusconi prova a imporre lo stop.
Interviene in serata con poche righe, un concentrato di irritazione e stanchezza, dopo l’ennesima giornata combattuta dai due schieramenti che ormai si fronteggiano nel partito a colpi di dichiarazioni e interviste.
Decisione presa dal Cavaliere ad Arcore nel tardo pomeriggio, d’intesa col portavoce Paolo Bonaiuti, tra i (pochi) mediatori nella battaglia campale di queste ore.
Il centralino di Villa San Martino è stato preso d’assalto per l’intero fine settimana.
«Basta polemiche improduttive, sulle agenzie di stampa leggo troppe dichiarazioni di troppi esponenti del Pdl – scrive l’ex premier nella nota – E invito tutti a non proseguire in questa direzione del tutto improduttiva. Le diverse opinioni si devono confrontare non sulle agenzie di stampa e sui giornali, ma attraverso una serena dialettica all’interno dei luoghi delegati del nostro movimento ».
Luoghi delegati, scrive. Che, stando a chi ha parlato di recente con Berlusconi, potrebbero coincidere con il Consiglio nazionale Pdl, da convocare non ora, non subito.
Il leader prima vuole lasciar decantare le tensioni interne ormai giunte al punto di rottura.
Ma guai a insistere sul congresso, come fa da giorni Fitto, o sulle primarie, come fanno adesso Alfano e Lupi.
«Vogliono le primarie perchè mi considerano già finito, ma si renderanno conto che non è così», ha commentato un Berlusconi provato ma non domo, in uno dei colloqui telefonici con cui ha cercato di tenere sotto controllo la situazione.
Sfoghi in cui non sono mancate amare considerazioni sull’ala governativa: «Sono ormai in mano a Cl», a Comunione e liberazione, dice alludendo al peso della cordata Lupi-Formigoni, molto lombarda e molto ciellina appunto.
Ma ce l’ha anche con Fitto che sta tirando «troppo» la corda col rischio di spezzarla.
Il Cavaliere li ha lasciati sfogare per giorni, ora vuole dimostrare di essere ancora l’unico in grado di tenere tutto a bada, tutti insieme.
Ma non è più come prima, gli equilibri sono cambiati.
A indispettire Berlusconi, in ultimo, è stata proprio l’insistenza sulle primarie. Dopo il vicepremier che aveva ripescato l’idea due giorni fa da Prato, ieri da Sky proprio il ministro Maurizio Lupi ha riacceso la bagarre: «Noi siamo stati quelli che un anno fa volevano le primarie, quando sembrava che Berlusconi non dovesse più scendere in campo. È il più innovativo, rispetto a tessere e congressi, per scegliere un nuovo leader, se Berlusconi non si ricandiderà , e anche una nuova classe dirigente».
È mezzogiorno e da quel momento si scatena una pioggia di reazioni contrarie di “lealisti” vicini a Fitto, comunque berlusconiani che invocano l’azzeramento dei vertici.
Rotondi, Gelmini, Bernini, Carfagna, tra gli altri, oppongono il loro «no alle primarie, tutti i poteri a Berlusconi».
Alfano e i suoi tornano sul piede di guerra, si sentono assediati, nuove fibrillazioni e rischio scissione che torna ad aleggiare.
È a quel punto che il Cavaliere decide di intervenire. «Parecchio stufo della guerra interna» spiegano.
Per nulla intenzionato a rientrare a Roma per sorbirsi nuove riunioni, a quanto pare. Forse lo farà a metà settimana, ma non è scontato. Anche perchè le posizioni restano immutate.
Alfano e Fitto ai ferri corti. In serata, il capogruppo Brunetta a Che tempo che fa da Fazio, fresco di passaggio al fianco dei governativi, getta acqua sul fuoco: «Non faremo regalo agli avversari. Fino a quando ci sarà Berlusconi, questo partito resta berlusconiano».
Il Cavaliere invece è già storia passata, a sentire il sindaco di Verona Flavio Tosi, intervenuto ieri alla Repubblica delle Idee a Venezia.
Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, è il vincitore nel braccio di ferro con l’ex premier Berlusconi, dice: «A livello di governo, e quindi di peso in Parlamento, l’ha già spuntata Alfano. Perchè Berlusconi, oltre a sbagliare politicamente la mossa, non condivisa neanche dagli elettori di centrodestra, di far cadere Letta per la questione della sua decadenza, ha anche perso la battaglia parlamentare. Siccome in Parlamento Berlusconi ha perso, è chiaro che una ricomposizione nel Pdl è assolutamente impossibile».
Lo stesso Tosi sponsorizza (come Alfano) le primarie, pronto a candidarsi anche lui «alla guida del centrodestra».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 13th, 2013 Riccardo Fucile
SI CONTANO 20 DICHIARAZIONI DIVERSE IN UN GIORNO FESTIVO, SPESSO IN CONTRASTO TRA LORO… MA SUBITO DOPO SI RICOMINCIA
Niente pubblicità , il confronto nel partito non si deve fare sulle agenzie di stampa, ma all’interno del partito.
La nota diffusa da Palazzo Grazioli è insolitamente breve, ma il senso è chiaro: i panni si sa dove dobbiamo lavarli.
“Sulle agenzie di stampa — afferma Silvio Berlusconi — leggo troppe dichiarazioni di troppi esponenti del Pdl. E invito tutti a non proseguire in questa direzione del tutto improduttiva. Le diverse opinioni si debbono confrontare non sulle agenzie di stampa e sui giornali ma attraverso una serena dialettica all’interno dei luoghi delegati del nostro movimento”.
Certo, parlare di ipotesi di confronto vero (cioè un congresso) sembrerebbe eccessivo per un partito come il Popolo delle Libertà .
Ma è la prima mossa politica di Silvio Berlusconi dopo la sua personale Waterloo del Senato, quando decise di dare la fiducia al governo Letta dopo aver cambiato idea 4 volte in poche ore e soprattutto dopo aver sputato fiamme per una settimana (con dimissioni di massa dei parlamentari a ministri ritirati).
Il Cavaliere, dunque, come prima cosa punta a ricostruire l’unità , almeno in apparenza, cioè cercando di riformare quanto è accaduto negli ultimi anni.
Tanto che il primo a rispondere è proprio colui che ha messo l’ex presidente del Consiglio nell’angolo nella giornata del voto della fiducia: “Sono pienamente d’accordo con il presidente Silvio Berlusconi — replica Angelino Alfano — Stop alla alluvione di agenzie per addetti ai lavori. Cambiare luoghi e toni della dialettica del nostro movimento”.
Durante la giornata — peraltro domenica, con le Camere chiuse e i talk show lontani — si erano registrate dichiarazioni di almeno 20 esponenti del Pdl che parlavano del Pdl: chi invitava all’unità , chi rilanciava la proposta di Raffaele Fitto di azzerare i vertici, chi parlava di dare tutta la gestione in mano allo stesso Berlusconi, chi dichiarava che era meglio smettere di non dichiarare, chi polemizzava invitando a evitare le polemiche.
Dalla Carfagna alla Gelmini, da Rotondi a Gasparri, passando per Sacconi, Polverini, il ministro Nunzia De Girolamo che l’altro giorno era al fianco di Alfano nella conferenza stampa che ha fatto infuriare i fedelissimi di Berlusconi e oggi afferma che “Berlusconi e Alfano erano e restano i riferimenti della nostra azione politica. Entrambi invocano unità e noi abbiamo il dovere della responsabilità ”.
E dopo l’intervento di Berlusconi contro le troppe dichiarazioni alle agenzie di stampa gli esponenti del Pdl come reagiscono?
Con altre agenzie di stampa: Osvaldo Napoli e lo stesso Fitto.
Quest’ultimo ovviamente ha un obiettivo, far passare il messaggio che a “vincere” è stato lui che parlava di rimettere tutto in mano al presidente.
I retroscena parlano di stallo tra “lealisti” e “alfaniani” sul progetto del nuovo Pdl, sul futuro organigramma e sulle modalità per costituirlo.
I falchi alzano la voce e cercano di mettere nell’angolo i governativi, imponendo il loro ruolino di marcia che non concede molti spazi ad Angelino Alfano sulla futura gestione degli azzurri.
Ma è una strategia che mette in difficoltà , appunto, l’ex presidente del Consiglio che, ora più che mai, ha bisogno di un partito unito e relativamente tranquillo per gestire al meglio le sue vicende giudiziarie e personali.
La trattativa dunque prosegue con un nulla di fatto della trattativa tra i contendenti che non risparmia lo stesso Berlusconi.
Il Cavaliere viene risucchiato in un pericoloso gioco del cerino che rischia di portare il Pdl ad una implosione senza via di ritorno, tanto che continua a essere concreta l’ipotesi della scissione dei gruppi parlamentari.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 12th, 2013 Riccardo Fucile
INSULTI INCROCIATI, VECCHIE CONVERSAZIONI REGISTRATE, CALUNNIE GRATUITE E UN PROBLEMA INSORMONTABILE: VICINO AL CAPO NON SI MUOVONO PIÙ I SOLDI
Silvio Berlusconi è circondato. Ma non dalle forze dell’ordine. 
Ad assediare l’Autocrate Condannato, in queste settimane tragiche e convulse, è come un branco infinito di piranha che reclamano attenzione e antichi privilegi.
In una sola parola: soldi.
E tra Arcore e Palazzo Grazioli a Roma, le residenze più frequentate, anzi battute dal Cavaliere adesso c’è anche un problema, in un certo modo connesso alla spending review “familiare” avviata dalla giovane fidanzata Francesca Pascale su fagiolini e pesce: nessuno vuole muovere danaro o fare acquisti per conto di B.
Come se i suoi bigliettoni d’improvviso scottassero.
La fonte interpellata, un tempo vicinissima al Re Sole del centrodestra, riferisce molti episodi con cifre e nomi, soprattutto relativi a donne.
E fa un esempio, citando un notissimo ex senatore del Pdl, oggi anziano e malato: “Quando Berlusconi voleva regalare una Mini alla ragazza di turno (la Mini è una griffe famosa delle cene eleganti, ndr) chiamava questo senatore e gli chiedeva di comprarla. Ecco, oggi attorno a lui sono tutti terrorizzati e nessuno vuole muoversi per paura di essere monitorato dai magistrati”.
Di qui la moltiplicazione dei pizzini e degli avvertimenti recapitati al Caro Leader condannato, nel pieno di questa Salò del Terzo millennio.
Il caso più clamoroso è quello di Valter Lavitola, il faccendiere dell’affaire Montecarlo-Fini oggi ai domiciliari per bancarotta ed estorsione a B.
Nell’intervista di Lavitola a Servizio Pubblico, l’ex socialista craxiano ammette riferendosi a se stesso, a proposito della differenza di trattamento con il pugliese Tarantini, aiutato da B.: “Forse non aiuta chi sa che non lo tradisce. Forse però lo affermo per amarezza”.
Poi la rivelazione su un archivio audio segreto, dopo il teatrino del presunto memoriale da consegnare ai magistrati di Napoli: “Vengo dalla vecchia scuola socialista. Il presidente Craxi diceva sempre: ‘Conserva sempre tutto e non usare mai niente, neppure contro i nemici’”.
Più chiaro di così.
Ma cosa conserva, Lavitola, al punto da aver seminato il panico nella corte del Cavaliere da almeno due mesi? Non solo.
Fonti autorevoli raccontano che pure Tarantini vivrebbe una difficile situazione psicologica. Un altro tormento in arrivo per il Condannato?
In questo girone dantesco della Salò berlusconiana, dove invidia, lussuria e avidità sono vizi consolidati della corte, è piombata da alcuni mesi la fidanzata “ufficiale” Francesca Pascale.
Ed è contro di lei, invece, che si scagliano insulti e insinuazioni di ex predilette del Cavaliere, un tempo beneficate.
L’ultima offesa è dell’attrice bulgara Michelle Dragomira Bonev che ha scritto: “Francesca Pascale è lesbica, io sono molto più che una sua amica e la storia d’amore con Berlusconi è una messinscena”.
Nell’uscita della Bonev colpisce soprattutto una cosa. Cioè, che in questo momento, nel giro ristrettissimo del cerchio di B., ci sono altre due versioni confezionate sulla presunta omosessualità della Pascale, napoletana di Fuorigrotta.
La prima, alimentata da qualche falco caduto in disgrazia, riguarda il rapporto esclusivo tra la “fidanzata” e la primogenita di Berlusconi, indicata anche per la successione politica: Marina.
L’asse tra le due, si racconta, sarebbe stato decisivo per la retromarcia all’ultimo minuto sulla fiducia al governo Letta. Altro che Alfano e le colombe di governo.
La seconda versione tira in ballo l’ex pupa Elena Morali, già fidanzata del Trota Bossi. La Morali è una delle poche che si è salvata dall’epurazione pascaliana (nel senso della Pascale, non del filosofo) e frequenta ancora Villa San Martino.
E così le escluse malignano sul rapporto tra lei e “Francesca”.
Anche in questo caso, ovviamente, a dettare legge sono i soldi. Gli attacchi alla “fidanzata” stanno avendo un’escalation impressionante. In origine furono Sabina Began (“Io e lui ci ameremo per sempre”) e la terribile montenegrina Katarina Knezevic (“Silvio sposerà me, non la Pascale”).
A loro si è aggiunta da poco Imma De Vivo, la gemella di Eleonora, coppia storica del Bunga Bunga: “Tutti sono capaci di vivere nell’agio e nel lusso. E vedo che Francesca si è calata già molto bene nella parte. Ricordo che prima delle elezioni una sera Berlusconi a noi ospiti disse: ‘Dopo il voto la lascio’”.
Ma a sorprendere per durezza e volgarità sono i recentissimi tweet di Barbara Guerra. La Pascale è definita come “cessa”, “disperata”, “munnezza” e “zoccola”. La Guerra è una memoria vivente delle serate del Condannato e i suoi ricordi potrebbero provocare altri terremoti.
Tra le ragazze delle “cene eleganti” vige da sempre una gerarchia regolata dai benefit. Il più ambito è la casa (Began e altre), poi l’auto e le rendite mensili.
E per chi, da olgettina, prende 2.500 euro al mese è dura leggere delle case delle altre. Se a questo sommiamo la spending review della Pascale e la paura attorno a B., allora è impossibile immaginare un epilogo indolore per il Condannato circondato.
Fabrizio D’Esposito
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Ottobre 11th, 2013 Riccardo Fucile
AL PRANZO CON GLI EUROPARLAMENTARI IL CAVALIERE NON SI TRATTIENE
C’è qualcosa che va oltre e rischia di travolgere tutto questo dibattito su lealisti e traditori, congresso,
organigrammi, vecchie glorie che non vogliono scomparire, giovani ambiziosi, amazzoni scatenate.
È la rabbia. La rabbia di Berlusconi sta montando.
Non è un caso che per la prima volta da quando Alfano lo ha “costretto” a votare la fiducia, l’ex premier ha iniziato a sfogarsi.
Con l’obiettivo di “far uscire” all’esterno di palazzo Grazioli i suoi stati d’animo, le sue scomuniche e — forse — anche la sua voglia di vendetta.
Nel pranzo a palazzo Grazioli con gli europarlamentari il Cavaliere è un fiume in piena.
Parla del “tradimento” di Alfano, avvolge di veleno il comportamento dei ministri: “Si erano già messi d’accordo con Letta che le loro dimissioni sarebbero state poi respinte una volta presentate”.
Altro che fedeltà . Fa male il “tradimento”, loro e di Alfano, che si è materializzato nel modo più traumatico, in Aula, con quel foglietto con i 23 nomi del nuovo gruppo: “A quel punto — ha proseguito il Cavaliere — se avessimo votato la sfiducia avrebbero fatto un governo senza di noi”.
Parole che vengono lette con paura dai colonnelli di Alfano.
È chiaro che il vecchio leone si è svegliato, e sta iniziando a mandare messaggi, e a prendere nuovamente le distanze dal governo: “I ministri non li ho scelti io, io ho scelto solo Alfano”.
Chi conosce l’uomo sa che non si tratta di voci dal sen fuggite, ma di uno stato d’animo che rischia di riportare l’orologio indietro di una settimana, a prima della fiducia facendo fibrillare il governo, nel difficile passaggio della legge di Stabilità : “Avremmo dovuto votare — prosegue con i suoi ospiti — così cambiavamo la Severino”.
Per Berlusconi il senso di angoscia e di fine è soffocante, fa montare la voglia di rivincita, della zampata finale, ora che il calendario è sinonimo di ansia.
Con la giunta che vota martedì la relazione Stefà no e con la decadenza che arriverà in Aula entro i quindici giorni successivi.
Come sempre, quando si avvicinano scadenze dolorose il Cavaliere non si tiene. Ecco perchè trapela dallo staff di Alfano una preoccupazione non irrilevante. Berlusconi è tornato falco.
Il confine tra la paura e l’ossessione è labile.
Chi parla a telefono con lui racconta che ormai le telefonate sono uno sfogo continuo, sempre sugli stessi temi: i giudici, la questione Agrama, tutto ciò che non torna nei processi, magistratura democratica.
Il copione del condannato, che non prevede varianti sul tema. La testa è meno libera, la creatività inceppata, gli eventi più forti di lui.
È un altro Berlusconi. Falco d’animo, ma con le ali tarpate.
Una telefonata di Putin lo ha scioccato. Tanto che agli europarlamentari ha confidato: “Putin me lo ha sempre detto: te la faranno pagare, ti faranno fare la fine della Timoshenko”.
Per la prima volta dal voto di fiducia torna la miscela esplosiva di rabbia sulla persecuzione giudiziaria e voglia di rivincita politica.
È come se l’ex premier si sentisse in due prigioni, stretto in una doppia limitazione della libertà .
I servizi sociali e il governo Letta, prigione nella quale lo hanno costretto i suoi.
È in questo coacervo di emozioni che, chiuso a palazzo Grazioli con Ghedini, chiede di alzare il tiro sull’ultima battaglia, quella sulla decadenza: “Deve essere chiaro — spiega — il senso dell’ingiustizia subita. Dobbiamo usare il dibattito parlamentare per parlare all’Europa di quello che è accaduto”.
Una tribuna, per portare il caso Berlusconi all’attenzione internazionale, denunciando che la sinistra pur di farlo fuori ha applicato una norma retroattiva.
È come se la settimana passata dal voto di fiducia sia servita a prendere coscienza di quello che è accaduto. Qualcosa è cambiato. E qualcosa cambierà .
A partire dalla soluzione della faida interna. Che il Cavaliere proverà a risolvere a modo suo, prendendo un po’ di tempo, annacquando gli organigrammi, in attesa di un colpo risolutivo.
Fitto gli ha detto una frase che ha molto apprezzato: “Quando tornerai davvero il leader del tuo partito la mia battaglia sarà finita”.
Alfano, anche nel corso della cena, ha continuato a porre la questione in un modo che l’ex premier non ha apprezzato: “Voglio pieni poteri”.
E c’è già chi scommette, nella cerchia ristretta, che prima della decadenza farà una mattanza di chi lo ha tradito.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 11th, 2013 Riccardo Fucile
LEALISTI E COLOMBE CONTINUANO A DARSELE DI SANTA RAGIONE, IL PDL CROLLA NEI CONSENSI
A oltranza. Perchè è la trattativa più difficile. E la mediazione è dura anche per Silvio Berlusconi:
“Dobbiamo uscirne con una soluzione. Così non si va avanti, con un partito diviso”.
Quando il Cavaliere piomba a Roma si ritrova il Pdl pronto ad esplodere.
A nulla è servito il lavoro diplomatico da Milano, con appelli all’unità .
È nel faccia a faccia con Raffele Fitto, alle cinque in punto che Berlusconi capisce che, paradossalmente, stavolta la scissione rischia di essere la soluzione.
Una separazione consensuale, tra Forza Italia e Pdl. Perchè Angelino e Raffaele sono separati in casa. E si rischia l’implosione. È proprio quello che Berlusconi non vuole.
E allora avanti, finchè non si trova un accordo.
Eccole, le richieste sul tavolo di palazzo Grazioli. Fitto tiene il pugno di ferro, sia pur in un guanto di velluto: “L’azzeramento che è chiesto è una condizione non negoziabile. Il congresso sì, ma Angelino deve fare un passo indietro. Resta al ministero e alla guida del partito si trova una soluzione condivisa”.
Il ragionamento è che stavolta non si può far finta di nulla. È successo qualcosa di grave, col segretario del partito che prima ha detto “signor sì” alla sfiducia e poi in Aula ha “costretto” Berlusconi a tornare indietro minacciando di fare gruppi autonomi: “E’ un fatto di metodo — ripete Fitto — altrimenti non c’è logica. Io mi dimisi da ministro quando Palese perse le elezioni, visto che era un candidato voluto da me e non condiviso da Berlusconi. Alfano deve fare un gesto”.
Berlusconi capisce che su queste basi la mediazione non c’è.
Incassa la rinuncia al congresso. Ma la “testa” di Alfano è sinonimo di scissione. Perchè Angelino è stato chiaro. Ha spiegato al Cavaliere che bisogna decidere e che il tempo è scaduto: “Non possiamo più rinviare. Se ne deve uscire con una soluzione”.
Pieni poteri al partito e niente azzeramento le sue condizioni. Distanze incolmabili.
Il faccia a faccia con Fitto si protrae per ore. Arrivano Bondi e Verdini attorno alle sette, e poi Carfagna e Gelmini attorno alle otto.
Il Cavaliere prova a prendere tempo per cercare un varco. Tanto che allunga il negoziato con le parti. La cena con Alfano è rimandata. E a palazzo Grazioli la cena è con i falchi, per discutere fino a notte. Alle colombe sarà dedicato il venerdì. A oltranza, appunto.
Berlusconi usa il registro del padre di famiglia, del saggio che invita tutti a “non disperdere quello che abbiamo fatto in questo ventennio”.
Si affida alla cena, nella speranza che a tavola possa uscire un accordo impossibile. Ma il punto è la testa di Alfano. Fitto non molla.
Angelino è a palazzo Grazioli. E riceve, a uno ad uno, una quarantina di parlamentari a lui vicini: “Voglio un partito defalchizzato” ripete.
Sull’organigramma del Pdl la soluzione non c’è. E in serata Berlusconi valuta anche l’idea estrema di usare l’operazione Forza Italia per mettere ordine. Lo statuto di Forza Italia non prevede il ruolo di segretario.
Quindi toglierebbe Angelino ma senza spargimento di sangue.
Si va avanti, a oltranza.
(da “Huffington post“)
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Ottobre 10th, 2013 Riccardo Fucile
“COSI’ CI FACCIAMO SOLO DEL MALE”….SCONTRO APERTO TRA MINISTRI E “LEALISTI”
Ha promesso a mezzo partito che oggi tornerà a Roma. Per sentire tutti e riportare la «calma ».
Silvio Berlusconi è convinto di riuscire a tenere unite le due, tre anime che ormai spaccano il Pdl.
Anche se è fortemente tentato da una nuova eclissi, dal tenersi ancora lontano da Palazzo Grazioli come ha fatto anche ieri, raccontano gli amici più fidati che lo hanno sentito al termine dell’ennesima giornata da resa dei conti interna.
Nulla irrita in queste ore un Cavaliere del tutto assorbito dagli incubi giudiziari quanto la faida di partito, le scintille tra alfaniani e “lealisti” degenerate in incendio.
I cinque ministri convocano una conferenza stampa, gli altri lanciano la conta per pesarsi. «Così i nostri elettori capiscono solo che ci stiamo spaccando e finiremo tutti col farci del male», va ripetendo.
Salvo ripensamenti, in agenda il leader ha confermato oggi un vertice con Alfano e i capigruppo e, a seguire, un faccia a faccia con il capo degli “antigovernativi”, Fitto.
Si parla di un incontro a tre per congelare le ostilità .
Ieri Berlusconi ha preferito restare ad Arcore e da lì ha sentito proprio Fitto, che la sera prima a Ballarò aveva rilanciato la sua richiesta di azzeramento dei vertici e di un congresso.
Dal Cavaliere sembra non sia partita alcuna scomunica.
In quelle stesse ore, nel pomeriggio, Alfano di ritorno da Lampedusa si presenta in sala stampa a Palazzo Chigi con i ministri pidiellini Lorenzin e De Girolamo, Lupi e Quagliariello.
È la risposta pubblica agli affondi degli avversari, appuntamento che era stato rinviato nel giorno del naufragio.
Il clima si surriscalda subito, mentre Alfano sta parlando Sandro Bondi spara a zero in una nota: «Non comprendo il senso di una conferenza stampa da cui emerge solo una rivendicazione dei risultati della nostra delegazione ministeriale.
Senza alcun riferimento alla riforma della giustizia e al dramma del presidente Berlusconi».
Corre voce che il coordinatore fosse ad Arcore, quando è partita la bordata.
Lui smentirà in serata. Il vicepremier gli risponde in diretta davanti ai giornalisti: «All’amico Bondi dico che l’iniziativa ha lo scopo di affermare che avuto senso stare nel governo perchè realizziamo qui gli impegni presi coinostri elettori». Il capogruppo Brunetta – fresco di virata in favore di Alfano – invia in mattinata un sms a tutti i deputati per invitarli a partecipare all’appuntamento a Palazzo Chigi.
Riescono a entrare poco più di dieci. «Un flop», esultano i “lealisti”.
«Abbiamo detto noi di non venire, la stanza era capiente appena per i giornalisti» spiega uno dei ministri. Guerra dei numeri.
A sorpresa, poco prima dell’inizio della conferenza stampa, compaiono a Palazzo Chigi la senatrice Maria Rosaria Rossi, stretta collaboratrice del Cavaliere, e l’avvocato Piero Longo.
La prima parla coi ministri. È la benedizione ufficiale da Arcore, sostengono i governativi.
Sbagliato: i due erano lì per contare i deputati pidiellini fedeli ad Alfano, raccontano alcontrario i falchi.
Ad ogni modo, in prima fila siede Fabrizio Cicchitto. Dietro, tanti altri, tra cui la giovane Scopelliti e la Ravetto, Jole Santelli e Salvatore Cicu, Annagrazia Calabria, Giorgio Lainati, Eugenia Roccella.
«Bisogna porre fine a tutte queste prove muscolari da parte di tanti nuovi, presunti leader» attacca Guido Viceconte, all’indirizzo di Fitto: «Tutti quelli che oggi chiedono l’azzeramento sono stati essi stessi fruitori privilegiati ».
A Montecitorio intanto è un susseguirsi di incontri tra l’ex governatore pugliese e i parlamentari a lui vicini.
Che fanno subito partire una loro conta, mettendo per iscritto l’adesione alla richiesta di azzeramento dei vertici. La Prestigiacomo e Paolo Romani («Ciò che auspica Fitto è giusto»), la Bernini, la Bergamini, la Polverini, Saverio Romano, Rotondi, Galan, Abrignani.
Alfano, nella conferenza stampa in cui rivendica i risultati della compagine pidiellina al governo, getta acqua sul fuoco, ma marca anche le distanze dalle diatribe di partito e stoppa la richiesta di congressi, azzeramenti, primarie.
Compresa la proposta rivoltagli da Fitto di rinunciare a uno degli incarichi. «Noi non siamo qui per parlare di regole interne al Pdl – dice – ma per ribadire che il nostro scopo è tenere unito il partito.
Dovremo tutti abbassare i toni nei prossimi giorni. E faremo insieme le scelte che riterremo giusto fare» taglia corto. Assicura di lavorare «non per una larga intesa in futuro, nè per un piccolo centro, ma per un grande centrodestra ».
Ed evita l’affondo su Epifani, che in giornata aveva escluso che l’amnistia possa riguardare i reati che pesano sul Cavaliere.
«Invito il Pd a non trasformare tutto in un referendum su Berlusconi, le parole di Napolitano non possono essere tradotte in norme contro una persona».
Chi ha sentito Berlusconi sostiene che non abbia gradito lo show ministeriale.
Oggi il leader proverà a rimettere insieme i cocci, se ne avrà voglia.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 9th, 2013 Riccardo Fucile
I MODERATI VOGLIONO EMARGINARLA E ANCHE LA PASCALE L’HA ALLONTANATA? “FALSITA'” REPLICA LA PITONESSA
Daniela Santanchè sta bene e manda a tutti un saluto rassicurante: non è vero che Angelino Alfano e i moderati del Pdl stanno cercando di emarginarla, è una balla colossale la storiella che Francesca Pascale, la fidanzata ufficiale del capo, le avrebbe gentilmente fatto capire di non essere più tanto gradita a Palazzo Grazioli, come un tempo.
Bisogna crederle? Probabilmente, no.
La sua posizione è oggettivamente delicata, trova chiuse porte che prima erano spalancate; con il capo la frequentazione non è più quotidiana; gli avversari di partito sono minacciosi e, stavolta, fanno sul serio.
La politica è così. Sali, e scendi. Eppure lei è stata a lungo lassù.
Continuare a mettere la Santanchè nel nido dei «falchi» era anzi diventato addirittura riduttivo. Lei era molto di più: e meritava un soprannome adeguato.
Ci pensò, con un colpo di genio, Giuliano Ferrara. Che la battezzò: «Pitonessa».
Qualcuno, naturalmente, capì fischio per fiasco.
In un pomeriggio di sole, nel cortiletto di Montecitorio – mettendo su la sua caratteristica maschera, che non sai mai se è un ghigno di sfrontatezza o un sorriso di perfidia – toccò così proprio alla Santanchè prendersi la briga di spiegare bene: «Non per deludere i miei detrattori, però “pitonessa” non è la moglie del pitone, ma Pizia, detta appunto anche “la pitonessa”, la sacerdotessa che, nel mondo greco, pronunciava gli oracoli in nome di Apollo»
Apollo: intendendo Berlusconi
Perchè era così, è stato così. Ovunque ci fosse il capo, c’era lei.
Pranzi, cene, riunioni a qualsiasi ora del giorno e della notte (adesso, per dire, ha molto più tempo per sè e per la sua azienda).
Bravissima a trasferire al Cavaliere quel senso di fedeltà estrema ma non ottusa e non banale: aveva sempre uno scatto, un guizzo, l’idea giusta per una provocazione, per rilanciare, per non arrendersi.
Certe volte, all’improvviso, calava il silenzio e si sentiva solo la sua voce.
Gli altri: Bondi – per indole – mite, conciliante, curiale.
Verdini: più ruvido e operativo, l’uomo dei numeri, con l’incarico di serrare i ranghi.
Capezzone: sempre impegnato a dichiararsi d’accordo (e a non farsi mordere da Dudù, il barboncino di palazzo).
Ghedini: l’avvocato che conosce le carte giudiziarie – affari e sesso, corruzione e bunga bunga, potere e passione – il legale necessario a interpretare i confini tra politica e legge; quindi gelido e di poche, taglienti parole.
Lei, la Santanchè, era un’altra cosa.
Paga questo. Rapporti scaltri ma su uno sfondo di lealtà con pochi selezionati cronisti (per sapere cosa accadeva intorno alla scrivania del Cavaliere, ad un certo punto, erano obbligati a farle una telefonata); mediaticamente – soprattutto da Santoro e da Vespa – una tigre capace si scuotere gli animi dei berluscones più delusi.
E poi sempre quella sua energia quasi irritante, quel suo passo di carica, in capolavori di equilibrio, anche sui marmi lucidi del Transatlantico, e poi, ancora, quella sua capacità di esserci fisicamente quando con il dito medio alzato salutava i manifestanti, quando scendeva dal Suv ed entrava al Billionaire del suo amico e socio Flavio Briatore, quando per il capo andava a presidiare il Palazzo di Giustizia di Milano, o quando, sempre per il capo, per farlo contento, andava a fare jogging con Francesca Pascale (memorabili restano le immagini della scorsa primavera, sulle stradine della Costa Smeralda, con loro due in tutina e scarpette).
«Ma perchè, scusi, non capisco: adesso cosa sarebbe successo di così straordinario, di nuovo, di clamoroso?».
Lei non legge i giornali, onorevole Santanchè
«Ma certo che li leggo, li leggo tutti… e tutti, più o meno, raccontano falsità !».
Va bene, così è facile.
«No! È la verità ! Lo capisce anche lei che a qualcuno, in questo momento, conviene seminare veleni, no?».
Però lei a Palazzo Grazioli entra con minor frequenza di prima, i rapporti con Berlusconi non sono più quotidiani e…
«Sciocchezze! Noi siamo una comunità … Ci sono legami umani fortissimi…».
Sarà . A Palazzo Grazioli un po’ di cosucce eloquenti sarebbero comunque accadute…
«Tipo?».
Tipo che la Carfagna e la De Girolamo si sono messe a litigare e la Pascale le ha accompagnate alla porta. Stesso trattamento riservato a Verdini. E anche lei, onorevole, dicono che…
«Fal-si-tà ! Capito? Fal-si-tà ! Guardi che la famiglia Berlusconi è una famiglia per bene, educatissima…».
Quindi i suoi rapporti con il Cavaliere continuano ad essere ottimi?
«Certo! Ma che dubbi ha? No, dico: capisco che lei deve fare il suo lavoro, e la ringrazio per avermi cercata, però, davvero, rincorrere simili bugie…».
(È in grande difficoltà : però, a giudicare dalla grinta, è chiaro che scherzava l’altro giorno quando disse a Berlusconi d’essere pronta a mettere la sua testa bionda su un piatto d’argento pur di placare il risentimento di Angelino Alfano).
(da “il Corriere della Sera“)
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