Dicembre 21st, 2018 Riccardo Fucile
IL PARERE DELLE ASSOCIAZIONI SPECIALIZZATE IN ASSISTENZA AI POVERI VERI
“I 7,1 miliardi di euro destinati dalla manovra economica del governo Conte al reddito di cittadinanza siano “destinati ad incrementare il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale”.
A chiederlo è l’Alleanza contro la povertà , il network di decine di organizzazioni impegnate da tempo nella richiesta di uno strumento di contrasto alla povertà assoluta.
L’Alleanza – si legge in una nota – “ha sempre sostenuto con forza la necessità di investire nelle politiche di contrasto alla povertà con uno stanziamento strutturale e adeguato. In ragione di ciò, riteniamo necessario che nella legge di bilancio i 9 miliardi annunciati per il contrasto alla povertà , e ora scesi a 7,1, siano destinati a incrementare il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, un fondo strutturale che ha nella sua stessa denominazione la sua inequivocabile finalità , adeguando conseguentemente la quota destinata al rafforzamento dei servizi pubblici territoriali e lasciando ai relativi provvedimenti normativi le caratteristiche delle misure”.
Nel mirino dell’Alleanza c’è anche il fatto che la legge di bilancio prevede l’utilizzo delle risorse per più finalità , ad iniziare dalla riforma dei Centri per l’Impiego.
“La necessità di avviare politiche adeguate che siano a valere su risorse certe, inoltre, rende non condivisibile il meccanismo compensativo tra Fondi con finalità strutturalmente differenti come indicato nel provvedimento. Un meccanismo che – conclude l’Alleanza – rischia di sottrarre risorse alle necessarie e articolate politiche di inclusione”.
(da Globalist)
argomento: povertà | Commenta »
Dicembre 10th, 2018 Riccardo Fucile
LA POVERTA’ NON E’ SEMPRE LEGATA AL LAVORO, STATISTICAMENTE SOLO IL 25% TROVA UN’OCCUPAZIONE, E’ UN DISINCENTIVO AL LAVORO.,NON ESISTE UN UNICO COSTO DELLA VITA IN ITALIA
Il reddito di cittadinanza sarà la misura di politica economica più costosa della manovra di bilancio, costa circa 6,7 miliardi all’anno, a pari merito con quota 100.
Si tratta di un nuovo strumento contro la povertà che andrà a sostituire il reddito di inclusione (Rei), introdotto solo da gennaio di quest’anno e che rappresenta ad oggi il primo sussidio universale contro la povertà in Italia.
L’obiettivo del governo e in particolare del Movimento 5 Stelle di “abolire la povertà ” tramite il reddito di cittadinanza è complesso e ambizioso, ma giustificato: dall’inizio della crisi il tasso di povertà , sia assoluta che relativa, misurato dall’Istat è aumentato considerevolmente raddoppiando in 10 anni fino a raggiungere rispettivamente il 7 e il 12,3 per cento nel 2017.
La scelta del governo di investire fino a quasi 7 nuovi miliardi di euro (seppur in deficit, e questo pone seri problemi di finanziamento futuro) appare dunque positiva e rappresenta un record per il nostro Paese.
Una scelta che tuttavia presenta anche forti rischi, dovuti alla costruzione del sussidio e all’altissimo capitale politico che è stato speso sul tema.
In particolare, si possono individuare i tre problemi principali nei centri per l’impiego, nel possibile disincentivo al lavoro e nella mancata differenziazione geografica dell’importo.
C’è da sottolineare però che il sussidio non è ancora stato definito nei dettagli: Il Sole 24 Ore ha riportato che l’importo medio del reddito potrebbe essere attorno ai 500 euro (il Rei supera di poco i 300), ci potrebbero essere nuovi requisiti patrimoniali e che si sta pensando a sgravi alle imprese che assumono i partecipanti al progetto.
La nostra analisi non potrà dunque che basarsi sugli elementi certi fino ad ora, tenendo conto in particolare del disegno di legge presentato dal Movimento 5 Stelle nella scorsa legislatura e del contratto di governo.
Uno strumento fatto male e in fretta?
Il reddito di cittadinanza, nella versione 5 Stelle, ha come obiettivo il reinserimento nel mercato del lavoro, e per questo affida ai centri per l’impiego la gestione del sussidio.
Tuttavia, come ha sottolineato Maria Cecilia Guerra, la povertà non è sempre e solo legata alla mancanza di lavoro.
Alcuni potenziali beneficiari – attorno al 15 per cento – hanno una o più occupazioni, benchè a basso reddito, e dunque non si comprende come dovrebbero rapportarsi ed essere supportati da un organo il cui principale obiettivo è aiutarli a trovare un lavoro: i centri per l’impiego.
Ovviamente per questi lavoratori non varrebbe il requisito dei tre contratti rifiutati, perchè — appunto — già lavorano.
Inoltre le esperienze internazionali ci mostrano che appena il 25 per cento dei beneficiari di misure simili trovano un’occupazione stabile.
Dopo aver puntato tutto il capitale politico sull’ingresso dei poveri nel mercato del lavoro, se il risultato sarà invece sotto le aspettative — come ci si attende — il rischio è che si getti via il bambino con l’acqua sporca e che ogni strumento anti-povertà venga smantellato.
Va sottolineato inoltre che la deprivazione è un fenomeno multidimensionale: è povertà educativa, povertà abitativa, emarginazione sociale, disabilità .
Sarebbe perciò interessante costruire un sussidio che non si ponga il solo obiettivo del reinserimento lavorativo, e che non si limiti ad essere un semplice trasferimento monetario: sarebbe più efficace fornire una serie di servizi integrati (come tra l’altro fa il Rei). Un compito impossibile per i soli centri per l’impiego.
Un disincentivo al lavoro
Come tutti i sussidi anche il futuro reddito di cittadinanza presenterà un problema di disincentivo al lavoro.
Un disincentivo — gli economisti lo chiamano “trappola della povertà ” — che esiste in quanto ogni avente diritto al Reddito di Cittadinanza percepirà sempre lo stesso ammontare di reddito (il 60% del reddito mediano), a prescindere dalle ore lavorate. Per evitare che una politica volta a contrastare la povertà si trasformi in un incentivo all’ozio (o al lavoro in nero), i proponenti hanno deciso di fissare una soglia oltre cui non sarà più possibile rifiutare offerte di lavoro appropriate, così come accade in Francia.
A differenza di questa, però, la soglia è molto più alta e criteri di identificazione dell’adeguatezza non sono ancora noti: se in Francia è possibile rifiutare solo una (qualsiasi) offerta di lavoro, in Italia sarà possibile rifiutarne fino a tre (appropriate). In buona parte dei paesi europei, invece, bisogna accettare la prima proposta appropriata pena l’esclusione dal beneficio.
Il sistema, inoltre, risulta essere molto meno stringente di quelli presenti per via dell’assenza di controlli sul lavoro svolto in nero parallelamente alla riscossione del sussidio, controlli che aumenterebbero ulteriormente i costi già enormi della misura, ma resi necessari dall’incidenza del lavoro nero sulla nostra economia (il sommerso valeva il 11,35% del nostro Pil nel 2016).
Non esiste un unico costo della vita in Italia
È equo o utile che l’importo del reddito di cittadinanza sia lo stesso in tutta la penisola, come sembra essere previsto nel disegno del Governo?
Probabilmente no, se consideriamo che il costo della vita varia drasticamente fra regioni e anche all’interno delle stesse regioni, in base alla dimensione dei centri abitati.
La famiglia mediana (cioè quella nel mezzo esatto della distribuzione delle famiglie, se immaginiamo di metterle in fila in base alla spesa mensile) in Lombardia spende quasi 1000 euro in più rispetto alla famiglia mediana in Calabria, per prendere i due estremi.
Ma le differenze non finiscono qui. Anche le differenze della tipologia del comune di residenza sono significative.
La famiglia mediana che vive in un comune fino a 50mila abitanti (esclusi quelli appartenenti ad aree metropolitane) infatti spende nel 2017 più o meno 250 euro in meno rispetto alla famiglia mediana del centro di una città metropolitana.
Sembra quindi ragionevole che una misura di supporto al reddito tenga conto del costo della vita locale del ricevente.
L’obiettivo dei 5 Stelle di introdurre il reddito a partire da marzo del prossimo anno rischia di mettere a repentaglio l’intera operazione.
Non ci sarebbero i tempi tecnici per attuare quella riforma dei centri per l’impiego, oggi pochi e sottofinanziati, che Di Maio aveva promesso per formare e seguire i beneficiari.
Se una legge di bilancio che stanzia più di 6 miliardi per la povertà è un’opportunità importante per rafforzare il welfare, sarebbe preferibile spendere quei fondi per incrementare la dotazione del Reddito di Inclusione.
O perlomeno dare il tempo al reddito di cittadinanza di essere costruito dal basso, coordinando le varie istituzione coinvolte e riformando per davvero i centri per l’impiego.
Al governo diciamo: fate con calma e nel frattempo investite i soldi nel Rei. Una misura di contrasto alla povertà è una policy delicata e che può cambiare la vita di persone fragili e in difficoltà .
Proposte raffazzonate provocano solo danni.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: povertà | Commenta »
Novembre 30th, 2018 Riccardo Fucile
LA VERITA’ SULLE TESSERE ANNUNCIATE E MAI STAMPATE DAL BUFALARO DI MAIO… IL PROGETTO E’ QUELLO, INFATTI LE CARTE DI CREDITO SONO MATERIA DI POSTE ITALIANE E LO STAMPATORE SARA’ MASTERCARD
Dopo le balle di Di Maio e Castelli e sulla tipografia dei segreti che stampa tessere del reddito di cittadinanza, arriva la verità su Poste.
Perchè in realtà è vero che c’è un tavolo tecnico tra gli uomini del ministero del Lavoro e dello Sviluppo ma questo parte da un punto ben preciso: la social card di Giulio Tremonti targata 2008.
A svelare il mistero è Valentina Conte su Repubblica: non c’è nessun ordine di stampare cinque o sei milioni di tessere per il reddito di cittadinanza come hanno affermato i due simpatici (?) contaballe e questo perchè non c’è ad oggi alcuna norma che lo consenta: la Manovra del Popolo non è ancora legge — e si discutono modifiche con l’UE — e il disegno di legge collegato per il reddito di cittadinanza quindi ancora non esiste.
Non esiste nemmeno il decreto legge, visto che nella maggioranza hanno scritto una cosa sulla legge di bilancio (ovvero che per reddito e quota 100 si faranno disegni di legge collegati) mentre ai giornalisti hanno detto che sarà un decreto legge a regolare la materia.
Ma qualcosa c’è. Nel disegno (o decreto) sarà finalmente deciso in via ufficiale chi avrà diritto al reddito di cittadinanza, quali siano i requisiti e le condizioni e come si può fare domanda.
Spiega però Repubblica che nell’occasione arriverà la sorpresa: il rimando cioè al decreto legge 112 del 2008, convertito nella legge 133 del 6 agosto 2008, firmato da Berlusconi, Tremonti, Scajola, Brunetta, Sacconi, Calderoli e promulgato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ovvero il decreto di istituzione della social card di Giulio Tremonti.
Le carte di credito sono materia di Poste italiane, azienda ora quotata in Borsa, che per inciso ha ancora in essere un contratto con lo Stato per la realizzazione e la fornitura della social card di tremontiana memoria. Che a quanto pare sarebbe il veicolo adatto per il reddito di cittadinanza, evitando una gara pubblica, come spiega anche Sergio Rizzo sempre su Repubblica.
Il decreto di Berlusconi e Tremonti verrà quindi utilizzato ora dal reddito di cittadinanza pentastellato, in totale continuità con i governi degli ultimi dieci anni.
Lo stampatore, oltre che circuito finanziario, sarà Mastercard.
All’epoca intascò 1,898 euro su base annua per ciascuna carta emessa, come rivelò l’allora sottosegretario all’Economia Casero in Parlamento.
Mentre a Poste andarono 1.149.221 euro per la sola spedizione a casa della tessera.
Se ne produssero 2 milioni, ma fu un flop.
Meno di 600 mila ricariche, per i requisiti troppo stringenti. Il ministro Di Maio ne vuole 5-6 milioni. Anche se le famiglie in povertà assoluta sono 1 milione e 800 mila, che certo corrispondono a 5 milioni di poveri. Compresi anche i bambini, però.
Ecco quindi svelato l’arcano: il ministero di Di Maio sta quindi lavorando sulle tessere per il reddito di cittadinanza sulla base della legge per la social card, anche se è probabile che ci saranno significative differenze da colmare con una legge tra i due provvedimenti.
Questo intendeva Di Maio con la sboronata sui cinque-sei milioni di tessere che aveva dato ordine di stampare.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: povertà | Commenta »
Novembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
GLI STRUMENTI DI CONTRASTO NON HANNO PORTATO I RISULTATI SPERATI
Donne, anziani over 75, separati o vedovi, ex artigiani e casalinghe e coloro che percepiscono una
pensione di invalidità , sociale, reversibile o un’indennità di accompagnamento.
Sono le persone più a rischio di vivere in una condizione di “povertà energetica” ovvero di difficoltà nell’acquistare servizi energetici (elettricità , riscaldamento, acqua calda sanitaria, raffrescamento) con effetti sullo standard di vita e sulla salute.
È quanto emerge dall’indagine realizzata dalla Fondazione Di Vittorio insieme allo Spi Cgil che ha coinvolto 979 persone in Liguria, Toscana, Puglia e Calabria.
Dallo studio 184 persone (il 19,1% del totale) risultano “poveri” ovvero persone che negli ultimi 12 mesi hanno usufruito del bonus per la fornitura di energia elettrica e gas oppure hanno redditi familiari bassi o non riescono a far fronte ai bisogni primari (le stime della Commissione europea sul nostro Paese parlano di poco più di 9 milioni di famiglie in povertà energetica ovvero il 15% del totale).
Il 15,2% degli intervistati (146 persone) sono “vulnerabili” quindi potrebbero trovarsi in futuro in una condizione di povertà energetica poichè vivono in abitazioni energeticamente inefficienti, per la loro condizione economica, per l’alto consumo di energia. Gli altri 632 (il 65,7%) non sono nè poveri nè vulnerabili.
Dal Rapporto emerge anche che gli strumenti di contrasto alla povertà energetica, come il bonus sociale energia elettrica e gas introdotto tra il 2008 e il 2009, non hanno portato i risultati sperati.
“Molte famiglie che oggi hanno diritto ai bonus in base al valore Isee non ne fanno richiesta — si legge nel Report — ma se anche tutte le famiglie che oggi hanno diritto al bonus lo ricevessero, in base all’attuale architettura della misura, resterebbe comunque fuori una parte rilevante di famiglie che di fatto si trova in povertà energetica”. Per quanto riguarda le misure volte ad accrescere l’efficienza energetica delle abitazioni, ci sono alcuni fattori che limitano la pratica di questi interventi, in particolare tra i più anziani: hanno un costo tendenzialmente elevato soprattutto per chi è in condizioni di disagio economico e sono interventi che producono efficientamento a lungo termine che non incoraggiano gli anziani a utilizzarle.
Le donne sono lievemente sovrarappresentate tra i poveri.
Il disagio energetico tende a essere più diffuso con l’avanzare dell’età . Rispetto alle 4 regioni coinvolte nell’indagine, la quota più sostanziosa di poveri energetici è in Calabria (45,4%), mentre il dato più basso è stato registrato in Toscana (6,8%). L’incidenza della povertà è doppia per separati, divorziati e vedovi, supera il 30% per nubili e celibi, ed è più accentuata nelle famiglie mononucleari. La quota di poveri invece decresce all’aumentare del livello di istruzione.
Se si considera l’occupazione prima del pensionamento, i poveri sono sovrarappresentati tra ex artigiani e casalinghe e in misura meno accentuata tra gli operai: al contrario gli “altri” ovvero coloro che sono nè poveri nè vulnerabili saturano il gruppo di intervistati che svolgevano professioni impiegatizie (84,6%).
La povertà incide maggiormente tra coloro che non percepiscono una pensione da lavoro e tra coloro che beneficiano di pensione di invalidità , indennità di accompagnamento, pensione sociale e reversibilità e sono, pertanto, in una condizione di fragilità economica e di salute.
La salute va male solo per il 2,8% di chi non è in condizione di disagio ma raddoppia (5,5%) per i vulnerabili e supera l’11% trai poveri.
All’opposto poco più della metà dei poveri di stare bene o molto bene, valore che cresce al 73,3% nel caso dei vulnerabili e all’83,4% per gli altri.
Le condizioni dell’abitazione incidono sulla possibilità di mantenere una temperatura confortevole in casa nei periodi più freddi o più caldi: 6 poveri su 10 vivono in una situazione che non è confortevole con temperature domestiche troppo alte o troppo basse.
Dall’indagine emerge che la necessità di pagare un affitto o comunque l’assenza di una casa di proprietà è associata al disagio energetico: il 27,9% dei poveri e il 22,6% dei vulnerabili vive in affito, contro il 16,1% degli altri.
I poveri fanno meno lavori di ristrutturazione rispetto ai vulnerabili e a chi non è in nessuna di queste due categorie.
Povertà e vulnerabilità si associano anche a dimensioni ridotte dell’abitazione: il 35,9% dei poveri vive in case di 41-60 metri quadrati e il 10,9% in case ancora più piccole (fino a 40 metri quadrati).
La dotazione di riscaldamento autonomo è più frequente tra chi non è in condizione di difficoltà o disagio (75,1%), rispetto ai vulnerabili (63%) e ai poveri (48,9%). Il 18% dei vulnerabili e il 30% dei poveri energetici vivono in un’abitazione sprovvista di impianto di riscaldamento.
Dall’indagine emerge una tendenza più accentuata da parte dei poveri energetici (73,8%) e dei vulnerabili (68,3%) ad accendere i riscaldamenti solo se strettamente necessario rispetto a chi non vive in condizioni di difficoltà o disagio. In particolare, poveri e vulnerabili adottano comportamenti di limitazione dei consumi che producono un risparmio immediato, mentre gli altri investono in comportamenti che riducono il fabbisogno di energia senza mutare i consumi, come l’acquisto di tecnologie più efficienti che portano un risparmio nel medio-lungo periodo.
“Servono politiche di intervento integrate, energetiche e sociali”.
Le proposte da parte di Fondazione Di Vittorio e Spi per rafforzare i bonus sono: allargare la platea degli aventi diritto (sono circa 700 mila i percettori su circa 2,2 milioni di aventi diritto), aumentare l’importo dei bonus per una maggiore copertura della spesa, semplificare l’iter amministrativo per ridurre i costi di gestione.
Per incentivare gli interventi di efficientamento energetico si propone di calibrare la quota di spesa da portare in detrazione al valore dell’Isee, riconoscendo una percentuale maggiore ai meno abbienti (fino al 90% per gli incapienti) e incrementando i fondi a disposizione. Inoltre, vanno diffuse informazioni sulle buone pratiche in ambito domestico e sulle modalità di accesso alle agevolazioni fiscali e alle diverse soluzioni di efficientamento.
(da “il Redattore sociale”)
argomento: povertà | Commenta »
Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
INIZIA LA STRAGE DEI POVERI MENTRE LA POLITICA PENSA A COME FARE FAVORI AI RICCHI
L’ipotesi più probabile è che a ucciderlo sia stato il freddo, quella prima ondata di aria
gelida che nelle ultime ore ha abbassato drasticamente le temperature a Milano.
Un senzatetto di 47 anni di origini albanesi è stato trovato senza vita questa mattina su una panchina in via Sidoli, zona piazza Novelli: a segnalare il corpo un passante. Sul posto sono arrivati i carabinieri della Compagnia Monforte e del nucleo Radiomobile e gli uomini del 118, che hanno potuto solo constatare il decesso
Nei giorni scorsi, secondo le prime testimonianze raccolte dai carabinieri, l’uomo (su cui pendeva un mandato di espulsione) si sarebbe presentato più volte nella parrocchia della zona proprio per cercare un po’ di riparo dal freddo.
(da agenzie)
argomento: povertà | Commenta »
Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
L’OMELIA PER LA GIORNATA MONDIALE DEI POVERI: “ANZIANI SOLI, CHI FUGGE DALLA SUA CASA, I RAGAZZI ABITUATI ALLE BOMBE”
“Davanti alla dignità umana calpestata spesso si rimane a braccia conserte oppure si aprono le braccia, impotenti di fronte all’oscura forza del male. Ma il cristiano non può stare a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista, no”.
Lo ha affermato Papa Francesco nell’omelia per la Giornata Mondiale dei poveri, da lui celebrata nella Basilica di San Pietro, con una messa alla quale seguirà il pranzo per tremila non abbienti.
Francesco ha dunque dato la sua voce “al grido dei poveri: è il grido strozzato di bambini che non possono venire alla luce, di piccoli che patiscono la fame, di ragazzi abituati al fragore delle bombe anzichè agli allegri schiamazzi dei giochi. E’ il grido di anziani scartati e lasciati soli. E’ il grido di chi si trova ad affrontare le tempeste della vita senza una presenza amica. E’ il grido di chi deve fuggire, lasciando la casa e la terra senza la certezza di un approdo. E’ il grido di intere popolazioni, private pure delle ingenti risorse naturali di cui dispongono. E’ il grido dei tanti Lazzaro che piangono, mentre pochi epuloni banchettano con quanto per giustizia spetta a tutti. L’ingiustizia è la radice perversa della povertà “.
“Il grido dei poveri – ha scandito il Papa – diventa ogni giorno più forte, ma ogni giorno meno ascoltato, sovrastato dal frastuono di pochi ricchi, che sono sempre di meno e sempre più ricchi. Il credente tende la mano, come fa Gesù con lui”.
“Presso Dio – ha assicurato – il grido dei poveri trova ascolto”. “Ma in noi?”, si è chiesto Papa Bergoglio con voce accorata. “Abbiamo occhi per vedere, orecchie per sentire, mani tese per aiutare?”, ha aggiunto per poi concludere: “Cristo stesso, nella persona dei poveri reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli. Ci chiede di riconoscerlo in chi ha fame e sete, è forestiero e spogliato di dignità , malato e carcerato”.
(da agenzie)
argomento: povertà | Commenta »
Novembre 13th, 2018 Riccardo Fucile
IN FRANCIA SI OPERA UNA RAZIONALIZZAZIONE DI TUTTI GLI AIUTI SOCIALI E I CENTRI PER L’IMPIEGO HANNO 57.000 DIPENDENTI
Siccome il presidente Macron sa far di conto (esce dall’Ena, è stato banchiere chez Rothschild e ministro dell’economia con Hollande), il suo reddito di cittadinanza, annunciato en fanfare come si dice qui, cioè in pompa magna, in occasione della presentazione, a settembre scorso, del Plan Pauvretè (l’Insee, l’Istat francese, ha contato 8,8 milioni di poveri tra cui 3milioni di bambini), non ha niente, proprio niente, in comune con l’analogo progetto grillino, i 780 euro mensili che perfino il sottosegretario (leghista) Giorgetti considera (si legga la sua intervista nell’ultimo libro, “Rivoluzione”, di Bruno Vespa) un provvedimento inutile che non creerà un solo posto di lavoro. Assistenzialismo puro, stile Prima Repubblica.
Al contrario il reddito di cittadinanza macroniano, che si chiama “Revenu universel d’activitè” (Rua), ha caratteristiche del tutto diverse e tutt’altre conseguenze sul bilancio pubblico.
Mentre la pensata grillina costerebbe (pur nella versione più prudente con cui è stata inserita nel bilancio pubblico 2019 già respinto dalla Commissione europea, com’è noto) una decina di miliardi (erano 50 nell’ipotesi iniziale), il Rua, a regime dal 2020, non costerebbe nulla, anzi genererebbe un risparmio di cassa pari a 3,5 miliardi di euro, stando alle previsioni contabili di France Strategie, un osservatorio esterno sui conti pubblici creato proprio da Macron quand’era ministro a Bercy.
La ragione è semplice anche se per scoprirla bisogna analizzarne in dettaglio l’architettura contabile come ha fatto, con l’aiuto dell’economista Julien Damon, professore a Science Po e animatore della società di consulenza Eclaires, l’autore di questo blog.
Cominciamo col dire che il Rua macroniano non ha niente in comune con l’idea di “revenu universel”, reddito minimo per tutti, sbandierata durante le primarie per le presidenziali (2016) dal candidato socialista Benoà®t Hammon, ora letteralmente sparito dal panorama politico francese (l’altro, Manuel Valls, s’è trasferito in Spagna e corre per la poltrona di sindaco di Barcellona).
Pensate, il Ru di Hammon, senza sbarramenti e regole stringenti, sarebbe costato – secondo certe stime – 350 miliardi di euro. Il Rua di Macron ne fa risparmiare 3,5. Dov’è il trucco?
In realtà il Rua non è altro che un grande contenitore di tutti i “minima sociaux” ancora attivi, vale a dire tutto quell’insieme di contributi e di “allocation” che lo Stato, attraverso agenzie pubbliche o gli uffici dei dipartimenti sul territorio, eroga alle fasce più deboli della popolazione.
Per dire, nel contenitore immaginato da Macron c’è l’ attuale Rsa, Revenu de solidaritè active (euro 524,68 mensili, poco meno dell’assegno promesso dal nostro Di Maio) creato nel 2008 da Sarkozy sulle fondamenta del Rmi, Revenu minimum d’insertion che dal 1988 era una pietra miliare delle politiche sociali di Mitterand.
Oggi l’assegno mitterandian-sarkozista arriva a 1,8 milioni di francesi “poveri” mentre altri 2,6 milioni di lavoratori a bassissimo reddito – quelli che gli economisti definiscono “working poor” – ricevono un “Prime d’activitè”, una sorta d’integrazione al reddito.
A cui si aggiunge, sempre per le fasce di reddito medio e medio-basso (si tratta di circa 6 milioni di persone), un contributo per l’affitto (si chiama, infatti, Apl, Aide personnalisèe au logement) che può arrivare fino a 50 euro mensili a persona (Macron, nella riforma della fiscalità immobiliare, l’ha ridotto di 5 euro e da quel momento è diventato “le president des riches”).
Bastano questi pochi esempi per capire come la politica sociale macroniana si muova seguendo, in realtà , una strategia ben precisa, molto liberal-efficientista e assai poco social-assistenziale.
“à‡a fusionner le plus grand nombre possible de prestastions”, metterà insieme un gran numero di contributi, ha spiegato al Figaroil presidente degli ospedali di Parigi, Martin Hirsch, che nel 2005 fu incaricato dall’allora ministro della Sanità , Philippe Douste-Blazy (governo De Villepin) di preparare un paper dal titolo “Famille, vulnèrabilitè, pauvretè” che è stato il primo strumento pensato per mettere ordine nel complesso e disordinato welfare francese.
Macron s’è ispirato a quel progetto con l’obiettivo di rendere “plus simple et plus lisible pour les mènages”, più semplice e più trasparente il sistema degli aiuti per milioni di francesi a basso o zero reddito.
I quali, però, per usufruirne, dovranno rispettare dei “devoirs”, per esempio il dovere di inserirsi all’interno di un percorso formativo (e per questo ci sono gli uffici del Pà’le Emploi con 57mila dipendenti, altro che i nostri centri per l’impiego) e di “ne pas refuser plus de deux offerts raisonnables d’emploi ou d’activitè”, di non rifiutare almeno due offerte di lavoro “ragionevoli” (e sul significato di questo aggettivo, c’è da giurare, si scontreranno diverse scuole di pensiero giuslavoristico).
Così come ci sarà battaglia tra l’Eliseo e gli “èlus” locali, i rappresentanti politici delle amministrazioni, Comuni e Dipartimenti, che fino ad oggi hanno gestito il flusso delle allocation e dei contributi, a cominciare appunto dall’Rsa, Revenu de solidaritè active, i 524,68 euro mensili che moltiplicati per 1,8milioni di percettori fanno quasi un miliardo al mese.
Una cifra che autorizza qualsiasi “pensiero cattivo” su possibili risvolti clientelari.
Fa riflettere, sul tema, il recente intervento del presidente dell’Associazione dei Dipartimenti di Francia (somiglia alla nostra Unione delle Province), Dominique Bussereau, un politico di lungo corso, repubblicano di osservanza chiracchiana, il quale, alla vigilia del congresso dell’associazione venerdì 9 novembre a Rennes, ha dichiarato che “la politique d’insertion ne se decide pas à Paris”, le politiche sociali non possono essere decise a Parigi, e che “l’humain a besoin de proximitè”, che le persone hanno bisogno di sentire la vicinanza (dei politici locali, sottinteso).
Quei politici che ti conoscono e possono farti avere un Rua (oggi Rsa), un assegno di 524,68 euro. La politica sul territorio è fatta anche di questo. In Francia come in Italia.
Del resto Busserau, il presidente dei dipartimenti, non ha difficoltà ad ammettere che è proprio la politica sociale dell’Eliseo una delle prime ragioni di incomprensione con Macron. Il quale, al ritorno dal suo giro sui luoghi della Prima Guerra Mondiale (da Strasburgo a Verdun fino alla grande manifestazione all’Arco di Trionfo domenica 11 novembre, presente anche il nostro Mattarella), dovrà rimettersi al lavoro su un reddito di cittadinanza che fa risparmiare 3,5 miliardi allo Stato ma non piace a nessuno.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: povertà | Commenta »
Ottobre 29th, 2018 Riccardo Fucile
RICHIESTE SOLO DA MARZO, ASSEGNO INTERO SOLO A CHI NON HA ENTRATE E VIVE IN AFFITTO (COME FACCIA UNO A VIVERE IN AFFITTO SENZA ENTRATE E’ UN CAPOLAVORO CHE SOLO DI MAIO POTEVA PENSARE)… TRE OFFERTE DI LAVORO: LA PRIMA ENTRO 50 KM, LE ALTRE ANCHE LONTANO
Presto uscirà il testo finale, preso sapremo davvero come funzionerà il reddito di cittadinanza.
Per il momento a spiegarlo è Salvatore Tridico, economista, consigliere del vicepremier Luigi Di Maio sulle tematiche legate alle politiche per il lavoro. In un’intervista al Corriere della Sera assicura che la misura del reddito di cittadinanza “sarà uniforme su tutto il territorio” ma l’assegno intero verrà percepito solo da chi non ha entrate e vive in una casa in affitto.
“La misura piena, cioè 780 euro al mese, è per un individuo che paga un affitto e ha Isee zero.
Se è già proprietario di casa, l’importo si riduce.
C’è in sostanza un “housing support” sul modello che c’è in altri Paesi d’Europa”. […] E quindi non è vero come dicono alcuni – sottolinea – che il nostro reddito di cittadinanza sarebbe più generoso. In Francia, ad esempio, il ‘Revenu minimum d’insertion’ è di circa 512 euro, a cui si aggiunge un ‘housing support’ e un sostegno alla mobilità , cosicchè la misura complessiva può superare i mille euro. Così in Germania, dove al ‘sozialhilfe’ di circa 404 euro si può aggiungere una indennità per l’alloggio e di sostegno ai trasporti, per circa mille euro complessivi. […] “Da noi, invece, si sta ragionando su una misura fino a 500 euro più 280 per l’affitto. In questa ipotesi, chi vive nella casa di proprietà prenderebbe al massimo intorno a 500 euro.
Un dettaglio non secondario da precisare rispetto alle aspettative di molti, che ritengono erroneamente di poter percepire un assegno di 780 euro.
Per ottenere un sostegno, spiega Tridico, “sarà necessaria la domanda”, anche se a regime, con l’Isee precompilato, si andrà verso un sistema “quasi automatico”. L’economista stima che le domande potranno partire “da marzo”, con 5 milioni di potenziali beneficiari.
“L’Isee della famiglia non deve superare 9.360 euro. Ma si terrà conto della numerosità del nucleo”
Ovviamente il sostegno sarà condizionato al Patto di servizio per il reinserimento nel mercato del lavoro.
“Il beneficiario deve accettare la formazione al lavoro, che deve essere vera, effettiva, documentabile. Inoltre, dovrà essere disponibile a lavori utili alla collettività e perderà il reddito se rifiuta tre proposte di lavoro. Il sistema quindi rende impossibile il lavoro nero e incoraggia invece la ricerca attiva del lavoro”.
Tre proposte, la prima entro 50 km dalla residenza, “per la seconda e la terza si può estendere, entro certi limiti, la distanza” chiarisce Tridico.
Tridico smentisce l’onorevole cittadina viceministra senza deleghe Laura Castelli che ha detto a Italia 5 Stelle che sarebbe stato lo Stato a “chiamare” il cittadino povero.
Secondo le ultime rilevazioni dell’ISTAT, le persone in condizioni di povertà assoluta, cioè non in grado di acquistare un paniere di beni e servizi essenziali, sono in Italia circa cinque milioni per un totale di quasi 1,8 milioni di famiglie. Per questo, scrive oggi il Corriere della Sera, anche ipotizzando che tutti i nove miliardi previsti per il 2019 fossero spesi da aprile, cioè per un totale di nove mesi, si ottiene che in media i cinque milioni di poveri assoluti potrebbero ricevere mediamente a testa duecento euro al mese. Facendo lo stesso calcolo sul numero di famiglie risulta che ciascuno degli 1,8 milioni di nuclei in povertà assoluta prenderebbe mediamente 555 euro al mese. È vero che il sussidio integrerà i redditi esistenti fino a 780 euro, ma nove miliardi sembrano comunque insufficienti rispetto all’obiettivo proclamato, senza contare le difficoltà tecniche.
Attualmente il sostegno ai poveri è garantito dal REI. L’assegno arriva fino a 187,5 euro al mese per una persona e sale fino a 540 euro per le famiglie di 6 o più persone. Lefamiglie beneficiarie devono sottoscrivere un progetto di reinserimento sociale gestito dai comuni. Nei primi 9 mesi del 2018 il Rei è andato a 379mila famiglie.
(da agenzie)
argomento: povertà | Commenta »
Ottobre 20th, 2018 Riccardo Fucile
RIACE, BAOBAB, LODI: C’E’ UN ACCANIMENTO CONTRO GLI ULTIMI
Assalto a Baobab, uno dei pochi presidi dove si fa solidarietà vera in una capitale a guida grillina che si è allineata a Salvini nella caccia e nella criminalizzazione degli stranieri, soprattutto con la pelle nera
Poi la mensa di Lodi, la caccia alle Ong fatte passare come responsabili di chissà quali traffici illeciti
Le navi regalate alla Guardia Costiera libica nella quale rimandare i poveracci raccolti nel mare pur sapendo che sarebbero finiti in pasto ai mercanti di uomini.
L’assalto a Riace e l’attacco a qualsiasi possibile integrazione.
Un decreto ‘sicurezza’ in grave contrasto all’articolo 10 della Costituzione che di fatto rende quasi impossibile l’accoglienza e trasformerà decine di possibili immigrati regolari in illegale e clandestini spingendoli verso la disperazione.
I sindaci di sedicente destra (e non solo) che in nome del decoro ostacolano la solidarietà e multano i poveri colpevoli di essere poveri e di non avere un posto dove andare.
Volevano abolire la povertà per decreto.
Hanno capito che si fa prima e si ha più consenso se si aboliscono i poveri.
Sono così antiestetici…
(da Globalist)
argomento: povertà | Commenta »