IL REDDITO DI CITTADINANZA DI DI MAIO COSTA 50 MILIARDI, QUELLO DI MACRON NE FA RISPARMIARE 3,5
IN FRANCIA SI OPERA UNA RAZIONALIZZAZIONE DI TUTTI GLI AIUTI SOCIALI E I CENTRI PER L’IMPIEGO HANNO 57.000 DIPENDENTI
Siccome il presidente Macron sa far di conto (esce dall’Ena, è stato banchiere chez Rothschild e ministro dell’economia con Hollande), il suo reddito di cittadinanza, annunciato en fanfare come si dice qui, cioè in pompa magna, in occasione della presentazione, a settembre scorso, del Plan Pauvretè (l’Insee, l’Istat francese, ha contato 8,8 milioni di poveri tra cui 3milioni di bambini), non ha niente, proprio niente, in comune con l’analogo progetto grillino, i 780 euro mensili che perfino il sottosegretario (leghista) Giorgetti considera (si legga la sua intervista nell’ultimo libro, “Rivoluzione”, di Bruno Vespa) un provvedimento inutile che non creerà un solo posto di lavoro. Assistenzialismo puro, stile Prima Repubblica.
Al contrario il reddito di cittadinanza macroniano, che si chiama “Revenu universel d’activitè” (Rua), ha caratteristiche del tutto diverse e tutt’altre conseguenze sul bilancio pubblico.
Mentre la pensata grillina costerebbe (pur nella versione più prudente con cui è stata inserita nel bilancio pubblico 2019 già respinto dalla Commissione europea, com’è noto) una decina di miliardi (erano 50 nell’ipotesi iniziale), il Rua, a regime dal 2020, non costerebbe nulla, anzi genererebbe un risparmio di cassa pari a 3,5 miliardi di euro, stando alle previsioni contabili di France Strategie, un osservatorio esterno sui conti pubblici creato proprio da Macron quand’era ministro a Bercy.
La ragione è semplice anche se per scoprirla bisogna analizzarne in dettaglio l’architettura contabile come ha fatto, con l’aiuto dell’economista Julien Damon, professore a Science Po e animatore della società di consulenza Eclaires, l’autore di questo blog.
Cominciamo col dire che il Rua macroniano non ha niente in comune con l’idea di “revenu universel”, reddito minimo per tutti, sbandierata durante le primarie per le presidenziali (2016) dal candidato socialista Benoà®t Hammon, ora letteralmente sparito dal panorama politico francese (l’altro, Manuel Valls, s’è trasferito in Spagna e corre per la poltrona di sindaco di Barcellona).
Pensate, il Ru di Hammon, senza sbarramenti e regole stringenti, sarebbe costato – secondo certe stime – 350 miliardi di euro. Il Rua di Macron ne fa risparmiare 3,5. Dov’è il trucco?
In realtà il Rua non è altro che un grande contenitore di tutti i “minima sociaux” ancora attivi, vale a dire tutto quell’insieme di contributi e di “allocation” che lo Stato, attraverso agenzie pubbliche o gli uffici dei dipartimenti sul territorio, eroga alle fasce più deboli della popolazione.
Per dire, nel contenitore immaginato da Macron c’è l’ attuale Rsa, Revenu de solidaritè active (euro 524,68 mensili, poco meno dell’assegno promesso dal nostro Di Maio) creato nel 2008 da Sarkozy sulle fondamenta del Rmi, Revenu minimum d’insertion che dal 1988 era una pietra miliare delle politiche sociali di Mitterand.
Oggi l’assegno mitterandian-sarkozista arriva a 1,8 milioni di francesi “poveri” mentre altri 2,6 milioni di lavoratori a bassissimo reddito – quelli che gli economisti definiscono “working poor” – ricevono un “Prime d’activitè”, una sorta d’integrazione al reddito.
A cui si aggiunge, sempre per le fasce di reddito medio e medio-basso (si tratta di circa 6 milioni di persone), un contributo per l’affitto (si chiama, infatti, Apl, Aide personnalisèe au logement) che può arrivare fino a 50 euro mensili a persona (Macron, nella riforma della fiscalità immobiliare, l’ha ridotto di 5 euro e da quel momento è diventato “le president des riches”).
Bastano questi pochi esempi per capire come la politica sociale macroniana si muova seguendo, in realtà , una strategia ben precisa, molto liberal-efficientista e assai poco social-assistenziale.
“à‡a fusionner le plus grand nombre possible de prestastions”, metterà insieme un gran numero di contributi, ha spiegato al Figaroil presidente degli ospedali di Parigi, Martin Hirsch, che nel 2005 fu incaricato dall’allora ministro della Sanità , Philippe Douste-Blazy (governo De Villepin) di preparare un paper dal titolo “Famille, vulnèrabilitè, pauvretè” che è stato il primo strumento pensato per mettere ordine nel complesso e disordinato welfare francese.
Macron s’è ispirato a quel progetto con l’obiettivo di rendere “plus simple et plus lisible pour les mènages”, più semplice e più trasparente il sistema degli aiuti per milioni di francesi a basso o zero reddito.
I quali, però, per usufruirne, dovranno rispettare dei “devoirs”, per esempio il dovere di inserirsi all’interno di un percorso formativo (e per questo ci sono gli uffici del Pà’le Emploi con 57mila dipendenti, altro che i nostri centri per l’impiego) e di “ne pas refuser plus de deux offerts raisonnables d’emploi ou d’activitè”, di non rifiutare almeno due offerte di lavoro “ragionevoli” (e sul significato di questo aggettivo, c’è da giurare, si scontreranno diverse scuole di pensiero giuslavoristico).
Così come ci sarà battaglia tra l’Eliseo e gli “èlus” locali, i rappresentanti politici delle amministrazioni, Comuni e Dipartimenti, che fino ad oggi hanno gestito il flusso delle allocation e dei contributi, a cominciare appunto dall’Rsa, Revenu de solidaritè active, i 524,68 euro mensili che moltiplicati per 1,8milioni di percettori fanno quasi un miliardo al mese.
Una cifra che autorizza qualsiasi “pensiero cattivo” su possibili risvolti clientelari.
Fa riflettere, sul tema, il recente intervento del presidente dell’Associazione dei Dipartimenti di Francia (somiglia alla nostra Unione delle Province), Dominique Bussereau, un politico di lungo corso, repubblicano di osservanza chiracchiana, il quale, alla vigilia del congresso dell’associazione venerdì 9 novembre a Rennes, ha dichiarato che “la politique d’insertion ne se decide pas à Paris”, le politiche sociali non possono essere decise a Parigi, e che “l’humain a besoin de proximitè”, che le persone hanno bisogno di sentire la vicinanza (dei politici locali, sottinteso).
Quei politici che ti conoscono e possono farti avere un Rua (oggi Rsa), un assegno di 524,68 euro. La politica sul territorio è fatta anche di questo. In Francia come in Italia.
Del resto Busserau, il presidente dei dipartimenti, non ha difficoltà ad ammettere che è proprio la politica sociale dell’Eliseo una delle prime ragioni di incomprensione con Macron. Il quale, al ritorno dal suo giro sui luoghi della Prima Guerra Mondiale (da Strasburgo a Verdun fino alla grande manifestazione all’Arco di Trionfo domenica 11 novembre, presente anche il nostro Mattarella), dovrà rimettersi al lavoro su un reddito di cittadinanza che fa risparmiare 3,5 miliardi allo Stato ma non piace a nessuno.
(da “Huffingtonpost”)
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