Giugno 30th, 2015 Riccardo Fucile
I SOSPETTI CHE AD EX SINDACALISTI SIANO STATE FINANZIATE CAMPAGNE ELETTORALI CON IL PD
Lunga e calda s’annuncia l’estate della Cgil a Milano. 
Dopo aver «visitato» la Camera del Lavoro, gli ispettori da Roma sono tornati in città , questa volta per verificare la contabilità dello Spi, il sindacato pensionati.
Perchè? La versione ufficiale è contenuta in una nota diramata dalla segreteria nazionale dieci giorni fa, alla quale (interpellati) non aggiungono nulla: è routine, nessun evento straordinario.
«Da sempre la Cgil tutela e vigila su trasparenza e corretta gestione amministrativa delle proprie strutture (…) grazie ad una attività ispettiva che si svolge regolarmente». L’appunto poi spiega che nel caso in cui vengano riscontrati errori «scatta la prescrizione a correggere»; se nel rapporto conclusivo si evidenziassero invece «comportamenti di carattere doloso, i responsabili incorrono senza eccezione alcuna nelle sanzioni disciplinari».
È un testo anodino, ma proprio per questo appare severo o quanto meno poco empatico con i dirigenti milanesi. Con i quali non c’è mai stata sintonia
Non è un mistero, anzi è uno scontro decennale e aperto.
Tra la segreteria nazionale e regionale da una parte e quella cittadina dall’altra, c’è tradizionalmente una divergenza.
Innanzitutto politica, col tempo anche personale.
Ora che il segretario generale è Susanna Camusso, già alla guida della Cgil Lombardia, dicono alla Camera del Lavoro che il conflitto si è allargato anche sull’asse Roma-Milano.
Dicono, da più parti, anche altre cose, non facilmente verificabili.
Per esempio che ci sia stata una «soffiata» con la denuncia di presunti ammanchi di cassa tanto alla Camera del Lavoro quanto allo Spi.
Dicono che questi buchi siano stati giustificati con finanziamenti, si suppone non trasparenti, alle campagne elettorali dei dirigenti locali che hanno fatto (anche in questo caso secondo tradizione) il salto dal sindacato alla politica.
E in questi anni sono stati tanti, da Antonio Panzeri, europarlamentare, a Giorgio Roilo, senatore, a Onorio Rosati, consigliere regionale.
Tutto da dimostrare.
Nell’attesa della relazione degli ispettori sale, però, una temperatura da ebollizione, e aleggia un’aria da resa dei conti con possibili capitomboli e uscite di scena.
Il segretario generale della Camera del Lavoro, Graziano Gorla, è come sempre cordiale, ma non nasconde un certo nervosismo per le chiacchiere che girano attorno alla cassa: «Tante illazioni per normali ispezioni da Statuto. Ammanchi non ce ne sono», scandisce.
Vero è che il responsabile dell’amministrazione (il tesoriere, ndr ) proprio di recente è stato sospeso: «Ho dato l’incarico a un’altra persona – spiega Gorla – con l’idea di promuovere il cambiamento».
Brutto segno anche che alla Conferenza di organizzazione oggi a Milano arrivi un «emissario» della segreteria nazionale.
Non è un ortodosso camussiano, ma qualcuno lo interpreta come un segnale verso il «commissariamento».
Potrebbe intervenire direttamente Camusso in questa disputa. Non lo farebbe, dicono ancora, perchè non è nel ruolo del segretario generale delegittimare la propria stessa struttura.
Da Roma, allora, la linea è il silenzio e la parola (scritta) agli ispettori.
Pessimo clima, però. Che dà occasioni a dispute personali, a ricatti, a tentativi di infangare nemici. Di qui a vent’anni fa, perchè i controllori stanno sfogliano i libri indietro fino al ’94.
Onorio Rosati, già segretario della Camera del Lavoro dal 2006 al 2013 e oggi consigliere regionale pd, s’è sentito chiamato in causa sui giornali e «smentisco categoricamente ogni illazione».
Del resto, fa notare, «se fossero state avviate indagini amministrative su di me, sarei stato chiamato». Così non è stato. A coinvolgerlo sono state solo non meglio identificate «voci», forse «sassolini nelle scarpe che qualcuno ha voluto togliersi…». Sembra che ai dubbi amministrativi si sia sommata una vecchia questione politica. «La sede per discutere non è l’ispezione – risponde – ma il direttivo nazionale». Rosati chiede allora che «quando ci sarà il verbale degli ispettori, venga reso pubblico».
E si diradi questa cappa di sospetti.
Alessandra Coppola, Maurizio Giannattasio
(da “il Corriere della Sera”)
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Maggio 24th, 2015 Riccardo Fucile
“UN PENSIERO CHE NON FA PARTE DELLA MODERNITA'”
Matteo Renzi infiamma il dibattito sul lavoro. Venerdì sera, intervistato da La7, il premier aveva attaccato: «Spero che tra i sindacati si possa tornare a discutere e che prima o poi si arrivi a un sindacato unico e a una legge sulla rappresentanza senza sigle su sigle, su sigle».
Poi un frontale con il leader della Fiom, Maurizio Landini: «Marchionne dimostra che la scommessa della Fiom è una sconfitta. Ha riaperto le fabbriche e batte Landini 3 a 0».
Frasi destinate a far divampare la polemica alla vigilia del nuovo incontro tra il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, che mercoledì ha convocato le parti sociali per discutere sui decreti attuativi del jobs act.
Nella stessa giornata è prevista la visita dello stesso Renzi a Melfi, accompagnato dall’ad di Fca, Sergio Marchionne.
Una scelta di campo, alla luce delle ultime dichiarazioni del premier.
L’idea del sindacato unico provoca reazioni durissime nei tre sindacati confederali: «Cose che si vedono nei regimi totalitari», commenta il leader della Uil, Carmelo Barbagallo.
Altrettanto dura Susanna Camusso: «La concezione del sindacato unico è tipica dei regimi totalitari, è concettualmente sbagliata perchè presuppone che i diversi soggetti del mondo del lavoro siano ridotti a un pensiero unico che non è certo indice di modernità . Al contrario — conclude il segretario della Cgil — il tema da affrontare è quello di un sindacato unitario», in sostanza un sistema in cui le differenti sigle trovino una linea di azione comune.
Polemico Barbagallo: «Anche nel fronte imprenditoriale, dove c’è una pletora di associazioni, Renzi pensa a un unico sindacato. Sembra che il premier voglia far prevalere anche nel sindacato l’idea dell’uomo solo al comando».
Più cauta ma non meno critica la posizione della Cisl. Anna Maria Furlan risponde a Renzi che «non serve alzare polveroni o gettare benzina sul fuoco. Piuttosto il governo si occupi dei problemi veri, a partire da crescita e lavoro».
Nel mirino delle polemiche anche le dichiarazioni del presidente della Bce, mario Draghi, che da Sintra aveva invitato i Paesi europei a spingere sulla contrattazione aziendale: «La contrattazione in fabbrica — aveva detto Draghi — garantisce l’occupazione di più di quanto non abbia fatto il contratto nazionale». Frase che aveva provocato reazioni anche perchè in Italia molto spesso è solo il contratto nazionale a tutelare i lavoratori. La Cgil ha giudicato la ricetta «una soluzione arretrata».
Ieri Draghi ha precisato che «la Bce non intende dire ai governi che cosa devono fare».
Paolo Griseri
(da “La Repubblica”)
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Aprile 18th, 2015 Riccardo Fucile
“E’ IL COMPIMENTO DI QUANTO AVVIATO A POMIGLIANO NEL 2010: LA FINE DEL CONTRATTO NAZIONALE”
La replica di Maurizio Landini alla nuova politica retributiva inaugurata dalla Fca di Sergio
Marchionne, e sancita ieri con un verbale di intesa siglato con Fim, Uilm, Fismic e Ugl, è nettta: “Il rischio è il ritorno agli anni 50, con l’aggravante di favorire il contratto aziendale e, di conseguenza, il sindacato aziendale”.
Ieri, i sindacati che sono d’accordo con Fca hanno commentato aspramente le posizioni del segretario Fiom, sostenendo che non è vero che gli aumenti legati ai risultati siano sostitutivi del salario di base. Perchè l’accordo che propone Marchionne è per lei così negativo?
Perchè è la conferma che è definitivamente cancellato il contratto nazionale e i due livelli di contrattazione. Si completa il disegno cominciato nel 2010 e si sancisce che il salario è totalmente variabile e non incide, come avviene negli aumenti contrattati nazionalmente, sulla paga base, su Tfr, ferie, scatti. È un bene che finalmente si parli di possibili aumenti salariali anche in Fca, dove si guadagnano 750 euro l’anno in meno rispetto al contratto dei metalmeccanici, ma i sindacati che aderiscono alla proposta di Marchionne devono essere consapevoli che stanno accompagnando il processo di cancellazione del contratto nazionale.
Perchè dice che ci sarà un congelamento del salario di base?
Da quello che abbiamo letto, visto che siamo stati esclusi dal confronto, la novità assoluta è che il salario è variabile e le cifre sono ipotetiche. In tutti i contratti ci sono degli aumenti contrattati che vanno a incidere sui vari istituti della retribuzione, come ferie, indennità , Tfr. Questa proposta, unilaterale, introduce una logica che prima non c’era: il salario si contratta da una sola parte, in azienda.
I lavoratori non potrebbero guadagnarci?
La prestazione di chi lavora è fissa, ed è stata aumentata con l’abolizione della pausa di dieci minuti e la saturazione dei tempi di lavoro. In Fca si lavora di più e per più tempo ma alla fine, quell’operaio che va a lavorare tutti i giorni, non sa se avrà un aumento o no, perchè gli aumenti fissi non ci saranno più. Deve sperare che le cose vadano bene. Se le cose andranno male si dovrà accontentare di 330 euro lordi l’anno, che sono 25 euro al mese.
Che c’entra Pomigliano?
Per Marchionne si tratta di realizzare oggi quello che voleva fare nel 2010. Già allora c’era una strategia precisa: uscire da Confindustria, avere un unico contratto con una politica retributiva coerente. Ha ragione la Fismic quando dice che finalmente è prevalso il modello Fismic-Fiat contro quello di Confindustria e Cgil, Cisl e Uil firmatari di un accordo in cui si diceva che i livelli contrattuali dovevano restare due: uno nazionale e uno aziendale.
Cambiano quindi le relazioni sindacali?
Si conferma un dato vero da cento anni a questa parte: quando si muove qualcosa in Fiat questa ha influenza nel Paese. Vedo che ci sono sindacati confederali che applaudono alla cancellazione del contratto nazionale. Allora chiedo: se altre aziende vogliono fare come Fca, cosa gli didiranno? Alla fine degli anni 50, quando alla Fiat nacque il Sida, poi divenuto Fismic, fu l’allora segretario della Cisl, Giulio Pastore, che disse che la Cisl non avrebbe mai firmato un contratto aziendale sostitutivo del contratto nazionale perchè altrimenti il principio su cui si era costruito il sindacato confederale non sarebbe più esistito. Ci vorrebbe quella coerenza.
Sia Confindustria che Federmeccanica plaudono alla proposta Fca.
La Confindustria, nello stesso documento che ha ispirato il Jobs Act di Renzi, chiedeva che un’azienda possa scegliere se applicare il contratto nazionale o aziendale. Come si vede, si erano portati avanti.
Cosa devono fare Cgil, Cisl e Uil?
La Cgil ha dichiarato in modo preciso che c’è un elemento di contraddizione nella proposta della Fca. Dovrebbero chiarire cosa pensano davvero quelli che hanno firmato l’intesa, cioè Cisl e Uil e che hanno anche firmato l’accordo con Confindustria. Hanno deciso che non c’è più il contratto nazionale?
In un’intervista al Foglio, Susanna Camusso l’ha criticata per non aver firmato il contratto Fiat dopo il referendum di Pomigliano. Cosa risponde?
Quella è una discussione che abbiamo fatto allora e allora dicemmo che in quei referendum erano stati messi in discussione dei diritti indisponibili. Trovo singolare che si tirino fuori problemi già discussi con posizioni comuni tra Cgil e Fiom. Quello che è successo in Fiat ha portato tutta la Confindustria a mettere in discussione il contratto nazionale. Mi sembra si stia avverando quanto la Fiom diceva allora.
Cosa proponete?
Che in Fca ci sia un problema salariale è evidente. Chiederemo quindi che ci siano gli aumenti certi in paga base a partire dai 750 euro di scarto con il contratto metalmeccanici. In secondo luogo, bisogna riunificare i contratti: 280 contratti diversi sono una follia. Servono alcuni grandi contratti, come l’industria e fare in modo che i lavoratori possano liberamente votare. E poi, bisogna chiedere al governo di defiscalizzare non gli aumenti legati agli utili o alla produttività ma gli aumenti dati a tutti i lavoratori nei contratti nazionali.
Chiederà un incontro a Marchionne?
L’ho sempre fatto e lo confermo.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 30th, 2015 Riccardo Fucile
DOPPIO BINARIO: ATTENZIONE AL DISAGIO SOCIALE E RIFORMARE IL SINDACATO PER SCALARNE LA LEADERSHIP
Prenderà forma entro la fine di maggio la Coalizione sociale.
Prima verrà stilata quella che Maurizio Landini chiama la Carta d’identità del movimento, con i valori di riferimento e gli obiettivi da perseguire; poi sarà creato una sorta di Coordinamento dell’alleanza con gli esponenti delle associazioni promotrici. E nel Coordinamento non sarà comunque Landini a rappresentare la Fiom, per evitare le polemiche sul suo doppio ruolo.
Questa struttura di governo sarà poi replicata nei vari territori. Un’organizzazione leggera, ma pur sempre un’organizzazione.
«La vera novità – dice il leader dei metalmeccanici della Cgil – è proprio questa: noi partiremo dai territori dove c’è una maggiore domanda di coalizione».
Spiega: «Può non esserci il sindacato nelle lotte per la casa? Può non essere accanto ai medici di Emergency che in Italia, non in Africa, hanno messo in piedi strutture per l’assistenza sanitaria gratuita a favore delle persone più bisognose? Se non pensiamo di rappresentare questa socialità cosa pensiamo di rappresentare? ».
È questo il nuovo sindacato (o il vecchio, perchè è quasi un ritorno alle origini) che ha in mente Landini.
Dunque è su un doppio binario che si muove il leader di fatto della Coalizione sociale: aggregare le associazioni intorno a un progetto politico, attento soprattutto alle aree di maggiore disagio sociale, alternativo oggi al programma del governo Renzi; riformare il sindacato fino a puntare alla scalata della stessa Cgil.
Progetto «ambiguo», secondo Cesare Damiano, ex metalmeccanico, esponente delle minoranze del Pd che anche su Landini si sono divise.
Perchè, per esempio, Stefano Fassina in piazza sabato ci è andato e che ieri è tornato a sostenere «che molti iscritti e militanti hanno mollato il Pd e hanno manifestato con la Fiom».
Resta il fatto che Landini continua a ripetere che non ha mai pensato alla formazione di un altro partito o partitino della sinistra.
Sembra un progetto più complesso il suo, e forse anche più complicato. In attesa che si cominci a concretizzare nei prossimi due mesi, Landini, non a caso, continua ad alzare il tono dello scontro con Renzi.
Ieri, a margine di un convegno a Medicina nel bolognese, ha spiegato perchè sulle politiche del lavoro considera Renzi peggiore di Berlusconi.
«Berlusconi – ha detto – si è confrontato, ha avuto scontri e anche accordi: qui siamo di fronte ad un governo che sta rifiutando di confrontarsi con i sindacati e che ha addirittura cancellato l’articolo 18 e rende possibili i licenziamenti. Quello che sta facendo il governo Renzi non era mai successo nella storia del nostro Paese: si mettono in discussione principi della Costituzione, con una regressione pericolosa e grave». In questa interpretazione dell’azione di un governo definita «padronale» ci sarebbe proprio la spinta ulteriore all’aggregazione sociale.
Dopo Pasqua ci sarà il secondo appuntamento delle associazioni che porterà a definire appunto la Carta d’identità .
Accanto ai movimenti sociali, Landini dice che c’è un forte interesse da parte delle organizzazioni del lavoro autonomo: giovani avvocati, i farmacisti delle para-farmacie, addirittura i notai.
Si mescolerebbero così i lavori senza più le barriere, anche culturali e ideologiche, tra lavoro subordinato e lavoro autonomo.
Anche questa è una novità per la Fiom, sindacato degli impiegati e degli operai metalmeccanici.
Scrive significativamente sul sito della Fiom Gabriele Polo, oggi spin doctor di Landini dopo essere stato per anni il direttore del Manifesto: «I metalmeccanici della Fiom di manifestazioni ne hanno fatte tante, ma non ne avevano mai fatta una confederale, così intenzionata a rappresentare e contrattare tutte le forme del lavoro e, persino, tutti gli aspetti della vita sociale; coalizzando ciò che è frammentato, cercando gli elementi e i punti di vista comuni per costruire “un mondo”».
È l’ammissione di una Fiom che ha deciso di scavalcare la Cgil, di farsi confederazione, di diventare Unions, come recitava lo slogan della manifestazione di sabato.
Un altro sindacato, appunto. Una sfida per Landini.
Però «se la sua coalizione sociale – sostiene Giuseppe Berta, bocconiano, storico dell’industria – non produrrà risultati in un certo periodo di tempo, il tentativo di prendere la guida dalla Cgil minaccia di andare a vuoto».
E questo è il doppio rischio di Landini.
Roberto Mania
(da “La Repubblica”)
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Marzo 28th, 2015 Riccardo Fucile
“ABBIAMO GIA’ PIU’ CONSENSO DEL GOVERNO”… PRESENTE TUTTA LA SEGRETERIA CGIL COMPRESA LA CAMUSSO E PEZZI DELLA SINISTRA PD, DA CUPERLO A FASSINA A CIVATI
“Oggi inizia una nuova primavera: Renzi stia tranquillo che noi abbiamo più consensi del governo”. Sono le parole pronunciate dal segretario della Fiom Maurizio Landini arrivando alla manifestazione organizzata da Coalizione sociale nel centro di Roma. E’ partita da piazza della Repubblica a Roma la manifestazione nazionale indetta dalla Fiom contro il Jobs act, per “i diritti, il lavoro, la democrazia”.
Si stima che le presenze siano circa 50mila.
Ci sono tra gli altri Pippo Civati, Gianni Cuperlo, Rosy Bindi, Stefano Fassina e Nichi Vendola. In piazza anche la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, che chiede “un piano per il lavoro”.
Il leader dei metalmeccanici della Cgil insiste nel ribadire l’intenzione di mettere insieme tutti i lavoratori: lo slogan per oggi infatti è “Unions”, “perchè noi vogliamo unire — dice Landini — tutto quello che il governo sta dividendo”.
Manifestazione politica? “Si, certo”, risponde lui. “La novità vera e importante di questa manifestazione è che c’è tutta la segreteria della Cgil”, ha annotato Landini.
“Pensiamo di avere più consenso di quello che ha il governo”, ha detto in apertura del corteo Landini, lanciando il guanto di sfida a Renzi su un terreno a lui molto sensibile come il gradimento popolare.
“Vogliamo davvero cambiare questo paese ma rappresentando gli interessi di chi lavora: oggi è una nuova primavera”, ha dichiarato.
Landini preme il gas e lo rilascia, strappa e ricuce. “Non siamo in piazza per difendere cose che non ci sono più, anche perchè ci hanno tolto tutto. E Renzi stia tranquillo, non siamo qui contro di lui, ma abbiamo l’ambizione di proporre idee per il futuro dell’Italia”.
A stretto giro, poi, ripartono gli attacchi all’esecutivo e a chi lo sostiene: “Il governo e Confindustria vogliono solo rendere il lavoro una merce, come era nell’800″, afferma il leader della Fiom.
E si registra la risposta, a tratti sprezzante, dello stesso Renzi: “La Fiom in piazza? E’ l’ennesimo corteo”.
La replica però arriva proprio dalle fila della sinistra critica presente alla manifestazione. “Sono qui come parlamentare di una parte del Pd — risponde Stefano Fassina — c’è un pezzo importante di popolo che dobbiamo rappresentare. Del Pd siamo pochi ma il Pd non è fatto solo dai gruppi parlamentari e da Matteo Renzi e dispiace che Renzi tratti questa manifestazione con disinvoltura, come l’ennesima parata”.
“Se vuoi risolvere i problemi, devi fare milioni di assunzioni. Il problema non sono quelle di gennaio e febbraio”. Sono state queste le prime parole di Maurizio Landini, arrivando a piazza della Repubblica di Roma per la manifestazione della Fiom.
Intenso l’intervento di Stefano Rodotà .
“Oggi è una giornata diversa dalle altre, un fatto che inquieta. Qui non stiamo disturbando un manovratore ma va riconosciuta la dignità dei lavoratori, garantire l’esistenza dignitosa è un obbligo costituzionale. Ai lavoratori va bene che venga riconosciuto diritto di presenza e parola in tutte le situazioni. Ciò che va bene per i lavoratori va bene per l’Italia. Questa è la frase che dobbiamo dire oggi” dice dal palco di piazza del Popolo.
“Se oggi c’è una frase che dovrebbe inquietare tutti è ‘Non ci sono alternative’ perchè vuol dire che la democrazia è mutilata. Oggi insieme stiamo cercando di costruire un futuro che non è quello che ci viene promesso in questo momento” continua.
“E sul premier, ancora: “Renzi che respinge con una certa sufficienza parlando di ‘pigrizia del professorone’ dico che io sono così poco pigro che sono qui con le stampelle. E’ un segno di inferiorità l’uso di questo termine”.
Parole anche sul Jobs Act: “Se la Costituzione dice che il lavoro è il fondamento della democrazia, anche le risorse devono essere distribuite con questa gerarchia costituzionale”.
“La passività – conclude – è l’anticamera della resa e non mi pare che qui ci siano persone disposte ad arrendersi”.
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Marzo 27th, 2015 Riccardo Fucile
COME SPIEGARE CHE IL SINDACATO PUO’ E DEVE FARE POLITICA
C’è il rosso immancabile come in ogni manifestazione della sinistra che si rispetti, ieri e oggi. Ma c’è anche il beige e il blu.
Lo slogan in inglese poi, ‘Unions!’, non lascia spazio ai dubbi.
C’è anche tanta America nella manifestazione della Fiom organizzata per domani per lanciare la coalizione sociale anti-Renzi.
Non è patriottica, non ha stelle e strisce ma i colori del poster di Obama disegnato dal writer Shepard Farey, quello del 2008, il Barack prima maniera, quello della scritta ‘Hope’, luce prima del buio della grande crisi. Maurizio Landini guarda anche a ovest, agli Usa che in questi anni sono riusciti a risollevare l’economia con una politica di investimenti pubblici.
Chiede la stessa ricetta anche qui in Italia e di fronte al governo che da qualche giorno diffonde i dati sull’occupazione in aumento, alza le spalle.
“Il punto è che dalla crisi si sta uscendo con meno diritti di prima, per i lavoratori”, dice ai suoi. Alla vigilia, Landini studia il suo messaggio per domani.
Il tarlo è sempre lo stesso: come far capire che il sindacato fa politica, è nei suoi diritti, ieri come oggi. “Se a Pierre Carniti gli avessero detto che non poteva fare politica, se li sarebbe sbranati…”, si sfoga.
Determinato e furente. Perchè il cuore del ragionamento sente di averlo.
Deve trovare le parole per aggirare le strumentalizzazioni. La vigilia Landini la passa con la segreteria Fiom, al terzo piano della sede in corso Trieste a Roma.
Sta lì a costruire un discorso complicato, quello con cui chiuderà la manifestazione che, alle 14 di domani, parte da piazza della Repubblica per raggiungere il palco allestito in piazza del Popolo.
Complicato. Perchè già fin dall’inizio di questa nuova ‘avventura’, è stato complicato spiegare cos’è una coalizione sociale, un’aggregazione di persone, lavoratori e non, precari e studenti, società civile in pratica, oltre il sindacato tradizionale e alla larga dai partiti tradizionali, alle prese con i cambiamenti allo statuto dei lavoratori decisi dal Jobs Act di Renzi.
Complicato perchè per ora la coalizione è un’idea di “lunga gittata, una strategia di lungo periodo”, ripetono in Fiom.
Complicato respingere i tentativi di chi vuole confinare questa idea in una scorciatoia che punti subito ad un altro, ennesimo partitino della sinistra.
E ancora più complicato scendere in piazza all’indomani dei nuovi dati sull’occupazione: “Nei primi mesi del 2015 ci sono 79mila occupati in più rispetto allo stesso periodo del 2014”, si pregia il ministro Poletti, sorride soddisfatto Renzi.
Vallo a spiegare che va capito se i nuovi occupati sono davvero ‘nuovi’ o se sono stabilizzazioni di contratti già esistenti.
Lo stesso Poletti dice che per saperlo bisogna aspettare i dati di aprile.
E vallo a spiegare che i posti di lavoro in più si giustificano con gli sgravi fiscali decisi nella legge di stabilità , chissà se saranno permanenti.
Landini si sbraccia per spiegarlo in tv, sta in tutti i talk show senza sosta, stamane gli è anche capitato di inciampare proprio sul Jobs Act, la sua materia preferita, a ‘L’aria che tira’. Ai renziani non sembra vero. I deputati Dem più vicini al premier gli danno addosso: “Dice che la crescita occupazionale registrata a gennaio è indipendente dalle misure del governo, errore da matita blu!”, attacca Alessia Rotta. Ecco, Landini cerca le parole: maledettamente, il succo c’è, va tradotto. Lo hanno capito anche Susanna Camusso e la Cgil: e Landini lo sa.
Nato come un corteo della Fiom, quella di domani è diventata una manifestazione della Cgil.
Ci saranno Camusso e tutta la segreteria più tutti i segretari di categoria. “Non va bene personalizzare le organizzazioni, c’è una sola organizzazione che si chiama Cgil”, spiega il segretario confederale.
Certo, al terzo piano del palazzo Fiom in Corso Trieste ancora non sanno se Camusso o qualche segretario di categoria della Cgil prenderà la parola dal palco, oltre a Landini.
E’ una decisione lasciata nel vago, alla vigilia. Ma tutta la Cgil sarà lì con la Fiom: ad ascoltare, così la mettono.
Perchè con Renzi al governo, con un segretario Pd che ha tagliato ogni ponte di collegamento con il sindacato, anche in Corso d’Italia non guardano più con rabbia e sdegno all’opa di Landini sulla testa del sindacato.
Sempre che la coalizione sociale sia in realtà un’opa del segretario Fiom sulla guida della Cgil, per prendere il posto della Camusso a scadenza di mandato. Potrebbe andare così. Oppure il tutto potrebbe prendere una piega più politica. Ancora la strada non è tracciata.
Dipenderà anche dalla legge sulla rappresentanza sindacale promessa da Renzi. Una volta era l’argomento che li avvicinava, Matteo e Maurizio, quando ancora si parlavano, prima dell’abolizione dell’articolo 18.
Ora il segretario Fiom non sa se la legge sulla rappresentanza sindacale verrà preparata alla ‘Marchionne’, per penalizzare un sindacato come la Fiom che in tempi di crisi perde iscritti nelle fabbriche perchè ora l’operaio medio preferisce pensare al pane a scapito dei diritti. Oppure se l’intenzione del governo sia di varare un provvedimento per “la democrazia nei posti di lavoro”, ripetono in Fiom.
Tra dubbi e aspettative, congetture e incertezze, intanto l’idea della coalizione sociale scende in piazza domani, arriva a Roma con 300 autobus e conta di riempire piazza del Popolo, dicono gli organizzatori, con trentamila metalmeccanici più il resto: la stima, a dita incrociate, è di 50mila manifestanti.
Un punto fermo c’è: alla larga dai partiti tradizionali della sinistra. Certo, in piazza ci sarà Sel con Nichi Vendola, ci saranno Stefano Fassina e Pippo Civati della minoranza Pd, ci saranno rappresentanti della Lista Tsipras e Rifondazione.
Ma non saranno loro a parlare sul palco. Nemmeno Gianni Cuperlo, che pure con Landini ha un’interlocuzione aperta, stimato ai piani alti della Fiom come intellettuale di sinistra.
E, nemmeno a dirlo naturalmente, non ci saranno i capigruppo Dem in Parlamento, Luigi Zanda e Roberto Speranza, che però ieri Landini ha incontrato per spiegare i motivi della manifestazione. Pare che Zanda abbia anche voluto una spilletta della Fiom: souvenir.
Sul palco interverranno Giuseppe De Marzo (Libera-campagna reddito), Domenico Maugeri, coltivatore diretto (Tavolo Verde); Maria Meddaoui, operaia (delegata Fiom alla Benincasa, Bologna); Armanda Garau, insegnante (Flc-Cgil); Giacomo Zolezzi, studente (Rete della conoscenza); Claudio Vittori, segretario generale Fisac-Cgil del Lazio; Giovanna Cavallo, movimento per la casa (Action); Gino Strada, fondatore di Emergency in collegamento telefonico dalla Sierra Leone. E poi Valentina Orazzini e Alessandro Torti, studenti e animatori dello sciopero sociale (Social Strike, sciopero dei precari) del novembre scorso e delle manifestazioni anti-Bce a Francoforte il 18 marzo scorso.
Verrà letto un messaggio di Gustavo Zagrebelsky, mentre Stefano Rodotà sarà lì per parlare, lui alleato di Landini già nella battaglia contro la riforma costituzionale all’epoca del governo Letta, spietato a definire “zavorra” i partiti di sinistra in una recente intervista a Micromega.
“Ripartiamo dal basso”, dice Rodotà in quell’intervista.
Ed è un po’ questa l’idea di domani.
Concluderà Landini che cerca le parole, ma promette che quello di domani non sarà un urlo che muore nell’eco, ma l’inizio di una strategia di aggregazione che conta su uno spazio politico già registrato dai sondaggi.
Intorno all’8-10 per cento: il patrimonio c’è, va capito come sfruttarlo.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 25th, 2015 Riccardo Fucile
IN PIAZZA ANCHE LA CAMUSSO: “MAI STATO IN DISSENSO CON LEI SULLA MANIFESTAZIONE, MA SULLA PROPOSTA DI COALIZIONE SOCIALE”
Con Susanna Camusso «non c’è mai stato dissenso sulle ragioni della manifestazione di sabato
prossimo», piuttosto «sulla proposta di coalizione sociale ».
Dunque il segretario della Fiom, Maurizio Landini, non è sorpreso dell’annuncio del leader della Cgil che parteciperà al corteo di sabato dopo le polemiche sul carattere più o meno politico dell’iniziativa.
Landini parla anche della vicenda Pirelli: «E’ una svendita, l’Italia sta cedendo industrie strategiche a produttori stranieri».
Landini, sorpreso della scelta di Camusso di partecipare alla manifestazione?
«Assolutamente no. Non c’è mai stato dissenso di merito. Con la Cgil e, successivamente, anche con la Uil stiamo conducendo una battaglia contro il jobs act fin da quest’autunno».
A dire il vero la Cgil aveva giudicato con freddezza l’iniziativa di sabato. C’erano state delle polemiche…
«C’era stato un problema legato a una delle nostre proposte, quella della coalizione sociale, un progetto per combattere la frantumazione del mercato del lavoro determinata anche dalle scelte del governo Renzi».
Il jobs act è ormai legge. Come lo combatterete?
«Ci sono molte strade per cambiare le leggi. Questo è il primo governo che modifica le leggi sul lavoro riducendo i diritti senza nemmeno ascoltare le proposte dei sindacati e del Palrlamento. Il jobs act è stato scritto ricalcando le ricette di Confindustria e della Bce. Invito tutti ad andarsi a rileggere la lettera che la Bce scrisse all’Italia il 5 agostro 2011. Si chiedeva di aumentare l’età pensionabile, di introdurre la libertà di licenziamento, di superare i contratti nazionali. Tutti obiettivi che i governi Monti, Letta e Renzi hanno perseguito con costanza e continuità . Noi vogliamo manifestare sabato contro quella politica che rende più ricattabile e privo di diritti sia chi lavora sia chi un lavoro non ce l’ha».
Eppure il governo considera positivi i risultati delle nuove leggi. Sia sul piano dell’occupazione, sia su quello degli investimenti stranieri. Anche la vendita di Pirelli è un fatto negativo?
«La vendita, o meglio, la svendita di Pirelli è la migliore dimostrazione dell’assenza di una politica industriale in Italia. Abbiamo scelto di lasciare che il patrimonio tecnologico del Paese si trasformi in un supermarket dove i produttori e i fondi di investimento stranieri arrivano e fanno affari. La cosa più grave è che così si vendono conoscenze che vengono utilizzate da altri. Nel momento in cui i grandi produttori compiono scelte strategiche è evidente che finiranno per favorire i loro paesi. Per questo i governi di Spagna, Francia, Germania, Usa intervengono ad evitare che settori stretagici finiscano in mani straniere. Noi invece consideriamo un successo aver ceduto Finmeccanica ai giapponesi e Pirelli ai cinesi».
Il ragionamento vale anche per l’Ilva?
«Dopo tre anni di tentennamenti finalmente il governo ha deciso di entrare nella proprietà dell’Ilva per difendere non solo i posti di lavoro ma anche la presenza di un settore strategico come quello dell’acciaio. A maggior ragione non si capisce perchè l’Ilva sì e Finmeccanica e Pirelli no».
Perchè in Spagna e Grecia la crisi sta premiando i partiti di sinistra radicale e in Italia no?
«Io sono un sindacalista, non sono un politico e tantomeno ho voglia di farlo. Quel che stiamo provando a fare è cercare di riunire il lavoro che le politiche del governo stanno frantumando. Segnalo solo che sia In Spagna che in Grecia ci sono sindacati più deboli di quello italiano».
Con la coalizione sociale?
«La coalizione sociale è una proposta e cercheremo di capire l’11 aprile se riusciamo a costruirla. Penso a gruppi di associazioni che nei diversi territori riuniscano chi lavora e chi non riesce a farlo, chi è precario e chi è disoccupato. Un progetto tutto da costruire ma anche una strada per riformare il sindacato. Altrimenti anche la sopravvivenza delle attuali organizzazioni del movimento dei lavoratori è a rischio».
Silvia Garroni e Paolo Griseri
(da “la Repubblica”)
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Marzo 22nd, 2015 Riccardo Fucile
UN ALTRO 24% LO SEGUE CON “QUALCHE SIMPATIA”… MA CON L’ITALICUM L’INTERESSE SI RIDURREBBE
Il progetto di Coalizione sociale, lanciato da Maurizio Landini insieme ad alcune associazioni, si propone
di rappresentare le istanze del mondo del lavoro e di dare voce a quella domanda di giustizia sociale che oggi non è ascoltata.
Quasi un italiano su due (47%) pensa che sia un’iniziativa utile perchè il nuovo soggetto si occuperebbe di temi considerati importanti ma privi di un’adeguata risonanza, mentre il 30% ritiene che, nel bene o nel male, se ne facciano già carico le attuali forze politiche e sociali e non ci sia bisogno di un nuovo soggetto.
L’utilità del progetto viene riconosciuta da tutti gli elettorati, con valori percentuali molto simili, soprattutto tra gli elettori del M5S, di Forza Italia e del Pd.
Il consenso all’iniziativa non significa automaticamente riconoscere un ruolo politico al sindacato: infatti, solo il 32% ritiene che debba confrontarsi da pari a pari con le forze politiche mentre la maggioranza assoluta (53%) è di parere opposto.
L’opinione pubblica sembra dunque avere le idee chiare: giudica opportuno rappresentare le istanze di giustizia sociale presenti nel Paese (i temi del lavoro e della protezione sociale sono ai primi due posti nelle priorità degli italiani), ma preferisce mantenere distinto il ruolo del sindacato da quello della politica.
E Landini sembra esserne consapevole distinguendo tra «ruolo politico», che rivendica, e «soggetto politico», che sembra escludere, anche se i dubbi sulle sue vere intenzioni rimangono: non è chiaro se si tratti del tentativo di assumere la leadership della Cgil oppure se intenda dar vita a un nuovo movimento che si collochi alla sinistra del Pd e riunisca il frastagliato mondo dell’associazionismo, dei centri sociali e degli attuali piccoli partiti di sinistra
In altre parole, un soggetto che si ispiri all’esperienza ellenica di Syriza, vincitrice delle elezioni greche nel gennaio scorso, o a quella spagnola di Podemos che i sondaggi danno in forte crescita.
Qualora Coalizione sociale dovesse diventare un partito, il 10% guarderebbe a esso con molta simpatia, il 24% con qualche simpatia mentre il 43% non avrebbe alcuna simpatia.
I simpatizzanti sono fortemente caratterizzati in termini di età (sono soprattutto i più giovani e gli studenti), di istruzione (i laureati), di ceto professionale (in particolare i quadri e ceti medi impiegatizi) e di residenza (regioni settentrionali).
I ceti più popolari e quelli più esposti alla crisi, a differenza di quanto registrato a novembre, non mostrano particolare simpatia per un eventuale nuovo partito di sinistra e le casalinghe fanno segnare il più elevato tasso di antipatia (oltre 60%).
Ancora una volta va ricordato che non si deve confondere la simpatia con il comportamento di voto.
E gli orientamenti di voto possono cambiare in relazione alle coalizioni, ai leader che le guidano, al clima sociale ed economico e, soprattutto, alle leggi elettorali.
Se si dovesse votare con il cosiddetto Consultellum (sistema proporzionale senza premio di maggioranza) un partito di sinistra potrebbe aspirare ad entrare in una coalizione di governo guidata dal PD, da tempo in testa nei sondaggi, allargando in tal modo l’elettorato potenziale.
Viceversa, se venisse approvato l’Italicum che prevede il premio di maggioranza al partito che supera la soglia del 40% (o il ballottaggio) è probabile che un partito di sinistra, destinato all’opposizione, possa risultare poco attrattivo e demotivare gli elettori potenziali.
Per questo i sondaggi, soprattutto a distanza dalle elezioni, vanno maneggiati con cura.
Nando Pagnoncelli
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 17th, 2015 Riccardo Fucile
“MAURIZIO DOBBIANO FARE UNA NOTA CONGIUNTA”… “NO SUSANNA, IO NON LA FIRMO”
“Maurizio, dobbiamo scrivere una nota insieme, chiarire che la manifestazione del 28 marzo non è una iniziativa politica”.
“No Susanna, io quella nota non la firmo, ti ricordo che è Renzi che ci accusa di voler fare un nuovo partito, non può farlo la Cgil…”.
Il vertice Camusso-Landini dura solo mezz’ora, e non certo perchè ci sia poca carne al fuoco. Anzi, la carne è troppa, e le posizioni restano sideralmente distanti.
E i due leader sindacali si lasciano con un nulla di fatto.
Mezz’ora a discutere di una nota congiunta, un po’ come nei fumosi vertici della prima Repubblica.
Una nota chiesta a gran voce da Susanna Camusso, per sgombrare il campo da quello che in Cgil molti temono: e cioè che la piazza Fiom del 28 marzo a Roma, al di là del piattaforma sindacale, si trasformi nel battesimo della nuova “cosa di sinistra”, che forse non sarà un partito, ma certamente ha già un leader: Maurizio Landini.
Un leader che negli ultimi mesi, al di là delle storiche divergenze tra Fiom e Cgil, sta diventando un po’ troppo ingombrante, e ormai non fa più mistero di voler rottamare liturgie e nomenclature di Corso d’Italia.
Camusso e Landini si vedono alle 10 di mattina.
Pochi convenevoli, del resto la nota della segreteria Cgil della sera precedente non lasciava spazio a dubbi interpretativi: una bocciatura netta della coalizione sociale lanciata dalla Fiom, “non è il nostro mestiere”, e un brusco richiamo a ricordare che il mestiere del sindacato è “diverso dalla costruzione di soggetti politici”.
Landini, nel breve faccia a faccia, non arretra.
Anzi, invita la Cgil e la sua leader a mettersi a capo della coalizione sociale, convinto com’è della “crisi delle organizzazioni sindacali”, che ora “devono cambiare attraverso una riforma democratica”.
L’unica strada, spiega, per ritrovare un ruolo, un protagonismo sociale.
Camusso insiste. Vuole che sulla piazza del 28 sia fatta piena chiarezza, vuole poterci andare senza imbarazzi, senza la sensazione di trovarsi dentro l’incubatrice di un nuovo soggetto politico, per di più chiaramente antagonista del Pd.
Ma non ottiene nessuna delle condizioni chieste. Neppure le minime rassicurazioni sulla scaletta del palco che, a detta della leader Cgil, dovrebbe essere rigorosamente sindacale: delegati, iscritti.
Landini, al fondo, non scioglie l’ambiguità sulla sua coalizione, che resta un ircocervo tra sindacato e politica, come del resto è nel dna della Fiom da anni.
E così all’uscita Camusso è molto dura: “Landini dicesse quello che pensa tutta la Cgil e cioè che non vuole diventare nè il sostituto nè il costruttore di nuovi movimenti politici, perchè il bisogno politico di Landini non può stravolgere la natura della Cgil”.
Secondo Camusso dunque, “bisogna chiudere la discussione in modo trasparente, dobbiamo lavorare sulla contrattazione, abbiamo tanto da fare senza inventarci dell’altro”. Landini respinge con sdegno l’accusa di voler costruire una forza politica.
La Fiom, spiega “è per un’autonomia e indipendenza del sindacato dalle forze politiche. Queste strumentalizzazioni, il tentativo di descrivere cose che non sono, sottolinea ancora, è un tentativo che capisco da parte del governo, delle forze politiche perchè non vogliono affrontare i problemi che noi stiamo proponendo. Le obiezioni sollevate dalla segreteria Cgil non hanno ragione di essere”.
Il leader Fiom non lo dice esplictamente, ma l’accusa è di fare il gioco di Renzi.
I due restano dunque molto distanti.
Come se l’autunno della pacificazione nel segno del no al Jobs Act fosse svanito.
E il clima dentro la Cgil tornato indietro di un anno, alla vigilia dell’ultimo congresso.
I due leader si lasciano in modo interlocutorio, ognuno convinto che la palla ora sia nelle mani dell’altro.
“Aspettiamo una risposta da Landini”, insiste la leader Cgil.
Ma il capo delle tute blu è fermo sulla sua posizione e si prepara alla manifestazione del 28. Con o senza Susanna.
Convinto di essere perfettamente dentro ai paletti fissati dallo statuto Cgil. Sul sito Fiom compare anche una lettera del segretario organizzativo Nino Baseotto (che fa parte della squadra di Camusso), datata 16 marzo, in cui si invitano “compagni e compagne” delle varie categorie a “favorire la partecipazione alla manifestazione, prevedendo una loro presenza”.
Un endorsment pieno alla piazza di Landini, che scatena un piccolo giallo, anche perchè ad alcune categoria la missiva non sarebbe arrivata.
Intanto, i segretari generali della Flai e della Funzione pubblica, Stefania Crogi e Rossana Dettori, vergano una nota di sostegno alle tesi di Camusso in cui ricordano che “il sindacato non ha mai abdicato alla propria funzione ed al proprio ruolo fatto di mobilitazione, negoziazione e contrattazione”.
“Tutto questo non può portare ad un sindacato che si sostituisce alla politica o che promuove dal suo interno formazioni politiche, poichè di questo si tratta, al di là delle alchimie delle parole, con la proposta della coalizione sociale avanzata in questi giorni”. L’accusa a Landini è chiara: giocare con le parole per nascondere le sue ambizioni politiche.
E del resto i nuovi giorni del gelo in casa Cgil si spiegano anche con un pensiero che da alcune settimane circola dentro il sindacato rosso, e non solo nelle categoria storicamente più a “destra” come chimici, edili e agroalimentare: e cioè che dall’autunno in poi Camusso abbia seguito eccessivamente la strada barricadera di Landini, anche sul referendum anti Jobs Act che molti temono possa essere un boomerang.
Di qui la richiesta di mettere un punto, che si è fatta sentire molto forte alla riunione della segreteria del 16 marzo, in cui più interventi da parte di varie anime (da Fabrizio Solari a Danilo Barbi) hanno chiesto una bocciatura netta delle iniziative di Landini.
Sullo sfondo, la conferenza organizzativa prevista per l’autunno, dove il leader Fiom intende proporre un drastico cambio nelle regole e nelle modalità del sindacato, come ad esempio l’elezione del segretario generale da parte degli iscritti.
Una sfida che in nuce vede già quella per la successione a Camusso, prevista per il 2018. Per ora la sfida è sulla piazza del 28 marzo.
Difficile, a questo punto, salvo una clamorosa retromarcia di Landini, che la leader Cgil possa essere presente di persona.
Ma anche uno strappo netto, come sarebbe l’assenza di un rappresentante della segreteria confederale, appare improbabile.
Lo step successivo è previsto per metà aprile, con la prima uscita pubblica in forma di seminario della coalizione sociale. La coabitazione dentro la Cgil sembra destinata a restare molto ruvida.
(da “Huffingtonpost”)
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