CENA DEGLI ANTI-RENZI: LA MINORANZA MINACCIA LA CRISI DI GOVERNO
RIFORME COSTITUZIONALI: “SE NON MEDIA LO MANDIAMO SOTTO”
A palazzo Madama già si sente l’odore del Napalm. È più di una suggestione.
Per la prima volta tra la minoranza del Pd all’ordine del giorno c’è la “crisi” di governo.
L’Apocalypse now sulle riforme. Pier Luigi Bersani lo chiama il “far saltare il tavolo, mandandolo (Renzi ndr) sotto”.
E da giorni ne parla con i suoi. C’è chi è già pronto. Altri, come Cuperlo, un po’ perplessi.
Perchè è chiaro che ormai gli spazi di mediazione sono aridi come un prato vietnamita: “Neanche nel Pci – dice l’ex segretario a In Onda – si chiedeva la disciplina sui temi costituzionali. E’ offensivo dire che minoranza vuole fermare le riforme. Se Renzi vuole discutere, l’accordo si trova subito. Sennò…”.
Quando Matteo Renzi, nel corso della conferenza stampa, scandisce il suo “no a veti”, lasciando intendere una drammatica conta sulla riforma del Senato, gli eserciti sono già in campo.
Posizionati nelle ultime, tese, 48 ore. Da un lato il governo, con la tutela di Giorgio Napolitano. Il quale, in un intervento sul Corriere, ci va giù durissimo sulle riforme: “Non si può tornare indietro sulla riforma del Senato”.
L’ex capo dello Stato spiega che “la modifica sul punto nodale del testo” (ovvero quella chiesta dalla minoranza Pd sul Senato elettivo) “farebbe cadere l’impianto”. Parole identiche a quelle pronunciate in commissione da Anna Finocchiaro che — per blindare le riforme — si è mossa sul campo d’intesa proprio con Napolitano: nessuna mediazione sul Senato elettivo, il testo resta così come è.
Dall’altro i vietcong, che prima di lanciare la sfida presentando comunque gli emendamenti sul Senato elettivo, già discutono del punto di caduta del “far saltare il tavolo”.
Ovvero: come affrontare la crisi il minuto dopo.
Perchè è chiaro che non è un voto come gli altri: se saltano le riforme, salta il governo.
E a qual punto Renzi ha già fatto capire che punterebbe sul voto anticipato.
La discussione è iniziata martedì sera, quando venti dei 28 senatori contrari alla riforma si sono incontrati nel ristorante Renato e Luisa, a Largo Argentina, con un unico argomento di discussione: “Stavolta andremo fino in fondo. Se Renzi non media, noi teniamo la nostra posizione”.
C’erano pressochè tutti, da Gotor a Migliavacca, da Chiti a Mucchetti: “Se questa è l’apertura a l’ascolto si poteva andare direttamente in Aula” è il refrain.
E stavolta non sarà come le altre. Ne parlano da giorni, i big della Ditta.
Fosse stato per Massimo D’Alema si doveva rompere sul jobs act perchè “la nostra gente l’avrebbe capito”. Bersani è pentito di aver ceduto sulla scuola.
Sulle riforme, assicurano, “sotto i 25 non si scende, il gruppo tiene, e faremo di tutto per mandarlo sotto”.
La sinistra voterà i venti emendamenti “pensanti”, su cui coagulare il fronte contrario alla riforma.
L’insofferenza verso Napolitano, dopo il suo intervento sul Corriere, indica che davvero c’è un’aria di Vietnam.
Si misura nelle dichiarazioni, per la prima volta apertamente critiche verso l’ex capo dello Stato.
Ma a microfoni spenti raccontano dell’odio puro di quel gruppo dirigente bersaniano che, negli ultimi anni, ha vissuto Napolitano come una specie di persecutore: dal governo Monti al sostegno che l’allora capo dello Stato ha dato a Renzi.
C’è però un elemento nuovo nel ragionamento di chi pensa di far saltare il tavolo.
Ed è che al Colle, ora, c’è un nuovo capo dello Stato.
Il quale, una settimana fa, ha fatto un discorso molto diverso da quello del suo successore: “Mattarella — spiega un parlamentare in contatto col Colle — ha parlato delle riforme come di una priorità della legislatura, non del governo, e ha messo in guardia dall’uomo solo al comando. Napolitano invece ha legato riforme e governo”. Significa che, nell’orizzonte di Mattarella, non c’è lo scioglimento anticipato ma il rispetto della sovranità del Parlamento e del dettato costituzionale secondo cui, finchè c’è maggioranza, non si scioglie.
Un big della minoranza sussurra: “Se salta il tavolo Renzi apre la crisi e punta al voto? Bene. E da segretario del Pd va al Colle dicendosi indisponibile a un nuovo governo? Benissimo. Scherza col fuoco. Al netto delle questioni di legge elettorale, noi diciamo che ci stiamo sia sul governo che sulle riforme, a patto che ci sia un accordo politico. Che fa Matteo? Dice a Mattarella: andiamo a votare perchè pure se loro sostengono il governo, il non voglio mediare su nulla?”.
E Massimo D’Alema, mentre veleggia con la sua barca tra le isole della Grecia, assapora gusto del “colpo che lascia il segno”.
(da “Huffingtonpost”)
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