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CHE FINE HA FATTO IL SOVRANISTA GEERT WILDERS? L’OLANDA E’ SENZA GOVERNO DA 8 MESI

NON E’ RIUSCITO IN OTTO MESI A METTERE D’ACCORDO QUATTRO PARTITI E SARA’ DIFFICILE CHE CI RIESCA

Mercoledì scorso Mark Rutte ha accolto in Olanda il presidente cipriota Nikos Christodoulides. Due giorni dopo, era a Kharkiv per una missione di alto valore politico: visitare una delle città più duramente colpite da due anni di bombardamenti russi e firmare un patto decennale di sicurezza con l’Ucraina. Oggi, un ben più rilassante incontro all’Aja con il primo ministro del Lussemburgo Luc Frieden. Tutto in regola, se non fosse per un piccolo particolare: Rutte si è dimesso da capo del governo olandese ormai da 8 mesi. Era il 7 luglio del 2023 quando il premier più longevo d’Europa – alla guida dei Paesi Bassi dal 2010 – gettò la spugna consegnando a re Guglielmo Alessandro la sua frustrazione per le divisioni all’interno della maggioranza sul tema dell’accoglienza dei richiedenti asilo. «L’Olanda gli sta stretta, punta a un incarico internazionale di spicco», malignò più di un retroscenista. Possibile. Perfino probabile, considerato che oggi viene data per quasi fatta la sua nomina a prossimo segretario generale della Nato. Peccato che da 8 mesi Rutte resti “imprigionato” nella gestione degli affari correnti (e non solo) del suo Paese. Perché, nonostante un passaggio elettorale che nel frattempo – oltre 100 giorni fa – ha dato indicazioni piuttosto chiare sul sentiment politico degli olandesi, un governo sostenuto da una nuova e chiara maggioranza ancora non c’è. E non è neppure alle viste.
Il diavolo veste Wilders
«Vince Wilders, l’estrema destra travolge l’Europa», titolava Repubblica lo scorso 23 novembre. Di «vittoria shock dell’estrema destra» parlava pure France 24, di «trionfo del populista anti-Islam Geert Wilders» l’Associated Press. Per giorni il profilo dinoccolato del leader dei sovranisti olandesi ha tenuto banco sulle prime pagine di tutta Europa, dando corpo ai timori che quello celebrato nelle urne del Paese nordico il 22 novembre potess’essere un antipasto di quel che avverrà in tutta l’Ue alle Europee di giugno: un balzo oltre i pronostici di tutti i partiti di destra dura, anti-Islam, gelidi sui diritti civili e più o meno segretamente pronti ad abbandonare l’Ucraina al suo destino. Eppure proprio quello shock per lo “sdoganamento” di forze anti-sistema è quel che fin qui ha reso impossibile a Wilders di conquistare lo scettro della guida dell’Olanda. Il suo Partito della libertà (Pvv) ha preso oltre il 23% dei voti, pari a 37 seggi del nuovo Parlamento. Tanti, ma molto meno di quanti ne servono per governare il Paese, ovviamente (almeno 76 sui 150 della Camera bassa). Conti alla mano, era parso subito evidente che l’opzione più percorribile per la formazione di un nuovo governo a trazione di destra fosse quella di una coalizione a quattro. Insieme al Pvv di Wilders, i liberali dell’uscente Rutte (Vvd, calato a 24 seggi sotto la guida di Dilan Yeşilgöz ma ineludibile) e le due novità/sorprese dell’elezione: il partito del Nuovo contratto sociale (Nsc) dell’ex leader cristiano-democratico Pieter Omtzigt (20 seggi) e il movimento di protesta degli agricoltori Bbb guidato dalla pasionaria Caroline van der Plas (7 seggi). Tratti in comune: un’avversione più o meno spiccata alla sinistra e alla “società aperta”. Differenze: quasi tutto il resto.
Stallo messicano
Sin dalla settimana dopo il voto, quando sono iniziate le interlocuzioni tra i quattro partiti, la matassa s’è dimostrata complicata. A porre gli ostacoli maggiori nelle trattative con Wilders sono stati soprattutto Yeşilgöz e Omtzigt, leader non a caso dei due partiti più vicini all’establishment del Paese. Digerire un governo guidato dall’«impresentabile» Wilders resta affare complicato, e i due partiti sono divisi al loro interno: trovare un’intesa accettabile in cambio di una propria nutrita pattuglia di ministri, o far saltare il tavolo in nome della difesa della Costituzione dagli assalti anti-Islam e anti-Ue del Pvv, rischiando però di essere puniti dagli elettori? Una risposta definitiva ancora non c’è. Da ormai quattro mesi i negoziati procedono a stop and go, e il Parlamento ha già bruciato un mediatore incaricato di facilitarli, il laburista Ronald Plasterk. In queste ore sta provando per l’ennesima volta a sbrogliare la matassa il nuovo negoziatore incaricato, Kim Putters (laburista pure lui), tentando la carta degli incontri separati coi quattro leader. Ma ormai gli olandesi – dentro e fuori dal Parlamento – hanno capito che un governo-Wilders potrebbe non vedere mai la luce. A inizio febbraio Omtzigt ha abbandonato il tavolo delle trattative, ufficialmente per distanze con gli altri interlocutori sulla futuribile politica economica. Ma la vera ragione sembra l’impresentabilità di Wilders agli alleati: tra le altre cose, il leader populista ha promesso di mettere fine alla libertà di movimento per i lavoratori Ue, e giocato più volte col fuoco dello stop agli aiuti militari all’Ucraina.
Vie d’uscita
Che fare, quindi? Wilders venerdì ha provato ad alzare la pressione sugli altri partiti coinvolti nelle trattative insistendo sul «pericolo» di un ribaltone, con l’arrivo al governo del centrosinistra guidato dall’ex commissario Ue Frans Timmermans. Ma con i 25 seggi racimolati a fine novembre dal suo fronte “rosso-verde”, anche uniti a quelli di altre sigle centriste, la maggioranza resterebbe un miraggio. Lo stesso Timmermans ha rilanciato nelle scorse settimane l’appello alla destra scrollandosi di dosso ogni responsabilità: «Avete vinto voi, formate un governo se ne siete in grado». Nel sistema politico olandese non è previsto un termine ultimo ai negoziati per la formazione di un governo. Ma sullo sfondo aleggia ormai chiaramente lo spettro di un ritorno alle urne, magari da accorpare al voto per le Europee (6 giugno 2024). Una scommessa dall’esito incerto. Così l’ultima carta per provare a uscire dallo stallo l’ha resa esplicita nelle scorse settimane lo stesso Omtzigt: una coalizione a 4 si potrebbe fare, a patto che il governo non abbia profilo politico. Un governo tecnico, dunque, o comunque composto da personalità “extra-parlamentari” apprezzate dalle forze di maggioranza che lo sostengono. In Italia sa di già sentito, in Olanda un po’ meno. Ma Wilders e la stessa Van der Plas hanno fiutato rapidamente il pericolo e non sembrano affatto ben disposti all’idea. Si riparte dalla casella di partenza. Finché c’è tempo.
(da agenzie)

This entry was posted on martedì, Marzo 5th, 2024 at 12:24 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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